VII
Falkayn non perdette i sensi. Piuttosto, la sua coscienza sembrò andare in pezzi, come se fosse giunto all'ultimo stadio di un'ubriacatura. La sua mente parti lungo una dozzina di sentieri diversi, nessuno dei quali era dominabile dalla forza di volontà.
Quando l'ershok lo lasciò andare, si accasciò in preda alle vertigini contro il muro; era cosciente della durezza delle pietre contro la sua schiena, della massa dell'intero pianeta che premeva contro le suole dei suoi stivali, dell'aria secca e gelida che gli bruciava le narici, mormorandogli dentro i polmoni, del sentore amaro della droga, del cuore che gli batteva come impazzito, della chiazza risplendente di luce rossa sul pavimento nudo, e del cielo crepuscolare inquadrato dalla finestra sul lato opposto di quella piatta distesa che sembrava sul punto di capovolgersi, del grosso uomo biondo che l'aveva aggredito e dell'altro tizio ugualmente robusto e dai capelli rossi, che lo sosteneva, del naso di quest'ultimo, la cui forma gli appariva comica e sinistra insieme... Pensò, fuggevolmente, che quella roba ikranankana che aveva respirato probabilmente era sfruttabile in campo farmaceutico; poi pensò al castello di suo padre su Hermes, e si disse che, in verità, avrebbe dovuto scrivere a casa più spesso. Un altro sprazzo gli riportò alla mente una festa nel palazzo di Ito Yamatsu, nella Grande Tokyo, e questo, per ovvia associazione, gli ricordò molte giovani donne, le quali a sua volta lo portarono a chiedersi...
— Dammi una mano, Owen, — mormorò Stepha Carls. — Il suo attendente potrebbe ritornare da un momento all'altro. O un tizio qualsiasi potrebbe capitare qui per caso.
Cominciò a spogliare Falkayn. L'operazione, per lui, avrebbe potuto essere imbarazzante se non fosse stato troppo istupidito per preoccuparsene, oppure divertente se fosse stato meno impersonale. E, naturalmente, se il guerriero biondo non fosse stato presente. Falkayn cercò di seguire con lo sguardo le varie curve della ragazza mentre lei lo maneggiava, ma il suo cervello si rifiutava di tenerle a fuoco.
— Bene. — Stepha indicò col pollice un fagotto su] pavimento. L'uomo biondo lo srotolò, rivelando degli indumenti ershok. Il tessuto era ruvido, i calzoni rinforzati con cuoio: un'uniforme da cavalleggero. Stepha cominciò a rivestire Falkayn. Il suo lavoro non era facile, per il modo in cui lui dondolava tra le braccia del tizio rosso di pelo.
Il torpore lo stava lasciando, tuttavia. Fece, quasi, per gridare. Ma l'addestramento alla prudenza, piuttosto che il buonsenso, lo fermarono; non avrebbe avuto alcuna possibilità di farcela. A ogni modo, le forze stavano rifluendo nei suoi muscoli, la stanza non vorticava più, e un attimo dopo gli affibbiarono la cintura e il pugnale...
Fu Stepha ad allacciarglieli. Falkayn avrebbe potuto estrarre il pugnale e conficcarglielo nella schiena, mentre era ancora piegata, lì, davanti a lui. Ma sarebbe stato uno spreco inammissibile. Barcollò, scivolando via di lato dalle mani del rosso. Sfiorò l'elsa del pugnale, le sue dita si strinsero, agguantò l'arma e pugnalò l'uomo sul petto.
Ah! Non c'era la lama, soltanto un moncone troncato, appena sufficiente a trattenere l'impugnatura sul fodero. Non c'era dubbio che l'ershok si fosse preso un bel colpo; indietreggiò, bisbigliando un'imprecazione. Falkayn, sempre barcollando, si incamminò verso l'uscita. Apri la bocca per urlare. Il biondo lo afferrò per le braccia, e Stepha afferrò lo straccio umido, quindi balzò in avanti come una tigre e glielo cacciò a forza in bocca.
Mentre lui si sentiva nuovamente andare a pezzi come in un vortice, vide il sorriso di Stepha e la udì mormorare con simpatia: — Bel tentativo. Sei un uomo di molte qualità. Comunque, l'avevamo previsto.
Si curvò ad afferrare le sue pistole. I raggi del sole giocarono fra le sue trecce. — Ehi! — il biondo esclamò. — Lascia stare quella roba!
— Ma, sono le sue armi, — disse Stepha. — Ti ho già detto quello che possono fare.
— Non sappiamo a quante altre cose possono servire, quale magia nera sia racchiusa in esse. Lasciale stare, ti dico.
Il rosso, sfregandosi le costole doloranti, fu d'accordo. Stepha sembrò sul punto di ribellarsi. Ma non c'era tempo per discutere. Sospirò e si alzò in piedi. — Mettete questa roba nell'armadio, allora, così penseranno che sia uscito. E andiamocene.
Falkayn, sorretto dai due uomini, uscì dalla stanza nel corridoio. Era troppo imbottito di droga per ricordare le ragioni di tutta quella confusione, e obbedì meccanicamente ai loro incitamenti. In quella zona residenziale del palazzo poca gente era in giro. Mentre discendevano le scale, passarono accanto al suo servitore che ritornava con un boccale dell'aspra e forte bevanda. L'ikranankano non lo riconobbe nella nuova uniforme. E nessun altro lo riconobbe nei corridoi sottostanti, più affollati. Un funzionario chiese che cosa fosse successo. — Si è ubriacato e si è allontanato dal suo posto, — spiegò Stepha. — Lo stiamo riportando in caserma.
— Vergognoso! — esclamò il burocrate. Davanti a tre ershok armati, assai suscettibili e per di più sobri, si astenne da altri commenti.
Qualche tempo dopo, Falkayn aveva riacquistato un briciolo di lucidità, e quindi si avvide che erano arrivati a una delle uscite sulle mura a nord. Alle loro spalle, la città era un panorama fitto di case. Una ventina di ershok, per la maggior parte uomini, li aspettava impaziente, in uniforme da battaglia. Quattro tirut, le sentinelle, giacevano al suolo legati, imbavagliati e indignati. Gli umani scivolarono fuori.
Il letto incassato dello Yajeh correva a ovest della città, le due sponde erano ricoperte di fogliame. L'acqua vi scorreva fragorosa. Qui, s'infilava anche la strada maestra dell'altopiano. Da ogni lato sì stendeva il deserto più totale, che s'innalzava rapidamente lungo dirupi, pendii scoscesi, distese brulle e rosseggianti di ossido ferrico, rese ancora più sanguigne, in alto verso le vette, dalla luce del sole. In quella natura selvatica, gli ershok scomparvero rapidamente dalla vista.
— Muoviti! — Il biondo strinse con violenza il braccio di Falkayn. — A quest'ora la droga ha cessato i suoi effetti.
— Uh-h-h, un po', — balbettò lui. A ogni scricchiolar di sasso riacquistava forza e chiarezza mentale. Non che ciò gli potesse servire granché, circondato com'era da quei briganti.
Qualche tempo dopo, s'imbatterono in un burrone. Una cinquantina di zandara pascolavano lì intorno, sorvegliati da due cavalieri ikranankani. Molti erano animali da soma, ma la maggior parte erano bestie da sella, fresche e riposate. L'intera banda balzò in arcione; Falkayn lo fece con cautela. I nativi puntarono nuovamente verso la città.
Stepha prese il comando. Continuarono a salire, finché non furono oltre i dirupi, sulle dune, dove niente viveva se non pochi grami cespugli. Alle loro spalle, e verso nord, si prolungava la striscia verde dello Yanjeh. La città risplendeva cupamente sotto di loro, e oltre ad essa il Chakora si stendeva piatto e fosco fino all'orizzonte. Ma il gruppo si diresse verso est, lanciandosi al galoppo.
No, non era certo la parola giusta! Lo zandara di Falkayn parti con un'accelerazione brutale che quasi lo strappò di sella. Conobbe un attimo di nausea, come se si fosse trovato in caduta libera, poi la sella e la sua mascella inferiore si sollevarono a colpirlo. Scivolò giù sulla destra. L'uomo al suo fianco riuscì a raggiungerlo e ad impedirgli di precipitare. Poi lo zandara balzò nuovamente in aria. Falkayn scivolò all'indietro. Si salvò afferrandosi al collo dell'animale. — Ehi! Vuoi strangolare la tua bestia? — gli gridò qualcuno.
— A... dire il vero... sì, — alitò a fatica Falkayn, tra un sobbalzo e l'altro.
Intorno a lui risplendevano gli elmetti, le cotte, le punte delle lance, gli scudi vistosamente ornati, e i mantelli che sbattevano al vento. S'innalzava nell'aria un clangore di metallo, lo scricchiolio del cuoio, il rullare degli zoccoli. Li circondava l'odore di muschio degli zandara e del sudore. La sabbia sottile si sollevava in una nuvola turbinante. Falkayn intravide per un attimo Stepha nel cuore dell'orda selvaggia. Quel giovane demonio stava ridendo.
Digrignò i denti. (La sua intenzione era solo quella di stringerli, ma aveva la bocca piena di sabbia). Se fosse riuscito a sopravvivere a quella corsa, in qualche modo avrebbe imparato la tecnica.
Un pezzettino alla volta, riuscì a risolvere il problema. Ci si alzava leggermente sulle staffe quando lo zandara scendeva, per ricevere l'urto con le ginocchia flesse. Si piegava ritmicamente il corpo, seguendo il passo dell'animale. Dopo aver creduto di essere degli atleti in gamba, si scopriva, con questi movimenti, di possedere muscoli della cui esistenza non ci si era mai accorti, i quali protestavano con la massima energia. La sofferenza fisica gli fece ben presto dimenticare qualunque indagine sul significato di quella fuga.
Poche volte si fermarono per riposare e dare il cambio alle cavalcature, e dopo un'eternità finalmente si accamparono. Ciò consistette semplicemente nell'ingoiare le razioni di cibo contenute nelle borse delle selle, assieme a un avaro sorso d'acqua dalle borracce. Poi piazzarono le sentinelle, e s'infilarono nei sacchi a pelo per dormire.
Falkayn non seppe per quanto tempo fosse rimasto in posizione orizzontale, quando Stepha lo svegliò. — Vattene, — borbottò, e si rintanò nuovamente in quel buio meraviglioso. Lei gli afferrò una manciata di capelli e tirò. Alla fine riuscì a trascinarlo a colazione.
Ora, tuttavia, la loro andatura si fece più rilassata, e alcuni dei dolori scomparvero da soli dai muscoli di Falkayn. Cominciò a osservare le cose. Il deserto stava diventando sempre più collinoso e un po' più fertile. Il sole alle sue spalle era più basso, le ombre si allungavano sterminate davanti a loro, verso le montagne di Sundhadarta, la cui massa azzurro-ardesia stava lentamente alzandosi sopra l'orlo del mondo. Gli ershok non erano più tesi, scherzavano, ridevano e cantavano alcune canzoni piuttosto sanguinolente.
Verso la fine della «giornata» di viaggio un cavaliere solitario insieme a pochi animali di ricambio li raggiunse. Falkayn sussultò: Hugh Padrick, per Satana! L'ershok lo salutò affabilmente con un cenno della mano, e raggiunse la testa della colonna per conferire con Stepha.
I due stavano ancora parlando quando fu piantato il secondo accampamento, in cima a una collina fra radi cespugli di un colore giallo vivace. Gli ershok non andarono a dormire, ma accesero dei piccoli falò e oziarono li intorno in piccoli gruppi. Falkayn lasciò che un altro uomo togliesse la sella alle sue bestie, impastoiandole e lasciandole libere di brucare. Lui si sedette a terra, corrucciato, ma quasi subito balzò nuovamente in piedi.
Un'ombra si era disegnata davanti a lui. Stepha era li, e lui fu costretto ad ammettere che era uno spettacolo bellissimo, grandioso, il corpo sodo, i lineamenti di una regina. Molto più abituata al freddo di quanto lo fosse lui, indossava soltanto un gonnellino e una corta camicia, il che riaccese ancora di più i suoi istinti.
— Vieni con noi, — lei lo invitò.
— Posso scegliere? — Falkayn rispose, con voce roca.
I suoi occhi grigi lo fissarono con improvvisa gravità. Allungò la mano a sfiorarlo, quasi timorosa. — Mi dispiace, David. Non è stato il modo giusto di trattarti. E non soltanto dopo quello che hai fatto per me. No, hai tutti i diritti di migliorare la tua posizione. Vuoi che ti spieghi?
La segui, molto meno a malincuore, in realtà, di quanto apparisse, fino a un falò dove Padrick sedeva arrostendo della carne con uno stecco. — Ehi, — lo salutò l'ershok. Un sorriso lampeggiò nella sua barba sudicia. — Spero che la cavalcata ti sia piaciuta.
— Che cosa è successo a Adzel? — Chiese Falkayn.
— Non lo so. L'ultima volta che l'ho visto era diretto al palazzo, ubriaco come un barile di birra. Ho pensato che fosse meglio, per me, uscire dalla città prima che cominciasse la baraonda, perciò sono tornato al lago Urshi dove avevo nascosto i miei animali, e vi ho seguiti. Ho visto la vostra polvere da molto lontano. — Padrick sollevò una borraccia di cuoio: — Ho portato qualcosa da bere.
— Pensi che io sia disposto a bere con te, dopo...
— David, — lo pregò Stepha. — Ascolta quel che abbiamo da dirti. Non credo che il tuo grosso amico possa avere incontrato guai seri. Non oseranno fargli del male, fino a quando quella piccolina ha ancora la vostra nave in mano. Oppure, Jadhadi potrebbe decidere immediatamente che sei stato rapito, invece di essertene andato di tua spontanea volontà.
— Ne dubito, — replicò Falkayn. — Un galattico potrebbe anche pensarlo, ma questi ikranankani vedono una congiura sotto ogni letto.
— Anche noi abbiamo creato un problema per i nostri compagni della Casa di Ferro, — gli ricordò Stepha. — Potrebbero venire ai ferri corti con le facce a becco. I nervi sono già tesi da tutt'e due le parti.
— È un modo maledettamente diabolico di amministrare una fratria, — dichiarò Falkayn.
— No! Noi stiamo lavorando per il loro bene. Soltanto, ora devi ascoltarci.
Stepha gl'indico una coperta da sella distesa per terra. Falkayn si arrese e si accovacciò al suolo, alla maniera romana. La ragazza si sedette accanto a lui. Sul lato opposto del falò, Padrick ridacchiò comprensivo: — La cena arriverà subito, — promise. — Che ne dici di quella bevuta? ...
— Oh, al diavolo, va bene! — gorgogliò Falkayn. Quel liquido termonucleare gli bruciò via alcuni dolori e smussò le sue preoccupazioni a proposito di Adzel.
— Voi siete quelli di Bobert Thorn, non è vero? — Chiese.
— Lo siamo adesso, — dichiarò Stepha. — All'inizio, c'ero soltanto io. Vedi, Thorn manda fuori continuamente delle spie, degli ikranankani. Se devono essere conquistati, i rangakorani preferiscono gli ershok ai deodakh; sembra che con noi si vada più d'accordo. Perciò alcune delle loro unità combattono al nostro fianco. Poi ci sono i mercanti, e... A ogni modo, non è affatto difficile per qualcuno sgusciar fuori e mescolarsi con gli assedianti, affermando di essere un mercante degli altopiani venuto fin li a vedere se poteva smerciare qualcosa. O qualche scusa analoga.
Servizio segreto che non vale una cicca, rifletté Falkayn. Come mai, con una razza così pronta a sospettare un brigante in chiunque non fosse un parente?... Be', sì, un simile spirito di clan spiegava la mediocrità dei collegamenti tra le varie famiglie reggimentali. Il che favoriva, se non lo spionaggio, quanto meno un'intensa raccolta di informazioni.
— Anche il popolo di Jadhadi ha avuto sentore del vostro arrivo, — continuò Stepha. — Immagino che egli abbia messo sull'allerta i suoi ufficiali superiori, e che qualcuno poi abbia chiacchierato. — Falkayn immaginò benissimo quant'era accaduto: un tirut o uno yandaji che, ricevuto l'ordine tassativo da un deodakh di mantenere un segreto verso i suoi parenti del segreto, s'arrabbiava e vuotava il sacco, per questione di principio. — Qualche voce vaga e spaventevole è filtrata giù fino alla truppa. Ma anche le nostre spie l'hanno captata. Non sapevamo che cosa significasse tutto questo, e dovevamo scoprirlo. Sono sgattaiolata via nel crepuscolo, ho rubato un paio di zandara e sono fuggita. Ma una pattuglia mi ha intercettato nelle vicinanze di Haijakata. Il mio destriero di ricambio è stato colpito da una freccia. Mi ero vista morta, ormai. — Scoppiò a ridere e scompigliò i capelli di Falkayn. — Ti ringrazio ancora, David.
— E naturalmente, quando ci hai sondati e hai appreso che eravamo dalla parte di Jadhadi, hai finto di esserlo anche tu, — egli annui, soprattutto per poter sfregare la testa contro il palmo di lei. — Ma perché hai corso il rischio di ritornare a Katandara con noi?
— Dovevo pur fare qualcosa, no? Tu intendevi liquidarci. Non sapevo che cosa avrei potuto combinare, ma immaginai che dovevano esserci molte persone desiderose anch'esse di andare a Rangakora. E alla Casa di Ferro, nessuno, ne ero convinta, mi avrebbe denunciata agli ikranankani. — Stepha sorrise maliziosamente. — Oh, il vecchio Harry Smit era furioso! Avrebbe voluto trascinarmi davanti alla corte marziale. Troppi si sono opposti. Si è limitato allora a consegnarmi in caserma, in attesa di trovare una soluzione a tutto il pasticcio. Ma è stato un errore. Stavo lì, e parlavo tutte le volte che non c'era lui intorno. E sapevo anche con chi parlare... vecchi amici e amanti che conoscevo bene.
— Uh? — esclamò Falkayn. Padrick ebbe un aspetto ringalluzzito.
— Così abbiamo complottato, — prosegui Stepha. — Abbiamo aspettato l'occasione giusta. Hugh ha assoldato un paio dei suoi amici nella Città Vecchia affinché comperassero animali e provviste e li custodissero, per il momento opportuno. La nostra banda è ben fornita di denaro. Poi Padrick ha fatto la tua conoscenza. Era chiaro che non saremmo mai riusciti a strapparti da Adzel. Se tu fossi uscito insieme con Hugh, la cosa sarebbe stata più semplice. Ma quando hai fatto andare prima Adzel, abbiamo pensato che non c'era più tempo da perdere. Uno alla volta, i nostri hanno trovato delle scuse per andarsene a passeggio in città. Owen e Ross mi hanno fatto entrare di nascosto dal retro. Abbiamo puntato verso la tua stanza. Un brutto colpo, quando non ti abbiamo trovato! Ma dovevi essere andato in udienza dall'Imperatore, perciò abbiamo aspettato e sperato. Siamo felici di averlo fatto.
Falkayn tracannò un'altra confortevole sorsata, si girò su un gomito e fissò severamente la ragazza: — E perché, questa assurda bravata?
— Per impedirti di aiutare Jadhadi, — replicò Padrick. — E, forse, perfino per ottenere che tu aiuti noi. Dopotutto, siamo uomini, come te.
— Anche gli ershok laggiù a Katandara.
— Ma noi stiamo facendo tutto questo anche per loro, — insistè Stepha. — Perché mai la nostra fratria dev'essere formata da mercenari, vivendo sotto leggi e costumi che non sono mai stati intesi per loro, quando potrebbero avere un paese tutto per sé?
— Un paese migliore di quello che ci siamo lasciati alle spalle, in ogni modo, — aggiunse Padrick.
— Questo, appunto, è quel che dice Bobert Thorn, — fu d'accordo Stepha. — Lui sperava che tutti gli ershok avrebbero abbandonato Jadhadi e si sarebbero uniti a lui, non appena avessero saputo I ciò che aveva fatto. Sappiamo che sarà arduo, passare attraverso l'esercito imperiale. Ci saranno dei morti. Ma si può fare... — La sua I voce si alzò di tono. — E ne sarà valso il prezzo!
— È probabile che col mio rapimento abbiate spinto le cose al punto che agli ershok non resti altra scelta, — fu d'accordo Falkayn, in tono amaro. — E per che cosa? Non ti avevo detto che vi avremmo riportati tutti sulla Terra?
Stepha spalancò gli occhi, portandosi la mano alla bocca: — Oh, me ne sono scordata!
— Troppo tardi, adesso, — disse ridendo Padrick. — Inoltre, ci vuole del tempo per andare a prendere le vostre navi, non è vero, David? E nel frattempo, che cosa succederà a Rangakora? E poi... non sono sicuro di volermene andare. Il modo di comportarsi dei terrestri potrebbe essere troppo diverso, peggiore perfino di quello dei katandarani.
— Benissimo, — replicò Falkayn. — Fino a questo punto ci siete riusciti. Avete provocato disordini nella capitale. Avete impedito alla nostra nave d'intervenire, fino a quando i miei compagni non scopriranno che cosa mi è successo. Avete innalzato una barriera tra noi e Jadhadi. Ma non crediate che noi siamo disposti a fare per voi la parte sporca del lavoro.
— Vorrei tanto che lo faceste, però, — disse Stepha, accarezzandogli le guance.
— Ora piantala con questa storia, ragazza! Io sono venuto qui a corteggiare il cesarismo, non a spazzarlo via.
— Non importa, — replicò Padrick. — Fino a quando la tua... uhm... nave tiene lontane le mani... — Falkayn ebbe una rapida, allucinante visione del Muddlin' Through con un paio di mani. — ... riusciremo a farcela. E certamente la nave non interverrà, finché tu resterai con noi.
— A meno che non mi salvi buttando giù le vostre dannate mura.
— Ci provino, — esclamò Padrick, — e ti ritroveranno in due pezzi. Glielo faremo sapere alla prima occasione. — Non ebbe neppure la decenza di sembrare triste.
— Che peccato, — tubò Stepha. — Non abbiamo neppure cominciato a fare amicizia, David.
— La carne è cotta, — annunciò Padrick.
Falkayn si rassegnò. Non intendeva restarsene con le mani in mano più del necessario. Tuttavia, il cibo, le bevande e una donna graziosa costituivano una situazione che egli era in grado di accettare con una calma che avrebbe formato l'orgoglio di Adzel. (Adzel, vecchio babbeo scaglioso, sei salvo? Sì, devi esserlo. Bastava soltanto che ti mettessi in contatto con Chee, gridando aiuto.) La conversazione durante la cena fu amichevole e animata. L'unica manchevolezza fu che, fin troppo presto, insistettero per interrompere la festa e andarono tutti a dormire, in vista della prossima tappa. Che malinconia!
Il suo orologio era rimasto al palazzo, con tutto il resto, ma da quanto intuiva, gli ershok avevano un senso del tempo assai sviluppato. Gli antichi cicli della Terra li governavano ancora. Un'ora per prepararsi al viaggio, sedici ore di marcia con brevi intervalli, un'ora per accamparsi e rilassarsi, sei ore di sonno. Non che ci fosse molto da temere, in quella terra desolata.
Ma il paesaggio divenne sempre più verde man mano il sole sprofondava verso l'orizzonte, finché non comparvero anche i pendii delle colline pedemontane di Sundhadarta, ricoperti da una vegetazione simile al muschio, ruscelli gorgoglianti e foreste di steli piumati ondeggianti al vento. Per qualche ora, un gruppo di nuvole d'un abbagliante colore dorato si ammassò nel cielo a settentrione. A oriente le montagne s'innalzavano con le loro pareti a picco, fosforescenti sullo sfondo dell'uniforme luce rossa. Ora Falkayn distingueva picchi e ghiacciai. Sopra di essi il cielo esplodeva in un trionfo color porpora, che sfumava verso il nero, nel quale scintillavano una cinquantina fra stelle e pianeti. Erano ai bordi della Zona del Crepuscolo.
Non soltanto l'atmosfera diffondeva abbastanza luce, creando una fascia di penombra; ma Ikrananka seguiva un'orbita piuttosto eccentrica, perciò mostrava vistosi fenomeni di librazione. Il crepuscolo si spostava continuamente avanti e indietro attraverso quelle terre, al ritmo annuale di settantadue giorni. In quel periodo il crepuscolo era scivolato indietro e il sole risplendeva sfiorando appena le creste dentellate. I versanti montagnosi riflettevano un'alta percentuale di calore, e a quell'altitudine filtrava una tale quantità d'infrarosso che la regione era, in effetti, più calda di Katandara. Le precipitazioni nevose stavano sciogliendosi e i torrenti precipitavano spumeggiando dai dirupi. Ora Falkayn capì come mai Rangakora riempisse i sogni proibiti di tanta gente.
Calcolò che il gruppo avesse viaggiato per cinque giorni terrestri, percorrendo circa quattrocento chilometri, quando svoltarono a Sud, verso l'estremità orientale del Chakora. Una gigantesca dorsale di roccia s'innalzò davanti a loro e dovettero scalarla, su verso il cono nevoso di Monte Gundra. Falkayn si era ormai abituato alla sella, e lasciò al suo zandara il compito di destreggiarsi, mentre egli ammirava il formidabile panorama e riandava col ricordo all'ultima riunione intorno al falò. Padrick si era allontanato con un'altra ragazza, lasciando soli lui e Stepha. Be', non esattamente soli, non c'era intimità con tutta quella gente sparpagliata lì intorno, ma nondimeno, rifletté, la sua prigionia presentava anche degli aspetti vantaggiosi...
Aggirarono un precipizio e Rangakora comparve sopra di loro,
La città sorgeva su un piccolo pianoro, in traverso a un valico nella catena di monti. Da essa, una specie di strada serpeggiava verso il cielo e scendeva invece a precipizio, da quest'altra parte, verso l'antico fondo marino. Questo scintillava nebbioso, paludoso, diffondendo un'intensa luminosità verde-oro. Un fiume scorreva vicino alla cinta muraria. Per la maggior parte era celato dalla foresta, ma sopra Rangakora balzava giù da uno strapiombo, tuonando, cingendosi di arcobaleni. Falkayn trattenne il fiato.
Gli ershok si arrestarono, stringendo le fila. Portarono gli scudi al braccio, impugnarono le sciabole e gli archi, e misero le lance in resta. Falkayn si rese conto, con un sussulto, che quello non era il momento migliore per contemplare il panorama.
La vegetazione sull'altopiano era calpestata. I falò di un accampamento fumavano intorno alle mura irregolari della città, le tende si aggruppavano qua e là e su di esse sventolavano gli stendardi. Minuscoli a quella distanza, gli uomini di Jadhadi stavano a gruppi dinanzi alla preda dalla quale erano stati esclusi.
— Ci precipiteremo al galoppo, — disse Padrick. Il rombo del vento e della cascata si frammischiò alle sue parole. — Quelli di Thorn ci vedranno e faranno una sortita per raccoglierci e portarci dentro.
Stepha affiancò col suo animale quello di Falkayn. — Non voglio che ti venga l'idea di scappar via di corsa, o di arrenderti agli altri, — gli disse, sorridendo dolcemente.
— Oh, all'inferno, — esclamò Falkayn, che stava appunto covando quell'idea.
Lei annodò una corda alla briglia del suo zandara, legando l'altra estremità alla propria sella. Un'altra ragazza gli legò la caviglia destra alla staffa. Gli avevano spesso parlato del valore morale e psicologico della dedizione assoluta, ma questo gli sembrò un po' eccessivo.
— Formazione da battaglia! — gridò Padrick. Fece roteare la spada. — Carica!
Le bestie balzarono in avanti. Un rombo scandito di tamburi indicò che gli avamposti imperiali erano in allarme. Uno squadrone di cavalleria si schierò in formazione e si lanciò a briglia sciolta contro di loro, per intercettarli. Le loro lance lampeggiavano in modo insostenibile.