III
Poiché l'uomo sembra dotato del dono dell'ubiquità, e onnipresente, non c'è quasi avamposto della Lega, sui pianeti non terrestroidi, che non disponga di un appartamento adeguatamente condizionato e rifornito per questo tipo di visitatori. Falkayn aveva temuto che gli ufficiali antoraniani appartenenti alla sua razza si fossero già installati nell'alloggio, costringendolo a girare i pollici, sconsolatamente, nell'angusto spazio del suo ricognitore. Ma seppe, invece, che avevano preferito le loro navi spaziali. Forse temevano bombe o altre cose del genere. Lui era libero, perciò, di girare i pollici in tutta una serie di stanze.
Il telefono ronzò quando il giorno di Vanessa, lungo diciannove ore, volgeva al termine. Un uomo in un'attillatissima uniforme verde lo guardò dallo schermo. Aveva un volto quadrato, due folti mustacchi, ed era abbronzato al punto che Falkayn lo prese per un africano. — Lei è il tizio dell'altra stazione Polesotecnica? — domandò. Il suo tono era gelido, con un accento gutturale.
— Sì. Sono David Falkayn. Lei è il comandante Horn?
— No. Sono il capitano Blanck, incaricato della sicurezza. Poiché il comandante Horn avrà un abboccamento con lei, sto prendendo le misure necessarie.
— Non mi risulta molto chiaro su che cosa abbiamo da conferire.
Blanck si esibì in un sorriso che sembrò spaccargli la faccia in due. — Niente di veramente impegnativo, messer Falkayn. Noi desideriamo che lei porti certi messaggi alla Lega. Per il resto, diciamo che è reciprocamente vantaggioso scambiarsi alcune impressioni personali, senza complicarle con differenze razziali. Antoran combatterà, se vi sarà costretta; ma preferirebbe non farlo. Il comandante Horn vuol convincerla che noi non siamo dei mostri, e che ci siamo impegnati in una causa niente affatto irragionevole. Speriamo che lei a sua volta convinca i suoi superiori.
— Uhm... m... D'accordo. Dove e quando?
— Penso che sia meglio nel suo alloggio. Riteniamo che lei non sia così stupido da tentare d'infrangere la tregua.
— Con una flotta da guerra posata sopra la mia testa? Non si preoccupi! —. Falkayn rifletté. — Che ne direbbe di una cena qui? Ho controllato le provviste, e sono molto migliori di quanto può garantire una nave spaziale.
Blanck fu d'accordo. Fissò l'appuntamento a un'ora dopo, e spense la comunicazione. Falkayn mise al lavoro i servor della cucina. Anche se doveva cenare con un nemico, perché rinunciare ai piaceri della tavola? Naturalmente, un cowboy dello spazio come quell'Utah Horn non avrebbe saputo distinguere il caviale dai pallini di un fucile da caccia; ma Falkayn era pronto a gustarlo per due.
Mentre s'infilava la divisa dorata di cerimonia, riordinò le idee. Gli uomini, fra gli invasori, non parevano molti, ma tutti in posti-chiave. Non c'era dubbio che fossero stati loro, all'inizio, a mostrare agli antoraniani come costruire un vascello da guerra e, ora, erano gli strateghi e i tattici di quell'invasione. Horn era disposto a venir li perché un uomo condotto a bordo di una delle navi avrebbe potuto veder troppe cose, piccoli, importanti particolari che a Beljagor erano sfuggiti. Ma Falkayn avrebbe potuto ugualmente tentare di spremergli fuori qualcosa...
***
Un mezzo di servizio della flotta in orbita atterrò sul campo. Il crepuscolo era già disceso, e Falkayn potè appena distinguere che un solo essere umano avanzava verso il suo alloggio, scortato da quattro guardie kraokane, le quali presero posizione accanto all'ingresso.
Passò un minuto, mentre il suo ospite aspettava nella camera di equilibrio che si completasse la conversione dell'ozono; poi Falkayn attivò la porta interna. L'antoraniano si era appena sfilato la maschera col filtro. Falkayn vacillò.
— Come?! — gridò.
Non poteva avere molti più anni di lui. L'uniforme inguainava una figura, una figura di donna, che lo avrebbe stordito anche se non fosse stato costretto al celibato da mesi. Soffici capelli nero-corvini le ricadevano mollemente sulle spalle, incorniciando due grandi occhi nocciola, un delizioso naso all'insù, e la bocca più invitante che avesse mai...
— Ma, ma, ma... — balbettò.
Lei trasformò in una musica soave il pesante accento di Blanck: — Messer Falkayn? Io sono il comandante Horn.
— Utah Horn?
— Sì, giusto. Jutta Horn di Neuheim. È sorpreso? Falkayn annui come intontito da una randellata in testa.
— La popolazione di Neuheim, capisce?, non è molto numerosa; chiunque abbia qualche capacità, deve contribuire. Inoltre, mio padre è stato l'uomo che ha scoperto il pianeta perduto e ha dato inizio a questa crociata. I kraoka, col loro attaccamento verso la stirpe, mi venerano proprio per questo; e inoltre sono abituati a considerare le femmine come dei capi. Perciò io sono doppiamente utile. Qualunque mio ordine sarà sicuramente obbedito alla lettera. Lei non ha mai incontrato donne spaziali prima d'oggi?
— Uh, è soltanto che... — Ho capito. Quando ha dettato la lettera per me, Beljagor si è servito di uno scrivano regolato sull'ortografia anglica. Molto comprensibile, considerato lo scarso numero d'individui che parlano ancora tedesco. E ha pasticciato coi pronomi. Ma, o non gli è capitato d'incontrarla personalmente, o disprezza gli esseri umani a tal punto che non si è preoccupato d'identificarne il sesso.
Non sa cosa ha perduto.
Falkayn recuperò la presenza di spirito. Esibì il suo più ampio sorriso e s'inchinò profondamente. — Vorrei poter essere così piacevolmente sorpreso ogni volta, — dichiarò, facendo le fusa. — Benvenuto, comandante. Si sieda, prego. Gradisce qualcosa da bere?
Lei sembrò incerta: — Non sono sicura che dovrei...
— Suvvia, suvvia. Una cena senza aperitivo è come un... ahem... un giorno senza sole. — Era stato sul punto di dire, «un letto senza una ragazza», ma questo, forse, sarebbe stato intempestivo.
— Ach, tutto ciò non mi è familiare.
— E tempo che lo divenga, allora. — Falkayn ordinò al più vicino servor di preparare degli old-fashioned. Personalmente preferiva, di parecchi anni-luce, un martini, ma se il palato di lei non era educato, avrebbe preferito qualcosa di dolce.
Ella si sedette compostamente su una poltroncina. Falkayn vide che il suo comunicatore da polso era acceso; senza dubbio trasmetteva alle guardie là fuori. Al primo rumore sospetto, avrebbero fatto irruzione. Tuttavia, non avrebbero potuto afferrare le sfumature di ciò che Falkayn stava febbrilmente progettando. Anch'egli si sedette. Lei rifiutò una sigaretta. — Proprio non deve aver avuto nessuna possibilità di farsi corrompere dalla civiltà, — osservò egli, ridendo.
— No, — fu d'accordo lei, impassibile. Sono nata e cresciuta su Neuheim. I miei unici viaggi fuori del sistema li ho fatti, fino ad oggi, a stelle inesplorate, durante le crociere di addestramento.
— Che cos'è questo Neuheim?
— Il nostro pianeta. Fa parte del sistema antoraniano.
— Eh? Vuol dire che Antoran è una stella?
Jutta Horn si morse un labbro. — Perché? Lei credeva forse il contrario?
Nonostante le fosse così vicino, o forse proprio perché la sua vicinanza lo stimolava, la mente di Falkayn s'illuminò. — Ah, ah, — sogghignò. — Questo mi dice qualcosa. Avevamo dato per scontato che gli antoraniani provenissero da un singolo pianeta, e i loro alleati umani fossero soltanto degli avventurieri. I terrestri non chiamano se stessi solariani. Questo appellativo vale collettivamente per i terrestri e i marziani. Quindi, c'è più di un pianeta abitato che gita intorno ad Antoran: il vostro Neuheim, e quanti mondi kraokani?
— Lasci stare! — tagliò corto lei.
Falkayn agitò la mano: — Mi dispiace di averla turbata. Ecco i nostri cocktail. Beviamo a una miglior comprensione tra noi.
Lei sorseggiò il suo bicchiere, all'inizio esitante, poi con genuino piacere. — Lei è più amichevole di quanto mi aspettassi, — disse infine.
— Come potrei comportarmi diversamente con lei, mia signora? — Jutta Horn arrossi e sbatté rapidamente le ciglia, eppure fu ovvio che non cercava di fare la civetta. Lui lasciò la presa: mai mettere in imbarazzo il proprio bersaglio. — Stiamo discutendo le nostre divergenze come due persone civili, cercando di raggiungere un compromesso, non è vero?
— Che autorità ha lei, per firmare un trattato? — Poteva anche non aver mai frequentato gli ambienti civilizzati, ma le avevano insegnato come funzionavano.
— Nessuna, — disse Falkayn. — Come incaricato locale, però, posso fare precise raccomandazioni che avranno considerevole peso.
— Lei mi sembra molto giovane per essere così importante, — mormorò lei.
— Oh, ho fatto qualche cosetta, girato un po' i mondi... — replicò Falkayn, modestamente. — Ma parliamo piuttosto dei suoi...
Lei doveva essersi preparata in anticipo un discorsetto che voleva servirgli, perché, senza lasciargli finire la frase, ed equivocando, cominciò un racconto.
Antoran aveva veramente dei pianeti che i kraoka di Dzua avevano un tempo colonizzato. Anche se per causa di forza maggiore i coloni avevano rinunciato ai viaggi stellari, attraverso i millenni avevano mantenuto il commercio interplanetario, conservando un livello tecnologico molto superiore a quello di Vanessa.
Quarant'anni prima, Robert Horn, di Nuova Germania, era stato inseguito da un incrociatore della Lega. Si tuffò in un'orbita predisposta per far perdere le tracce all'inseguitore (la classica «schivata stellare») e in tal modo sfiorò il sistema di Antoran da una distanza ravvicinata; captò delle emissioni radio. Più tardi, tornò indietro di soppiatto, per investigare, e scoprì i pianeti.
— Sì, era un fuorilegge, — esclamò sua figlia con aria di sfida. — Fu uno dei capi della rivolta dei Possidenti... così audace e astuto che non osarono mai amnistiarlo.
Falkayn aveva vagamente sentito parlare dell'intera faccenda. Aveva qualcosa a che fare con una congiura delle famiglie più importanti di Nuova Germania, quelle che discendevano dai primi pionieri, per riconquistare i poteri che una nuova costituzione aveva loro strappato. La Lega Polesotecnica se n'era infatti immischiata; il nuovo governo repubblicano aveva sottoscritto accordi commerciali assai migliori di quelli offerti dai Possidenti quand'erano al potere. Non c'era da meravigliarsi che quella ragazza si affannasse tanto a complicare la vita alla Lega.
Sorrise, e le riempi nuovamente il bicchiere. — Condivido i suoi sentimenti, — dichiarò. — Vede, io sono di Hermes. Tutti i miei favori vanno di gran lunga al sistema aristocratico.
Gli occhi di Jutta si spalancarono: — Lei è adel... figlio di nobili?
— Secondogenito, — disse Falkayn, con modestia. Non aggiunse che era stato spedito sulla Terra perché non smetteva di scalpitare contro le bardature dell'aristocrazia. — Ma continui, la sua storia mi affascina.
— Il sistema di Antoran comprende un pianeta che i kraoka hanno modificato per renderlo abitabile, ma che era troppo lontano, freddo e buio per loro, anche dopo le trasformazioni. Per gli uomini era molto più adatto. Quello è il mio mondo, Neuheim.
Hmmm, rifletté Falkayn. Questo implica che ci dev'essere almeno un pianeta più interno, sul quale i kraoka hanno trovato un ambiente assai migliore. Molto probabilmente, più di un pianeta: una flotta da guerra grande come quella che Beljagor afferma di aver visto non può essere stata costruita in fretta e furia, senza un grande dispendio di popolazione e risorse. Ma questo a sua volta implica la presenza di una grande stella, con un'amplissima fascia biotermica. Il che non ha senso! Ogni singola stella di tipo F, in questa zona dello spazio, è stata visitata dagli esploratori della Lega, e così pure le stelle di tipo G. Decisamente, non esiste un sistema come quello che...
— Mio padre ritornò segretamente su Nuova Germania, — prosegui Jutta Horn. — Li e altrove arruolò seguaci. L'intero mondo di Neuheim fu dato, a lui e ai suoi uomini, in cambio del loro aiuto.
Sono convinto che per prima cosa avevano seminato l'idea della riconquista, rifletté Falkayn. Non stento a immaginare che i kraoka si siano innamorati del concetto dì una Terra dei Padri riunificata. E, con una dose massiccia di propaganda anti-Lega, potrebbero benissimo essersi convinti che l'unico modo di conseguire la riunìficazione sia quello di espellerci.
— Così gli ingegneri germaniani hanno insegnato ai kraoka di Antoran come costruire le navi a ipervelocità, — disse lui, — e gli ufficiali germaniani hanno addestrato gli equipaggi. E gli agenti segreti germaniani hanno tenuto d'occhio gli avvenimenti fuori del sistema... Dianime, vi siete dati parecchio da fare!
Lei annuì. Due bicchieri cominciavano già a offuscare il tono squillante della sua voce. — Verissimo. Niente è più importante della crociata! Dopo, potremo riposare. Non vedo l'ora!
— Perché non cominciare subito? — chiese Falkayn. — Perché combattere la Lega? Noi non abbiamo alcuna obiezione al fatto che i kraoka si costruiscano una flotta stellare, di tasca loro, né a qualunque tipo di ordinamento sociale voi abbiate organizzato su Neuheim.
— Dopo il modo in cui la Lega ha interferito nei nostri affari in passato? — ribatté lei, in tono di sfida.
— Sì, d'accordo, ci comportiamo così di tanto in tanto quando i nostri interessi sono minacciati. Però, Jutta, — ecco, l'aveva chiamata per nome, — la Lega Polesotecnica non è uno Stato, e neppure un governo. È soltanto una società di mutuo soccorso fra i mercanti interstellari, i quali, probabilmente, sono molto più accaniti l'uno contro l'altro che verso gli estranei.
— La forza è l'unica base di negoziato, — disse lei, nello stile di Clausewitz. — Quando noi e i nostri alleati ci saremo assicurati questa zona dello spazio, allora, forse, vi permetteremo di ritornare qui con i vostri commerci... secondo le nostre regole. Altrimenti, fin troppo facilmente potreste imporci la vostra volontà, nel caso in cui noi non desiderassimo le vostre identiche cose.
— La Lega non accetterà questo supinamente — ammoni lui.
— Credo che le converrà farlo, — lei ribatté. — Noi siamo sul posto, con linee di comunicazione interne. Possiamo colpire dallo spazio, in qualunque punto. Una flotta da guerra della Lega dovrà percorrere molti parsec, per giungere fin qui. Troverà le proprie basi distrutte. E non saprà dove si trovano i nostri pianeti d'armamento.'
Falkayn si affrettò a fare marcia indietro. Non la voleva di quell'umore. — Avete senza dubbio un formidabile vantaggio, — le disse. — La Lega può mettere assieme delle forze molto maggiori numericamente: lei certo se ne rende conto; ma potrebbe anche giudicare che il costo di una vostra sconfitta sarebbe assai maggiore d'ogni possibile guadagno.
— Così appunto ha calcolato mio padre, prima di morire. Dei mercanti, che bramano soltanto il denaro, possono facilmente essere intimoriti. Gli Adelsvolk sono diversi. Vivono per un ideale, non per volgari questioni economiche.
Vorrei, quant'è vero l'inferno, che tu avessi la possibilità di metter fuori quel tuo adorabile nasino dal tuo confortevole, involuto piccolo regno, e vedessi a che cosa assomigliano gli aristocratici che lavorano, pensò Falkayn. E, a voce alta: — Qui, Jutta, non posso essere del tutto d'accordo. Non ricorda che io sono mercante e figlio di un nobile? Le due psicologie non sono poi così dissimili. Un nobile dev'essere anche un uomo politico, con tutto quello che ciò comporta, altrimenti non sarà mai capace di niente. E un mercante dev'essere un idealista.
— Che cosa? — Jutta cominciò, sorpresa. — Un idealista?
— Sì. Non penserai che noi lavoriamo solo per il denaro, vero? Se fosse unicamente per questo, ce ne staremmo comodi e al sicuro a casa. No, è l'avventura, nuovi orizzonti, la vita che conquista la natura inanimata... l'universo stesso, il più grande nemico.
Jutta aggrottò le sopracciglia, ma era chiaramente più malleabile: — Non capisco.
— No? Prendiamo ad esempio...