PROLOGO

Una catena montuosa

di macerie

Nel quale la narratrice introduce:

se stessa - i colori - e la ladra di libri

La morte e il cioccolato

Prima i colori.

Poi gli esseri umani.

È così che di solito vedo le cose.

O almeno ci provo.

*** UN SEMPLICE FATTO ***

Prima o poi morirai.

In tutta sincerità, mi sforzo di prendere la faccenda allegramente, anche se, a dispetto delle mie proteste, la maggior parte delle persone trova difficile credermi. Per favore, fidati di me. Posso davvero essere allegra. Posso essere amabile. Affettuosa. Affabile. E queste sono solo le parole che cominciano per A. Non chiedermi però di essere bella: essere bella non è da me.

*** REAZIONE AL SUMMENZIONATO FATTO ***

Ti preoccupa?

Il mio consiglio è: non avere paura.

Sono leale.

Naturalmente occorre un'introduzione.

Un inizio.

Dove sono finite le mie buone maniere?

Potrei presentarmi in modo appropriato, certo, ma non mi pare necessario. Potrai conoscermi abbastanza bene e piuttosto in fretta, dipende da alcune variabili. Ti basti sapere che a un certo punto sarò lì di fronte a te, più cordiale che potrò. Ti terrò l'anima in pugno. Un colore farà capolino dalla mia spalla, e ti porterò via con me, con dolcezza.

Sarai sdraiato (di rado trovo qualcuno in piedi). Avrai le membra rigide. Forse qualcuno ti scoprirà, e si sentirà un grido risuonare nell'aria. Gli unici rumori che udirò dopo saranno quelli del mio respiro, del mio fiuto, dei miei passi.

L'interrogativo che devi porti è: che colore assumerà ogni cosa nell'istante in cui verrò da te? Che cosa dirà il cielo?

Personalmente amo il cielo color cioccolato. Cioccolato scurissimo.

Si dice che mi doni. Tuttavia cerco di apprezzare ogni sfumatura che vedo, l'intero spettro. Un miliardo o giù di lì di sapori, nessuno perfettamente uguale all'altro, e un cielo da succhiare piano piano.

Allevia la tensione. Mi aiuta a rilassarmi.

*** UNA PICCOLA TEORIA ***

La gente tende a notare i colori di una giornata solo all'inizio e alla fine, ma per me è chiaro che in un giorno si susseguono un'infinità di sfumature e tinte, in ogni istante. Una singola ora può essere composta da migliaia di colori diversi.

Gialli cerei, azzurri plumbei. Tenebrosa oscurità.

Nel mio lavoro mi picco di notarli tutti.

Come ho accennato, la mia unica salvezza è lo svago. Mi mantiene sana di mente. Mi aiuta a tirare avanti, tenendo conto che faccio questo lavoro da moltissimo tempo. Il guaio è: chi potrebbe mai sostituirmi?

Chi potrebbe prendere il mio posto mentre mi concedo un po' di riposo in una delle vostre località di villeggiatura, tropicale o sciistica? La risposta, naturalmente, è: nessuno, cosa che mi ha indotta a prendere una consapevole, deliberata decisione, ovvero fare dello svago la mia vacanza. Inutile dire che le mie vacanze le passo osservando i colori.

Ti domanderai perché abbia bisogno di una vacanza. Da che cosa dovrei svagarmi?

Questo ci conduce al punto successivo. Gli esseri umani superstiti. I sopravvissuti.

Sono quelli che non posso guardare, sebbene in molte occasioni non riesca a evitarlo. Cerco deliberatamente i colori per tenerli lontani dalla mia mente, ma di tanto in tanto mi trovo davanti quelli che sono rimasti indietro, schiacciati sotto un caos di frammenti di consapevolezza, disperazione e stupore. Hanno cuori feriti. Hanno polmoni schiacciati.

E questo ci porta, a sua volta, all'argomento di cui ti parlerò stasera, o stamani, a seconda dell'ora e del colore. È la storia di una di quei sopravvissuti - un'esperta nell'arte di essere lasciata indietro - che, fra le altre cose, riguarda:

 una ragazza;

 qualche parola;

 un suonatore di fisarmonica;

 alcuni tedeschi fanatici;

 un pugile ebreo;

 e un bel po' di furti.

Ho visto la ladra di libri tre volte.

Accanto alla ferrovia

Per prima cosa apparve qualcosa di bianco. Accecante.

Ora, magari, starai pensando una di quelle sciocchezze, tipo che il bianco non è un colore. Ebbene, io ti dico che lo è. Il bianco è senza dubbio un colore, e non credo tu abbia voglia di metterti a discutere con me.

*** UN ANNUNCIO RASSICURANTE ***

Stai tranquillo, non badare al mio tono minaccioso.

Sono solo una chiacchierona.

Non sono violenta.

Non sono cattiva.

Sono un esito.

Sì, c’era il bianco.

Pareva che la terra intera fosse vestita di neve, quasi l'avesse indossata come tu indosseresti un maglione. Accanto ai binari si affondava fino alle ginocchia. Gli alberi erano coperti di ghiaccio.

Come avrai già capito, qualcuno era morto.

Mica potevano lasciarlo lì per terra. Per il momento non era un problema, ma presto si sarebbero dovuti sgomberare i binari, e bisognava che il treno ripartisse.

C'erano due macchinisti.

Una madre con la figlia.

Un cadavere.

La madre, la ragazza e il cadavere rimanevano zitti, ostinati. «Be', che cos'altro vuoi che faccia?»

I macchinisti erano un uomo alto e uno basso. Quello alto parlava sempre per primo, anche se non era lui a comandare. Lanciò uno sguardo a quello basso e grassoccio con la faccia rubiconda.

●●●

«Mica possiamo lasciarli così», fu la risposta.

Il macchinista alto stava perdendo la pazienza. «Perché no?»

Per poco quello basso non esplose. Guardò in su e urlò rivolto al mento del collega: « Spinnst du? Sei cretino?» La ripugnanza dipinta sulle sue guance si faceva ogni istante più evidente. La pelle gli si dilatava. «Coraggio», disse camminando avanti e indietro nella neve,

«se sarà necessario caricheremo tutti e tre. Daremo la notizia alla prossima stazione.»

Quanto a me, avevo già commesso il più elementare degli errori.

Non so dirti quanto ne sia contrariata. Eppure all'inizio avevo fatto tutto secondo le regole.

Avevo osservato attentamente il cielo accecante, bianco come la neve, fuori del finestrino del treno in movimento. Lo avevo quasi respirato, poi, però, ho vacillato. Ho ceduto, e ho rivolto il mio interesse alla ragazza. La curiosità ha avuto la meglio. Mi sono rassegnata a fermarmi lì finché i miei impegni me lo avrebbero permesso, e sono rimasta a guardare.

Ventitré minuti dopo, quando il treno si è fermato, sono scesa assieme a loro.

Reggevo fra le braccia una piccola anima. Mi sono tenuta un po' sulla destra.

La coppia di macchinisti tornò dalla madre, dalla figlia e dal piccolo cadavere. Mi stupii che avvicinandosi non mi notassero. Ricordo chiaramente che quel giorno avevo il respiro pesante. Il mondo si afflosciava sotto il peso di tutta quella neve.

A una decina di metri alla mia destra c'era la ragazza, pallida, affamata e irrigidita dal gelo.

La bocca le tremava nervosamente.

Stringeva sul corpo le braccia intirizzite.

Sul volto della ladra di libri le lacrime si erano ghiacciate.

L'eclissi

Poi c'è una firma nera, tanto per mostrarvi la mia versatilità. Il momento era il più buio della notte, quello che precede l'alba.

Ero venuta a prendere un uomo di circa ventiquattro anni. In un certo senso è stato bello. L'aeroplano tossiva ancora. Il fumo usciva da entrambi i polmoni.

Quando si schiantò al suolo, nel terreno si aprirono tre ferite. Le sue ali divennero braccia amputate. Niente più voli per quell'uccellino metallico.

*** QUALCHE ALTRO FATTO ***

A volte arrivo troppo presto.

Mi precipito,

ma qualcuno si aggrappa alla vita

più a lungo del previsto.

Dopo qualche minuto il fumo si esaurì.

Per primo arrivò un ragazzino, affannato, reggendo qualcosa che assomigliava a una cassetta degli attrezzi. Si avvicinò all'abitacolo con grande trepidazione e osservò il pilota, cercando di capire se fosse vivo: in quel momento lo era ancora. La ladra di libri giunse circa trenta secondi dopo.

Erano passati anni, ma la riconobbi.

Ansimava.

Il ragazzino trasse fuori dalla cassetta degli attrezzi un orsacchiotto.

Allungò un braccio attraverso il tettuccio rotto e lo pose sul petto del pilota. L'orsetto sorridente sedette un po' scomposto sul corpo straziato, in mezzo al sangue. Pochi minuti dopo colsi la mia occasione. Era il momento giusto.

Mi avvicinai, liberai l'anima dal ventre dell'uomo e mi allontanai.

Rimasero solo il cadavere, l'odore del fumo che si smorzava e l'orsacchiotto sorridente.

Ovviamente quando la folla si fece numerosa le cose erano cambiate.

L'orizzonte cominciava ad assumere un color carboncino. Dell'oscurità precedente rimaneva soltanto uno scarabocchio, e stava svanendo in fretta.

L'uomo, invece, era color osso. La pelle era come lo scheletro.

L'uniforme spiegazzata. I suoi occhi erano freddi e marroni - come una macchia di caffè - e l'ultimo tratto di nero nel cielo in quel momento formava ciò che ai miei occhi sembrò una figura strana e al tempo stesso familiare: una firma.

La folla fece ciò che fanno le folle.

Mentre mi facevo strada per allontanarmi, ognuno rimase lì a giocherellare con il suo silenzio. Un insieme di movimenti confusi di mani, parole soffocate, un girarsi qua e là silenzioso e consapevole.

Dentro l'aeroplano, quando guardai indietro, la bocca aperta del pilota pareva sorridere. Un'ultima barzelletta spinta. Ancora una battuta finale.

L'uomo rimase infagottato nella sua uniforme, mentre la luce grigiastra abbracciava il cielo. Come accade in molti casi, quando iniziai il mio viaggio di ritorno parve farsi di nuovo repentinamente buio, l'istante finale di un'eclissi... la consapevolezza che un'altra anima se n'è andata.

Devi sapere che, a dispetto di tutti i colori che sfiorano o si avvinghiano a ciò che vedo in questo mondo, spesso quando un uomo muore vedo, soltanto per un attimo, un'eclissi.

Ne ho viste a milioni.

Ho visto più eclissi di quante vorrei ricordare.

La bandiera

L'ultima volta che la vidi era rosso. Il cielo sembrava una zuppa che bolle. In certi punti ardeva come brace. C'erano anche alcune briciole nere, simili a grani di pepe, disseminate in mezzo a tutto quel porpora.

Lì i bambini avevano giocato alla settimana, sulla strada che assomigliava a una pagina unta d'olio. Quando arrivai, potevo ancora sentire l'eco delle loro voci. Il rumore dei piedini sul selciato. Risate infantili, e sorrisi come sale, eppure rapidi a svanire.

Poi, le bombe.

Stavolta tutto era arrivato in ritardo.

Le sirene, i segnali alla radio. Tutto troppo tardi; Nello spazio di qualche minuto si crearono cumuli di cemento e di terra. Le strade si trasformarono in vene recise. Il sangue sgorgò finché non si seccò sulla strada, e i corpi rimasero lì immobili, come relitti dopo una piena.

Tutti incollati al suolo, fino all'ultimo: un blocco di anime.

Destino?

Sfortuna?

Furono questi a schiacciarli in quel modo?

Certo che no.

Non diciamo sciocchezze.

La causa furono, piuttosto, le bombe, sganciate da uomini nascosti fra le nubi.

Si, il cielo era d'un rosso devastante, come una fornace. La piccola città tedesca era stata fatta a pezzi un'altra volta. I fiocchi di cenere scendevano così dolcemente che si era tentati di allungare la lingua per acchiapparli, assaggiarli. Ma ci si sarebbe scorticati le labbra e cotti la bocca.

Vidi tutto con chiarezza.

Ero sul punto di andarmene, quando la trovai lì in ginocchio.

Una catena montuosa di macerie era scritta, disegnata, eretta intorno a lei, che si aggrappava a un libro.

Più di ogni altra cosa, la ladra di libri desiderava tornare in cantina a scrivere, o a leggere per l'ultima volta la sua storia. Se ripenso al suo viso in quel momento, ne rivedo ancora chiaramente l'espressione: moriva per quel libro - per salvarlo, per la sua casa - ma non riusciva a muoversi. Inoltre, il seminterrato non esisteva nemmeno più: faceva parte del paesaggio straziato.

Per favore, ti chiedo ancora una volta di credermi. Avrei voluto fermarmi, chinarmi accanto a lei. Volevo dirle: «Mi dispiace, bimba».

Ma questo non è permesso. Non mi chinai, né parlai.

Rimasi invece a guardarla per un po'. Quando fu in grado di muoversi, la seguii.

●●●

Lasciò cadere il libro.

S'inginocchiò.

La ladra di libri si mise a gridare.

Il libro della ragazza fu calpestato più volte quando ebbe inizio il lavoro di ripulitura, e anche se era stato dato l'ordine di portare via soltanto le macerie, il suo tesoro più prezioso venne gettato su un camion della spazzatura. A quel punto mi vidi costretta a recuperarlo, non sapendo che negli anni a venire l'avrei letto e riletto parecchie migliaia di volte. Avrei cercato i passaggi che parlavano dei momenti in cui ci siamo incontrate, e mi sarei stupita di ciò che la ragazza sapeva, e di come fosse sopravvissuta. È quanto di meglio possa fare... vedere il libro finire assieme a ogni altra cosa cui ho assistito in quel tempo.


Quando tornai a prenderla vidi una lunga serie di colori, ma furono i tre che avevo osservato quando era viva a risaltare di più. A volte riesco a galleggiare al di sopra di quei tre momenti. Me ne sto sospesa, finché una verità infetta non si fa strada verso la chiarezza.

È allora che li vedo prendere forma.

*** I COLORI ***

ROSSO:

BIANCO:

NERO:

Ricadono gli uni sugli altri. La firma nera sul bianco totale, accecante, poi sul rosso denso.

Sì, mi ricordo sovente di lei, e in una delle mie numerose tasche ho conservato la sua storia da raccontare. Non è che una della miriade di storie che porto con me, ognuna a suo modo straordinaria. Ciascuna di loro rappresenta un tentativo - un faticoso tentativo - di dimostrarmi che la vostra esistenza di uomini vale la pena di essere vissuta.

Eccola qui. Una fra tante.

La ladra di libri.

Se ti fa piacere, vieni con me. Ti racconterò questa storia. Ti mostrerò qualcosa.