DELLA VITA DI LIESEL MEMINGER

Girò sui tacchi, spingendo lo sguardo più lontano che poté lungo quel canale sconvolto

che un tempo era la Himmelstrasse.

Scorse due uomini trasportare un cadavere e li seguì.

Quando vide gli altri, Liesel tossì. Per un attimo ascoltò un uomo dire ai compagni che avevano trovato uno dei corpi a pezzi sui rami di un acero.

C'erano pigiama scomposti e volti straziati. La prima cosa che notò furono i capelli del ragazzo.

Rudy?

Poi fece di più che articolare la parola con le labbra. «Rudy?»

Giaceva lì, con gli occhi chiusi, e la ladra di libri corse verso di lui e gli si lasciò cadere accanto. Gettò via il libro nero. «Rudy», singhiozzò,

«svegliati...» Lo afferrò per la camicia, con il più lieve, incredulo degli scossoni. «Svegliati, Rudy...» e mentre il cielo continuava a scaldarsi e a far piovere cenere, Liesel stringeva la camicia di Rudy Steiner.

«Rudy, ti prego.»

Le lacrime si inseguivano sul suo viso. «Rudy, per favore, svegliati, dannazione, svegliati, ti amo. Su, Rudy, coraggio, Jesse Owens, non lo sai che ti amo, svegliati, svegliati, svegliati...» Non servì a nulla.

Le macerie erano sempre più alte. Colline di cemento coronate di rosso. Una bella ragazza in lacrime scuoteva il capo. «Forza, Jesse Owens...» Ma il ragazzo era morto. No, Rudy, tu non sei morto. Il ragazzo era morto.

Incredula, Liesel affondò il viso nel petto di Rudy. Afferrò il suo corpo inerte, tentando di impedire che tornasse ad afflosciarsi, finché dovette lasciarlo cadere sul pavimento devastato, con dolcezza.

Piano piano.

«Dio mio, Rudy...»

Si chinò sul volto senza vita. Poi Liesel baciò il suo migliore amico, Rudy Steiner, sulle labbra, con tenerezza e disperazione. La sua bocca aveva un sapore dolce, di polvere. Il sapore di un rimpianto all'ombra degli alberi e nello splendore della collezione di abiti dell'anarchico. Lo baciò a lungo, dolcemente, e quando si ritrasse gli sfiorò le labbra con le dita. Le mani le tremavano. Si chinò ancora una volta, ma le lacrime le ingannarono la vista. I suoi denti si scontrarono con quelli del ragazzo, nella devastazione della Himmelstrasse.

Non disse addio a Rudy. Non ne fu capace. Rimase qualche altro minuto accanto a lui, poi finalmente riuscì a strapparsi da terra. Mi meraviglia sempre la forza degli esseri umani, che riescono a rialzarsi, seppure barcollando, persino quando fiumi di lacrime inondano i loro volti.

*** LA SCOPERTA SUCCESSIVA ***

I corpi di Mamma e Papà, che giacevano raggomitolati sul lenzuolo di ghiaia della Himmelstrasse.

Liesel non corse via, né camminò. Non si mosse affatto. Soltanto i suoi occhi erravano sui corpi stesi sulla strada. A un tratto si fermarono, confusi, quando scorsero l'uomo alto e la donna tozza come un armadio.

Quella è la mia mamma. Quello è il mio papà. Era come se le inchiodassero quelle parole addosso.

Rimase immobile.

«Non si muovono», mormorò. «Non si muovono.»

Forse se fosse rimasta ferma abbastanza a lungo sarebbero stati loro a venire da lei, ma rimasero immobili quanto Liesel. In quel momento notai che era scalza. Che cosa strana da notare, in un momento come quello. Probabilmente tentavo di evitare di guardarla in volto, perché la ladra di libri era in preda a uno sconcerto indicibile.

Fece un passo e non voleva farne altri, ma li fece. Liesel avanzò lentamente verso Mamma e Papà, poi si sedette in mezzo a loro. Strinse la mano di Mamma e le parlò. «Ricordi quando sono arrivata da voi, Mamma? Mi sono aggrappata al cancello. Piangevo. Ricordi che cosa dicesti quel giorno a tutti i curiosi che ci guardavano?» Adesso la voce le tremava. «Hai detto: Che cosa avete da guardare, stronzi? Gesù, Giuseppe e Maria, Mamma, mi mancherai.» Guardò la mano di Mamma, sfiorandone il palmo di cartone. «Mamma, lo so che tu... Mi è piaciuto quando sei venuta a scuola a dirmi che Max si era svegliato. Lo sai che ti ho vista con la fisarmonica di Papà?» Strinse più forte la mano che s'irrigidiva. «Sono venuta a guardarti, ed eri bella. Eri bella davvero, Mamma.»

*** ALCUNI ISTANTI DI ESITAZIONE ***

Papà. Non voleva, non poteva guardare Papà.

Non ancora.

Non adesso.

Papà era un uomo dagli occhi d'argento, non dagli occhi morti.

Papà era una fisarmonica!

Il suo mantice, però, era vuoto.

Nulla ne entrava e nulla ne usciva.

Liesel cominciò a scuotersi violentemente. Da qualche parte, in bocca, le era rimasta imprigionata una nota acuta, quieta, strisciante, finché non riuscì a voltarsi verso Papà.

In quel momento non potei farne a meno. Mi avvicinai per vedere meglio, e quando osservai nuovamente il volto di Liesel seppi che era lui che amava di più. La sua espressione colpì l'uomo in piena faccia, seguendone una delle rughe che gli scendevano lungo la guancia. Si era seduto in bagno con lei, insegnandole ad arrotolare una sigaretta. Aveva dato pane a un uomo morto nella Münchenstrasse e aveva detto alla ragazza di continuare a leggere nel rifugio antiaereo. Forse, se non l'avesse fatto, lei non sarebbe finita a scrivere in cantina.

Papà - il suonatore di fisarmonica - e la Himmelstrasse.

L'uno non esisteva senza l'altra, perché per Liesel erano entrambi casa. Sì, era ciò che Hans Hubermann era per Liesel Meminger.

Si voltò e chiese all'uomo dell'LSE: «Per favore, la fisarmonica di Papà. Mi potrebbe portare la fisarmonica di Papà?»

Dopo qualche momento di confusione, un soccorritore più anziano portò la custodia fracassata e Liesel l'aprì. Ne trasse fuori lo strumento rovinato, posandolo accanto al corpo di Papà. «Ecco, Papà.»

Posso garantirti una cosa, perché la vidi molti anni più tardi - una visione della stessa ladra di libri - che quando s'inginocchiò presso Hans Hubermann lo vide alzarsi e suonare la fisarmonica. Si levò in piedi, se ne infilò le cinghie fra montagne di case distrutte, con occhi d'argento e una sigaretta appesa al labbro. Fece persino uno sbaglio e ne rise allegramente, con il senno di poi. Il mantice soffiava e l'uomo alto suonò l'ultima volta per Liesel Meminger, mentre il fuoco del cielo pian piano veniva spento.

Suona, Papà.

Papà si fermò.

Lasciò cadere la fisarmonica e i suoi occhi d'argento continuarono ad arrugginirsi. Ora non c'era altro che un corpo sul terreno, e Liesel lo sollevò e lo abbracciò. Pianse sulla spalla di Hans Hubermann.

«Addio, Papà. Mi hai salvata, mi hai insegnato a leggere. Nessuno sa suonare come te, e non berrò mai più champagne. Nessuno sa suonare come te.»

Le sue braccia lo stringevano forte. Gli baciò una spalla non poteva più tollerare di guardarlo in viso - e lo riadagiò nuovamente.

La ladra di libri pianse finché non la portarono via con dolcezza.

Più tardi si ricordarono della fisarmonica, ma nessuno fece caso al libro.

C'era molto lavoro da fare e, con una quantità di altro materiale, La ladra di libri fu calpestato parecchie volte e infine raccolto senza neppure uno sguardo, e gettato su un camion della spazzatura. Prima che l'autocarro partisse, mi arrampicai in fretta sul veicolo e lo presi in mano...

È una fortuna che mi trovassi lì.

Ma poi, chi piglio in giro? Mi trovo almeno una volta in moltissimi luoghi, e nel 1943 ero praticamente dovunque.