IX
Gli eroi dei romanzi dì avventure possono vivere qualunque esperienza tormentosa, senza tranquillanti, senza dormire, senza mai neppure preoccuparsi dei bisogni corporali, soltanto per affrontare, quasi subito, nuovi tormenti. La gente vera è fatta diversamente. Anche dopo aver passato otto ore nel sacco a pelo, Falkayn si sentiva stanco e dolorante. Non era stato ferito durante la cavalcata selvaggia attraverso le file dei katandarani, ma molte frecce gli erano sibilate pericolosamente vicine, e Stepha aveva abbattuto con una sciabolata un cavaliere nemico un istante prima che costui lo trafiggesse. Poi erano accorsi fuori delle porte cittadine gli uomini di Bobert Thorn, avevano respinto gli avversari e avevano scortato i nuovi venuti dentro le mura di Rangakora. Falkayn non era abituato a vedere la morte così da vicino. I suoi nervi erano ancora annodati insieme.
Non gli fu di alcun aiuto la straripante allegria di Stepha, quando gli fece visitare il palazzo. Ma fu costretto ad ammettere che l'edificio lo affascinava. Non soltanto era più luminoso e arieggiato di qualunque cosa vi fosse a Katandara, non soltanto lo sorprese più volte per la sua bellezza. Qui era contenuta la ricchezza accumulata nel corso di millenni assai meno violenti di quelli del lontano occidente. C'erano perfino porte interne come quelle della sua patria, fuse in bronzo con bassorilievi, finestre di vetro ragionevolmente trasparenti, e perfino un impianto di riscaldamento a vapore.
Uscirono dai laboratori di galvanoplastica, monopolio reale esercitato nel palazzo, e raggiunsero una terrazza. Falkayn era ancora sbalordito per i progressi raggiunti da quei dignitosi filosofi: batterie di piombo all'acido, fili di rame, i primi esperimenti con una specie di bottiglia di Leida. Capiva che una simile società fosse più congeniale agli umani di quella di Katandara.
— Ehiii! Ecco Thorn in persona insieme al re, — esclamò Stepha. — Trascinò Falkayn vicino al parapetto. Le sue due guardie del corpo lo seguirono dappresso. Erano tipi giovani e simpatici, ma non lo lasciavano mai ed erano sempre pronti a sfoderare le armi.
Thorn mise giù il cannocchiale di ottone attraverso il quale stava guardando, e annui: — Quell'accampamento diventa sempre più trascurato a ogni turno di guardia, — commentò. — Sono demoralizzati, non c'è dubbio.
Falkayn aguzzò gli occhi nella stessa direzione. Il palazzo era un'unità singola, con molte finestre, alta parecchi piani. In quel momento, loro si trovavano quasi in cima. Non era circondato da nessun muro, soltanto un giardino, e più lontano la città. Come Katandara, Rangakora era talmente antica che i suoi edifici erano quasi completamente di pietra. Ma qui le case erano una sinfonia di tinte pastello, bianche, gialle e rosse. Rivolte all'esterno più che all'interno, di linee leggiadre e con i tetti aguzzi ricoperti di tegole, gli ricordavano un po' l'architettura del primo Rinascimento, sulla Terra. Il traffico si muoveva lungo i viali relativamente ampi, la distanza rimpiccoliva le figure e attenuava il rombo delle ruote e il trepestio dei piedi. Fili di fumo s'innalzavano nel cielo purpureo, in cui vagava qualche nuvola. Dietro, le cime s'innalzavano grigioazzurre fino ai picchi del monte Gundra, la cui cappa di neve scintillava dorata alla luce dell'eterno tramonto. La cascata rimbombava alla sua destra, bianca e verde e attraversata da arcobaleni, aprendosi la strada verso il Chakora che qui esplodeva di feracità.
Il suo sguardo si arrestò di colpo sugli assedianti. Oltre i bastioni della città, le loro tende e i loro falò punteggiavano l'altopiano, gli animali pascolavano in mandrie e il metallo lampeggiava là dove i soldati erano accovacciati al suolo. Jadhadi doveva aver mandato poderosi rinforzi, quando aveva appreso della rivolta. — Anche così, non mi piacerebbe affrontarli, poiché la vostra audacia mi sembra più che compensata dal loro numero, — commentò.
Bobert Thorn scoppiò a ridere. Era un uomo tarchiato dalla barba brizzolata e i fieri occhi azzurri. Le cicatrici di molte battaglie e una sciabola consunta dall'uso facevano spicco insieme alla sua giubba scarlatta ricamata e ai suoi calzoni di seta. — Non c'è fretta, — disse. — Abbiamo provviste in abbondanza, più di quanto loro riusciranno a strappare alle campagne. Che rimangano li fermi per un bel po'. Forse arriveranno anche gli altri ershok. Altrimenti, con l'arrivo del prossimo crepuscolo saranno talmente affamati e impestati di malattie, e per giunta mezzo accecati, che potremo metterli in fuga. Lo sanno anche loro. Non gli è rimasto molto coraggio. — Si rivolse all'ikranankano giovane e magro, dalla pelle rossa, cinto da una veste color zafferano e da un'aurea corona. — Re Ursala, questo è l'uomo di Oltre-il-Mondo di cui ti ho parlato.
Il monarca piegò la sua testa aguzza: — Salute a te, — disse in un dialetto abbastanza sciolto da risultare comprensibile. — Ero ansioso d'incontrarti. Vorrei che le circostanze fossero state più amichevoli.
— Potrebbero esserlo ancora, — suggerì Falkayn.
— Non credo, se i tuoi compagni attueranno la loro minaccia di farci cadere sotto il dominio di Katandara, — replicò Ursala. Il tono pacato delle sue parole ne attenuò il peso.
Falkayn provò vergogna. — Be'... uh... noi siamo stranieri, senza nessuna reale conoscenza della situazione. Che cosa c'è di tanto brutto nell'unirsi all'Impero? Non mi sembra che maltrattino...
Ursula scrollò il collare e rispose, altero: — Rangakora era già antica quando Katandara era soltanto un villaggio. Poche generazioni or sono i deodakh erano barbari del deserto. I loro costumi non sono i nostri. Noi non aizziamo fratria contro fratria, né decretiamo che il figlio debba obbligatoriamente seguire la professione del padre.
— Davvero? — Falkayn era stato preso di contropiede.
Stepha annui: — Qui le fratrie sono semplici associazioni familiari, — dichiarò, — suddivise tra le varie gilde.
— È quello che continuo a dirti, nobilissimo, — soggiunse Thorn, farisaicamente. — Una volta sotto la protezione degli ershok...
— Che noi non abbiamo chiesto, — l'interruppe Ursala.
— No. Ma se io non avessi deciso di prendere il comando, a quest'ora il viceré di Jadhadi sarebbe già qui.
— Ritengo che voi siate il minore dei mali, — sospirò il re. — Forse gli Irshari ci hanno favorito troppo a lungo. Sembra che noi abbiamo perduto la nostra abilità di guerrieri. Ma, siate sinceri: voi esigerete un prezzo per la vostra protezione, terre, tesori e potere.
— Naturalmente, — disse Thorn.
Per rompere l'imbarazzato silenzio, Falkayn chiese chi, o che cosa fossero gli Irshari. — Ebbene, i creatori e i dominatori dell'universo, — rispose Ursala. — Voi dell'Oltre-il-Mondo siete superstiziosi come quelli, delle Terre Occidentali?
— Uh? — Falkayn strinse i pugni. Un brivido gli serpeggiò attraverso le ossa. Esplose in tutta una serie di domande.
Le risposte sconvolsero ogni suo preconcetto. Rangakora aveva una religione politeistica perfettamente normale, con dèi che esigevano sacrifici e lusinghe, ma erano essenzialmente benevolenti. L'unica importante raffigurazione del male era colui che aveva trucidato Zuriat il Luminoso; ma Zuriat resuscitava ogni anno, mentre gli altri dèi tenevano a bada il cattivo.
Ma allora gli ikranankani non erano tutti, istintivamente, dei paranoici!
Che cosa dunque aveva spinto le culture occidentali a convincersi che il cosmo era ostile?
La mente di Falkayn balzò... non ad una conclusione, ne era certo, ma ad una soluzione che gli stava davanti agli occhi da settimane. Il lato diurno di Ikrananka non aveva stagioni. Non c'era un ritmo di vita, soltanto una incessante lotta per sopravvivere in un ambiente che andava continuamente peggiorando. Qualunque mutamento della natura era un disastro, una tempesta di sabbia, una pestilenza, un'epidemia tra gli animali, un pozzo che si prosciugava.
Non c'era da stupirsi che i nativi sospettassero di qualunque novità, e perciò, per estensione, gli uni degli altri. Non c'era da stupirsi che si sentissero a proprio agio soltanto insieme ai membri completamente «iniziati» delle loro fratrie. Non c'era da meravigliarsi che le civiltà fossero instabili e i barbari riuscissero ad abbatterle così spesso. Quei poveri diavoli!
Rangakora, ai bordi della Zona del Crepuscolo, conosceva la pioggia e la neve e il pulsare alternato del giorno e della notte. E non conosceva soltanto poche stelle isolate, ma intere costellazioni. Da quando il suo popolo si era avventurato nella terra della notte, le conosceva assai bene. Per concludere, pensò Falkayn, pur essendo possibile che gli abitanti di Rangakora fossero anche loro dei maledetti figli di buonadonna, almeno erano figli di buonadonna di tipo terrestre.
Ma allora...
No, Rangakora era piccola e isolata. Semplicemente, non era in grado di tenere in piedi un impero. E con le fazioni e i predoni selvaggi che brulicavano su quel pianeta, van Rijn avrebbe trattato soltanto con un impero. Compiere un voltafaccia e aiutare quella città sarebbe anche stato un bel gesto donchisciottesco, ma la Lega Polesotecnica non era nata per combattere contro i mulini a vento. Anche se avessero liberato Rangakora, questa sarebbe stata immediatamente inghiottita non appena la nave fosse ripartita, poiché non ci sarebbero state altre visite.
Eppure la sua influenza stabilizzatrice avrebbe potuto dimostrarsi inestimabile per i mercanti ultramondani. Non sarebbe stato possibile un compromesso?
Falkayn rivolse un disperato sguardo al cielo. Quando diavolo arrivava quel Muddlin Through! Certo Chee e Adzel l'avrebbero cercato prima di tutto laggiù. A meno che non fosse loro capitato qualcosa di spaventoso.
Si accorse all'improvviso che Ursala gli aveva rivolto la parola, e uscì dal suo stordimento: — Prego, nobilissimo?
— Noi non usiamo titoli onorifici, — disse il re. — Soltanto un nemico ha bisogno di essere placato. Ti ho chiesto di parlarmi del tuo paese. Dev'essere un posto meraviglioso, e soltanto gli Irdiari sanno quanto io abbia bisogno di distrarmi.
— Be'... uh...
— Anche a me interessa molto, — s'intromise Thorn. — Dopotutto, se noi ershok dovessimo lasciare Ikrananka, questo cambierebbe completamente le cose. Tanto varrebbe che ce ne andassimo subito da Rangakora. — La prospettiva non sembrò renderlo felice.
Falkayn deglutì. Quando gli umani fossero stati trasferiti in blocco per essere trasportati sulla Terra, egli sarebbe stato un eroe mondiale, ma van Rijn l'avrebbe tolto subito dalla pionieristica mercantile. Certo, non sarebbe rimasto senza lavoro: una posizione sicura e simpatica come terzo ufficiale su qualche rotta di piccolo cabotaggio, un comando raggiunto a cinquant'anni e infine una scarsa e onorata pensione dieci anni dopo.
— Uh, il sole è più luminoso. Tu hai visto com'erano illuminati i nostri alloggiamenti, Stepha.
— Dannazione, mi hanno quasi accecato, — borbottò la ragazza.
— Vi abituerete. Nei primi tempi dovrete essere molto prudenti quando uscirete in strada. Il sole potrebbe bruciarvi la pelle.
— La peste ti colga! — esclamò uno dei guardiani di Falkayn.
II giovane hermesiano pensò che stava dando un'immagine assai scialba della Terra. — Soltanto nei primi giorni, — disse, balbettando. — Poi sarete al sicuro. La vostra pelle diventerà più coriacea e scura.
— Che cosa? — Stepha portò la mano alla sua guancia bianco-lattea. Lo guardò a bocca aperta.
— Deve far caldo, laggiù, — commentò Ursala, astutamente.
— Non troppo, — replicò Falkayn. — Più caldo di qui, naturalmente, quasi dovunque.
— Come riuscite a sopportarlo? — domandò Thorn. — Io sto sudando già adesso.
— Be', quando fa veramente caldo, noi ci chiudiamo in casa. Possiamo fare in modo che un edificio sia caldo o freddo, come piace a noi.
— Vuoi dire che dovrei restarmene seduto finché il tempo non si decide a sistemare le sue stramberie, e a ritornare decente? — abbaiò Thorn.
— Ora ricordo, — aggiunse Stepha. — La vostra aria era più umida di quella di una palude. Sulla Terra, è tutta così?
— Dipende da dove ci si trova, — spiegò Falkayn. — In effetti, sulla Terra noi controlliamo molto bene i cicli atmosferici.
— Di male in peggio, — si lamentò Thorn. — Se devo sudare, non voglio certo essere obbligato a farlo per soddisfare il capriccio di un altro. — S'illuminò. — A meno che non sia possibile combatterli, se non ci piace quel che stanno facendo!
— Buon Dio, no! — esclamò orripilato Falkayn. — Sulla Terra è proibito combattere.
Thorn si accasciò sul parapetto e lo guardò a bocca spalancata: — Ma allora, che cosa farò?
— Uh... be', dovrai andare a scuola per un certo numero di anni. Anni della Terra, s'intende, cinque volte più lunghi di quelli di Ikrananka. Dovrai imparare, oh, la matematica, la filosofia naturale e la storia e... Ora che ci penso, la lista è spaventosa. Ma non preoccuparti. Ti troveranno certamente un lavoro, quando avrai finito i tuoi studi.
— Che specie di lavoro?
— Mmmm... Certo, non potrà esser ben pagato, temo. Neppure su un pianeta-colonia. Le colonie non sono primitive, capite, e avrete bisogno di un lungo periodo di pratica per essere in grado di maneggiare le macchine che noi usiamo. Immagino che potresti diventare un... — Falkayn brancolò alla ricerca della parola indigena, — ... un cuoco, o l'assistente di un addetto alle macchine. Qualcosa di simile.
— Io che ho governato una città? — Thorn scosse la testa e brontolò tra sé.
— Ma ci sarà pure qualche combattimento! — protestò Stepha.
— Sì, sfortunatamente, — annui Falkayn.
— Perché «sfortunatamente»? Sei strano, tu. — Stepha si rivolse a Thorn: — Rallegrati, capitano. Saremo soldati. Se il bisnonno non mentiva, quei posti devono essere stracarichi di bottino.
— Ai soldati non è consentito saccheggiare, — dichiarò Falkayn. Lo guardarono, chiaramente sconvolti. — A ogni modo, anche i soldati devono avere grande abilità con le macchine, molta di più di quella che, ne sono convinto, voi potrete mai acquisire alla vostra età.
— Palle... di... fuoco, — bisbigliò Thorn.
— Dobbiamo tenere un consiglio di fratria su questa faccenda, — s'intromise, allarmata, una delle guardie.
Thorn si raddrizzò e recuperò il controllo di sé: — Ora, è impossibile, — gli fece osservare. — Continueremo come al solito. Quando avremo spezzato l'assedio e ci saremo nuovamente messi in contatto col nostro popolo, decideremo secondo la nostra volontà. Ursala, tu ed io ci stavamo recando a organizzare i servizi di collegamento tra i nostri due eserciti.
— Sì, immagino che sia urgente, — ammise il re, riluttante. Accennò a un lieve inchino verso Falkayn. — Arrivederci. Confido che potremo parlare a lungo più tardi. — Thorn lo gratificò d'un saluto distratto: era immerso in cupi pensieri. Si allontanarono.
Stepha appoggiò i gomiti sul parapetto. Indossava una tunica molto corta, e i suoi capelli erano sciolti. Anche se era tetra in volto, Falkayn si ricordò di certe osservazioni fatte in precedenza. I battiti del suo polso accelerarono. Tanto valeva che si godesse la sua prigionia.
— Non intendevo dipingere la Terra così brutta, — disse. — Ti piacerà, invece. Una ragazza così carina, dal passato così esotico... farai sensazione.
Lei continuò a fissare le torri di guardia. Parlò, e lo scherno implicito nella sua voce lo costernò: — Sicuro, una novità. Ma per quanto tempo?
— Be'... Mia cara, per me sarai sempre la novità più deliziosa. Lei non rispose. — Perché diavolo sei diventata all'improvviso così malinconica? — Lui le chiese.
Stepha strinse le labbra: — Quello che hai detto. Quando mi hai salvata, pensavo che tu fossi un grand'uomo. Avrei dovuto accorgermi subito che non c'era niente dietro a tutto quel chiasso: tu cavalcavi un mostro e avevi una macchina in mano! Ed è ingiusto, forse, accusarti di essere un cavaliere semplicemente pietoso. Non sei mai stato addestrato a cavalcare uno zandara. Ma è pur sempre vero che non sei capace di stare in sella. Sei buono a qualcosa, senza l'aiuto di una macchina?
— Almeno a una cosa, sì, — tentò lui, con un sorriso.
Lei scrollò le spalle. — Non sono arrabbiata, David. Soltanto delusa. Colpa mia, è vero, per non essermi accorta prima che tu sembravi meraviglioso soltanto perché eri diverso.
Che giornata! — gemette tra sé Falkayn.
— Penso che andrò a vedere se Hugh è fuori servizio, — disse Stepha. — Puoi dare un'occhiata qui in giro, se vuoi.
Falkayn si fregò il mento guardandola mentre si allontanava. I peli che cominciavano a crescere gli grattarono le dita. Naturalmente, l'ultima dose di enzimi anti-barba doveva cominciare a perdere il suo effetto proprio allora! Fuori della nave, probabilmente, non è era un solo rasoio in tutta Ikrananka. Avrebbe sofferto il prurito per giorni e giorni, fino a quando quel dannato fungo facciale non fosse adeguatamente fiorito.
La ragazza aveva certo le sue buone giustificazioni, pensò amaramente. Durante tutto il viaggio, egli era stato quasi sempre in balia degli altri, altro che dominare la situazione! Se Chee Lan e Adzel erano stati vittime di un incidente, egli era il responsabile; non era forse il comandante? Fra quattro mesi, se non si fosse ripresentato alla base, il piano di viaggio sarebbe stato dissigillato, e sarebbe partita una spedizione di soccorso. Questa l'avrebbe potuto tirar fuori dei guai, se fosse stato ancora vivo. Ma in quel momento non era sicuro di desiderarlo.
Un grido lo fece voltare di scatto. Scrutò oltre il parapetto, oltre le mura della città. Il cervello sembrò esplodergli con un immenso frastuono.
Adzel!
Il wodenita stava curvando, al gran galoppo, lungo la strada, laggiù in basso. Le sue scaglie scintillavano per tutta la lunghezza del suo corpo fremente; ruggiva più forte della cascata. Un urlo si alzò in. campo nemico. I tamburi rullarono sulle torri di Rangakora. Uomini e ìkranankani sciamarono sugli spalti, con le armi in pugno.
— Per tutti i demoni viventi! — Qualcuno rantolò dietro a Falkayn. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, e vide le due guardie che fissavano l'apparizione con gli occhi sbarrati. I loro volti avevano acquistato un colorito cinereo. Un'idea gli balenò nel cervello: una possibilità di fuga. Sgusciò verso la porta.
Stepha comparve come d'incanto e l'afferrò per un braccio, gravandogli addosso con tutto il suo peso. — Fate attenzione, voi! — gridò. I due uomini si riscossero dalla loro paralisi, sguainarono le lame e lo spinsero indietro. Falkayn era in preda alla nausea.
— Che cosa sta succedendo? — balbettò. — Dov'è la nave spaziale?
Ora potè soltanto guardare. Uno squadrone di cavalleria katandarana si schierò in formazione e si lanciò alla carica. Adzel non si arrestò. Vi passò attraverso. Le lance si frantumarono contro la sua armatura, i cavalieri volarono in aria e gli zandara si dispersero terrorizzati. Adzel avrebbe potuto esser fermato da un ben assestato colpo di catapulta infocata, ma l'artiglieria da campo non era stata istruita in merito a creature interplanetarie, e neppure su che cosa fare quando un vero demone, ben visibile, le fosse piombato addosso. Gli artiglieri abbandonarono a precipizio i loro posti.
Il terrore si sparse come l'idrogeno. Nel giro di pochi istanti, l'esercito di Jadhadi fu una massa confusa e ululante che lottava per fuggire giù per la collina in direzione di casa. Adzel li inseguì per un po', per essere ben sicuro che non si fermassero. Quando l'ultimo soldato di fanteria fu scomparso alla sua vista, il wodeniano ritornò. attraversò un caos di armi abbandonate, zandara e karikut che correvano qua e là come impazziti, carri rovesciati, tende vuote, falò semispenti. Adzel agitò gioiosamente la coda.
Trotterellò fino alla porta della città. Falkayn non riuscì a sentire quel che stava muggendo, ma poteva bene immaginarlo. Gli sembrò che le ginocchia gli si liquefacessero. Faticò a respirare. Gli sembrò che non fosse passato neanche un attimo, quando un messaggero lo raggiunse di corsa per dirgli che la sua presenza era desiderata. Ma la traversata di tante strade vuote (la popolazione di Rangakora si era tappata in casa per innalzare le sue vibranti suppliche agli dèi), prima di arrivare alla cinta muraria, gli parve un'eternità.
Tuttavia, l'attesa lo calmò un poco. Quando si ritrovò con Thorn, Ursala, Stepha e una lunga fila di soldati, tutti intenti a guardar giù verso il suo amico, riuscì a pensare di nuovo. Qui, da vicino, riuscì a distinguere la forma pelosa di Chee sulle grandi spalle di Adzel. Per lo meno, erano tutti e due vivi. Senti un bruciore di lagrime agli occhi.
— David! — vociò Adzel. — Speravo tanto di trovarti qui. Perché non mi lasciano entrare?
— Sono prigioniero, — gli rispose Falkayn in latino.
— No, così non va, — s'intromise Thorn. — Parla anglico o katandarano, in modo che io possa capire, oppure tieni la bocca chiusa.
Poiché le punte delle lance intorno a lui avevano un aspetto diabolicamente acuminato, Falkayn obbedì. Il fatto che, in tal modo, tutti venissero a sapere che la sua nave era immobilizzata, venne ad aggiungersi alla lunga lista dei dispiaceri della vita. Ora era veramente incastrato laggiù: un nodo gli strinse la gola.
Thorn si affrettò a intervenire: — Ehi, senti, ora abbiamo una causa in comune. Marciamo insieme su Haijakata, liberiamo quella tua roba volante e poi puntiamo su Katandara.
Il tono di voce di Ursala risuonò gelido: — In altre parole, la mia città dovrà essere governata da laggiù, nonostante tutto.
— Dobbiamo accorrere in aiuto dei nostri fratelli, — Thorn insistè.
— Ho intercettato un messaggero, venendo qui, — disse Adzel. — Temo di aver guastato la mia reputazione spaventandolo, ma abbiamo letto i suoi dispacci. Gli ershok che erano in città, ma non nella Casa di Ferro, si sono radunati e hanno lanciato un attacco dal lato posteriore. Così unite, le loro forze hanno infranto l'assedio, si sono aperte una strada combattendo, e sono uscite dalla città. Hanno occupato... come diavolo si chiama? un villaggio del Chakora, e hanno mandato a chiamare tutte le famiglie che vivevano all'esterno affinché li raggiungessero per mettersi al sicuro. Jadhadi non osa attaccarli con le truppe che ha a disposizione. Attualmente, fa affluire rinforzi da tutte le guarnigioni imperiali.
Thorn si tirò la barba. — Se conosco bene la gente, — disse, — si metteranno in marcia prima che questo accada. E quale sarà la loro meta, se non Rangakora? — Il suo volto s'illuminò all'improvviso: — Per la Distruzione! Non dobbiamo fare altro che restar qui, e avremo tutto quel che volevo!
— Ma c'è sempre Falkayn, — replicò Stepha. — Noi non possiamo fidarci di lui. Non appena rientrato in possesso di quella sua macchina volante, Falkayn avrà la più completa libertà d'azione. — Lanciò al giovanotto un'occhiata ostile. — Ci morderesti, no?
— L'unica, modesta, umile cosa che desidero, è di andarmene da questo pianeta, — replicò Falkayn. — Il più lontano possibile.
— Ma dopo? I tuoi fetidi interessi di mercante sono a Katandara. E potrebbero esserci un mucchio di altri individui come te, che si precipiteranno qui più tardi. No, è meglio che ti teniamo con noi, mio bel signorino. — Si sporse dal bastione, fece imbuto con le mani e urlò: — Andate via, voi due, o vi getteremo la testa del vostro amico!
Chee si alzò in piedi fra le piastre dorsali di Adzel. La sua voce sottile era appena udibile nel rombo della cascata: — Se lo farete, vi seppelliremo fino alle orecchie in quel letamaio della vostra città.
— Suvvia, aspettate, aspettate, — s'intromise Ursala. — Cerchiamo di essere ragionevoli.
Thorn scrutò rapidamente i volti affacciati sulle mura. C'era un luccichio di sudore e molte lingue s'inumidivano le labbra; innumerevoli becchi pendevano spalancanti, sopra collari afflosciati. — Non possiamo attaccarlo, — disse sottovoce. — I nostri in questo momento sono troppo spaventati, e inoltre la maggior parte degli zandara s'impennerebbero. Ma possiamo tenerlo lontano. Quando arriverà l'intera fratria... allora sì, saremo troppi per lui. Aspettiamo.
— Tenendomi vivo come pegno, — si affrettò a dire Falkayn.
— Ma sì, certo, — lo canzonò Stepha.
Thorn diede un ordine. Gli addetti cominciarono a tendere le funi delle catapulte. Adzel percepì il cigolio, e si spostò fuori tiro. — Fatti coraggio, David! — gridò. — Non ti abbandoneremo.
Cosa questa, carica di buone intenzioni, ma molto poco utile, rifletté Falkayn, sprofondando nell'umor nero. Thorn non soltanto desiderava tenersi Rangakora, ma era obbligato a farlo per il bene di quelli della sua razza. Gli ershok erano stati sufficientemente infetta; ti dalla cronica diffidenza di Katandara, e non avrebbero mai consentito di propria volontà a Falkayn di ritornare liberamente alla sua nave. Piuttosto, l'avrebbero tenuto come ostaggio permanente contro l'arrivo di altre navi. E quando si fossero solidamente sistemati li a Rangakora, avrebbero senza dubbio tentato di rovesciare l'egemonia dei deodakh. E forse ci sarebbero anche riusciti. Il meglio che Falkayn poteva sperare, era che una spedizione di soccorso riuscisse a raggiungere un'intesa: in cambio della sua persona, la Lega si sarebbe tenuta lontana da Ikrananka. Falkayn sapeva che il trattato sarebbe stato rispettato; non era vantaggioso commerciare con una popolazione ostile. E quando avesse appreso che quel mercato non soltanto non poteva essere diviso con altri, ma doveva essere abbandonato, van Rijn avrebbe fatto volare lui, Falkayn, dritto fino alla Luna.
In che bel minestrone si era cacciato!
Le sue guardie lo spinsero via, verso il suo alloggio a palazzo, che era anche la sua prigione. Adzel riuni nel campo, tutti gli animali da soma che non erano riusciti a liberarsi, come riserva di cibo, e si pose al suo assedio di un sol drago, contro una città.