L'isola

Laggiù, sulla collina, di fronte all'edificio azzurro della direzione, c'è sempre la casa che noi chiamavamo "centro di raccolta". Il lettore immagini una specie di baracca di legno piuttosto allungata, a un piano solo, metta alle finestre delle cassette di fiori e delle tendine rustiche a quadretti bianchi e rossi e le veda svolazzare. La porta è aperta e il pavimento del corridoio chiaro è stato appena lucidato. Manca la guardiola del portinaio. Altro? Tutte le otto camere, bisogna sapere, sono occupate dai nuovi, da quelli appena "immigrati", cioè sbarcati da poco dal battello proveniente da Amburgo. Io divido la stanza sette con Kurt Nickel, che ieri ha fracassato i mobili in uno dei suoi accessi di odio furibondo. Il mio compagno ha i capelli neri e porta una camicia nera che tiene sbottonata sul petto. In questo momento è sdraiato sul letto e pare impietrito: il piccolo Kurt Nickel, ex artista; sua specialità: atti di violenza. Ma sta ascoltando? Sente anche lui la voce del direttore Himpel che entra proprio adesso nel centro di raccolta insieme a una delegazione di psicologi stranieri e, camera per camera, illustra le prospettive e i rischi del nuovo programma di rieducazione? Sono in piedi accanto al letto con la schiena appoggiata alla parete di legno. Fumo. Fuori si vede un gruppo di ragazzi disadattati in tute di tela grezza, forche e vanghe in spalla. Di malumore se ne vanno a lavorare nei campi; alcuni si girano a guardare la nostra baracca, si scambiano qualche frase, ridono.

Il direttore Himpel dice: Una chiusa, se posso definirla così. Questa casa ha la funzione di una chiusa. Uno psicologo (scettico): Se capisco bene, qui il giovane delinquente deve venir preparato alla vita di prigione? Himpel (interrompendo volutamente quella sua scioltezza di lingua): Si potrebbe anche definirla camera di decompressione o scivolo. Per risparmiare al nuovo arrivato il colpo della nuova condizione, lo si fa per così dire scivolare lentamente nello stato di detenuto. Il passaggio gli viene insomma reso più facile. Come ho già detto, qui il giovane non gode di tutte le libertà di cui godeva fuori, tuttavia alcune libertà, diciamo alcune piccole libertà, gli sono conservate: gli è consentito fumare, sentire la radio, e dispone anche di alcuni pomeriggi liberi in cui può fare quel che più gli aggrada; inoltre può circolare liberamente sull'isola. Psicologo: E quanto tempo resta qui? Direttore: Tre mesi. I giovani che arrivano qui con una condanna del tribunale rimangono nel centro di raccolta per tre mesi. Finora questa graduale preparazione alla detenzione ha dato ottimi risultati.

Kurt si sveglia di soprassalto, balza dal letto e mi fissa con uno sguardo carico di odio: Dove sono? Dove sono quei porci? Io: Ma non senti? Al cinque. Kurt mi si avvicina e mi dice sussurrando: Congratulazioni! Ascolta, puoi veramente farti le congratulazioni. Io: Per che cosa? Kurt (va alla finestra, si volta di scatto, si aggrappa con le due mani al bordo del davanzale e butta il busto all'indietro): Farai da spettatore, piccolo, farai da pubblico quando ne stenderò uno. Atti di violenza. Mi han portato qui per questo, per comportamento violento in ventisette casi. Adesso vedranno con i loro occhi che cosa vuol dire quando io faccio il violento.

Il direttore Himpel (nella stanza attigua): È così. Non tutti i ragazzi rimangono lo stesso periodo di tempo al centro. Abbiamo elaborato un sistema speciale, un test di gradualità in base al quale decidiamo quanto tempo il nuovo venuto deve trascorrere qui.

Kurt (si sbottona i pantaloni, affonda la mano dalla parte della coscia destra ed estrae un piccolo pugnale chiuso in una guaina di cuoio). Io: Non fare fesserie. Kurt (con odio): Non ho potuto far fuori il procuratore e allora toccherà a uno di loro. Sono tutti della stessa pasta, sai. Sono invidiosi di noi perché siamo giovani. Io (cercando di calmarlo): Metti via il coltello. Non sai, ma più tardi potresti averne bisogno. Kurt (quasi desiderasse motivare il suo odio): Hanno fifa di noi, non vogliono capirci.

Il direttore Himpel (nella stanza attigua): Nei casi più semplici basta in genere un periodo di due settimane nella chiusa. Come ho detto, la durata della permanenza dipende dal grado di emotività psichica. Quando il soggetto passa di là, non manifesta quasi più nessun tipo di turbamento psichico. Noi cerchiamo di evitare turbamenti, ma se si manifestano si manifestano qui.

Kurt (continuando a motivare il suo odio): Nessuno di questi cani ha fatto il minimo tentativo di capirmi. Che vuoi, io sono fatto così. Quelli che non guardavano la mia ragazza, quelli che non la toccavano, non avevano niente da temere. Ma quando vedevo uno che le incollava gli occhi addosso o la toccava, allora non ci vedevo più. Non lo sopportavo, capisci. Andavo dal tipo e gentilmente lo pregavo di smetterla di star sotto alla mia ragazza, se non voleva che gli spaccassi il muso. Alcuni la capivano, altri no. Legittima difesa, e quei porci l'hanno chiamata violenza.

Il direttore Himpel: Propongo di passare adesso al numero sei. Vi mostrerò una rarità: un giovane ladro di opere d'arte che inoltre si intende abbastanza di pittura. La voce di Joswig (in tono amorfo): Il sette, signor direttore! Il direttore Himpel: Ah, bene. Allora sarà per la stanza dopo. Chi c'è attualmente alla sei? Joswig: Il nostro attentatore e Rossbach.

Io (a Kurt avvicinandomi lentamente): Metti via il coltello. Kurt (avvertendomi): Fermati. Io (fermandomi): Se lo fai, di qui non uscirai più. Kurt (ridendo): Ma io non voglio uscire, capisci, voglio solo dare a quelli un'altra dimostrazione di ciò che so fare. Il resto, non mi importa. Io: E se non scegli quello giusto? Kurt: Fra quelli non ce n'è uno che non vada bene. Sono buoni tutti… Invece di lasciarci vivere tranquilli, invece di imprigionarci e basta, quelli trasformano l'isola in un circo equestre e a noi fanno fare i cavalli ammaestrati… Anche a te, piccolo, anche a te fanno fare il cavallo ammaestrato. (Diffidente): Quanto ti hanno dato? Io (continuando ad avvicinarmi): Tre anni di riformatorio. Kurt: Furti d'auto? Io: Che cosa te lo fa pensare? Kurt (con un gesto negligente della mano): Ma la tua faccia non è stata sui giornali? Io: Si tratta di quadri. Ho portato al sicuro dei quadri, è tutto. Kurt (senza capire): Dei quadri?

Il direttore Himpel (mentre la delegazione passa nel corridoio): Naturalmente anche di là negli altri edifici ci sono differenze sostanziali: al gradino uno il tipo di detenzione non si differenzia quasi da quello del centro che stiamo visitando. Uno psicologo: Mi sbaglio o tutto il programma di rieducazione assomiglia al sistema delle chiuse? Il direttore Himpel (felice per essere stato capito tanto bene): In effetti, nel nostro sistema ogni momento è inteso come una tappa e sin dall'inizio il giovane detenuto ha la sensazione di trovarsi in una situazione transitoria.

Kurt (mi passa davanti e raggiunge la porta in punta di piedi, si china, resta in ascolto, mi osserva con la coda dell'occhio; un raggio di luce cade sui suoi capelli, un raggio di luce si stacca dalla corta lama del suo coltello, la stoffa dei suoi pantaloni neri si tende intorno alle cosce, sui tacchi alti delle sue scarpe brillano le capocchie argentee delle borchie, la sua mano libera si apre e si chiude freneticamente): Vanno al sei. Io: Metti via il coltello. Kurt: Non immischiarti, capito? Se non ti piace, non hai che da andartene al gabinetto. Adesso è il momento buono. Io: Ti distruggono, ti distruggono una volta per tutte, quelli, se fai una cosa del genere. Sii ragionevole. Kurt (con odio): Ci sono riusciti quei porci. Mi hanno separato dalla mia ragazza. Dopo la condanna lei non mi ha dato nemmeno la mano.

Il direttore Himpel e la delegazione entrano nella stanza sei e non si sentono più. Io (accendendo la radio): Non potremmo accoglierli a suon di musica? Kurt (secco): Spegnila! Io (spegnendo la radio): Finirai nella merda se lo fai. Kurt: Tu non te ne sei ancora accorto, piccolo, ma quelli nella merda ci hanno già messi. Avresti dovuto sentire il procuratore: voleva proteggere la società. A nome della società ha chiesto il diritto di essere al sicuro dalle mie violenze. A nome cioè della zia Luise e dello zio Wilhelm mi ha spedito in questo posto.

Il piccolo Kurt gioca con il coltello, lo lancia in aria e lo riacchiappa con destrezza; lo lancia persino come un'elica fin quasi al soffitto, indietreggia e lo guarda mentre cade e si conficca nel pavimento. Io: Pensa a che cosa dirà la tua vecchia. Kurt: Se parli di mia madre sappi che è in marina. Era la seconda donna radiotelegrafista imbarcata su una nave tedesca. Io: E tuo padre? Kurt: Io con te gioco a carte scoperte e quindi risparmiati questi interrogatori, capito? (Va alla finestra aperta. Nelle cassette ci sono dei gerani. Con rapidi colpi di coltello ripulisce alcuni steli di foglie e fiori. Poi sempre guardando fuori): Che razza di quadri erano? Quadri di musei? o fotografìe di ragazze? Io: Quadri di vario genere. Da viverci comodamente per un anno intero. Io li ho solo messi al sicuro. Kurt (scatta alla porta e si china): Arrivano. Io: Non far fesserie.

Il direttore Himpel in corridoio: E grazie a questo centro di raccolta il numero dei tentativi di fuga è sensibilmente diminuito. Circa otto all'anno. Per lo più sono sempre gli stessi detenuti che tentano di evadere. (Un passo lento si avvicina alla porta, Kurt indietreggia, abbassa la mano con il coltello, si concentra, per precauzione mi diffida dal muovermi lanciandomi un'occhiata significativa.) Io (davanti alla finestra aperta): Non farlo! Sei pazzo. Kurt (furente): Zitto adesso. (La porta si apre adagio come se esitassero a spingerla. Kurt si sposta lentamente e si china preparandosi a spiccare il salto. Joswig entra, tiene un dito sulla bocca per avvisarci, vuole la nostra corale attenzione, vuole metterci in guardia, prepararci. Il suo sguardo cade su di me. Velocissimamente lo distolgo e lo porto dove si trova Kurt, forse grido, non lo so, un grido debole che non si sente nel corridoio ma che fa reagire Joswig, lo fa diventare più piccolo e curvo. Joswig, in ogni caso, si piega, alza le lunghe braccia come un catcher in difesa. Kurt si avventa su Joswig, solleva di scatto il coltello. In due salti lo raggiungo, no, resto vicino alla finestra, penso di aiutare Joswig in caso abbia la peggio. In due salti potrei raggiungerlo.

Né grida, né gemiti. Silenzio voluto: Kurt attacca, Joswig si difende. Il corpo proteso di Kurt pronto a lanciarsi addosso a Joswig. Le mosse calcolate di Joswig. Un'istantanea che coglie Joswig mentre colpisce con la costa della mano l'avambraccio del piccolo Kurt, il colpo è sferrato dal basso in alto, colpisce il braccio che sta scattando in aria, ne accelera il movimento verso l'alto: le dita si apriranno, il coltello volerà in direzione del soffitto. Joswig colpisce, il braccio di Kurt vola in alto, Kurt è costretto a compiere una rotazione su se stesso, il coltello cade a terra ai piedi di Joswig. Kurt piegato in due guarda con odio Joswig, sta per chinarsi a raccogliere il coltello. Joswig lo ferma con il piede. Joswig (preoccupato): Non ti basta? Sei duro di comprendonio? Kurt (stringendo contro il corpo il braccio dolorante): Aspetta la prossima volta. Joswig (ritira il piede dal coltello): Prenditelo. Su, provaci ancora. (Joswig fa un passo indietro come per invitarlo. Kurt si lascia tentare, si china, allunga una mano per prendere il coltello ma prima che lo possa afferrare Joswig gli ferma la mano con il piede. Kurt si impenna. Joswig raccatta il coltello e se lo intasca. Kurt raggiunge il letto barcollando, si lascia cadere, soffia sulla mano e se la massaggia.) Joswig: Adesso però basta. Kurt (fischiando tra i denti): Non hai che da aspettare, cane.

Entrano nella stanza: sette psicologi di cinque nazioni e dietro a loro, in giacca a vento e pantaloni alla zuava, emanando frescura e gaiezza didattica, il direttore Himpel. I visitatori si guardano attorno, ci osservano da capo a piedi come fossimo dei pezzi di arredamento. Joswig (rivolgendosi a Kurt in tono paterno): Non vuoi alzarti? Kurt: Vai a dare via il culo. Joswig: C'è il direttore. Kurt: Vada a dar via il culo anche lui.

Il direttore Himpel e gli psicologi si scambiano uno sguardo pieno di emozione scientifica. Invece di sorpresa le loro facce esprimono vivo interesse. Himpel a Joswig: E accaduto qualcosa, qualcosa di particolare? Joswig: Non credo. (Alzando la testa e alludendo al piccolo Kurt): Devo metterlo in piedi? Se lei vuole, gli insegno io il rispetto. Himpel (con un gesto di diniego): Grazie, caro Joswig, non è necessario. Ce la sbrighiamo da soli. (Si avvicina al letto di Kurt. Gli psicologi si dispongono in semicerchio): Noi capiamo benissimo, a tutti noi capita di essere ogni tanto di cattivo umore, ma qui dipendiamo gli uni dagli altri, direi quasi: dobbiamo aiutarci a vicenda. (Kurt, massaggiandosi la mano): Si tiri via dai piedi, porco mondo, e la smetta di rompere con le sue fesserie. Uno psicologo: Complesso di Jusupov, penso. Himpel (persistendo nel tono amichevole): Naturalmente non la importuneremo per molto. Ma forse posso chiederle di farmi un favore. Questi signori stranieri desidererebbero sapere per quale ragione lei è qui. Kurt: Non dica che non lo sa. E a quei tipi non ha che da mostrare i miei documenti. Himpel: Ma, signor Nickel, questi signori vorrebbero saperlo da lei. In ogni caso posso darle del tu. Do del tu a tutti i ragazzi qui. Kurt: Me ne frego di come mi vuole rompere le scatole. Himpel (imperterrito): Bene. Perché, perché credi di essere qui? Kurt (si gira sulla schiena, fissa il soffitto, si soffia sulla mano): Perché i bambini mi piacciono moltissimo e me ne mangiavo uno di buon mattino per colazione. Himpel (non seccato, ma dando invece l'impressione di sentirsi ricompensato da quella risposta): E poi? Questa non è l'unica ragione. Il piccolo Kurt (calmo): Perché i vecchi spilorci e le vecchie zie mi fan vomitare e ho fondato un'associazione. Himpel: Che associazione? Kurt: Per far fuori i vecchi e le vecchie.

Uno psicologo: Anormale coefficiente di aggressività.

Un altro psicologo chinandosi sul piccolo Kurt: Un ragazzo forte, eh? Tutti tremano a vederlo, eh? Se veramente ti senti così forte, perché domani non vieni in palestra? Ti diamo un paio di guanti da pugile. Potremo vedere a chi spaccherai il muso. Kurt: Tirati via dai piedi, nonno. E stai attento a non disintegrarti. Himpel: Caro Kurt Nickel, ma qui tu non hai a che fare con dei nemici. Noi vogliamo aiutarti. Ma per poterti aiutare, innanzi tutto dobbiamo capirti. Joswig: Desidera che quello si metta in piedi, signor direttore? Himpel: No, che si rilassi pure. Kurt: Non sono capace di dire altro. Adesso sono stanco. Da me non sentirete più nemmeno una parola. Ma potete rivolgervi a quello lì (con il pollice indica me). Himpel: Bene, bene. Ci si presenteranno altre occasioni. (Si rivolge a me mentre gli psicologi bisbigliano in inglese con aria interessata; sembra che le loro opinioni su Kurt Nickel siano divergenti e dalle loro facce si capisce che avrebbero alcune domande urgenti da porgli. Ma quando il direttore Himpel mi tende la mano con fare quasi amichevole, anche quelli si girano e mi assediano con il loro interesse.)

Himpel (a me).: E così tu sei il nostro esperto d'arte. Joswig (intervenendo): Siggi Jepsen, signor direttore. Himpel: Lo so, oh, conosco il signor Jepsen e la sua storia. Ma è probabile che lui abbia voglia di dire a questi signori per quale ragione si trova qui. Da noi. Joswig (a bassa voce): Apri la bocca o tra noi è finita per sempre. Io (stringendomi nelle spalle): Ma che cosa vuole sapere da me? Himpel: La ragione per la quale ti trovi qui, l'ho già detto. Vorremmo sentirla raccontare da te. Io: Quadri, ho portato al sicuro dei quadri perché su quei quadri mio padre voleva mettere le mani. Ecco la ragione. Tutti gli psicologi tendono le orecchie, si scambiano cenni d'intesa, uno estrae blocco e matita. Himpel (paziente): E perché tuo padre voleva mettere le mani su quei quadri come tu dici? Io (lanciando un'occhiata a Kurt che rimaneva sdraiato sul letto con la stessa aria indifferente): All'inizio perché ne aveva avuto l'ordine. Da Berlino era arrivato un decreto che proibiva al pittore Nansen di dipingere. Mio padre era stato incaricato di trasmettergli l'ordine e di controllarne il rispetto. Era poliziotto, della polizia distrettuale di Rugbiill. Ma poi non è più riuscito a smettere. Il resto della storia lo conosce. Uno psicologo (accertandosi): Max Ludwig Nansen? Altro psicologo: L'espressionista? Himpel: Dunque, tuo padre, Siggi, nella sua veste di poliziotto, aveva l'obbligo di far rispettare l'ordine. E quando le cose sono cambiate e quell'ordine non aveva più senso, tu dici, lui ha continuato a sorvegliare il pittore. Io: Era diventata una mania… come hanno delle manie tutti quelli che non concepiscono altro che il proprio dovere. Alla fine era diventata una malattia o forse peggio. Uno psicologo: Qualcosa di peggio? Himpel: Tuo padre ha requisito dei quadri? Io: Requisito, bruciato, distrutto, come preferisce. Niente si salvava. Himpel: Ma veniamo a te. Così tu hai messo al sicuro dei quadri per salvarli da tuo padre. Come hai fatto? Raccontacelo. Io: Tutto è cominciato con l'incendio del mulino. Avevo nascosto le mie cose in quel mulino, e quando bruciò non trovai più niente. Le mie collezioni. I quadri, le chiavi e le serrature. Tutto è cominciato quella volta. Bene non lo so nemmeno io. Stavo guardando un quadro quando all'improvviso ho visto qualcosa che si muoveva sullo sfondo, una fiammella, una fiamma semovente. Dovevo fare qualcosa. Primo psicologo: Spinta ossessiva, no? Secondo psicologo: Reazione allucinatoria per difesa. Io: Esatto, è stato proprio così. Quando un quadro era in pericolo me ne accorgevo subito e lo portavo al sicuro per sottrarlo alle sue sgrinfie. L'avrebbe fatto anche lei. Dopo l'incendio del mulino ho trovato un altro nascondiglio: nel solaio di casa nostra. Lì ho portato i quadri. Ma lui li ha scoperti. Mi ha spiato per molto tempo finché è riuscito a scovarli. E così mi ha fottuto.

Kurt (dal letto): Avresti dovuto venderli, imbecille. Himpel (cercando di calmarlo con un gesto): Ma tuo padre faceva il suo dovere. Io: Voleva farmi fuori, l'ha detto lui stesso. E ci è riuscito. E se vuole sapere perché sono qui… Direttore Himpel (precipitoso): Ti abbiamo pregato di dirci proprio questo. Io (a passi lenti raggiungo il piccolo Kurt e mi siedo sul suo letto): Glielo posso dire, glielo posso dire con molta esattezza: sono qui al posto di mio padre, della guardia della stazione di polizia di Rugbùll. E ho la sensazione che anche Kurt sia qui al posto di qualcun altro, di qualche zia Luise o zio Wilhelm. Forse tutti i ragazzi sono sull'isola al posto di altri. Ragazzi disadattati: è questa l'etichetta che ci hanno appioppato in tribunale e qui ogni giorno ce ne viene data conferma. Può darsi che alcuni di noi siano veramente disadattati, non voglio insistere. Vorrei però fare una domanda: perché non c'è un'isola, perché non ci sono edifìci come questi per rieducare i vecchi? Kurt (con rabbia): Tutte le isole sarebbero troppo piccole. Io: Quando cessa il periodo dell'educazione? Anche questo vorrei sapere. A diciotto anni? o a venticinque? Himpel (precipitandosi ad approvare): Domanda giusta. Domanda pertinente. Io: Qui ce la danno a intendere. Forse tutti se la danno a intendere. Evito di chiedere quante sono le cattive coscienze che vanno a spasso per l'isola. Uno psicologo: Istinto d'aggressione deviato, oppure? Io: Siccome preferiscono non giudicarsi ne mandano qui degli altri al loro posto: i ragazzi. La cosa dà loro sollievo. Li libera. Caricano la loro cattiva coscienza su un vaporetto, la spediscono qui e così possono di nuovo gustare la colazione del mattino e la sera bersi in pace il loro grog. Himpel (precipitoso e insieme scettico): Generalizzi un po' troppo, Siggi.

Io: Va bene. Allora le dirò perché sono qui sull'isola. Perché nessuno osa ordinare al poliziotto di Rugbiill una cura di disintossicazione. Quello resterà un intossicato e da intossicato continuerà a fare il suo maledetto dovere. E io sono qui perché lui ha raggiunto una certa età e perché a una certa età uno non può perdere il posto per farsi aggiustare la testa. E vero, io sono qui al suo posto, se vuole sapere la mia opinione. Ma forse può darsi che vada bene anche così: forse un giorno approfitterà dei progressi che io ho fatto qui. C'è da sperarlo. Ed è l'unica cosa che si possa sperare. Ma certo non ne sono convinto. (Pausa.)

Himpel (schiarendosi la voce): Sono parole dure, io però riesco a capirle. E capisco anche la tua delusione. Sono comunque contento che tu abbia parlato tanto francamente e abbia detto tutto quello che avevi sullo stomaco. Kurt: Ma senti senti, quello non sa nemmeno distinguere lo stomaco dalla bile. Però capisce tutto. A me è sempre piaciuta la gente che capisce tutto e non fa niente. Joswig (a Kurt): Ricordati che stai parlando con il direttore. Kurt: E con questo? Sono io il mio direttore. Se ti dicessi quante responsabilità ho e quante preoccupazioni. Joswig (leggermente minaccioso): Avremo altre occasioni di vederci. Kurt (parlando al soffitto): Una volta certamente. Himpel (a Joswig): Lasci dire. Non desideriamo provocare premature irritazioni. (Agli psicologi): Qualcuno di loro desidera porre altre domande? (Tutti desiderano porre domande. Cortesemente si guardano. Ognuno di loro vorrebbe lasciare all'altro la precedenza. Gesti garbati in direzione del letto dove Kurt è sdraiato e io seduto.) Primo psicologo a Kurt: Posso permettermi di chiederle se da bambino ha avuto dei compagni di giochi o se è cresciuto in un certo isolamento? Kurt (resta in silenzio per un momento, poi astioso): Se vuoi proprio saperlo, sono cresciuto vicino a un ospizio di vecchi. I miei compagni di gioco erano i ricoverati. Il più giovane aveva settantasei anni e io l'ho fatto fuori a colpi di pala. Primo psicologo (con un sorriso piuttosto amaro): La domanda ha la sua ragione. Kurt: Sono pronto a crederle, ma adesso sono stanco. E poi non mi viene in mente più niente. Lo psicologo con il blocco degli appunti (a me): Mi sembra che lei abbia taciuto qualcosa. Lei ha detto di aver portato al sicuro i quadri minacciati, minacciati da una fiamma. Significa dunque che lei rifiuta per il suo gesto il termine furto? Io (a Kurt): Ma da che dipenderà, anch'io di colpo mi sento stanco. Sarà l'aria. Kurt (appoggiandosi sui gomiti, rivolto allo psicologo con il blocco degli appunti): Non ne sa ancora abbastanza? Lo vede, no, che il piccolo è stanco! Ma quante cose vuole capire, lei! Vieni, Siggi, sdraiati. (Mi costringe a sdraiarmi.) Ti accarezzerò finché ti sarai addormentato. Io: Ma c'è gente vicino al nostro letto, Kurt. Kurt (ironico): Non aver paura, piccolo, non sanno niente quelli.

Himpel (facendo il bilancio della situazione): Credo, signori, che vi siate fatti un'idea. Siete venuti a conoscenza dell'essenziale. Con il vostro permesso passeremo ora alla stanza otto. (Il direttore Himpel e gli psicologi escono salutando più o meno gentilmente. Joswig fa di tutto per uscire dalla stanza per ultimo.) Joswig (in tono preoccupato): Mi sarei aspettato di più da voi. Non è stato un incontro riuscito. Ma noi vi cambieremo, non avete che da aspettare. Kurt: Chiudi il becco, ti raffreddi le budella e poi c'è corrente d'aria. (Joswig esce e chiude la porta. Kurt balza dal letto, va alla porta e tende l'orecchio per sentire se la delegazione si allontana.)

Kurt: Ce l'hanno proprio messo nel culo qui. Ma tu non mi vedrai per molto. Io me la svigno. Io: Otto giorni, se ti acchiappano ti danno otto giorni di arresto. E scritto nel regolamento interno. Kurt: E allora si può tentare due volte al mese. Hai una sigaretta? (Gli do una sigaretta e gliela accendo. Fumiamo.) Kurt: Ascolta, piccolo: dobbiamo riuscire a salire sul vaporetto. Dobbiamo fare in modo di arrivare sul vaporetto senza che ci vedano, poi ci nasconderemo. Io: Senza di me. Kurt: Ma sei normale? Io: Di là, non saprei nemmeno dove andare una volta di là. Non ho né un nascondiglio né un posto. E le stazioni ferroviarie è meglio evitarle. Kurt: Ma puoi venire da me. Abbiamo un orto a Langenhorn. Nessuno ci troverà sotto la pergola. Io: Non ci vengo. Ne ho abbastanza per il momento. Vorrei avere un po' di pace. Kurt: Ma tu hai preso un colpo in testa. Non sei giusto. Io: Forse più tardi. Più tardi vengo con te. Ma in questo momento… Mi hanno dato troppe noie. Avresti dovuto provare tu a vivere lassù, a Rugbùll, in mezzo a quelli.

Kurt: Ma tuo padre è veramente nella pula? Io: Ci ha fottuti tutti. Ha fatto piazza pulita tra Gliiserup e Rugbull e anche nella sua stessa famiglia. A uno così non hai certo bisogno di ripetere quel che deve fare. Basta che riceva un ordine, e quello lo esegue senza sgarrare finché campa. Il piccolo Kurt (si avvicina alla finestra e guarda fuori): Mi sento male alla sola vista: quel blocco di cemento là di fronte, le officine, le baracche. E quei campi sabbiosi. E l'Elba: non mi è mai sembrata così squallida come qui. Ma come farò a resistere? Io: Forse facendo un confronto tra il passato e il presente. Kurt: Sei veramente un tipo balordo, tu. L'ho capito subito. (Pensieroso): Ah, se prima lo avessi beccato! Io: Sii contento che sia andata come è andata.

(Dei passi si avvicinano, la porta si apre e compare il direttore Himpel.) Himpel: Sono felice che siate ancora svegli, così non devo rimproverarmi niente. Volevo farvi una proposta. Voi siete ospiti del centro di raccolta, quindi siete liberi di circolare dove volete: potete andare per tutta l'isola. Se avete voglia di fare una passeggiata… io ho tempo. Kurt: Grazie dei fiori. Mi basta quel che vedo da qui. (A me): O tu vuoi vedere l'isola da vicino? Io: Più tardi. Può darsi più tardi. Himpel (si siede sul tavolo): Oggi è del resto giorno di musica. Potete ascoltare la radio quanto volete. Kurt: Ah, lo chiamate giorno di musica! (Himpel, risoluto e allegro): Vi abituerete. Sull'isola ogni giorno della settimana ha un suo nome: il lunedì è il giorno del silenzio e viene consacrato alla lettura. Il martedì si chiama giorno del bianco: si passano in rivista scarpe e vestiti. Oggi giorno di musica, mentre il giovedì lo chiamiamo giorno dell'aria perché è dedicato allo sport. Il venerdì è il giorno del dovere perché scrivete la composizione di tedesco. Il sabato, sì il sabato è il giorno della gioia, perché il sabato canta il coro dell'isola - da me diretto, s'intende; spero di vedere anche voi nel coro. E infine viene la domenica, il giorno della meditazione, in cui ci si dedica alla corrispondenza, si cuce e si conversa. (Ci guarda intensamente quasi per invitarci a sottoscrivere quel suo entusiasmante programma.)

Kurt: E già qualcosa. In fondo non c'è nemmeno un giorno di merda. Himpel (imperturbabile): Chi riesce a far parte del coro dell'isola gode di certi vantaggi: due volte la settimana viene esentato dal lavoro per due ore. Kurt (a me): Su, mettiti a cantare, piccolo. Himpel (paziente): Avete già deciso quale lavoro scegliere? Dato che dividete la stessa stanza, suppongo che vorrete lavorare nello stesso posto. Kurt: Lavorare? Che cosa ha da offrirci? Io: La sentenza non parla di lavoro. Himpel (in tono convincente): Le nostre nuove officine garantiscono una buona formazione professionale in ogni campo; è una gioia lavorare qui. Chi vuole può imparare un mestiere: muratore, fabbro ferraio, imbianchino, giardiniere, tutto. Anche sarto. Anche saldatore. E poi si può ottenere un diploma. Kurt: Con il timbro della prigione. Himpel: Con il timbro e la firma del presidente della camera degli artigiani. L'esame ha luogo davanti a una commissione inviata dalla camera. Kurt (a me): Che ne pensi, piccolo? Quale mestiere dobbiamo sceglierci? Se non possiamo proprio farne a meno. Himpel: Naturalmente l'obbligo di imparare un mestiere non c'è. Solo che tutti devono lavorare sull'isola. E ci sono diverse possibilità. Kurt: Di artisti certamente non ne avete bisogno? Io sono artista in atti di violenza. Himpel (si lascia scivolare dal tavolo e cammina su e giù per la stanza, le mani dietro la schiena): Avete ancora molto da imparare, e molto da capire. (Pensieroso): L'isola vi aiuterà in diversi modi, vi aiuterà a cambiare. Ma i mutamenti non avverranno senza far scoppiare le contraddizioni. Sembra che voi non abbiate ancora capito quale relazione esista tra il lavoro e il pane. Non importa. Sulla nostra isola ve lo insegneremo, prima o poi. Comprenderete che è necessario ubbidire e, lo spero, un giorno capirete anche le gioie della responsabilità. Sulla nostra isola ciò di cui abbiamo bisogno ce lo costruiamo da noi: edifìci, officine, ideali, sì, anche gli ideali. Siamo una comunità, una comunità isolana che decide ciò di cui ha bisogno. Serve solo la buona volontà. Se siete disposti ad adeguarvi alle leggi dell'isola scoprirete nuove possibilità anche per voi stessi. Difficile è solo cominciare. (Himpel si ferma davanti a Kurt, lo squadra, lentamente infila una mano nella sua tasca, tasta, con fare circospetto estrae il pugnale, lo regge sulla mano aperta e tesa e lo osserva. Il corpo di Kurt si contrae.) E il tuo coltello? (Kurt fa per afferrarlo, ma Himpel ritira la mano): Lo sai, conosci il regolamento: qui non si possono tenere armi. Se qualcuno, non conoscendo le norme, porta un'arma sull'isola deve consegnarla immediatamente nell'edifìcio della direzione. Stanza quattro. (Pausa. Si guardano senza parlare. Himpel dà a Kurt il coltello e indietreggia di un passo): Adesso andrai di là. Subito. Consegnerai il coltello nella stanza quattro. Mi farai vedere la ricevuta. Vai (Kurt esita e gira il coltello tra le mani): Devo spiegarti la strada? (Kurt guarda Himpel con odio, gli si avvicina, gli passa davanti e va alla porta. Sulla soglia si gira nuovamente.) Kurt: Lei non mi frega, si ricordi, non me. (Kurt esce. Himpel si accosta alla finestra e lo osserva allontanarsi e scomparire nell'edificio della direzione. Poi girando la testa sulla spalla): Cominciare, vedi, tutto sta nel cominciare. Che ne penseresti di occuparti della biblioteca dell'isola? Deve essere riordinata e i cataloghi vanno rifatti. I libri si sentiranno bene con te. Io: E tutto? Himpel (in tono che sminuisce il valore della sua offerta): Naturalmente puoi andare anche nella fabbrica di scope. Da noi vengono fabbricati tutti i tipi di scope. Io: Allora comincio dalle scope. Himpel: E perché? Io: Non lo so, ma in questo momento mi attirano di più le scope. Himpel: Puoi ancora riflettere. Da noi si può sempre cambiare lavoro. Se vuoi, scope per cominciare e poi libri.

(La porta viene spalancata con violenza. Un uomo magro dall'aria terribilmente timorosa si precipita nella stanza; nella mano agita un paio di occhiali rotti. Il dottor Korbjuhn. Ansimando si arresta al centro della camera; emana un forte odore di brillantina.) Himpel: Caro dottor Korbjuhn, che cosa è successo ancora? Korbjuhn: L'ho cercata, signor direttore. E indispensabile che lei sia informato di quanto è accaduto. Himpel: Nell'ora di educazione civica? Korbjuhn: No, nell'ora di tedesco. Ho fatto scrivere un componimento. Himpel (osservando gli occhiali): Si sono rotti? Korbjuhn: All'improvviso uno dei ragazzi è stato colto dalle convulsioni ed è caduto dal banco. Ole Plòtz. Volevo solo aiutarlo. E scoppiata una vera e propria sommossa. Himpel: Ole Plòtz. Korbjuhn: Mi hanno letteralmente impedito di toccarlo. Mi hanno minacciato. Ma io non potevo non aiutarlo. Nel parapiglia, ecco. (Mostra gli occhiali): Me li hanno strappati via. Calpestati. A bella posta, devo supporre. Himpel: Condurremo un'inchiesta. Qual era il titolo del componimento? Korbjuhn: Del componimento? Molto generico. Ciascuno poteva scrivere quel che voleva… "Solo chi sa ubbidire sa anche comandare". Himpel: Un argomento utile. Korbjuhn: Alla fine della lezione due ragazzi hanno consegnato il quaderno pulito. Li ho convocati in direzione. Himpel: Li interrogherò subito. (Mi dà la mano): Presto, Siggi, presto scriverai anche tu il tuo primo componimento sull'isola. Te la caverai bene, ne sono convinto. E sappimi dire che cosa hai deciso. Io: Comincio nella fabbrica di scope, chiaro. (Ritira la mano, allarga le dita e le osserva attentamente.) Himpel: Ti auguro che l'isola ti piaccia e tu all'isola. Io: Vedremo. (Escono tutti e due. Accendo un mozzicone di sigaretta, vado alla finestra e li guardo mentre si allontanano. Apro la radio. Sento il bollettino sul livello dell'acqua dell'Elba e del Weser. Spengo la radio e chiudo la finestra. Mi sdraio sul letto, allargo le gambe e incrocio le braccia sotto la nuca.)