Le luci si abbassarono lentamente nel candido studio televisivo. Sul maxischermo apparve l’immagine dell’aeroporto di M.
Stacco all’interno.
Due signore spingono le loro valigie verso l’ingresso a vetri. All’interno, una fila di monitor indica la lista dei voli in partenza. Nel grande ingresso dell’aeroporto un lento viavai di persone. Due mani ben curate ammazzettano tre carte d’imbarco e i rispettivi passaporti; movimento indietro fino a scoprire il sorriso dell’addetta del check-in mentre allunga passaporti e carte d’imbarco a una famiglia di indiani.
Un barista in casacca e cappellino bianchi appoggia una tazzina sul banco.
«Secondo me, è tutta una gran buffonata» dice nell’obbiettivo passando lo straccio sul bancone. «Ci mancava pure questa, con tutte le preoccupazioni che ho. Ho una bambina con un problema alla gamba e non so come curarla. Ora tutti vanno laggiù a vedere quella pacconata e qui non si ferma più nessuno. Solo per attirare un po’ di pubblicità. Ora voglio vedere come pago il mutuo.»
Una lunga fila di transenne chiude tutta un’ala del terminal. Ne sorvegliano l’ingresso quattro addetti alla sicurezza con davanti una gran fila di persone. Uno degli addetti, mentre scruta una coppia che viene lasciata passare:
«È un gran casino. Dobbiamo fare un sacco di straordinari», lascia passare altre due persone. «Se il governo non avesse costretto la Società areoporti a mandare tutta quella gente in cassa integrazione adesso la situazione sarebbe molto più semplice.»
Stacco sul suo collega, che fa passare una coppia con tre bambini piccoli e li guarda procedere verso il fondo del terminal.
«Io mi sento orgoglioso. Anche io ci ho portato tutta la famiglia, è una delle cose più incredibili che abbia mai visto.» Poi saluta la telecamera e sorride.
Dissolvenza sul nero. Suite numero 3 per violoncello di Bach. Assolvenza su lenta carrellata in avanti, verso il fondo del terminal. Ci avviciniamo sempre più verso un uniforme muro umano. Ascesa della telecamera verso l’alto. Migliaia di persone, tutte ordinatamente disposte una accanto all’altra, in cerchio. Famiglie e giovani e anziani e italiani e stranieri e hare krishna e monache e scout e scolaresche e ogni essere umano che possa venire in mente, tutti in cerchio voltati verso il centro. Le serrande dei negozi e dei bar e dei ristoranti tutt’intorno sono abbassate e nell’aria regna un assoluto e improbabile silenzio, rotto solo da un leggerissimo brusio – il naturale suono di vite umane, più che un brusio – e da quello che pare il ritmo regolare e costante di una serie di sfregamenti. Nelle prime file dell’enorme massa, decine di individui continuano ripetutamente a prostrarsi, sdraiandosi fino a terra su delle stuoie. Portano protezioni alle ginocchia e pezzi di legno attaccati alle mani. Davanti a loro, a pochi passi, dietro un ultimo piccolo quadrato di transenne, sta un semplice sgabello, la cui seduta in legno gira vorticosamente. Movimento in avanti fino a superare il quadrato di transenne e camera fissa per almeno mezzo minuto a osservare la seduta dello sgabello che gira.
Dissolvenza su nero e lenta chiusura della musica. Assolvenza su un signore tarchiato in tuta blu da lavoro che spinge in un angolo una lunga fila di cartelli.
«Ditemi voi se ho tempo di pensare a queste stupidaggini. Tanto ho poco da fare, io. Dovrebbe andare a lavorare tutta quella gente là, allora sì che il mondo funzionerebbe.»
Primo piano di un giovane con un bambino biondo in braccio.
«Volevo venire a vedere di che si trattava. E volevo che lo vedesse lui. Non sono cose che capitano tutti i giorni.»
Stacco su una madre con una bambina per mano.
«Non so, non è facile descriverlo. So che mi sento meglio, dopo averlo visto. Lei era stanca dopo tutta quell’attesa e quando finalmente siamo riusciti ad avvicinarci si è messa a piangere e a dire che voleva andare a casa. Appena lo ha visto, però, ha subito smesso di piangere ed è rimasta come incantata. Vero?» Si abbassa verso la figlia e questa, dopo aver annuito, si gira sorridendo e incastra il volto nelle gambe della madre.
Piano sequenza sull’esterno dell’aeroporto. Banchi pieni di magliette e souvenir, sciarpe e cappellini. Un signore grassoccio e con dei gran baffi neri invita la telecamera ad avvicinarsi.
«A’ vuo’ ‘a magliett’?» Tira su una t-shirt di cotone blu, con disegnato sopra lo stesso identico modello dello sgabello. «È cotone americano. Morbidissimo. Ce l’abbiamo sia modello uomo che donna. Richiestissima.» Posa la maglietta blu sul banco e ne alza una grigia: c’è ancora disegnato lo sgabello, ma più piccolo, e sotto la scritta DIO C’È. «Bella, eh? O preferisci o’ souvenir?» Posa la maglietta e alza la statuina: è l’esatta riproduzione dello sgabello. «Vedi?» dice dando un colpo alla seduta per farla girare. «Gira. Oppure chist’, c’a bbatteria.» Posa il modellino dello sgabello e ne prende uno più grande. Lo gira, preme un interruttore sulla base e lo rimette a capo all’insù. La seduta prende a girare vorticosamente. «P’o’ presepe» dice il venditore, sorridendo soddisfatto e guardando in macchina.
Lenta dissolvenza su nero.
«Signore e signori, eccoci di nuovo con voi, per parlare, come abbiamo visto, dell’incredibile fenomeno che si sta verificando all’aeroporto di M. Vorrei partire subito con un commento da parte della direttrice della Società aeroporti alle immagini a cui abbiamo appena assistito. Allora, direttrice: evento miracoloso o semplice grattacapo logistico?»
«Guardi, dottore» disse la direttrice della Società aeroporti rivolta al conduttore della trasmissione, «è una domanda difficile a cui rispondere. Diciamo che non sta a me giudicare se sia o meno un evento miracoloso, ma abbiamo capito fin da subito che era comunque un evento straordinario e siamo a quel punto stati costretti a decidere se trattarlo come un semplice grattacapo logistico oppure no.»
«In che senso, mi scusi?»
«Be’, nel momento in cui ci siamo resi conto dell’effetto che questo fenomeno aveva sulle persone abbiamo capito che lasciare tutto così com’era avrebbe causato diversi disagi. Credo sia superfluo sottolineare cosa significhi per un aeroporto come il nostro chiudere un’intera sezione delle partenze. Ci sono stati ritardi, problemi, proteste. Stavano anche per esserci disordini.»
«E come mai avete infine deciso comunque di chiudere l’area, renderla accessibile al pubblico e via di seguito?»
«Perché mentre anche io stavo lì a osservare il fenomeno, cercando di capire il da farsi, mi sono detta che non potevo trattare quest’evento come qualcosa di esclusivamente interno all’aeroporto. Non potevo arrogarmi il diritto di privare gli altri della possibilità di assistervi.»
Dal pubblico partì un leggero applauso. Il conduttore si voltò verso l’altra fila di divanetti e fece due passi indietro.
«Allora, presidente: evento nazionale, semplice grattacapo o cos’altro?»
Il presidente del Consiglio, con aria compassata, si aggiustò una piega del pantalone sulla gamba accavallata.
«Ho ascoltato con molto interesse le parole della direttrice, e credo sinceramente che siano rivelatrici. È ancora presto per fare serie ipotesi sul tipo di fenomeno che si sta verificando, e in ogni caso il professor F., qui con noi, potrà senz’altro essere più preciso ed esaustivo di me, al riguardo. Devo però condividere con voi una sensazione molto simile a quella descritta poc’anzi dalla direttrice. Il momento in cui, quattro giorni fa, ho assistito di persona al fenomeno, ho avuto immediatamente la certezza di trovarmi di fronte a un evento straordinario e, soprattutto, che... come dire... citando la direttrice... che apparteneva a tutti. Se non altro a tutti noi italiani. E vi confesso che ho percepito la stessa fascinazione in molti dei capi di governo stranieri che in questi giorni mi hanno contattato. Il Primo ministro francese mi ha anche gentilmente offerto degli aiuti per gestire le problematiche in aeroporto. D’accordo però con il ministro degli Interni e con la qui presente direttrice della Società aeroporti ho deciso di declinare ogni offerta e lasciare a noi e solo a noi la gestione dell’evento. Ritengo che sia un nostro dovere e che questo Paese sia pronto a dare grande prova di sé nella sua gestione.»
Dal pubblico partì questa volta uno scroscio di applausi. Il conduttore si avvicinò di un passo al presidente.
«Si direbbe che ne parla come se fosse un miracolo» sorrise abbassando leggermente il tono di voce, come facendo finta di bisbigliare.
Il presidente si stese di nuovo la piega del pantalone.
«Ho le mie idee in merito» sorrise anche lui. Poi, più serio: «Non credo tuttavia che siano di grande importanza. Ripeto però che sono assolutamente convinto, e con me buona parte della comunità internazionale, che siamo di fronte a un fenomeno unico e straordinario, e che come tale vada trattato».
Il conduttore girò intorno ai divanetti.
«Chiederemo tra un minuto al professore di chiarirci meglio, se può, la natura dell’evento davanti a cui ci troviamo. Vorrei però prima fare una domanda a sua eccellenza.»
Il conduttore si fermò accanto al cardinale, compostamente seduto con le mani incrociate in grembo e la sua croce al collo e il suo zuccotto color porpora e gli occhialini ovali.
«Allora, eccellenza, miracolo o no?»
Il cardinale alzò brevemente gli occhi sul conduttore e affettò un sorriso.
«Caro dottore, lei vorrebbe da me qualche facile dichiarazione su cui fare un po’ di chiasso. Sa bene che non l’avrà, come sa altrettanto bene che per la santa Chiesa la parola “miracolo” ha accezioni ben precise che non sta a me valutare in questa sede. Come detto da chi mi ha preceduto, sono però senz’altro convinto che ci troviamo di fronte a un fenomeno eccezionale in cui, come in ogni più piccolo evento della nostra vita, vedo senz’altro la mano di nostro Signore.»
«Ma il santo padre cosa dice?» domandò il conduttore abbassando il tono di voce, come se fossero soli e gli chiedesse una confidenza, gettando però un rapidissimo sguardo ammiccante alla telecamera.
«Sua santità sta seguendo la vicenda con grande interesse.»
Il conduttore indietreggiò, fino a sistemarsi davanti al professore.
«Eppure il santo padre domenica, all’Angelus, parlando soprattutto ai giovani, ha detto di non farsi distrarre da facili rappresentazioni del potere di nostro Signore, e che – cito testualmente – “la vera fede va sempre cercata nel profondo dei nostri cuori”. Crede che si riferisse a quello che sta accadendo all’aeroporto di M.?»
«Non è mio compito interpretare le parole del santo padre, ma non me ne vorrà se confesso che guarda con un certo sospetto a tutto il bailamme che si sta creando intorno a quello che per il momento non è che un fenomeno particolarmente bizzarro.»
Il conduttore abbassò quindi lo sguardo sul professore.
«Dunque, professore, davanti a cosa ci troviamo? Ricordo ai telespettatori che il professor F. è stato incaricato di presiedere una commissione di inchiesta scientifica per appurare la natura del singolare fenomeno dell’aeroporto di M. Prego, professore.»
Il professore si sistemò meglio sulla poltrona e con due dita della mano destra incalzò gli occhiali di tartaruga sul naso.
«Devo purtroppo premettere che non sono ancora in grado di dare risposte esaustive. Io, semplicemente, in quanto presidente del CIS, sono stato incaricato di riunire un pool di tecnici che indaghino il fenomeno. È stato deciso di chiudere l’area al pubblico per una mezza giornata in modo da dare agli esperti la calma necessaria per fare i loro test. Questo è avvenuto tre giorni fa e, come dicevo, è presto per dare risposte chiare e certe. Ciò che posso affermare è senz’altro che ci troviamo di fronte a un fenomeno molto particolare. Tentando di non cadere in incomprensibili tecnicismi, è come se si fosse formata nell’oggetto in questione – forse attraverso l’oggetto in questione – una particolare turbolenza magnetica, una specie di vortice, in grado di far ruotare l’apice a velocità angolare costante.»
«Sarebbe a dire?»
«Il tempo di rotazione è stato misurato con strumenti di altissima precisione e molto a lungo: gira con impeccabile costanza a una velocità angolare di 3,3 periodico al secondo. La maggiore peculiarità però è questa: con l’ambiente circostante il fenomeno non sembrerebbe avere alcuna interazione. Non voglio diventare troppo tecnico, ma è come se l’oggetto avesse chissà dove immagazzinato energia e riuscisse a convertirla direttamente in energia cinetica.»
«E perdoni la nostra ignoranza, ma in che modo ritenete questo tanto straordinario?»
«Perché, se così fosse, ci troveremmo di fronte a un tipo di energia e, diciamo così, di combustibile, particolarmente efficienti e puliti.»
«Cioè?»
«L’oggetto non sembra rilasciare scorie, e per il momento dobbiamo pensare che l’energia sia stata immagazzinata nei legami dei suoi costituenti: l’abbiamo passato ai raggi X e non abbiamo trovato niente di inusuale.»
«Mi perdoni, professore, faccio un po’ fatica a seguirla.»
Il professore sorrise.
«Sì, non è semplice. Diciamo che questo oggetto deve trovare da qualche parte l’energia per ruotare, una specie di carburante. Di solito un carburante viene bruciato, produce calore e questo calore viene trasformato in energia cinetica, producendo a sua volta scorie. In questo caso pare che il sistema salti la fase intermedia dello sviluppo di calore e si trasformi direttamente in energia cinetica. Tra l’altro, come dicevo, abbiamo analizzato l’oggetto ai raggi X e per ora non abbiamo trovato traccia del combustibile stesso.»
Dal pubblico si levò un brusio di stupore.
«E questa sarebbe solo una straordinaria rivelazione scientifica o avrebbe ripercussioni anche sulla nostra vita di tutti i giorni?»
«Vede, dottore, non esiste vera, grande rivelazione scientifica che non abbia una sostanziale ripercussione nella vita di tutti i giorni. Per dirne una, senza la teoria della relatività generale non ci sarebbero i moderni sistemi di posizionamento satellitare.»
«E in che modo quindi, se i test confermassero ciò che ci ha illustrato, questo si ripercuoterebbe sulla nostra vita quotidiana?»
«Be’, immaginiamo per un attimo di trovarci davvero di fronte a un sistema molto efficiente che produce energia cinetica senza rilasciare scorie, e immaginiamo di riuscire a replicarlo. Potremmo usare l’energia cinetica per produrre, che so, energia elettrica in grande quantità, e senza alcun effetto sulla nostra atmosfera.»
La sala fu di nuovo attraversata da un’ondata di brusio. Il conduttore aveva abbassato i lati della bocca e, tornando verso il tavolo in testa alle due file di divanetti, si era fermato vicino a un signore di mezz’età ma dall’aria giovanile, con indosso una giacca sportiva e un paio di jeans e un bel ciuffo di capelli brizzolati sulla fronte.
«Niente male, non trova?» gli si rivolse il conduttore.
«Be’, molto affascinante, non c’è dubbio.»
«È stato spesso affermato, di recente in particolare, che è come se le sue storie e i suoi personaggi – mi sento di chiamarli la “realtà” dei suoi romanzi – siano costantemente in cerca di universi più ampi, di fenomeni straordinari che però spesso non riescono a trovare. Ascoltando il professore e in generale chi ha parlato finora viene da pensare che all’aeroporto di M. stia accadendo il contrario: che un evento straordinario sia venuto a far visita alla nostra realtà.»
«Mah, dottore, come già detto più che esaustivamente da sua eccellenza e dal professore, è probabilmente presto per attaccare cartellini all’evento e gridare al miracolo. Ciò che tuttavia trovo estremamente interessante è la reazione della gente. Mi è stato chiesto da una rivista con cui collaboro di scrivere un pezzo sull’argomento e ovviamente sono andato sul posto a vedere di cosa si trattava e scambiare due parole con chi si trovava lì. Devo dire che il filmato di poco fa mostrava molto bene i chiaroscuri del fenomeno e le sue problematiche e anche le sue contraddizioni, ma, com’è naturale che sia, non riusciva a rendere l’atmosfera. È bella la carrellata iniziale nel silenzio dell’ala del terminal, ma in video quello è il silenzio di un semplice schermo, non dell’intera ala di un aeroporto internazionale e di una moltitudine di persone. Credo che chi di noi è stato lì lo può confermare: è sbalorditivo.» Il professore e il presidente del Consiglio annuirono concordi. «Forse l’unico luogo, di tutti quelli che ho visitato nella mia vita, in cui ho percepito negli altri e provato io stesso un simile silenzioso trasporto è il Machu Picchu. Soprattutto se si sale all’alba, superato l’ingresso e i tornelli, le rovine del Machu Picchu ti appaiono d’un tratto davanti come uno schiaffo e, per quante foto e filmati e documentari tu possa aver visto, resti impalato e a bocca aperta e con un sorriso ebete sulle labbra. La prima cosa che ti verrebbe da fare appena inizi a riprenderti è abbracciare chiunque ti è vicino. Ecco, questo è il tipo di sentimento che ho sentito intorno a me entrando nel braccio nord del terminal. Non si può tuttavia ignorare il fatto che non mi trovavo in cima a una montagna del Perù e di fronte a una delle più incredibili opere del genere umano, ma nel terminal di un aeroporto e di fronte a un oggetto qualunque. Non ho dunque potuto fare a meno di domandarmi se quell’atmosfera in cui ero immerso non provenisse più dalla necessità di trovarsi di fronte a un evento unico e straordinario.»
«Non sono convinto di seguirla del tutto» disse il conduttore.
«Mi sto solo domandando se in questo periodo di grande difficoltà, il semplice evento dell’aeroporto di M. non abbia risvegliato in maniera inattesa ma dirompente nelle persone un senso di grande urgenza per qualcosa di unico e perfetto. O anche solo di qualcosa che funzioni. Qualunque cosa. Sì, la seduta dello sgabello confesso che vortica in modo molto elegante, e mi affascina il moto di rotazione appena descritto dal professore, ma siamo sicuri che quell’aria così intensa che la circonda non provenga più dal raccoglimento delle persone che dal fenomeno stesso?»
«Questo renderebbe ogni persona immersa in quell’aria un possibile protagonista di un suo romanzo» sorrise il conduttore.
«Guardi, le confesso che questo rapporto frustrato di molti dei miei personaggi con... come chiamarli?... delle forme, diciamo, di assoluto è stato notato prima dalla critica che da me stesso. Quando ne ho letto però l’ho riconosciuto. Se questo è vero, diciamo che la sostanziale differenza tra chi si trova nel terminal dell’aeroporto e i miei personaggi è che i primi sembrerebbero aver trovato cosa stanno cercando, qualunque cosa sia.»
Il conduttore annuì, si voltò verso l’altra fila di divanetti e si avvicinò all’ultimo ospite della trasmissione, una signora dai capelli grigi con indosso un maglioncino marrone e degli occhiali dalla montatura dorata.
«Dunque, signor segretario, lei ieri, in un’intervista su R., è stata molto dura con la gestione dell’evento dell’aeroporto e in generale con l’azione di governo, di cui questo, secondo le sue parole, non è che l’ennesimo esempio di fragilità.»
«Sì, caro dottore, ammetto che non riesco a condividere l’entusiasmo degli altri suoi ospiti. Il nostro amico scrittore parla di aria intensa e necessità, ma mi viene il sospetto che là in quell’ala del terminal debbano forse semplicemente aprire qualche finestra e far entrare un po’ di ossigeno, perché sono convinta che questo Paese e l’aeroporto di M. abbiano ben altre necessità che di stare a guardare uno sgabello che gira. Gran parte degli aeroportuali che io rappresento sono sottopagati, molti cassaintegrati, che adesso si trovano a ricoprire mansioni che non gli competono, fuori da ogni logica di sicurezza, e costretti a straordinari che probabilmente non gli verranno retribuiti. Tutto soltanto per attirare persone e distrarre i media dalla cattiva gestione di un aeroporto a rischio di fallimento.»
Il conduttore alzò le sopracciglia e si rivolse alla direttrice della Società aeroporti.
«Parole molto dure, signora direttrice.»
«Un po’ troppo, sinceramente. E che ovviamente non condivido. A partire dalla situazione fallimentare. Il segretario qui presente ha evidentemente a portata di mano informazioni che noi non abbiamo. Vorrei sapere da dove ha evinto che l’aeroporto di M. è a rischio di fallimento.»
«Dai bilanci, signora direttrice» rispose secca il segretario girando la testa ma fissando il vuoto. «Forse non l’hanno informata, ma sono pubblici, e da cinque anni in perdita.»
La direttrice abbozzò uno sbuffo di risata.
«Caro segretario, per come sta andando l’economia mondiale, se dovessero dichiararsi fallimentari tutte le aziende che sono in negativo di bilancio da cinque anni, il mondo sarebbe semplicemente da buttare.»
«Be’, forse dalle vetrate del suo attico c’è per fortuna un altro panorama, ma le voglio svelare un segreto: il mondo, quello vero, è da buttare.»
Il conduttore girò intorno ai divanetti e si avvicinò al presidente del Consiglio.
«Presidente, è davvero da buttare questo mondo?»
«Mi scusi, dottore» alzò la mano la direttrice della Società aeroporti, «vorrei però finire di controbattere al segretario.»
«Prego, ci mancherebbe.»
«Be’, per esempio sul discorso degli straordinari. Il segretario continua a battere su quello che non è stato altro che un errore amministrativo, di cui ci siamo più volte scusati e che stiamo risolvendo.»
«Un errore come un altro: non liquidare sei mesi di straordinari ai dipendenti.»
«Capisco che lei non conosca errori, signor segretario, ma sa, quaggiù, in quello che lei chiama “il mondo vero”, accadono.»
«Sì, e chissà perché accadono proprio nell’anno in cui il negativo di bilancio è più profondo... Ma poi, cosa c’è da risolvere? Avete fatto un errore? Lo avete riconosciuto e ammesso? Cacciate ‘sti soldi e facciamola finita.
«Ammetto, direttrice, che il segretario non sembra avere tutti i torti» disse il conduttore.
«Ma lo so benissimo. D’altronde sappiamo anche che le aziende non sono degli sportelli del bancomat e che ci sono delle sottili difficoltà amministrative su cui si sta lavorando e che ho già garantito e promesso che verranno risolte a breve.»
«E gli straordinari a cui sono sottoposti i dipendenti adesso?» domandò il conduttore.
«Gli straordinari a cui sono sottoposti i dipendenti adesso verranno trattati e liquidati come normali straordinari, che problema c’è?»
«Per esempio» riprese il segretario, «c’è il problema che i lavoratori sono sottoposti a mansioni che non competono loro. E, tra l’altro, risolto il problema degli straordinari, qualcuno poteva anche essere sollevato dalla cassa integrazione.»
La direttrice osservò per un paio di secondi il conduttore con aria sorpresa e sconfortata.
«Perdonatemi, ma non capisco: ci siamo resi conto o no che siamo di fronte a un evento senza precedenti? Ci siamo trovati, e ci troviamo tutt’ora, a gestire un’emergenza. Il fenomeno è cominciato senza alcun preavviso ed è fuori da ogni logica di un terminal aeroportuale. Gli impiegati e gli operai sono stati sottoposti a mansioni che non competono loro perché questo è un evento che non compete un aeroporto. E riguardo i cassaintegrati, se il segretario possiede una palla di vetro in grado di dirmi con certezza che questa situazione andrà avanti per almeno qualche mese, sono ben contenta di togliere più lavoratori possibili dalla cassa integrazione. In caso contrario, perdonatemi di nuovo, ma queste sono tutte belle idee di chi osserva le cose dall’esterno continuando a dimenticarsi, ripeto, che, per quanto affascinante, riguardo alla gestione dell’aeroporto siamo semplicemente di fronte a una completa emergenza.»
«Sì, uno sgabello» disse il segretario.
«E che ci dobbiamo fare se è uno sgabello?»
«Ma portatelo via, quel dannato sgabello!» alzò la voce il segretario sollevando pure la mano, come per mandare tutti a quel paese.
«Prego» disse la direttrice. «Ci provi lei. Le do anche la disponibilità di un gruppo di suoi lavoratori a darle una mano: vada là e provi a portare via lo sgabello.»
«Lo farebbe davvero?» sorrise il conduttore.
«Guardi, dottore, ripeto, l’evento è affascinante, ma per noi è davvero solamente un immenso grattacapo. Il fatto è che il segretario manco c’è stato lì. Non lo sa cosa sta succedendo. Lo vede in tivù, lo sente attraverso le lamentele dei suoi lavoratori. Ma è come ha detto il nostro amico scrittore: non capisci che cos’è finché non ci vai.»
Il conduttore tornò finalmente dal presidente del Consiglio.
«Quindi, presidente: è davvero il bisogno delle persone di dimenticare un mondo da buttare?»
Il presidente si prese una lunga pausa e fece un profondo respiro stirando i contorni della bocca e mettendosi meglio a sedere sulla sua poltroncina.
«La riflessione del nostro amico scrittore mi pare molto sottile e forse andrebbe discussa maggiormente. È innegabile che serpeggi ormai da molto tempo un profondo malcontento. Come potrebbe peraltro essere diverso? Tutti subiscono ogni giorno il peso di un Paese in gravissima difficoltà, e senza dubbio alcuni dei cittadini che ne soffrono di più sono quelli rappresentati dal segretario. Detto questo, sono ben lontano dal credere che il mondo, o anche solo la nostra nazione, sia da buttare. Veniamo da un decennio di rapidissima e profondissima rivoluzione storica, a cui, per sua natura e – lo devo dire – per non grandissima lungimiranza dei governi che l’hanno assistito, il nostro Paese si sta adattando con più difficoltà di altri. Va anche sottolineato che quella sua stessa natura gli ha permesso, per certi aspetti, di subire meno la voragine in cui è sprofondato il mondo occidentale. Penso per esempio alle nostre banche e ai risparmi dei nostri cittadini. Non voglio qui sbandierare del facile ottimismo, conosco meglio di chiunque altro lo stato in cui versa la nostra amministrazione. Non sono stato chiamato a presiedere il governo per portare avanti un programma politico, sono stato convocato per trovare una cura.»
«Peccato che la malattia e la cura, la purga dovrei dire, abbiano come sempre colpito i soliti» lo interruppe il segretario.
Il presidente si fermò, chiaramente infastidito.
«Trovo questo quantomeno ingeneroso» riprese con calma.
«Sarà anche ingeneroso, ma intanto, invece di andare a trovare il denaro da chi ne ha in esubero, siete andati a raccattarlo a tappeto da tutti senza misure di proporzione. Chi credevate che ne sarebbe uscito peggio? Perché invece di fare una vera patrimoniale avete deciso di alzare le accise sui carburanti? Cosa gli racconta a chi deve andare al lavoro in macchina?»