MAX VANDENBURG

Avete fatto abbastanza.

Ora più che mai il 33 della Himmelstrasse era un luogo silenzioso, ma non sfuggì il fatto che il Vocabolario Duden era assolutamente in errore, specie nei termini correlati: il silenzio non era né tranquillità né calma, e neppure pace.

L'idiota e gli uomini dal pastrano nero

La sera della sfilata degli ebrei l'idiota sedeva in cucina, trangugiando sorsate del caffè della Holtzapfel e desiderando ardentemente una sigaretta. Aspettava che la Gestapo, i soldati, la polizia - chiunque - lo arrestassero, come sentiva di meritare. Rosa gli ordinò di andare a letto. La ragazza indugiava in corridoio. Hans mandò via tutt'e due e passò le ore fino al mattino con la testa fra le mani, in attesa.

Non arrivò nessuno.

Ogni istante portava con sé l'atteso rumore di colpi alla porta e parole minacciose. Non vennero.

L'unico rumore era lui a produrlo.

«Che cosa ho fatto?» sussurrò di nuovo.

«Dio, quanto desidero una sigaretta», si rispose.

Liesel udì più volte ripetere quelle frasi, e le costò molto rimanersene dietro la porta. Avrebbe voluto consolarlo, ma non aveva mai visto un uomo tanto accasciato. Niente conforto, quella notte. Max se n'era andato, ed era colpa di Hans Hubermann.

Gli armadi della cucina avevano la forma della colpa, e al ricordo di ciò che aveva fatto il sudore gli rendeva viscidi i palmi delle mani.

Dovevano sudargli, pensò Liesel, perché le sue stesse mani erano bagnate fino al polso.

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Pregava in camera sua, su mani e ginocchia, con gli avambracci contro il materasso.

«Per favore, Signore, ti prego, fa' che Max viva. Ti prego, Dio, ti prego...»

Le ginocchia le facevano male. Le dolevano i piedi.

Alla comparsa delle prime luci dell'alba, si destò e andò in cucina.

Papà si era assopito con la testa parallela al piano del tavolo; aveva un po' di saliva all'angolo della bocca. Il profumo del caffè era soverchiante, e il ricordo della folle gentilezza di Hans Hubermann era ancora nell'aria, come un numero o un indirizzo: ripetili abbastanza volte, e si attaccano.

Il primo tentativo di Liesel di svegliarlo falli, ma la seconda gomitata alla spalla gli fece alzare il capo dal tavolo, con un sussulto.

«Sono arrivati?»

«No, Papà, sono io.»

Hans finì il fondo freddo di caffè rimasto nella tazza. Il pomo d'Adamo gli salì e scese. «A quest'ora dovrebbero essere già venuti.

Perché non sono venuti, Liesel?»

Era un insulto.

A quell'ora sarebbero già dovuti essere lì a perquisire la casa, cercando ogni traccia di complicità con gli ebrei o di tradimento; sembrava invece che Max se ne fosse dovuto andare senza alcun motivo: poteva continuare a dormire in cantina, o a disegnare sul suo album.

«Non potevi sapere che non sarebbero venuti, Papà.»

«Avrei dovuto sapere che non bisognava dare del pane a quell'uomo.

È che non ho riflettuto.»

«Papà, non hai fatto niente di male.»

«Non ti credo.»

Si alzò e uscì dalla cucina, lasciando la porta socchiusa. Tanto per aggiungere al danno la beffa, si annunciava anche una splendida giornata.

Trascorsi i quattro giorni, Papà discese un bel pezzo il corso dell'Amper. Riportò indietro il biglietto, che depose sul tavolo della cucina.

Passò un'altra settimana, e Hans Hubermann attendeva ancora il castigo. Le piaghe sulla schiena divennero cicatrici, e passava la maggior parte del suo tempo in giro per Molching. Frau Diller gli sputava davanti. Frau Holtzapfel, fedele alla parola data, aveva smesso di sputare sulla porta degli Hubermann, ma c'era una comoda sostituzione. «Lo sapevo, io», lo malediceva la bottegaia. «Sporco amico degli ebrei.»

Lui passava senza badarci, e Liesel spesso lo sorprendeva al ponte sull'Amper, con le braccia appoggiate alla balaustra, curvo sul parapetto. I bambini gli sfrecciavano accanto in bicicletta, o correvano gridando a gran voce, tra un fracasso di piedi sul legno. Nulla di tutto ciò lo smuoveva minimamente.

*** DAL VOCABOLARIO DUDEN: ***

SIGNIFICATO N. 8

Nachtrauem - rimorso: dolore misto a nostalgia, contrarietà o perdita.

Termini correlati: rammarico, pentimento, lutto, afflizione.

«Lo vedi?» gli chiese un pomeriggio Liesel, mentre si chinava sul parapetto accanto a lui. «Qui nell'acqua?»

Il fiume non scorreva rapido. Nelle sue lente increspature Liesel scorgeva i lineamenti del volto di Max Vandenburg, i suoi capelli come piume e il resto di lui. «Aveva l'abitudine di battersi contro il Führer nella nostra cantina.»

«Gesù, Giuseppe e Maria.» Le mani di Papà si strinsero sul legno malandato. «Sono un idiota.»

No, Papà. Sei solo un uomo.

Le venne in mente solo più di un anno dopo, mentre scriveva in cantina, e avrebbe voluto averlo pensato allora.

«Che stupido sono», disse Hans Hubermann alla figlia adottiva, «e pure gentile, il che fa di me il più grande imbecille di questo mondo. Il fatto è che io voglio che vengano a prendermi. Tutto è meglio di quest'attesa.»

Hans Hubermann aveva bisogno di una punizione. Aveva bisogno di sapere che Max Vandenburg aveva lasciato casa sua per un motivo valido.

Finalmente, dopo circa tre settimane di attesa, credette che il suo momento fosse venuto.

Era tardi.

Liesel tornava da Frau Holtzapfel, quando scorse i due uomini dal lungo pastrano nero, e corse in casa.

«Papà, Papà!» per poco non rovesciò il tavolo della cucina. «Papà, sono arrivati!»

Accorse per prima Mamma. «Che cos'hai tanto da strillare, Saumensch? Chi c'è?»

«La Gestapo.»

«Hansie!»

Papà era già alla porta, e uscì di casa per accoglierli. Liesel voleva raggiungerlo, ma Rosa la trattenne, e rimasero a guardare dalla finestra.

Papà si era fermato al cancelletto, pieno di agitazione.

Mamma serrò la sua presa sulle braccia di Liesel.

Gli uomini passarono oltre.

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Allarmato, Papà guardò indietro verso la finestra, poi uscì dal cancello, gridando agli uomini: «Ehi, sono qui! Sono io quello che cercate, abito qui».

Gli uomini dal pastrano si soffermarono solo un attimo a controllare i loro taccuini. «No, no», gli risposero. Avevano voci profonde, cupe.

«Lei è un po' troppo vecchio per noi.»

Proseguirono, ma non andarono troppo lontano, poiché si arrestarono al numero 35 ed entrarono nel cancello.

«Frau Steiner?» chiesero, quando la porta si aprì.

«Sì, sono io.»

«Siamo venuti a parlarle.»

Gli uomini dal pastrano parevano colonne imbacuccate sulla soglia di quella scatola da scarpe che era la casa degli Steiner. Per qualche motivo, erano venuti per il ragazzo. Gli uomini con il pastrano volevano Rudy.