SUSCETTIBILE DI FUTURI SVILUPPI

Ora Rudy era riconosciuto non solo come un bravo studente, ma anche come un forte atleta.

A Liesel toccò la gara dei 400 metri. Si piazzò settima, poi quarta nella sua batteria dei 200. Tutto ciò che riusciva a vedere davanti a sé erano i tendini e le code di cavallo svolazzanti delle ragazze nelle posizioni avanzate. Nel salto in lungo si godette la sabbia intorno ai piedi più che far registrare distanze, e neppure il lancio del peso fu un momento di gloria per lei. Quella, si disse, era la giornata di Rudy.

Nella finale dei 400 metri quest'ultimo fu in testa dalla partenza all'arrivo, ma vinse i 200 solo di stretta misura.

«Sei stanco?» gli chiese Liesel. Si era ormai nel primo pomeriggio.

«Certo che no.» Rudy ansimava forte e tendeva i muscoli dei polpacci. «Che cosa dici, Saumensch? Che diavolo ne sai, tu?»

Quando fu chiamata la batteria dei 100 metri, si alzò lentamente, seguendo la fila di giovani in direzione della pista. Stavolta fu Liesel a cercarlo. «Ehi, Rudy.» Gli tirò una manica della camicia. «Buona fortuna.»

«Non sono mica stanco», rispose lui.

«Lo so.»

Le strizzò l'occhio. Era stanco.

Nella sua batteria Rudy rallentò per arrivare secondo, e, dopo dieci minuti di altre corse, furono chiamati i finalisti. C'erano altri due ragazzi molto forti, e Liesel sentiva una strana sensazione nel ventre: Rudy non avrebbe vinto. Accanto a lei c'era Tommy Müller, che nella sua batteria era arrivato penultimo. «Vincerà Rudy», la informò.

«Lo so.»

No, non avrebbe vinto.

Quando i finalisti raggiunsero la linea di partenza, Rudy si buttò in ginocchio e si mise a scavare con le mani due buche per lo scatto iniziale. Subito arrivò un uomo mezzo calvo in camicia bruna a dirgli di smetterla. Liesel osservò il suo dito autoritario, e il terriccio che cadeva dalle mani di Rudy.

Al momento della partenza, la ragazza si strinse più forte al recinto.

Ci fu una falsa partenza, e la pistola dovette sparare di nuovo: era stato Rudy. Il gerarca lo rimproverò e il ragazzo annuì: se lo avesse fatto un'altra volta, sarebbe stato squalificato.

Al secondo tentativo Liesel si concentrò ancora di più, e per qualche secondo non poté credere ai propri occhi: un'altra falsa partenza, e ne era responsabile il medesimo atleta. Aveva immaginato una corsa perfetta, nella quale Rudy, dapprima in difficoltà, sarebbe riuscito a passare in testa negli ultimi dieci metri.

In realtà assistette alla squalifica dell'amico. Venne scortato a lato della pista e abbandonato lì, solo, mentre gli altri ragazzi si preparavano ancora una volta.

Si allinearono e partirono.

Un ragazzo dai capelli rosso ruggine vinse con almeno cinque metri di vantaggio dal secondo. Rudy restò immobile.

Più tardi, quando la giornata si concluse e il sole lasciò la Himmelstrasse, Liesel sedette sul marciapiede in compagnia del suo amico.

Parlarono di tutto, dalla faccia di Franz Deutscher dopo i 1500 metri a una delle ragazze di undici anni che aveva fatto i capricci dopo avere perso la gara del lancio del disco.

Prima che si avviassero ognuno verso casa propria, la voce di Rudy si levò a dirle la verità. Per un attimo le indugiò sulla spalla, ma pochi istanti dopo le giunse all'orecchio.

*** VOCE DI RUDY ** *

«L'ho fatto apposta.»

Quando intese la confessione, Liesel gli fece l'unica domanda possibile: «Perché, Rudy? Perché l'hai fatto?»

Lui si teneva una mano su un fianco, senza rispondere: nient'altro che un sorriso eloquente mentre ciondolava a passo lento verso casa.

Non ne parlarono mai più.

Liesel si domandò spesso quale sarebbe stata la risposta di Rudy, se avesse insistito nel chiedergli spiegazioni. Forse con tre medaglie aveva già dimostrato ciò che voleva dimostrare, oppure temeva di perdere quell'ultima gara. Alla fine, l'unica spiegazione che le parve plausibile fu: «Perché non è Jesse Owens».

Solo quando si alzò per rincasare notò, a terra accanto a lei, le tre medaglie di similoro. Bussò alla porta degli Steiner e le porse all'amico.

«Hai dimenticato queste.»

«No, non le ho dimenticate.» Rudy chiuse la porta e Liesel tornò a casa con le medaglie. Scese in cantina tenendole in mano, e raccontò a Max del suo amico Rudy Steiner.

«È davvero uno stupido», concluse.

Max fu d'accordo: «Certo». Dubito, però, che si fosse lasciato ingannare.

Si misero quindi al lavoro, Max con l'album dei disegni, Liesel con Colui che porta i sogni. Era ormai alle ultime pagine del romanzo, in cui il giovane prete dubitava della propria fede dopo avere incontrato una donna elegante e strana.

Quando si posò sulle ginocchia il volume capovolto, Max chiese quando pensasse di finirlo.

«Al più tardi fra qualche giorno.»

«E poi uno nuovo?»

La ladra di libri osservava il soffitto dello scantinato. «Forse sì, Max.»

Chiuse il libro e si appoggiò al muro. «Se avrò fortuna.»

*** IL LIBRO SUCCESSIVO ***

Non fu Il Vocabolario completo e Thesaurus Duden, come forse avevi immaginato.

No, il vocabolario arrivò al termine di questa piccola trilogia, e siamo solo alla seconda puntata. Questa è la parte in cui Liesel conclude Colui che porta i sogni e ruba un romanzo intitolato Un canto nell’oscurità. Come sempre, fu sottratto dalla casa del sindaco; l'unica differenza fu che andò sola nella parte alta della città. Quel giorno Rudy non c'era.

Era una mattinata piena di sole e di nubi vaporose.

Liesel si trovava nella biblioteca del sindaco, con dita avide e titoli di libri sulle labbra. Quella volta era piacevole far scorrere le dita sugli scaffali - una breve ripetizione della sua prima visita in quella stanza - e sussurrava qualche titolo mentre li accarezzava.

Sotto il ciliegio.

Il decimo tenente.

Com'era tipico, molti titoli la tentavano, ma dopo un buon minuto o due nella stanza si decise per Un canto nell’oscurità, soprattutto perché il libro era verde, e di quel colore non ne aveva ancora. La scritta impressa sulla copertina era bianca, e fra il titolo e il nome dell'autore c'era il minuscolo simbolo di un flauto. Si arrampicò sulla finestra con quel libro, ringraziando mentre tagliava la corda.

Senza Rudy avvertiva un grosso vuoto, ma per qualche ragione quel particolare mattino la ladra di libri era più soddisfatta da sola. Si mise al lavoro, leggendo il libro presso l'Amper, non lungi dall'improvvisato covo di Viktor Chemmel e della precedente banda di Arthur Berg. Non venne nessuno, nessuno la disturbò, e Liesel lesse quattro dei brevissimi capitoli di Un canto nell’oscurità, ed era felice.

Contentezza e soddisfazione, per un buon furto.

Una settimana dopo la trilogia della felicità fu completa.

In quegli ultimi giorni di agosto arrivò un dono, o, all'atto pratico, fu annunciato.

Era tardo pomeriggio. Liesel guardava Kristina Müller saltare la corda nella Himmelstrasse. Rudy Steiner frenò sbandando davanti a lei, sulla bicicletta di suo fratello. «Hai tempo?» chiese.

Lei alzò le spalle. «Per che cosa?»

«Credo che faresti meglio a venire.» Depose la bicicletta e ne portò un'altra da casa. Liesel guardava i pedali ruotare davanti a lei.

Andarono su nella Grandestrasse, dove Rudy si fermò e attese.

«Bene», disse Liesel, «che c'è?»

«Guarda più da vicino», rispose Rudy, indicando con il dito.

Pian piano si portarono in una posizione più favorevole, dietro un abete bianco. Attraverso i suoi rami fitti di aghi, Liesel notò la finestra chiusa e l'oggetto appoggiato al vetro.

«È un?...»

Rudy annuì.

Ne discussero per parecchi minuti, prima di convenire che bisognava farlo. Era stato ovviamente collocato lì apposta, ma, se era una trappola, ne valeva la pena.

Liesel disse, attraverso i rami azzurrognoli: «Un ladro di libri dovrebbe farlo».

Depose in terra la bicicletta, scrutò la via e attraversò il cortile. Le ombre delle nubi erano sepolte fra l'erba scura. C'erano buche in cui cadere, o altre chiazze d'oscurità in cui nascondersi? Immaginò di scivolare in una di quelle buche, nei malvagi artigli del sindaco in persona. Se non altro, quei pensieri la distrassero, e si ritrovò sotto la finestra prima ancora di quanto sperasse.

Era tutto come se fosse di nuovo L’uomo che fischietta.

I nervi le facevano solletico ai palmi delle mani.

Un po' di sudore le si allargava sotto le braccia.

Quando alzò il capo, riuscì a leggere il titolo: Il Vocabolario completo e Thesaurus Duden. Si volse in fretta verso Rudy, sussurrando le parole: è un vocabolario. Lui scosse le spalle, sollevando le braccia.

Liesel lavorò metodicamente, tirando pian piano su il vetro della finestra e domandandosi come potesse apparire tutto ciò visto dall'interno della casa. Immaginò la propria mano tendersi furtiva, facendo risalire il vetro finché il libro non veniva fatto cadere. Parve cedere lentamente, come un albero che cade.

Preso.

A malapena un rumore, un suono.

Il libro si piegò semplicemente verso di lei, che lo colse con la mano libera. Richiuse persino la finestra, piano e con garbo, poi si volse e tornò indietro, in mezzo a buche di nuvole.

«Bello», disse Rudy, porgendole la bicicletta.

«Grazie.»

Svoltavano l'angolo, quando fu colta dal pensiero di quanto importante fosse quel giorno. Liesel lo sapeva: ancora quella sensazione di essere osservata. Una voce che pedalava dentro di lei. Due giri: guarda la finestra, guarda la finestra.

Si sentiva quasi obbligata a farlo.

Come un prurito reclama un'unghia che lo gratti, provava un intenso desiderio di fermarsi.

Posò a terra un piede, volse il viso verso la casa del sindaco e la finestra della biblioteca, e vide. Certo, avrebbe dovuto saperlo che sarebbe accaduto, ma non poté egualmente nascondere che le mancò il respiro scorgendo, dietro i vetri, la moglie del sindaco. Trasparente, ma c'era. I suoi capelli erano arruffati come sempre, e il suo sguardo, la sua bocca, la sua espressione di sofferenza parevano sporgersi a guardare.

Con grande lentezza sollevò un braccio in direzione della ladra di libri, giù in strada. Un immobile cenno di saluto, In stato di choc, Liesel non disse nulla, né a Rudy né a se stessa. Si limitò a posarsi il libro in grembo e a levare una mano, per ricambiare la moglie del sindaco alla finestra.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 2

Verzeihung - perdono: cessare di provare collera, ostilità o risentimento.

Termini correlati: assoluzione, remissione, grazia.

Sulla strada di casa si fermarono al ponte per esaminare il pesante volume nero. Quando Rudy ne fece scorrere le pagine, ci trovò dentro una lettera. La prese, levando lentamente lo sguardo sulla ladra di libri.

«C'è il tuo nome.»

Il fiume scorreva.

Liesel prese il foglio di carta.

*** LETTERA ***

Cara Liesel, so che mi giudicherai patetica (se non la conosci, cerca questa parola sul vocabolario), ma debbo dirti che non sono tanto stupida da non accorgermi delle impronte dei tuoi piedi in biblioteca.

Quando notai la mancanza del primo libro, pensai di averlo soltanto messo nel posto sbagliato, ma poi, in certi punti meglio illuminati, scorsi tracce di piedi sul pavimento.

Mi fecero sorridere.

Fui lieta che avessi preso ciò che era tuo di diritto.

Poi commisi l'errore di credere che sarebbe stato il primo e ultimo furto.

Quando tornasti sarei dovuta andare in collera, ma non lo feci.

L'ultima volta che sei venuta qui ti ho udita entrare, ma ho deciso di lasciarti in pace.

Hai preso un libro solo, e ci vorranno migliaia di visite prima che tu riesca a portarli via tutti.

La mia unica speranza è che un giorno busserai alla mia porta ed entrerai nella biblioteca in modo più civile.

Ancora una volta, sono spiacente che non ci sia stato possibile continuare a dare lavoro alla tua mamma adottiva.

In ultimo, spero che questo vocabolario e thesaurus ti sia utile mentre leggi i libri che hai rubato.

Sinceramente,

Lisa Hermann

«Meglio andare a casa», suggerì Rudy, ma Liesel non si mosse.

«Puoi aspettarmi qui dieci minuti?» «Ma certo.»

Liesel arrancò fino al numero 8 della Grandestrasse ed entrò nel familiare vestibolo. Il libro era rimasto con Rudy, ma stringeva in mano la lettera e strofinava le dita sulla carta ripiegata. Mentre saliva i gradini, diventava sempre più pesante. Quattro volte tentò di bussare alla temuta superficie della porta, ma non poté risolversi a farlo: il massimo che le riuscì fu appoggiare delicatamente le nocche contro il legno.

Ancora una volta fu suo fratello a trovarla.

Dal fondo dei gradini, con il ginocchio perfettamente guarito, le disse: «Coraggio, Liesel, bussa».

Mentre tagliava la corda per la seconda volta vide in lontananza la figuretta di Rudy sul ponte. Il vento gli scompigliava i capelli, i suoi piedi pedalavano come se nuotasse.

Liesel Meminger era una delinquente. Ma non perché avesse rubato una manciata di libri attraverso una finestra aperta.

Avresti dovuto bussare, pensò, e per quanto provasse una buona dose di rimorso e di rammarico, non mancava una giovanile traccia di riso.

Mentre scappava, tentò di dire qualcosa a se stessa. Tu non meriti di essere felice, Liesel. Non lo meriti davvero.

Si può rubare la felicità? Oppure non è che un altro infernale trucco degli esseri umani?

Con un’alzata di spalle Liesel scosse via ogni pensiero. Attraversò il ponte e disse a Rudy di sbrigarsi, e di non dimenticare il libro.

Pedalarono verso casa sulle biciclette arrugginite.

Pedalarono per tre o quattro chilometri, dall'estate all'autunno, e da una notte tranquilla al fragoroso eco del bombardamento di Monaco.

L'urlo delle sirene

Con quel po' di soldi che Hans aveva guadagnato durante l'estate portò a casa una radio di seconda mano. «In questo modo possiamo sentire quando arrivano le incursioni aeree ancor prima che suonino le sirene», disse. «Trasmettono un segnale tipo cucù, poi annunciano quali zone sono minacciate.»

Sistemò l'apparecchio sul tavolo della cucina e lo accese. Cercarono anche di farlo funzionare in cantina, per Max, ma non s'udivano che scariche di elettricità statica e le voci smozzicate degli annunciatori.

A settembre non l'udirono, perché dormivano. O perché la radio era già mezza scassata, o perché fu immediatamente soffocata dall'ululato delle sirene.

Una mano scosse con garbo una spalla di Liesel mentre dormiva.

«Svegliati, Liesel. Dobbiamo andare», disse Papà.

Il disorientamento del sonno interrotto. Liesel riusciva a malapena a distinguere i tratti del viso di Papà; l'unica cosa davvero chiara era la sua voce.

Si fermarono in cucina.

«Aspettate», disse Rosa.

●●●

Scesero in fretta e furia in cantina, nell'oscurità. La lampada era accesa.

Max spuntò da dietro bidoni di vernice e teloni. Aveva gli occhi larghi e si grattava nervosamente con i pollici i pantaloni grigi. «È ora di andare, eh?»

Hans si diresse verso di lui. «Sì, è ora di andare.» Gli strinse la mano, dandogli una pacca sulla spalla. «Però ci si vede quando torniamo, eh?»

«Sicuro.»

Rosa lo abbracciò, e così pure Liesel. «Arrivederci, Max.»

Già qualche settimana prima avevano discusso se dovessero rimanere tutti insieme in cantina, o se loro tre dovessero andare, giù per la via, da una famiglia di nome Fiedler. Fu Max a convincerli. «Hanno detto che quaggiù non è abbastanza profondo. Vi ho già messi abbastanza in pericolo.»

Hans aveva annuito. «È un peccato non poterti portare con noi. Una vera disgrazia.»

«È così.»

Fuori, le sirene ululavano sulle case, e la gente correva, traballando e inciampando mentre usciva. La notte stava a guardare. Certuni la scrutavano di rimando, nel tentativo di avvistare gli aeroplani, simili a barattoli di latta che arrivavano su nel cielo.

La Himmelstrasse era una processione di gente sottosopra, che arraffava quanto di più prezioso possedesse. In qualche caso un bambino, in altri una pila di album di fotografie o una scatola di legno.

Liesel portava i suoi libri, stretti fra braccio e costole. Frau Holtzapfel trascinava una valigia, affannandosi lungo il marciapiede con gli occhi fuori delle orbite e passetti corti corti.

Papà, che aveva dimenticato tutto - persino la sua fisarmonica - tornò di corsa da lei e le tolse la valigia dalle mani. «Gesù, Giuseppe e Maria, ma che cosa ha messo qui dentro?» domandò. «Un'incudine?»

Frau Holtzapfel gli camminava al fianco. «Le cose necessarie.»

I Fiedler abitavano a sei case di distanza. In famiglia erano in quattro, tutti con capelli color grano e sani occhi tedeschi. La cosa più importante era che avevano una cantina bella profonda. Vi si stipavano in ventidue, compresi gli Steiner, Frau Holtzapfel, Pfiffikus, un giovanotto e una famiglia di nome Jenson. Ai fini di una civile convivenza Rosa Hubermann e Frau Holtzapfel vennero tenute lontane; certe cose, tuttavia, passavano sopra i litigi meschini.

Un'unica lampadina penzolava dal soffitto, e la stanza era umida e fredda. Le pareti irregolari sporgevano, punzecchiando la schiena alla gente seduta a chiacchierare. Da qualche parte s'insinuava il suono soffocato delle sirene, e ne udivano una versione deformata, che in un modo o nell'altro aveva trovato una via per entrare. Per quanto ciò creasse non poca apprensione sulla sicurezza del rifugio, si potevano perlomeno sentire le tre sirene che avrebbero segnalato la fine dell'incursione e il cessato allarme. Non c'era bisogno di un Luftschutzwarte, un addetto all'allarme aereo.

Non ci volle molto a Rudy per trovare Liesel e prendere posto accanto a lei. Aveva i capelli irti, che puntavano al soffitto. «Non è forte?»

Lei non poté trattenere un pizzico di sarcasmo: «È carino».

«Dai, Liesel, non fare così. Che cosa può capitare di peggio, a parte essere tutti spiaccicati o fritti, o tutto quello che fanno le bombe?»

Liesel si guardò attorno, scrutando i volti. Prese a compilare un elenco di chi appariva più spaventato.

*** CLASSIFICA DEI FIFONI ***

1. Frau Holtzapfel.

2. Il signor Fiedler.

3. Il giovanotto.

4. Rosa Hubermann.

Frau Holtzapfel aveva gli occhi sbarrati. Il suo corpo nervoso era curvo in avanti, la sua bocca un cerchio. Herr Fiedler si dava da fare chiedendo agli altri, talvolta ripetutamente, come si sentissero. Il giovanotto, Rolf Schultz, se ne stava in un angolo a parlare silenziosamente all'aria intorno a lui, maledicendola, con le mani cementate nelle tasche. Rosa muoveva il busto avanti e indietro, sia pure piano. «Liesel», sussurrò, «vieni qua.» Abbracciò la ragazza da dietro, stringendola forte. Cantava una canzone, ma a voce così bassa che Liesel non riusciva a sentirla. Le note le nascevano dal respiro e le morivano sulle labbra. Accanto a loro, Papà rimaneva zitto e immobile.

A un certo punto posò la mano calda sulla testa fredda di Liesel. Tu vivrai, le diceva quel gesto, e aveva ragione.

Alla loro sinistra Alex e Barbara Steiner, con le figlie più piccole, Bettina ed Emma. Le due bambine si aggrappavano alla gamba destra della madre; il ragazzo più grande, Kurt, teneva gli occhi fissi di fronte a sé in una perfetta postura da Gioventù hitleriana, tenendo per mano Karin, minuta anche per i suoi sette anni. Anna-Maria, di dieci anni, giocava con la superficie molliccia del muro di cemento.

Di fronte agli Steiner c'erano Pfiffikus e la famiglia Jenson.

Pfiffikus si asteneva dal fischiettare.

Il barbuto signor Jenson stringeva a sé la moglie, e i loro due bambini gironzolavano qua e là in silenzio. Di tanto in tanto si facevano dispetti, ma la piantarono prima di mettersi a litigare sul serio.

Dopo circa una decina di minuti una sorta di immobilità regnava nello scantinato. I corpi erano saldati assieme; soltanto i piedi cambiavano posizione. L'immobilità era inchiodata sui volti: si guardavano in faccia, aspettando.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 3

Angst - paura: sgradevole, spesso violenta emozione provocata da anticipazione, consapevolezza o pericolo.

Termini correlati: terrore, orrore, panico, spavento, allarme.

Si diceva che in altri rifugi cantassero Deutschland über Alles o certa gente litigasse a causa dell'alito cattivo. Nel rifugio dei Fiedler cose del genere non capitavano: al loro posto, solo paura e apprensione, e il canto spento sulle labbra di cartone di Rosa Hubermann.

Poco prima che le sirene segnalassero il cessato allarme, Alex Steiner - l'uomo dall'impassibile faccia di legno - convinse i bambini a staccarsi dalle gambe della mamma. Riuscì ad allungare un braccio, afferrando la mano libera del figlio. Kurt, sempre stoico, con lo sguardo fisso, la prese, serrando dolcemente la mano della sorella. Presto tutti nella cantina si presero per mano l'un l'altro, e il gruppo di tedeschi formò un cerchio irregolare. Le mani fredde si fusero con quelle calde, e in qualche caso la percezione del battito del polso di un altro essere umano si propagò attraverso strati di pelle pallida, irrigidita. Alcuni tenevano gli occhi chiusi, in attesa del loro ultimo istante, oppure del segnale che l'incursione era finalmente terminata.

Meritava di meglio, quella gente?

Quanti di loro avevano attivamente perseguitato altri, fanatizzati da Hitler, ripetendone le frasi, i paragrafi, l'opera? Rosa Hubermann era colpevole? Lei che nascondeva un ebreo? O Hans? Meritavano tutti di morire? E i bambini?

La risposta a tutte queste domande mi interessa moltissimo, però non posso permettergli di affascinarmi. Io so solo che quella notte tutti loro avvertirono la mia presenza, tranne i più giovani e i bambini. Io ero il suggerimento, il monito; immaginavano i miei passi in cucina, lungo il corridoio.

Quando leggevo i racconti della ladra di libri, provavo pietà per gli esseri umani che ne erano protagonisti, anche se mai tanta quanta ne provavo per coloro che in quel periodo rastrellavo nei campi di concentramento. I tedeschi nel sotterraneo erano disperati, certo, ma quella stanza non era un locale docce di un campo. Non erano stati mandati lì a fare la doccia di gas. Per loro, c'era ancora una possibilità di vivere.

Nel cerchio, colmo di imbarazzo, i minuti pesavano come macigni.

Liesel teneva la mano di Rudy e quella di Mamma. Solo una cosa l'angustiava: Max.

Come avrebbe fatto a sopravvivere Max, se le bombe fossero cadute sulla Himmelstrasse?

Studiava, attorno a lei, lo scantinato dei Fiedler. Era parecchio più robusto e notevolmente più profondo di quello del 33 della Himmelstrasse.

Fece una domanda silenziosa a Papà: anche tu pensi a lui?

Che il muto quesito fosse stato raccolto o meno, Hans le fece un breve cenno, seguito, pochi minuti dopo, dalle tre sirene annuncianti una momentanea tranquillità.

La gente del 45 della Himmelstrasse si rilassò con un sospiro di sollievo.

Alcuni strizzarono gli occhi e li riaprirono. Circolò una sigaretta.

Proprio quando fu sul punto di arrivare alle labbra di Rudy Steiner suo padre la strappò via. «Tu no, Jesse Owens.»

I bambini abbracciarono i genitori, e a ognuno occorsero diversi minuti per rendersi pienamente conto di essere vivo, e che sarebbe rimasto vivo. Soltanto allora i loro piedi salirono le scale, fin nella cucina di Herbert Fiedler.

Fuori, una processione di folla percorreva in silenzio la via. Molti guardavano in su, ringraziando Iddio per la salvezza.

Tornati a casa gli Hubermann scesero subito in cantina, ma Max sembrava non esserci più. La lanterna aveva una fiammella bassa e arancione, e non riuscivano né a vederlo né a sentirlo.

«Max?»

«È sparito.»

«Max, sei qui?»

«Sono qui.»

Sulle prime credettero che le parole provenissero da dietro i teloni e le latte di pittura, ma Liesel fu la prima a scorgerlo, proprio davanti a loro. Il suo viso stremato si confondeva tra i teloni e gli attrezzi da imbianchino. Sedeva con gli occhi attoniti.

Quando si avvicinarono, parlò nuovamente. «Non ho potuto farne a meno», disse. Fu Rosa a replicare, chinandosi su di lui: «Di che cosa parli, Max?»

«Io...» lottò per rispondere, «quando s'è fatto tutto silenzio, sono salito in corridoio, e in camera di Liesel c'era una fessura tra le tende...

Potevo vedere fuori. Ho sbirciato, ma solo per pochi secondi.» Erano ventidue mesi che non vedeva il mondo esterno.

Nessuno lo rimproverò. Papà disse: «Com'era là fuori?»

Max sollevò il capo, con un'espressione stupita. «C'erano le stelle», disse. «Mi hanno bruciato gli occhi.»

Erano in quattro: due in piedi, due seduti. Ognuno quella notte aveva visto qualcosa. Quello era il vero scantinato. Quella la vera paura. Max si riprese un po' e si alzò per tornarsene dietro i teloni. Augurò la buonanotte, ma non si cacciò subito sotto la scala; con il permesso di Mamma, Liesel rimase con lui fino all'alba, leggendo Un canto nell’oscurità mentre lui disegnava e scriveva sul suo album.

Scrisse: Da una finestra della Himmelstrasse le stelle mi hanno acceso un fuoco negli occhi.

Il ladro di cielo

La prima incursione, come risultò poi, non era stata affatto un'incursione. Se la gente si aspettava di vedere gli aeroplani, sarebbe rimasta lì tutta la notte. Fu spiegato il motivo per cui la radio non aveva trasmesso il segnale del cessato allarme: il Molching Express riferì infatti che un osservatore di una postazione della contraerea si era fatto prendere un po' dall'emozione. Giurava di avere udito il rombo degli aeroplani e di averli avvistati all'orizzonte.

«Magari l'avrà fatto apposta», sottolineò Hans Hubermann. «A te piacerebbe startene in una postazione della contraerea, a sparare contro gli aerei carichi di bombe?»

In cantina, Max proseguiva nella lettura dell'articolo: diceva che quell'uomo era stato esonerato dal suo compito. Lo avevano già spedito altrove.

«Buona fortuna a lui», disse Max, mentre passava alle parole crociate.

L'incursione successiva fu autentica.

La notte del 19 settembre alla radio risuonò il cucù, seguito dalla voce profonda dell'annunciatore: Molching era nell'elenco dei possibili obiettivi.

Ancora una volta la Himmelstrasse si riempì di gente, e ancora una volta Papà lasciò a casa la fisarmonica. Rosa gli rammentò di prenderla, ma lui rifiutò. «L'altra volta non l'ho presa», rispose, «e siamo rimasti vivi.» La guerra faceva confusione tra logica e superstizione.

Un'aria stregata li seguì fin giù nello scantinato dei Fiedler. «Credo che stanotte facciano sul serio», disse il signor Fiedler, e i bambini capirono subito che quella volta i genitori avevano ancora più paura.

Reagendo nel solo modo che conosceva, il più piccolo si mise a frignare e piangere, mentre la cantina sembrava ondeggiare.

Persino dalla cantina riuscivano a udire confusamente il boato delle bombe. Lo spostamento d'aria si spinse in giù come un soffitto, quasi volesse schiacciare la terra. Le bombe si mangiarono un pezzo delle strade vuote di Molching.

Rosa stringeva nervosamente una mano di Liesel.

I bambini singhiozzavano.

Persino Rudy restò impalato, pur fingendo indifferenza. Braccia e gomiti lottavano per farsi un po' di spazio. Alcuni adulti cercavano di calmare i bimbi, altri di calmare se stessi.

«Fate stare zitto quel bambino!» ordinò Frau Holtzapfel, ma le sue parole non furono che un'altra voce in mezzo al caldo trambusto del rifugio. Lacrime sporche stillavano dagli occhi dei più piccoli, e l'odore di fiati, di sudore sotto le ascelle e di vestiti logori si mescolava, fermentando, in ciò che adesso era un calderone ribollente di esseri umani.

Benché fossero strette strette l’una all'altra, Liesel fu costretta ad alzare la voce. «Mamma?» Di nuovo: «Mamma, mi schiacci una mano!»

«Che cosa?»

«La mia mano!»

Rosa la lasciò andare, e per consolarsi ed estraniarsi dalla confusione dello scantinato Liesel aprì uno dei suoi libri, mettendosi a leggere. Il libro era L’uomo che fischietta, e per concentrarsi meglio iniziò a leggere a voce alta. La prima frase le risuonò ottusa all'orecchio.

«Che cosa stai dicendo?» tuonò Mamma, ma Liesel la ignorò, mantenendo l'attenzione fissa sulla prima pagina.

Quando passò a pagina due, fu Rudy a notarla. Si interessò a ciò che Liesel leggeva, e batté su una spalla al fratello e alle sorelle per dire loro di fare altrettanto. Anche Hans Hubermann si accostò alla ragazza, e presto nel sotterraneo affollato prese a diffondersi il silenzio. A pagina tre stavano tutti zitti, eccetto Liesel.

Non osava alzare lo sguardo, ma avvertiva tutti gli occhi spauriti fissi su di lei mentre trascinava le parole, pronunciandole in un soffio.

Una voce dentro di lei suonava una nota dopo l'altra: questa è la tua fisarmonica, si disse.

Liesel leggeva.

Proseguì per una ventina di minuti. La sua voce quietava i bambini più piccoli, mentre gli altri già immaginavano L’uomo che fischietta fuggire dalla scena del delitto. Tutti tranne Liesel. La ladra di libri riusciva soltanto a concentrarsi sugli ingranaggi delle parole, a vedere i loro corpi distesi sulla carta, schiacciati perché lei potesse camminarvi sopra.

Da qualche parte, negli intervalli tra un a capo e la successiva maiuscola, c'era anche Max. Ricordò quando leggeva per lui mentre era malato.

Sarà in cantina? Si domandò, oppure ruberà di nuovo uno sguardo di cielo?

*** UN PENSIERO CARINO ***

Una rubava i libri.

L'altro rubava il cielo.

Tutti aspettavano che la terra tremasse.

Era inevitabile, ma perlomeno adesso avevano una distrazione, la ragazza con il libro. Uno dei bambini più piccoli accennò a ricominciare a piangere, ma Liesel si fermò e imitò un gesto tipico di Papà, e di Rudy: gli strizzò l'occhio, poi proseguì.

Solo quando le sirene risuonarono ancora nel sotterraneo qualcuno la interruppe. «Siamo salvi», disse il signor Jensen. «Sst! » ribatté Frau Holtzapfel.

Liesel rialzò gli occhi. «Mancano solo due paragrafi alla fine del capitolo», disse, e continuò a leggere senza enfasi e senza affrettarsi: solo parole.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 4

Wort - parola: elemento significante del linguaggio –

promessa - breve osservazione,

affermazione o conversazione.

Termini correlati: vocabolo, nome, espressione.

Tutti gli adulti rimasero rispettosamente in silenzio, e Liesel finì il primo capitolo dell ’uomo che fischietta.

Mentre risalivano la scala i bambini la superarono di corsa, ma molti tra i più anziani - persino Frau Holtzapfel, persino Pfiffikus (assai a proposito, considerando il titolo del libro che aveva letto Liesel) - ringraziarono la ragazza per lo svago procurato.

La Himmelstrasse era indenne.

L'unico segno di guerra era una nuvola di polvere in movimento da est verso ovest: guardava attraverso le finestre in cerca di una fessura per infiltrarsi all'interno, e, mentre si allargava e insieme s'ispessiva, trasformava la colonna di persone in fantasmi: in strada non c'era più gente, soltanto rumori che portavano borse.

A casa, Papà raccontò tutto a Max. «Ci sono nebbia e cenere... credo che ci abbiano fatti uscire troppo presto.» Guardò Rosa. «E se andassi fuori a vedere se qualcuno ha bisogno di aiuto dove sono cadute le bombe?»

Rosa non si lasciò commuovere. «Non fare tanto l'idiota», rispose.

«Soffocherai nella polvere. No, no, Saukerl, tu resti qui.»

Le venne un pensiero, e fissò Hans con grande serietà. Aveva l'orgoglio scritto sulla faccia. «Resta qui e raccontagli della ragazza.»

Alzò un po' la voce, appena appena. «E del libro.»

Max le prestò un po' più di attenzione.

« L’uomo che fischietta», lo informò Rosa. «Capitolo primo.» Spiegò nei particolari che cosa era avvenuto nel rifugio.

Mentre Liesel rimaneva in un angolo dello scantinato, Max la guardava strofinandosi la mascella con una mano.

Personalmente credo che quello fosse il momento in cui ideò il prossimo soggetto per il suo libro di schizzi: La scuotitrice di parole.

Vedeva la ragazza leggere il libro. Doveva vederla mentre distribuiva letteralmente in giro le parole. Tuttavia, come sempre, doveva anche vedere l'ombra di Hitler. Probabilmente udiva già i suoi passi dirigersi verso la Himmelstrasse e, più tardi, verso il seminterrato.

Dopo una pausa prolungata Max parve sul punto di dire qualcosa, ma Liesel lo prevenne.

«Stanotte hai guardato il cielo?» chiese.

«No.»

Max volse gli occhi verso il muro, indicandolo. Videro le parole e il disegno che aveva tracciato oltre un anno prima, la corda e il sole con i raggi. «Stanotte, solo quello», e, da allora in poi, non dissero più nulla.

Nient'altro che pensieri.

Di Max, Hans e Rosa non posso rispondere, ma so che Liesel Meminger si rese conto che se le bombe fossero cadute sulla Himmelstrasse Max non soltanto avrebbe avuto meno possibilità di salvezza di chiunque altro, ma sarebbe morto completamente solo.

L'offerta di Frau Holtzapfel

Con la luce del giorno si valutarono i danni. Nessuno era morto, ma due isolati erano stati ridotti a cumuli di macerie, e c'era una fossa proprio al centro del campo della Gioventù hitleriana prediletto da Rudy. Mezza città si era radunata intorno al cratere, di cui ognuno valutava la profondità, paragonandola a quella del proprio rifugio antiaereo. Parecchi ragazzi e ragazze vi sputarono dentro.

Rudy si avvicinò a Liesel. «Si direbbe che sentano il bisogno di concimarlo ancora.»

Dal momento che nelle settimane successive non ci furono altre incursioni, la vita tornò pressoché normale. Ma due eventi stavano per accadere.

*** I DUE EVENTI DI OTTOBRE ***

Le mani di Frau Holtzapfel. La sfilata degli ebrei.

Le sue rughe erano come insulti, la voce simile a una bastonata.

Fu una vera fortuna vederla arrivare dalla finestra del salotto, perché le nocche con le quali bussò alla porta erano dure e risolute. Volevano dire affari.

Liesel udì le parole che temeva: «Va' ad aprire», e sapendo fin troppo bene che cosa le convenisse fare, obbedì.

«Tua mamma è in casa?» s'informò Frau Holtzapfel. Pareva un fil di ferro vecchio di cinquant'anni, e se ne stava impalata di fronte alla porta d'ingresso, voltandosi continuamente per controllare la strada. «Oggi c'è quella scrofa di tua madre?»

Liesel la chiamò.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 5

Gelegenheit - possibilità: occasione di miglioramento o progresso.

Termini correlati: prospettiva, apertura, opportunità.

Subito Rosa fu alle sue spalle. «Che cosa ci fa lei qui? Vuole sputare anche sul pavimento della cucina?»

Frau Holtzapfel non si lasciò impressionare. «È questo il modo di accogliere chi si presenta alla sua porta? Che G'sindel.»

Liesel le osservava impietrita: aveva avuto la sfortuna di rimanere imprigionata fra le due donne. Rosa la tolse di mezzo. «Allora, mi vuol dire sì o no perché è venuta qui?»

Frau Holtzapfel gettò un'altra occhiata alla strada, poi tornò a guardare Rosa. «Ho una proposta da farle.»

Mamma si piegò in avanti, minacciosa. «Ma davvero?»

«Non si tratta di lei.» Spostò gli occhi da Rosa e li fissò su Liesel.

«Sono qui per la bambina.»

«Be', allora perché chiede a me?»

«Mi occorre perlomeno il suo permesso.»

Oh, Maria, pensò Liesel, ci mancava solo questo. Che diavolo vuole da me la Holtzapfel?

«Mi è piaciuto il libro che leggevi nel rifugio.»

No. Non lo avrai, pensava Liesel. «Sì?»

«Speravo di scoprire come va a finire, ma pare che per il momento si sia al sicuro.» Scosse le spalle, irrigidendo la schiena di fil di ferro.

«Perciò voglio che tu venga a casa mia e lo legga per me.»

«Ha una bella faccia tosta, Holtzapfel.» Rosa rifletteva se infuriarsi o no. «Se crede che...»

«Smetterò di sputarle sulla porta», l'interruppe la donna, «e vi darò la mia razione di caffè.»

Rosa decise di mantenere la calma. «E un po' di farina?»

«È un'ebrea, lei? Solo il caffè. Può sempre scambiare il caffè con la farina.»

Affare fatto.

Andava bene a tutti, tranne a Liesel.

«Bene, siamo d'accordo» concluse Frau Holtzapfel.

«Mamma?»

«Zitta, Saumensch. Va' a prendere il libro.» Mamma fronteggiò di nuovo Frau Holtzapfel. «Che giorno le fa comodo?» «Lunedì e venerdì, alle quattro. E oggi, beninteso.»

Liesel salì i gradini fino alla porta d'ingresso di Frau Holtzapfel, in una casa esattamente speculare a quella degli Hubermann, solo un po' più grande.

Quando sedette al tavolo della cucina, Frau Holtzapfel si piazzò di fronte a lei, ma rivolta verso la finestra. «Leggi», ordinò.

«Il capitolo due?»

«No, il capitolo otto. Ma certo, il capitolo due! E adesso inizia, prima che ti sbatta fuori.» «Sì, Frau Holtzapfel.»

«Non m'interessano i 'Frau Holtzapfel'. Apri il libro. Non abbiamo tutto il giorno a disposizione.»

Buon Dio, pensò Liesel, deve essere la punizione per tutti quei furti.

Alla fine è arrivata.

Lesse per quarantacinque minuti filati. Terminato il capitolo, sul tavolo comparve un sacchetto di caffè.

«Grazie», disse la donna. «È una bella storia.» Si piazzò davanti alla stufa, mettendo a cuocere qualche patata. Senza voltarsi, domando a Liesel: «Sei ancora lì?»

La ragazzina lo prese come un invito ad andarsene. « Danke schön, Frau Holtzapfel.» Quando fu alla porta, notò le fotografie di due giovani in divisa, ed esclamò anche un « Heil Hitler», alzando il braccio in direzione della cucina.

«Sì.» Frau Holtzapfel era orgogliosa, e aveva paura. Aveva due figli in Russia. Mise a bollire l'acqua e fu tanto gentile da accompagnare per qualche passo Liesel, fino all'uscita. « Bis morgen

Il giorno dopo era venerdì. «Sì, Frau Holtzapfel. A domani.»

Liesel calcolò che ci furono ancora quattro incontri di lettura con Frau Holtzapfel prima che gli ebrei venissero fatti sfilare per le vie di Molching.

Andavano al campo di Dachau.

Fanno tre settimane, scrisse più tardi in cantina. Tre settimane per cambiare il mondo, e ventun giorni per rovinarlo.

La lunga strada per Dachau

Alcuni dissero che si era guastato il camion, ma posso testimoniare di persona che non andò così. Io c'ero. Il cielo era carico di nuvole nere.

Inoltre c'era più di un veicolo solo. Tre camion non hanno un guasto tutti in una volta.

Quando i soldati scesero per mangiare qualcosa e fumarsi una sigaretta, e sbirciare il carico di ebrei, uno dei prigionieri crollò per la fame e l'infermità. Non ho idea da dove arrivasse la colonna, ma era a forse cinque chilometri da Molching, e molti più passi fino al campo di prigionia di Dachau.

Mi arrampicai attraverso il parabrezza del camion, trovai il malato e saltai giù dalla parte posteriore. La sua anima era ossuta, la sua barba una palla al piede. I miei piedi atterrarono pesantemente sul terreno, benché nessun soldato o prigioniero udisse il minimo rumore; tutti, però, potevano fiutarmi.

Rammento che sul camion erano in molti a desiderarmi, molte voci interiori m'invocavano. Perché lui sì e io no?

Grazie a Dio, non sono io.

I soldati, d'altro canto, erano impegnati in un'altra discussione. Il capo schiacciò la sigaretta e pose agli altri una domanda impregnata di fumo: «Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto prendere un po' d'aria fresca a questi ratti?»

Il suo primo subalterno soffocò un colpo di tosse. «Per loro sarebbe un bene, vero?»

«Perché no? Abbiamo tempo, mi pare.» «Abbiamo sempre tempo, signore.» «Clima perfetto per una sfilata, non credi?» «Clima perfetto, signore.» «E allora che aspettiamo?»

Liesel giocava a calcio nella Himmelstrasse quando s'udì il rumore.

Due ragazzi si contendevano la palla a metà campo, quando tutto si fermò; lo sentì persino Tommy Müller. «Che cos'è?» chiese dalla sua posizione, in porta.

Via via che si avvicinava, tutti si voltavano in direzione del rumore di piedi che si strascinavano e di voci imperiose.

«È una mandria di mucche?» chiese Rudy. «Non può essere. Non fa mai un rumore così, no?»

Tutti i bambini della strada seguirono quel rumore, verso il negozio di Frau Diller.

In un appartamento ai piani alti, proprio sull'angolo con la Münchenstrasse, una vecchia signora con una voce di cattivo augurio individuò per tutti la provenienza esatta del trambusto. Dall'alto della finestra la sua faccia sembrava una bandiera bianca, con gli occhi umidi e la bocca aperta. Aveva capelli grigi e pupille di un azzurro scurissimo; la sua voce era come un suicida che atterrasse ai piedi di Liesel con un tonfo sordo.

Aveva i capelli grigi e occhi di un azzurro scurissimo.

« Die Juden», disse. «Gli ebrei.»

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 6

Elend - disgrazia: profonda sofferenza, infelicità e sventura.

Termini correlati: angoscia, tormento,

disperazione, miseria, desolazione.

Altra gente comparve in strada, dove già era sfilato, trascinandosi, un gruppo di ebrei e di altri delinquenti. Forse i campi della morte venivano tenuti segreti, però, di tanto in tanto, veniva mostrata la gloria di un campo di lavoro forzato tipo Dachau.

In lontananza, dalla parte opposta, Liesel scorse l'uomo con il carretto delle vernici. Si passava una mano tra i capelli, a disagio.

«Guarda là», disse a Rudy, additandolo. «Papà.» Attraversarono entrambi la via, risalendola, e sulle prime Hans Hubermann fece il tentativo di portarli via. «Liesel», disse, «forse...»

Notò tuttavia che la ragazza era decisa a restare, e forse era una cosa che occorreva che vedesse. Rimase perciò con lei nella fredda aria autunnale, senza parlare.

Stavano a guardare, nella Münchenstrasse.

Altri si muovevano tutto intorno e davanti a loro. Osservavano gli ebrei discendere la via come un catalogo di colori. Non fu come li descrisse la ladra di libri, ma ti so dire che erano esattamente così, perché molti di loro sarebbero morti. Mi avrebbero incontrata come la loro ultima vera amica, con ossa simili a fumo, trascinandosi dietro l'anima.

Quando arrivò il grosso, il rumore dei loro piedi si rovesciò sulla strada. Avevano occhi enormi nelle teste emaciate. E la sporcizia. Una sporcizia impressa su di loro. Le loro gambe vacillavano come sospinte dalle mani dei soldati, costrette a correre avanti per pochi passi prima di tornare ad accasciarsi in una marcia stentata.

Hans li guardava al di sopra delle teste della folla assiepata. Sono certa che i suoi occhi erano argentei e tesi. Liesel osservava nei varchi tra una persona e l'altra, oppure al di là delle spalle.

I volti sofferenti di uomini e donne stremati si volgevano verso di loro, supplicando non tanto aiuto - ormai erano al di là di ogni possibilità di aiuto - ma una spiegazione, qualcosa che riducesse tanto smarrimento.

A stento i loro piedi si sollevavano da terra.

Avevano stelle di Davide appiccicate sulle camicie, e la sciagura impressa su di loro come un destino: «Non dimenticate la vostra disgrazia...» In qualche caso gli cresceva addosso, come un tralcio di vite.

Al loro fianco camminavano i soldati, ordinando di sbrigarsi e piantarla con i piagnistei. Alcuni non erano che dei ragazzi, con il Führer negli occhi.

Mentre assisteva a tutto ciò, Liesel non dubitava che fossero le anime più sventurate di questo mondo; per questo scrisse di loro. Le loro facce sparute erano contorte, tormentate. Si trascinavano avanti divorati dalla fame, alcuni fissando il suolo per evitare la gente sul ciglio della strada; altri guardavano imploranti chi era venuto ad assistere alla loro umiliazione, preludio della loro morte. Altri ancora pregavano che qualcuno, chiunque, facesse un passo avanti e li prendesse fra le braccia.

Nessuno lo fece.

Che si guardasse la sfilata con orgoglio, insolenza o vergogna, non uno si fece avanti per interromperla. Non ancora.

Di tanto in tanto un uomo o una donna - no, non erano uomini e donne, erano ebrei - scorgeva in mezzo alla folla il volto di Liesel. Le veniva incontro la loro sciagura, e la ladra di libri non poteva fare altro che guardarli per un lungo, disperato momento prima che passassero oltre. Poteva soltanto augurarsi che sapessero leggere quanto profonda era la pena dipinta sul suo viso, comprendere che era vera, non superficiale.

Io tengo uno di voi in cantina! avrebbe voluto dire. Abbiamo costruito insieme un pupazzo di neve! Gli ho fatto tredici regali quand'era malato!

Liesel non diceva nulla.

A che sarebbe servito?

Capiva di essere totalmente inutile per costoro. Non potevano essere salvati, e, pochi minuti dopo, vide che cosa capitava a chi ci provava.

Verso la coda della colonna c'era un uomo, più anziano degli altri.

Aveva la barba e abiti laceri.

I suoi occhi avevano il colore dell'agonia, e, per leggero che fosse, era fin troppo pesante perché le gambe lo reggessero.

Cadde più volte, con un lato del viso premuto sulla strada.

Ogni volta un soldato incombeva su di lui. « Steh’ auf», gli urlava,

«In piedi.»

L'uomo si sollevava sulle ginocchia, lottando per tirarsi su.

Ricominciava a camminare.

Ogni volta riusciva a tenere il passo con la coda della colonna, ma ben presto le forze gli venivano meno e incespicava di nuovo, finendo a terra. Dietro di lui c'erano altri, il carico di un camion intero, che rischiavano di passargli sopra e calpestarlo.

Intollerabile era vedere quanto soffrissero le sue braccia, che tremavano nel tentativo di risollevare il corpo. Cedevano ogni volta di più, prima che riuscisse a rialzarsi e fare un altro po' di passi.

Era morto.

Quell'uomo era già morto.

Cinque minuti ancora e sarebbe crollato in un fosso tedesco e sarebbe morto. Nessuno avrebbe alzato un dito, sarebbero rimasti tutti a guardare.

Poi un uomo.

Hans Hubermann.

Accadde in fretta.

La mano che stringeva forte quella di Liesel gliela lasciò ricadere al fianco, mentre l'uomo si faceva strada a gomitate. La ragazza si sentì il palmo sbatterle sul fianco.

Papà raggiunse il carretto delle vernici, tirandone fuori qualcosa; poi si fece largo in mezzo alla folla, fino in strada.

L'ebreo si fermò davanti a lui, aspettandosi altri scherni, ma, al pari di tutti, rimase a occhi sgranati quando Hans Hubermann tese la mano, offrendogli un pezzo di pane, come un prodigio.

Quando il pane passò da una mano all'altra l'ebreo si lasciò scivolare a terra, cadendo sulle ginocchia, e abbracciò gli stinchi di Papà. Vi affondò il viso, per ringraziarlo.

Liesel guardava.

Con gli occhi pieni di lacrime vide l'uomo scivolare ancora più giù, spingendo indietro Papà per piangere fra le sue caviglie.

Passavano frattanto altri ebrei, guardando tutti quel piccolo, futile miracolo. Scorrevano via come acqua umana. Pochi, quel giorno, avrebbero raggiunto l'oceano; gli era stata offerta una cresta di spuma.

Facendosi strada nella calca, presto un soldato giunse sulla scena del crimine. Scrutò l'uomo in ginocchio e Papà, poi guardò la folla. Dopo averci pensato un momento su, trasse la frusta dalla cintura e incominciò.

L'ebreo venne frustato sei volte, sulla testa, sul dorso, sulle gambe.

«Schifoso! Lurido porco!» Ora gli gocciolava sangue da un orecchio.

Quindi fu la volta di Papà.

Un'altra mano stringeva ora Liesel, e quando lei, inorridita, guardò accanto a sé, Rudy Steiner inghiottiva mentre Hans Hubermann veniva frustato in mezzo alla strada. Il rumore la nauseava, e si aspettava che nel corpo di Papà si aprissero crepe. Fu colpito quattro volte prima di cadere anche lui al suolo.

Quando l'anziano ebreo si tirò su per l'ultima volta e proseguì il suo cammino, si guardò per un attimo alle spalle, dove l'uomo adesso era curvo sulla strada, con la schiena bruciata da quattro linee di fuoco, le ginocchia doloranti sul selciato. Se non altro, ora il vecchio sarebbe morto da essere umano. O almeno con il pensiero di essere umano. Che cosa ne penso io?

Non sono tanto sicura che sia una buona cosa.

Quando Liesel e Rudy si fecero largo e aiutarono Hans a rimettersi in piedi, c'erano tante voci intorno a loro. Parole e sole. La luce splendeva sulla via e le parole erano come ondate che si frangevano sulla schiena.

Solo quando se ne andarono si avvidero del pane, gettato in mezzo alla strada.

Quando Rudy fece per raccoglierlo, un ebreo che passava glielo strappò di mano e altri due lottarono con lui per averlo, mentre continuavano il loro cammino verso Dachau.

Gli occhi d'argento furono presi a pugni. Un carretto venne rovesciato e la vernice si rovesciò sulla strada.

Lo chiamarono amico degli ebrei.

Altri invece lo aiutarono a mettersi in salvo.

Hans Hubermann raddrizzò il suo carretto e si piegò in avanti, appoggiando le braccia al muro di una casa, d'improvviso sopraffatto da ciò che era appena accaduto.

Aveva negli occhi una visione, rapida e violenta: il 33 della Himmelstrasse e il suo seminterrato.

Il panico si impigliava fra un respiro e l'altro.

Adesso verranno. Verranno.

Oh, Gesù Cristo, oh, Dio.

Guardò la ragazza.

«Sei ferito, Papà?»

Anziché una risposta, giunse un'altra domanda.

«Che cosa pensavo di fare?» Gli occhi di Hans si serrarono forte, poi si riaprirono. La sua tuta era spiegazzata. Aveva sulle mani pittura e sangue, e briciole di pane. Com'era diverso il pane di quell'estate. «Mio Dio, Liesel, che cos'ho fatto?»

Sì, debbo dirmi d'accordo con lui su questo punto.

Che cosa aveva fatto Papà?

Pace

Poco dopo le 11 della stessa sera, Max Vandenburg uscì nella Himmelstrasse con una valigia piena di cibo e abiti caldi. L'aria tedesca gli entrò nei polmoni. Le stelle gialle ardevano. Quando giunse al negozio di Frau Diller si volse a guardare per l'ultima volta il numero 33. Non poteva vedere la sagoma alla finestra della cucina, ma lei poteva vedere lui. Lo salutava con la mano, e lui non rispose.

Liesel si sentiva ancora sulla fronte la sensazione della sua bocca, avvertiva l'odore del suo respiro di commiato.

«Ho lasciato qualcosa per te», le aveva detto, «ma non l'avrai finché non sarai pronta.»

Se ne andò.

«Max?»

Ma lui non tornò.

Era uscito dalla sua camera richiudendo silenziosamente la porta. Il corridoio sussurrò. Se n'era andato.

Quando Liesel entrò in cucina, Mamma e Papà avevano corpi contratti e facce compunte. Rimasero così per trenta secondi di eternità.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 7

Schweigen - silenzio: assenza di suono o di rumore.

Termini correlati: tranquillità, calma, pace.

Che perfezione, la pace.

Da qualche parte, presso Monaco, un ebreo tedesco si dirigeva alla volta di una meta sconosciuta. Si era d'accordo per un incontro con Hans Hubermann di lì a quattro giorni (cioè, se non fosse stato catturato). C'era un posto lontano, giù lungo l'Amper, dove un ponte crollato si stendeva tra il fiume e gli alberi.

Vi andò, ma non si trattenne per più di qualche minuto.

All'arrivo di Papà, quattro giorni dopo, l'unica cosa che trovò fu un biglietto sotto un sasso, ai piedi di un albero. Non era indirizzato a nessuno e vi era scritta un'unica, breve, isolata frase.

*** ULTIME PAROLE DI ***