PARTE DECIMA
La ladra di libri
Contenente:
la fine del mondo - il 98° giorno – un guerrafondaio - la strada delle parole - una ragazza sconvolta - confessioni - il libretto nero di Ilsa Hermann - la cassa toracica degli aeroplani - e fiocchi di neve ardenti
La fine del mondo
(Parte I)
Vi anticiperò ancora qualche particolare. Forse servirà a prepararvi meglio per il seguito della storia, oppure servirà a me per raccontarla. In ogni caso, devo informarvi che pioveva sulla Himmelstrasse quando il mondo finì per Liesel Meminger.
Il cielo gocciolava come un rubinetto che un bambino avesse tentato di chiudere con tutta la sua forza, ma senza riuscirci.
Le prime gocce erano fredde. Le sentii sulle mani mentre uscivo dalla bottega di Frau Diller. Poi arrivarono gli aeroplani. Caddero le bombe. Le nubi presero fuoco.
Li sentii sopra di me.
Guardai su, nel cielo nuvoloso, e vidi gli aeroplani, simili a barattoli di latta. Ne vidi il ventre aprirsi e lasciar cadere a casaccio le bombe.
Certo, erano fuori bersaglio. Mancavano spesso l'obiettivo.
*** UNA PICCOLA SPERANZA ***
Nessuno voleva bombardate la Himmelstrasse.
Nessuno avrebbe bombardato un luogo
di nome paradiso. Oppure no?
Le bombe caddero, e presto le nuvole incominciarono ad ardere e le fredde gocce di pioggia si trasformarono in cenere fumante.
Fiocchi di neve ardenti ricaddero sulla strada.
In breve, la Himmelstrasse fu rasa al suolo.
Le case furono spianate da un lato all'altro della strada. Una fotografia di un serissimo Führer finì distrutta sul pavimento sventrato.
Sorrideva ancora, in quel suo modo un po' tetro. Sapeva qualcosa che noi non sapevamo.
Io, però, sapevo
qualcosa che lui non sapeva.
Tutto ciò accadde mentre la gente dormiva.
Rudy Steiner dormiva. Mamma e Papà dormivano. Frau Holtzapfel, Frau Diller. Tommy Müller. Dormivano tutti. Morirono tutti.
Sopravvisse un'unica persona.
Rimase viva perché sedeva in cantina a rileggere la storia della sua vita, in cerca di errori. In precedenza quel locale era stato dichiarato non abbastanza profondo, ma quella notte del 7 ottobre fu sufficiente.
Qualche ora più tardi, quando uno strano, stravolto silenzio si diffuse su Molching, l'LSE locale riuscì a udire qualcosa. Un'eco.
Là sotto, da qualche parte, una ragazza picchiava disperatamente con una matita su una latta di vernice.
Si fermarono tutti, corpi e orecchie curvi in ascolto, e quando udirono di nuovo quel rumore incominciarono a scavare.
*** OGGETTI PASSATI DI MANO IN MANO ***
Blocchi di cemento. Tegole del tetto.
Un pezzo di muro con un sole dipinto.
Un'infelice fisarmonica che spuntava
dalla custodia sfondata.
Tirarono via tutto.
Quando fu rimossa una buona porzione di muro crollato, uno della squadra scorse finalmente i capelli della ladra di libri.
L'uomo scoppiò a ridere, come impazzito: «Non ci posso credere, è viva!»
Grande fu la gioia di quegli uomini che si affollavano per assistere al miracolo, ma io non potevo condividere appieno il loro entusiasmo.
Avevo appena raccolto il suo papà con una mano, poi la mamma con l'altra. Erano così soffici, le loro anime.
Più tardi i loro corpi vennero ricomposti, come gli altri. I begli occhi argentei di Papà incominciavano già ad arrugginire, e le labbra di cartone di Mamma erano rimaste semiaperte, come se fosse stata interrotta mentre russava.
I soccorritori tirarono fuori Liesel, spazzolandole via i calcinacci dagli abiti. «Ragazzina», le dissero, «le sirene hanno suonato troppo tardi. Che cosa ci facevi in cantina? Come facevi a sapere che dovevi nasconderti?»
Non notarono che la ragazza stringeva a sé un libro.
Con tutto il fiato che le era rimasto gridò la sua risposta. L'urlo lacerante di chi è rimasto vivo.
«Papà!»
Una seconda volta. Il suo viso si contorse mentre gridava più forte ancora, in preda al panico. «Papà, Papà!»
La sollevarono mentre gridava, gemeva e piangeva. Neppure sapeva ancora se fosse ferita, ma si divincolò e cercò e chiamò e urlò più forte.
Stringeva ancora a sé il libro.
Si aggrappava disperatamente alle parole che le avevano salvato la vita.
Il 98° giorno
Per novantasette giorni, dopo il ritorno di Hans Hubermann, nell'aprile del 1943, tutto andò benone. Più volte rifletteva su che cosa pensasse suo figlio che combatteva a Stalingrado, ma sperava che un po' della sua fortuna fosse passata nel sangue del ragazzo.
La terza serata a casa suonò la fisarmonica in cucina. Una promessa è una promessa. Ci furono musica, minestra e scherzi, e le risate di una quattordicenne.
« Saumensch», l'ammonì Mamma, «basta ridere così forte. Le sue barzellette non fanno così ridere. E sono pure sporche...»
Dopo una settimana Hans riprese servizio, recandosi in città in un ufficio militare. Disse che c'era una buona scorta di sigarette e di cibo, e a volte riusciva a portare a casa un po' di biscotti e di marmellata. Era come ai bei tempi. Una piccola incursione aerea a maggio. Un « Heil Hitler» qua, uno là, e tutto filava liscio.
Fino al novantottesimo giorno.
*** COMMENTO DI UN'ANZIANA SIGNORA ***
Disse, nella Münchenstrasse: «Gesù, Giuseppe e Maria, se solo non li avessero fatti passare di qua.
Portano sfortuna, quei disgraziati di ebrei.
Cattivo segno. Ogni volta che li vedo,
so che qualcosa andrà storto».
Era la stessa signora che indicò gli ebrei la prima volta che Liesel li vide. La sua faccia era simile a una prugna secca, però pallida come carta. Gli occhi avevano la stessa tinta bluastra d'una vena. E la sua previsione era giusta.
Nel cuore dell'estate, Molching ricevette un indizio. Non sembrava diverso dal solito: prima la testa ciondolante di un soldato. Poi la fila di ebrei.
L'unica differenza era che venivano condotti nella direzione opposta: li portavano verso la vicina città di Nebling per spazzare le strade e compiere quei lavori di pulizia che l'esercito rifiutava di fare. Più tardi, quel giorno, furono fatti marciare di nuovo fino al campo, lenti e stanchi, distrutti.
Ancora una volta Liesel cercò Max Vandenburg, pensando che poteva facilmente finire a Dachau senza attraversare Molching. Non era lì. Non quella volta.
Diamo tempo al tempo, pensò. Aspettiamo, perché qualche caldo pomeriggio d'agosto Max avrebbe senza dubbio attraversato la città assieme agli altri. A differenza di loro, tuttavia, non avrebbe fissato la strada. Non avrebbe guardato distrattamente la tribuna tedesca del Führer.
*** UN FATTO A PROPOSITO ***