Attraversò la sala come l’onda di un sasso in uno stagno. Le prime luci dell’alba iniziavano a filtrare attraverso le grandi vetrate e qualche testa prendeva ad alzarsi muovendosi da una parte all’altra e scrocchiando le ossa anchilosate del collo. Si sentì arrivare lentamente, in un soffio, fino a distinguerne ogni più piccolo suono. L’onda si sparse per la sala, in un bisbiglio, e ogni volta che colpiva qualcuno, questo girava la testa di scatto verso quella che solo pochi mesi prima era l’area ristorante dell’aeroporto.

I monaci erano inginocchiati a terra e cantilenavano qualcosa che improvvisamente non aveva più l’aria felice. Le persone che fino a poco prima si sdraiavano e rialzavano in complete prostrazioni erano in piedi, raggelate, senza sapere più cosa fare. Qualcuno iniziò a domandare come fosse accaduto.

«Non so.»

«Non ho visto.»

«Mi ha svegliato mio marito dicendomi che si era fermato, ma non so come sia successo.»

Poi, in mezzo a quei volti spaesati, qualche spiegazione si faceva largo dalle prime file.

«Lo stavo osservando, era come un secondo prima e come tutti i giorni prima, poi, semplicemente, ha preso a ruotare più piano.»

«All’inizio pensavo che fosse un’allucinazione, la stanchezza.»

«Non è possibile, mi dicevo. E poi ha continuato a rallentare e si è fermato.»

«Gesù.»

«Mio Dio.»

«E ora?»

Qualcuno era irritato da tutto quel chiacchiericcio, riassalito da pensieri che nel frattempo aveva scordato: le pulizie di casa, la presentazione per il nuovo cliente, la macchina da riparare. Il mondo, d’un tratto, pareva essere riapparso.

Il brusio delle spiegazioni e dei commenti si muoveva ad anello, verso l’esterno, e nel momento in cui passava, tornava il silenzio. E per la prima volta, da mesi, l’immobilità. Non c’erano più sospirate litanie, bisbigli di spiegazioni, inviti a fare largo per scolaresche, il lento e costante fruscio delle prostrazioni, il chiacchiericcio e il tramestio di chi scartava qualcosa da mangiare o faceva amicizia. Improvvisamente, tutto era immobile, e nel momento in cui l’onda delle spiegazioni raggiunse il fondo della sala, si dissolse. Ci fu allora un momento impeccabile. Nessuno si muoveva, nessuno produceva alcun suono, e dopo qualche istante il silenzio e l’immobilità furono talmente densi che parvero potersi contrarre e implodere.

«Papà, ho fame.»

Il padre del bambino, in una delle prime file, si voltò verso suo figlio, si mise un dito sulle labbra e gli fece segno con aria minacciosa di tacere. Una donna lì accanto sorrise al bambino.

«Per la verità, anche io» bisbigliò un ragazzo a un suo amico. L’amico scoppiò a ridere. Una coppia poco distante li squadrò con aria severa, una anziana signora li osservò e fece capire ridacchiando che in effetti, anche lei... In modo non molto dissimile da come era vagata in giro per la sala la notizia dell’arresto e poi la sua spiegazione, iniziò a diffondersi una domanda: «È già aperto il bar?».

Quando Luigi vide quella massa di persone avvicinarsi come una mandria dal fondo dell’ingresso dell’aeroporto, pensò di avere le traveggole, e che le due grappe della sera prima con Gaspare gli avevano di nuovo fatto male. Mentre ancora stava cercando di raccapezzarsi, però, i suoi dubbi e i suoi pensieri furono spolverati da una tormenta di richieste e saluti e risate. Luigi volò a chiamare Luisa, che si stava ancora preparando sul retro, e le disse di lasciar perdere il grembiule e che c’era un’emergenza e che doveva correre alla macchina del caffè. C’erano monaci che parlavano a gesti con giovani dai capelli lunghi, famiglie con bambini che scambiavano cortesie con ragazzotti tatuati, monache intimidite ma sorridenti che si facevano aiutare da un gruppo di hare krishna, santoni indiani coperti di cenere con scontrini in mano che cercavano di avvicinarsi al banco. Tutti volevano cappuccini e brioche e caffè e chi era poco pratico si faceva volentieri consigliare.

La sera prima, Luigi, mentre beveva le sue due grappe, parlava a Gaspare del problema alla gamba di sua figlia. Gli spiegava che era più lunga dell’altra per un difetto nell’estensione dei tessuti, così sembrava aver detto il medico, e che era stata da poco messa a punto un’attrezzatura molto efficace ma anche molto costosa che in Italia non si trovava. Luigi e sua moglie avevano appena comprato casa, e il mutuo già li metteva in grave difficoltà. Proprio mentre un’oretta prima, incapace di dormire, era arrivato in anticipo al bar e indossava la divisa, aveva scorto sulla parete l’icona di san Gennaro che gli aveva lasciato sua madre anni prima perché lo proteggesse. Mentre ritirava scontrini e dava brioche su brioche e tramezzini e ordinava caffè e cappuccini a Luisa e vedeva soldi piovergli nelle mani, Luigi improvvisamente si scusò, corse nel retro, raccolse l’icona di sua madre e la baciò.

«Grazie, san Genna’.»