UN SOLE INVISIBILE

I

 

Gl'invasori avevano disposto la loro flotta in una normale orbita di pattugliamento. Per il resto, non facevano alcun tentativo di mimetizzarsi. Ciò indicava una fiducia in se stessi che fece rabbrividire Falkayn.

Mentre la sua lancia spaziale si avvicinava a Vanessa, Falkayn individuò, con i suoi strumenti, nave dopo nave. Una gli passò talmente vicina, che anche l'ingrandimento minimo, sui suoi schermi, gli consenti di distinguerne i particolari. Era un gigante, della classe Nova; esternamente, solo dettagli piccolissimi, indicavano che non era stata costruita da mani umane. I suoi cannoni tagliavano la nera oscurità e gli ammassi di costellazioni, la luce del sole sfolgorava sui suoi fianchi, era bellissima, arrogante e terribile.

Falkayn si disse che non era atterrito... e si meravigliò egli stesso di quant'era bugiardo.

Il suo ricevitore ronzò, una chiamata sulla banda universale. Schiacciò l'interruttore del Ricevuto. Il quadrante del compensatore Doppler indicava che la nave stava rapidamente regolando i vettori direzionali su di lui. L'immagine che lo fissò dallo schermo era... no, certamente non un vanessiano, ma un membro della stessa specie. Balbettò istintivamente:

— Scusi, me no barlare il... — Si azzitti. I conquistatori tendono sempre ad essere suscettibili, e quel tizio là fuori stava a bordo di una nave che avrebbe potuto mangiarsi un continente con le sue armi nucleari, e poi usare come stuzzicadenti la sua piccola e veloce lancia spaziale. — Mi rammarico per la mia ignoranza delle vostre diverse lingue.

Il kraok squacquerò. Evidentemente lui, o lei, o xy, non conoscevano l'anglico. Bene, allora, l'interlingua della Lega Polesotecnica... — Loquerisne latine?

Il kraok agguantò un vocalizzatore. Senza un tale ausilio, umani e kraok articolavano malissimo le rispettive lingue. L'ufficiale regolò l'apparecchio, e domandò: — Sprechen Sie Deutsch?

— Uh? — Falkayn era rimasto a bocca aperta.

Ich habe die Deutsche Sprache ein wenig gelehrt, — prosegui il kraok, con più orgoglio che grammatica, — bei der grosse Kapitàn.

Falkayn si aggrappò al sedile di pilota, nonché al proprio equilibrio mentale, e lo fissò attonito.

A parte l'atteggiamento ostile, la creatura non era spiacevole a vedersi. Alto circa due metri, il suo corpo assomigliava a quello di un tirannosauro dimagrito, sempre che si riesca a immaginare un tirannosauro con una pelliccia fulva. Una grande pinna dorsale rinforzata da nervature parzialmente ripiegata e vagamente iridescente gli sporgeva dalla schiena. Le braccia erano molto simili a quelle di un antropoide, eccettuate le mani munite di quattro dita, ognuna con un'articolazione in più. La testa era rotonda, le orecchie ricoperte di ciuffi, il muso tozzo, gli occhi più piccoli di quelli umani.

Quanto a indumenti, portava soltanto l'insegna di grado a bracciale, una cintura con borsa, e un'arma al fianco. Falkayn frugò tra i suoi ricordi, e identificò il sesso al quale apparteneva l'ufficiale kraokano: il cosiddetto «trasmettitore», che veniva fertilizzato dal maschio e a sua volta fecondava la femmina. Avrei dovuto intuirlo subito, pensò, anche se non c'erano molte informazioni su di loro nella biblioteca di Garstang. I maschi sono più bassi e mansueti, e allevano i piccoli. Le femmine sono le più immaginative e prendono la maggior parte delle decisioni. I trasmettitori sono i più bellicosi.

E in questo momento mi tengono puntati addosso i cannoni. Si sentì molto piccolo e solo. Le vibrazioni e i cigolìi del ricognitore. gli odori dell'aria riciclata e del suo stesso sudore, il peso del suo corpo prodotto dalla gravità artificiale, erano come un guscio di sensazioni chiuso intorno a lui. Fuori, il vuoto. La potenza della Lega Polesotecnica era lontana un incredibile numero di parsec, e quegli stranieri si erano dichiarati suoi nemici.

Antworten Sie! — gl'intimo il kraok.

Falkayn cercò di cavarsela con le poche parole smozzicate e semidimenticate di yiddish che qualche volta aveva sentito pronunciare a Martin Schuster, durante il suo noviziato con lui: — Ikk... veyss... nit keyn... Deitch, compitò, il più lentamente possibile. — Fatemi parlare... ah mentsch... uh, zeit azay git. — L'altro continuò a fissarlo, immobile. — Dannazione, avete degli umani con voi, — prosegui Falkayn. — Conosco il nome di uno di loro, Utah Horn.

Il kraok passò la comunicazione a un altro della sua razza, accovacciato sullo sfondo di un'apparecchiatura elettronica. Vocalizzazioni non umane sibilarono fuori dall'intercom. Il secondo kraok si rivolse a Falkayn:

— Conosco un poco latino, — disse xy. Nonostante il suo vocalizzatore, il suo accento era greve al punto che si sarebbe potuto spalmarlo su una fetta di pane. — Identifichi sé.

Falkayn s'inumidì le labbra: — Sono il rappresentante della Lega Polesotecnica su Garstang, — disse. — Una capsula automatica mi ha portato la notizia del vostro, uh, avvento. Diceva che ero autorizzato a venire qui.

— Così. — Altri sibili. — Infatti. Un'imbarcazione disarmata noi permettiamo atterraggio su Elan-Trrl. Lei combina pasticci, noi uccidiamo.

— Non farò pasticci, — si affrettò a promettere Falkayn. A meno che non mi si presenti la possibilità. — Proseguo subito. Vuole il mio piano di rotta?

Yx lo voleva. Il computer pilota della lancia trasmise una serie di numeri alla nave da battaglia. L'orbita fu approvata. Raggi maser lampeggiarono attraverso lo spazio, avvertendo le altre navi di tener d'occhio il piccolo scafo.

— Lei va, — annunciò il kraok.

— Ma questo Utah Horn...

— Il comandante Horn vedrà lei quando vorrà. Lei va. — Lo schermo si spense e Falkayn andò. L'accelerazione mise a dura prova i compensatori del suo campo gravitazionale interno.

Falkayn svuotò i polmoni e guardò fuori. Fino a quel momento, viaggiando verso la Stella di Thurman, la veduta era stata dominata da Beta Centauri, fissa, quasi intollerabilmente brillante attraverso una quarantina di anni-luce. Ma ora il sole di Vanessa formava un disco percettibile. Non era dello stesso tipo B supergigante, ma ugualmente imponente, una F/7 bianca, ribollente di protuberanze, avvolta in una rilucente corona. Se gli schermi dello scudo avessero fatto cilecca, le radiazioni della stella avrebbero trapassato lo scafo, distruggendolo.

Sì, pensò Falkayn, deglutendo, volevo essere un avventuriero dalle fulminee imprese. Eccomi qui, infatti, e ho soprattutto voglia di scappare come un fulmine.

Si stiracchiò, flettendo i muscoli e liberandosi un po' dalla tensione. Poi sentì fame, andò a poppa e si confezionò un panino. Quand'ebbe mangiato, accese la pipa, e finalmente una certa effervescenza ritornò in lui. Dopotutto, aveva soltanto vent'anni.

Pochi altri umani avevano ottenuto il certificato di operatore qualificato in così giovane età. Ne era debitore in gran parte al ruolo che aveva avuto in quel tal pasticcio su Ivanhoe. Per stabilire un altro primato e guadagnarsi la patente di Maestro Mercante, gli serviva un paio d'imprese dello stesso tipo. Il messaggio di Beljagor gli aveva fatto lanciare urla di gioia.

Ora, saltava fuori ch'era alle prese con qualcosa d'assai più grosso di quanto avesse immaginato. Ma egli era pur sempre il rampollo d'una dinastia baronale del Granducato di Hermes. Buon sangue non mente, no?

Comunque, non fosse altro che facendo sapere al Quartier Generale del settore quant'era accaduto, avrebbe almeno indotto i pezzi grossi ad accorgersi di lui. Perfino il «barba», Nick Van Rijn in persona, avrebbe forse udito nominare quel David Falkayn, così chiaramente sprecato nel piccolo e desolato avamposto di Garstang.

Si esercitò a un sorriso strafottente. Gli riusciva senz'altro meglio d'un anno fa. Il suo viso, pur conservando un irrimediabile naso all'insù, aveva perduto l'aspetto roseo e paffuto che un tempo l'angosciava. Aitante, biondo, slanciato, aveva inoltre (egli si disse) un ottimo gusto in fatto di vestiti e di vini. E anche in fatto di donne, aggiunse, vieppiù soddisfatto di sé. Magari non fosse stato l'unico essere umano sul pianeta che gli avevano assegnato...! Be', forse questo misterioso Horn si era portato appresso qualche femmina di riserva...

Vanessa crebbe di dimensioni negli oblò panoramici, un globo rossastro striato di verde e di blu, scintillante nei suoi piccoli mari. Falkayn si chiese come lo chiamassero gli abitanti. Essendo essi stessi dei coloni, la cui civiltà non si era dissolta durante la lunga parentesi del viaggio interplanetario kraokano, com'era accaduto invece numerosi altri insediamenti, avevano indubbiamente un'unica lingua. Perché mai Thurman non aveva seguito la consuetudine? Perché mai cioè, non aveva inserito nei cataloghi il nome con cui i nativi chiamavano quel che aveva scoperto?

Molto probabilmente perché agli uomini era risultato impossibile avvolgere la loro laringe intorno ad esso. O forse Thurman aveva semplicemente sentito voglia di chiamare quel pianeta «Vanessa». Per Giuda, che opportunità placcata al radium aveva avuto quell'esploratore! Quale ragazza avrebbe mai potuto resistere all'offerta di dare il suo nome a un intero pianeta?

Un'altra nave da guerra in orbita di pattugliamento gli si pare davanti. Falkayn smise di sognare.