II
Ai tempi d'oro dimenticati della loro espansione, i kraok non avevano mai fondato una città. Il concetto che un'unità così piccola potesse avere una sua identità ed essere composta da singole sottounità ancora minori e distinte l'una dall'altra, era troppo estraneo alla loro mentalità. Tuttavia, diedero dei nomi a quelle conigliere intercomunicanti da essi edificate nei diversi siti. Il libro sacro di Falkayn (ossia, la Guida alla regione di Beta Centauri per il pilota terrestre) lo informava che Elan-Trrl, in una qualunque delle molte ortografie possibili, si trovava alle latitudini settentrionali medie ed era segnalata con un radiofaro della Lega.
Una microbobina così fitta di dati finiva per dire ben poco del pianeta. Gli unici rischi importanti citati erano quelli dovuti all'ozono e all'ultravioletto. Falkayn s'infilò la tuta col cappuccio e una maschera con filtro e occhiali a bolla. Il minuscolo spazioporto s'ingigantì davanti a lui. Si posò e sbarcò.
Per un attimo, restò immobile cercando di. orientarsi e di abituarsi alla stranezza del paesaggio. In alto, il cielo era sereno, d'un celeste pallido sul quale spiccava un sole accecante. Tutti i colori sembravano sbiadire sotto quell'illuminazione troppo violenta. Oltre lo spazioporto, le colline digradavano ondeggiando fino a un lago dal quale si diramava una fitta rete di canali d'irrigazione, nel cuore di un territorio intensivamente coltivato, una distesa compatta di arbusti d'un verde bluastro. Alberi nodosi, dalle fronde piumate, crescevano lungo le sponde dei canali, e motobarche dalle alte prue scivolavano sull'acqua. Le macchine agricole nei campi, e un singolo veicolo gravitazionale che svolazzava in alto, dovevano essere d'importazione, venduti dai commercianti della Lega. All'orizzonte incombeva una massiccia catena di montagne di color bruno riarso.
Falkayn si adattò con qualche disagio alla gravità del pianeta, uno virgola due. Il vento ruggiva intorno a lui, sollevando vampe di calore. Ma quell'aria calda e asciutta non gli diede eccessivamente fastidio.
Sul lato opposto del campo, Elan-Trrl si ergeva con le sue torri bulbose. La loro pietra grigia, battuta da millenni d'intemperie, creava profili indistinti. Falkayn non vide molto traffico; esso, pensò, doveva svolgersi soprattutto nel sottosuolo. Con gratitudine volse lo sguardo verso le familiari facciate di vitryl e acciaio della cittadella della Lega, ai bordi del campo di atterraggio. Tremolavano alle vampe del calore.
Due navi spaziali fiancheggiavano la sua. Una era una tozza Holbert, evidentemente quella di Beljagor; l'altra, sottile e armata, aveva il profilo d'un caccia terrestre, ma doveva appartenere agli invasori. Molti kraok montavano la guardia, al riparo della sua ombra. Dovevano essere stati preavvisati dell'arrivo di Falkayn, poiché non accennarono minimamente a muoversi verso di lui. Né dissero una sola parola. Mentre si dirigeva verso gli edifici della Lega, si sentì i loro occhi puntati nella schiena. Gli parve che i suoi stivali facessero un chiasso indiavolato nel silenzio del campo, rotto soltanto dal rauco sibilo del vento.
L'ingresso agli alloggi dell'intendente si aprì davanti a lui. Nell'atrio, l'aria era calda e asciutta, almeno quanto all'esterno, e le luci erano altrettanto abbaglianti. Ma, naturalmente, la Lega aveva affidato il lavoro quaggiù a qualcuno proveniente da una stella di tipo F. Falkayn cominciò quasi a provare nostalgia per il verde e gelido Garstang. E perché mai quell'illustre sconosciuto, Beljagor, non era uscito ad accoglierlo?
Un intercom disse: — In fondo al corridoio, a dritta. — La voce, cupa e aspra, aveva parlato in latino.
Falkayn prosegui fino all'ufficio principale. Beljagor era seduto dietro la sua scrivania, fumando un sigaro. Sopra di lui era appeso l'emblema della Lega Polesotecnica, un'antica astronave Caravel sullo sfondo di un 'esplosione solare, e il motto «Commerciare è vivere». Computer, dittàfoni, e altro armamentario erano anch'essi quelli ben noti. Non così il capo. Falkayn non aveva mai conosciuto prima di allora un nativo di Jaleel.
— Così, eccola qui, — disse Beljagor. — Ce n'ha messo del tempo.
Falkayn si fermò e lo fissò. L'intendente era abbastanza antropoide. Cioè, la sua forma tarchiata vantava due braccia, due gambe, una testa e niente coda. Ma era alto poco più di un metro; ognuno dei suoi piedi aveva tre grosse dita, le sue mani tre dita a due a dui contrapposte. Come unico capo di vestiario aveva un gonnellino che rivelava un corpo scaglioso e un addome giallo. Il suo naso, a esser generosi, poteva esser paragonato a quello di un tapiro, le sue orecchie a due ali di pipistrello. Un ciuffo di ciglia color carota gli spuntava in mezzo al cocuzzolo, un paio di viticci chemiosensori sporgevano da sopra gli occhi. E gli occhi erano piccoli come quelli di un kraok; le creature la cui vista si estende molto nell'ultravioletto e non usano, come nell'uomo, l'estremità rossa dello spettro, non hanno bisogno di grandi orbite.
Formava un bizzarro contrasto con Beljagor un vanessano, un yx — no, una lei, questa volta — seduta sulla propria coda davanti alla scrivania. Beljagor l'indicò col sigaro: — Questa è Quillipup, il mio ufficiale di collegamento. E lei è... qual è dunque il suo stupido nome?
— David Falkayn! — Un semplice operatore — era costretto a mordere il freno, quand'era al cospetto di un Maestro.
— Be', si sieda. Gradisce una birra? Voi, tipi terrestri, vi disidratate facilmente.
Falkayn decise che, dopotutto, Beljagor non era tanto male. — Grazie, signore. — Lasciò sprofondare la sua snella figura su una poltrona.
Il jaleeliano ordinò la birra all'intercom. — Ha avuto qualche fastidio per strada? — s'informò.
— No.
— Non mi aspettavo che ne avesse. Chi vuole che s'impicci di lei? Inoltre, Horn ha voluto che lei fosse presente e a quanto pare occupa una posizione di rilievo nella flotta. — Beljagor scrollò la spalle. — Non posso dire che lo volessi anch'io. Un cucciolo non ancora svezzato! Se ci fosse stato un uomo d'esperienza nelle vicinanze, forse saremmo riusciti a combinare qualcosa.
Falkayn inghiottì un altro boccone di orgoglio. — Mi rincresce, signore, ma dal momento che la Lega opera in questa zona soltanto da pochi decenni... Lei, che cosa ha in mente? Il suo messaggio si limitava ad annunciare che il sistema solare di Thurman era stato invaso da una formazione armata di kraoka, i quali ordinano aliai Lega di abbandonare l'intero settore di Beta Centauri.
— Be', qualcuno deve andare ad avvertire il QG, — grugni Beljagor, — e non sarò certo io a farlo. Cioè, ho in mente di stare qui per tenerli a bada, magari convincerli, discutendo, a cambiare idea. Il suo avamposto non sentirà certo la sua mancanza. — Trasse alcune boccate dal sigaro, in silenzio. — Però, prima di partire, voglio che lei cerchi di fare alcune osservazioni elementari. E il motivo per cui ho chiesto assistenza rivolgendomi a Garstang invece che a Roxlatl. Snarfen è probabilmente dieci volte più capace di lei: è un Maestro; ma lei è un «umano», e alcuni «umani» occupano posizioni elevate tra gli antoraniani. Come Horn, appunto, il quale ha detto che vuole avere un abboccamento con lei, quando ho parlato delle sue origini. Perciò, forse, lei riuscirà a trovare il bandolo di quanto sta succedendo. Ci vuole un membro della sua ridicola razza per capirne un altro, l'ho sempre detto.
Falkayn, con viso arcigno, insistette sull'argomento: — Gli antoraniani... signore?
— Gl'invasori chiamano la loro base Antoran. Oltre al nome, non hanno voluto dirci altro.
Falkayn si voltò verso Quillipup: — Lei non ha idea di dove provengano? — domandò.
— No, — disse il kraok (o meglio, la kraok) nel vocalizzatore. — Non può corrispondere a nessuno dei mondi di cui si sa che furono colonizzati dalla Razza. Ma i dati sono incompleti.
— Non capisco come...
— Le spiegherò. Molte ere fa, quando la sua specie e quella di Maestro Beljagor erano soltanto dei bruti selvaggi, i nostri grandi antenati su Kraokanan...
— Sì, so tutto di loro.
— Non interrompa i suoi superiori, fanciullo, — ringhiò Beljagor. — Inoltre, non sono affatto sicuro che lei conosca la storia. Comunque, non le farà male ascoltarla di nuovo, anche se ha visionato uno o due libri. — Il suo naso si arricciò per lo sdegno. — Lei è della Spezie & Liquori Solari, giusto? Non hanno affari quaggiù. Qui non c'è niente per loro. Per quanto riguarda il commercio interstellare, Vanessa produce soltanto droghe e fluorescenti che non servono al vostro tipo di vita. Io sono qui non soltanto come agente della General Motors di Jaleel, spesso rappresento altre ditte di pianeti similari. Perciò, devo conoscere la situazione per filo e per segno. Prosegua, Quillipup.
— Ora è lei che sta interrompendo, — disse imbronciata la vanessiana.
— Quando parlo io non è un'interruzione, è un chiarimento. Continui, ho detto, e non tiri per le lunghe. Nessuna delle vostre dannate cronache cantate, capito?
— La maestosità della Razza non può essere efficacemente descritta senza le Ballate Trionfali.
— All'inferno la maestosità della razza! Vada avanti.
— Oh, bene. In ogni caso, lei non riuscirebbe mai ad apprezzarne lo splendore.
Falkayn digrignò i denti. Dove diavolo era la birra promessa?
— Allora, migliaia e migliaia di anni fa, — cominciò Quillipup, — la Razza imparò il volo spaziale e parti per seminare le sue colonie tra le stelle. Lunga e possente fu la lotta, e le gesta di quegli eroici equipaggi riecheggiarono per secoli. Ungn, per esempio...
— Inversione di vettori! — intimò Beljagor, poiché Quillipup sembrava sul punto di esplodere in un cantico.
Falkayn si chiese se le sue vanterie non fossero dovute a un complesso d'inferiorità. Il nocciolo della questione era che i kraok non avevano mai imparato a fabbricare un motore a ipervelocità. Tutto doveva esser fatto a velocità inferiore a quella della luce: decenni o secoli da stella a stella. Inoltre, soltanto le stelle F di grande intensità luminosa, relativamente rare, costituivano un obbiettivo accettabile. Stelle più piccole, come il Sole, erano troppo fredde e oscure, troppo povere di quelle radiazioni ultraviolette dalle quali dipendeva la loro biochimica ad alta energia. Le più grandi, come Beta Centauri, e in pratica ogni stella al disopra delle F/5 nella sequenza principale, erano prive di pianeti. I kraoka erano stati fortunati, a trovare ben quattordici sistemi solari utilizzabili.
— Provi a riflettere sui grandiosi successi dei nostri avi, — lo sollecitò Quillipup. — Non soltanto attraversarono inconcepibili abissi interstellari, ma spesso trasformarono l'atmosfera e l'ecologia d'interi pianeti, per renderli abitabili. Mai, un'altra specie ha saputo emularli in quest'arte!
Be', no, naturalmente, pensò Falkayn. I moderni viaggiatori spaziali non avevano alcuna ragione di trasformarsi in ingegneri planetari. Se un mondo non era di loro gusto, volavano via verso quello successivo. Ma chi viaggiava a velocità inferiori a quella della luce, non poteva permettersi di fare lo schizzinoso.
Falkayn fu costretto ad ammettere che il passato kraokano aveva una certa grandiosità. Ben difficilmente gli uomini avrebbero intrapreso un progetto così vasto, e per un tempo così lungo; anch'essi erano orgogliosi, ma molto più sul piano individuale che su quello razziale.
— Quando calarono le Ere Oscure, — prosegui Quillipup, — noi non dimenticammo. Anche se ogni altra cosa ci sfuggi di mano, sapevamo, guardando il cielo notturno, quali stelle brillavano sulle genti della nostra specie.
Secondo quanto Falkayn aveva letto, il crollo era stato graduale, ma inevitabile. Semplicemente, la sfera operativa era diventata troppo ampia per spedizioni così lente; raggiungere il sole bianco successivo costava troppo, in tempo, fatica e risorse. Così, le esplorazioni finirono.
E allo stesso modo ebbe termine il commercio tra le colonie. Non era più una fonte di guadagno. La Lega Polesotecnica esisteva soltanto perché, grazie all'ipervelocità e al controllo della gravità, il trasporto interstellare per innumerevoli prodotti planetari costava assai meno che fabbricarseli a casa. Anche se gli antichi kraoka non avevano il movente del profitto, neanch'essi sfuggivano alle leggi dell'economia.
Così, non costruirono più navi stellari. Col tempo, la maggior parte delle colonie abbandonarono i viaggi interplanetari. Molte piombarono nel caos e finirono per sprofondare nella barbarie. Vanessa era stata più fortunata: la civiltà non si era dissolta; semplicemente, si era cristallizzata, restando immutata, su un livello tecnologico discretamente elevato, per trecento secoli. Poi era arrivato Thurman. E adesso i kraoka avevano nuovamente notizia dei fratelli perduti, e sognavano di riunificare la Razza.
Ma questo richiedeva denaro. Una nave spaziale non è proprio a buon mercato, e la Lega non era una società di beneficenza. Quando i vanessiani fossero riusciti ad accumulare sufficienti crediti, i cantieri di tutta la galassia sarebbero stati felici di accettare le loro ordinazioni. Non prima.
Falkayn si riscosse, vagamente consapevole che Quillipup aveva portato il discorso su faccende più concrete e immediate.
— ... né le cronache, né la tradizione identificano il mondo chiamato Antoran. L'analisi fonetica di discorsi intercettati e registrati clandestinamente, e certi particolari osservati nei costumi, sembrerebbero indicare che il pianeta in questione sia stato colonizzato da Dzua. Ma Dzua fu uno dei primi mondi sui quali la civiltà si disintegrò, e non ci resta alcun documento sulle imprese che un tempo potrebbero essere partite da li. Antoran, quindi, dev'essere una quindicesima colonia, dimenticata nel luogo d'origine, e della quale nessuno ha parlato al resto di noialtri.
— Ne siete sicuri? — azzardò Falkayn. — Voglio dire, non è possibile che uno dei pianeti kraokani conosciuti sia quello...
— Assolutamente no, — l'interruppe Beljagor. — Li ho visitati tutti, e conosco perfettamente le risorse di ognuno. Una flotta come questa... mi hanno portato nello spazio, ho visto quanto è grande, e ciò che è in grado di fare... non può essere costruita da nessuno, tenendo nascosti i cantieri.
— Gli invasori... che cosa hanno detto?
— Non una sola parola che indichi una traccia, come le ho già riferito. Non assomigliano in alcun modo alla sua razza di ciarloni. I kraoka hanno un istinto troppo vivo della loro identità tribale, per violare il segreto.
— Avranno almeno spiegato le loro ragioni.
— Oh, se è per questo, sono maledettamente decisi a ripristinare la loro civiltà interstellare, creando, questa volta, un impero. E hanno ingiunto alla Lega di sgomberare questa regione dello spazio, poiché, dicono, noi siamo una manica di dominatori, sfruttatori, corruttori della pura tradizione, e non so quali e quante altre cose fetenti.
Falkayn lanciò un'occhiata a Quillipup. Non riuscì a leggere l'espressione sul volto di lei, ma la pinna dorsale, un organo adibito alla termoregolazione del corpo, si stava rizzando. La coda ebbe un brusco sussulto. Vanessa non aveva opposto alcuna resistenza all'invasione. Molto probabilmente a Quillipup non sarebbe affatto dispiaciuto se i suoi attuali datori di lavoro fossero stati cacciati via a pedate.
Il rappresentante del genere umano disse cautamente: — Be', signore, in un certo senso sono giustificati, no? Questa è casa loro, non nostra. Noi non abbiamo mai fatto niente per i kraoka senza ricavarne grossi profitti. Continuando a commerciare con noi, la loro antica, gloriosa cultura...
— Il suo idealismo mi sconvolge fino ai... no, non le dirò in quale parte della mia anatomia, — lo scherni Beljagor. — Quel che conta è che la Lega è sul punto di rimetterci un mucchio di miliardi di crediti. Tutte le nostre attrezzature, in questa zona di spazio, saranno confiscate, capisce? Così, ci porteranno via anche i nostri commerci con le stelle più fredde. E non sono affatto convinto che si fermeranno qui. Quegli «umani» che sono con loro... che cosa vogliono?
— Sì... appunto, — Falkayn annui. Nessuno avrebbe potuto negare che la specie alla quale apparteneva fosse tra le più predaci dell'universo. — Il suo messaggio citava qualcuno il cui nome è Utah Horn. Effettivamente, ha un'aria assai... uhm... da West selvaggio, banditesca.
— L'avvertirò che lei è arrivato, — disse Beljagor. — Utah Horn vuol parlare con un funzionario della Lega che sia della sua stessa razza. Dovrà accontentarsi di lei. Vorrei proprio sperare che lei riesca a estirpargli qualcosa.
Un «servor» entrò fluttuando, con delle bottiglie. — Ecco la birra, — annunciò Beljagor. Il robot ne stappò due, Quillipup si affrettò a rifiutare la terza. I suoi nervi erano tesi, e la coda sbatteva nervosamente sui piedi ad artiglio.
— Ad fortunam tuam, — proclamò Beljagor, senza troppa convinzione, e ingollò mezzo litro di birra.
Falkayn aprì la maschera all'altezza della bocca e fece altrettanto. Il liquido gli andò di traverso, soffocò, tossi convulsamente e lottò per non vomitare.
— Uh? — Beljagor lo fissò con gli occhi sgranati. — Per i nove inferni pustolosi, che cosa...? Oh, capisco, mi sono dimenticato che la sua razza non può sopportare le proteine jaleelane. — Si batté il fianco, con un rumore simile a una pistolettata. — Ah, ah, ah!