IL MORSO VERMIGLIO
Anno dei Cento Assalti – 602°
dall’Inizio dell’Assedio
«E il decollo da terra?» domandò Alanera in tono secco.
Drith annuì. «Perfettamente operativo. Con il solo difetto che è possibile alzarsi una sola volta da quota zero prima di essere costretti a ricaricare le serpentine.»
«È affidabile?»
«A quanto ho sperimentato, sì, signore. La struttura del Vespertillo è per metà cava, il che grazie agli innesti di certes alleggerisce il telaio senza indebolirlo e permette di far passare nelle cavità la mistura alchemica volatile.»
«La Sospensione Aerea dell’Apotecariato... Più leggera dell’aria» borbottò Alanera. «Volevano usarla solo per il sollevamento dei carichi in miniera o sulle mura ma avevano rinunciato per il forte rischio di incidenti...» Fece una smorfia.
Drith rispose alla domanda prima che Alanera la formulasse. «Sì, signore. Ma per noi il rischio sarà limitato. È la sospensione a essere pericolosa e non si forma finché il pilota non dà l’opportuno comando. Si tratta di un liquido normalmente inerte che va a mescolarsi con dei cristalli alchemici, collocati in alcune serpentine incassate nella struttura; solo quando cristalli e liquido si mescolano si forma la sospensione. E solo allora la sospensione va a riempire sia l’ossatura cava del Vespertillo sia alcuni palloni ripiegati, che si gonfiano e salgono verso l’alto, trascinando con sé la macchina, mantenendola nel corretto assetto di volo. Dalla posizione di pilotaggio basta attendere di essere abbastanza in alto e in presenza di una corrente adatta per tagliare con la lama a scatto le corde che tengono i palloni. E liberare la macchina... a quel punto si vola in planato come al solito. Fino al ritorno alla Torre di Volo.»
«Uhm. E se il sistema di taglio non funziona?»
«In ogni caso si sale solo fino a una certa quota, poi i palloni scoppiano. O almeno, così mi è stato spiegato. In ogni caso si viene liberati dall’ascesa forzata...»
«E se il sistema venisse colpito in volo? E si attivasse incidentalmente?» ribatté lui.
Drith annuì. Aveva studiato tutti i possibili casi insieme a suo padre. Non c’era nulla, come al solito, a cui lui non avesse già pensato. «Se il colpo spacca la carcassa la sospensione si libererà nell’aria e non ci saranno problemi. Se invece il sistema si attiva correttamente l’effetto è solo di trascinare in alto il Pipistrello. Se però la sospensione si incendiasse... esploderebbe.»
«Questa non è un’opzione accettabile.»
«Per fortuna è molto improbabile. Il Conservatore ha migliorato la macchina per rendere l’eventualità il più remota possibile.»
«Lo immagino» bofonchiò lui, osservandola nello stesso identico modo in cui l’aveva guardata suo padre.
«La serpentina di miscelazione è all’interno della struttura, molto ben protetta; non perfettamente se sentite il Conservatore, ma a sufficienza. E la Sospensione deve essere a una certa densità per esplodere. Il caso più probabile è che il Pipistrello sia trascinato verso l’alto senza alcun controllo...»
«Le manovre sarebbero interrotte bruscamente, con un aumento del rischio di diventare bersagli sul campo.»
«Il rischio di essere bersagli c’è sempre...» balbettò lei, rendendosi conto di essere stata un po’ troppo baldanzosa. Alanera le scoccò un’altra occhiata gelida e lei aggiunse a voce più bassa: «Se posso, signore, il Vespertillo più degli altri è stato progettato per il volo mascherato e nonostante sia un’arma temibile per rapidità di manovra e per le armi che può ospitare a bordo, a mio parere il suo ruolo ideale sarebbe nell’ombra. Per azioni sul suolo nemico». Questo almeno era ciò che aveva concluso lei. Prendere i Dragoni alle spalle era ciò di cui avevano bisogno, anche lei e Hiccam, ma non era detto che Alanera la vedesse allo stesso modo. Pensò che l’avrebbe subito rimessa a posto con qualche frase pungente ma il Capo Pipistrello si limitò a gettarle un’altra occhiata e si schiarì la voce.
«Un’esplosione sarebbe utile per distruggere la macchina piuttosto che farla trovare ai Dragoni, ma dovremmo poterla comandare. Siamo in grado di controllare l’infiammabilità della Sospensione Aerea?» domandò, squadrandola.
Drith annuì. «In modo ragionevole, signore. La sospensione è infiammabile solo quando è allo stato volatile. Il Conservatore ha condotto degli esperimenti. Sulle mura avevano ragione a temerne l’uso perché lo avrebbero sfruttato in quel modo, mettendo così a rischio l’intera cinta esterna. Noi però avremo un vantaggio. Finché non si mescolano gli ingredienti alchemici, non ci sarà stato volatile, quindi non saremo più infiammabili di un qualsiasi Molosso o di una Rossetta o un Barbastello. E dubito che avremo bisogno di un decollo in pieno campo di battaglia. Se avverrà in segreto, come deve, nessuno avrà modo di incendiare i palloni di ascesa. Se invece restassimo intrappolati in territorio nemico potremmo usare la sospensione a nostro vantaggio, per distruggere il Vespertillo senza lasciarne traccia.»
Alanera rimase accigliato, le punte delle dita premute le une contro le altre. «Vi vedo entusiasta, weir Acuto» concluse poi.
Lei non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. «Il Vespertillo ci darà possibilità inaspettate» annuì.
Il Capo Pipistrello sembrava dubbioso. Lo vide alzarsi e darle le spalle, guardando fuori dalla finestra della Torre di Volo per un lungo, gelido momento.
«Ebbene, questo lo vedremo» disse alla fine. Poi fece un sospiro mozzo e aggiunse, continuando a darle le spalle: «Ora, per quanto riguarda il vostro ritorno in servizio...».
«Sono pronta a riprendere il mio posto, signore.»
«Il punto è, Acuto, che non riprenderete il vostro posto.»
«Signore?» boccheggiò lei.
«Ho passato il comando del vostro Stormo a raenth Cacciatore. Voi stessa sembravate pensare che il vostro secondo fosse in grado di gestire la posizione di comando.»
«Credo che lo sia, infatti» sussurrò con voce strozzata Drith.
«Concordo. Lo ha dimostrato ieri in battaglia. Ma concordo anche su ciò che avete affermato poco fa sul ruolo del Vespertillo. La sua posizione ideale è nell’ombra. Per azioni di spionaggio o di supporto non convenzionali: in territorio nemico. Come pilota di un Vespertillo non avrebbe senso tenervi a capo di una squadriglia di Molossi. Sarebbe come tenere un astore in mezzo a dei pettirossi. Per questo voi sarete il primo elemento di un nuovo Stormo, lo Stormo Tenebra. E per la stessa ragione il vostro nuovo compagno non sarà un semplice tiratore.»
Le labbra di Drith si mossero da sole. «Un nuovo Stormo?»
«Esattamente, Comandante Acuto. Ho intenzione di farvi sfruttare a pieno la nuova macchina, per cui avrete bisogno non solo di un tiratore quando siete in volo ma soprattutto di un guastatore capace di compiere missioni a terra. Missioni da Morso Vermiglio. Per questo, Comandante, la scelta è caduta su di voi: per il vostro Sposalizio all’Arma, oltre che per la vostra abilità. E per la stessa ragione avrete con voi un Serpente» annunciò Alanera. Poi si mosse quasi impercettibilmente, tirò il campanello e il suono che aveva sentito migliaia di volte dall’esterno, trapassò le orecchie di Drith.
La porta del segretariato si aprì, una figura oltrepassò la soglia, e qualsiasi cosa cui Drith avesse pensato di assistere quella mattina nell’ufficio di Alanera, svanì.
Il Capo Pipistrello si voltò, squadrò entrambi i soldati che aveva davanti e, nonostante lo sforzo di volontà Drith, fu certa che Alanera l’avesse vista sbiancare.
«Credo che non ci sia necessità di presentazioni. Raenth Curaro ha seguito un breve addestramento di tiro in volo di tre giorni e si è dimostrato sufficientemente abile. Il resto starà a voi, Comandante. Questa è la vostra nomina ufficiale, signori, e questi sono i vostri nuovi gradi come Capo Stormo e Capo Guastatore del Tenebra» aggiunse posando sul tavolo due cofanetti di legno intarsiato e spingendoli verso di loro. «Mi aspetto da entrambi la professionalità e la competenza che avete finora mostrato in altri ruoli. Salvo espliciti ordini, farete rapporto direttamente a me e riceverete disposizioni solo da me, di persona, e su questo devo essere categorico. Il Tenebra è un esperimento non pienamente condiviso e dovremo dare prova a ogni azione di quanto sia prezioso per bloccare le nuove minacce che incombono su Marca. E forse in questo modo potremo ottenere risorse per altri Vespertillo, altri piloti e altri Serpenti.»
«Sì, signore» disse Drith. La sua voce fu raschiante e sentì appena l’eco di quella di Nortigaar.
«Nello sfortunato caso che veniste catturati, avete il Morso che vi è stato consegnato quando siete diventati soldati; controllerò personalmente che lo abbiate ogni singola volta. Non sarete soltanto sul fronte, signori, ma oltre le linee nemiche, e conto sul fatto che non esiterete un solo istante se se ne dovesse presentare l’occasione. Distruggerete il Vespertillo e userete il Morso. È un ordine e un consiglio. Nessuno crede nel Tenebra e nessuno verrebbe inviato a recuperarvi. Non potremmo nemmeno se volessimo, perché abbiamo un solo Vespertillo. Sarete soli e mi aspetto che sappiate cosa fare e come.»
«Sì, signore» dissero in coro Drith e Nortigaar.
Lei impiegò qualche secondo a staccare gli occhi dalla scatola su cui era inciso il nome del nuovo Stormo seguito dal suo, marchiato a fuoco. Le orecchie le rombavano e il cuore martellava e Alanera gettò un’occhiata alle carte sulla propria scrivania.
«In considerazione della diversità degli incarichi che vi verranno affidati, la catena di comando sperimentale del Tenebra sarà semplice ed essenziale. In volo il comando andrà a weir Acuto, a terra a raenth Curaro. Doveste incontrare problemi lo farete presente a me qui, ma non in campo. In caso di un mio abbandono del comando, per una ragione qualsiasi, dovrete riferire al nuovo Capo Pipistrello in commissione con gli altri Capi Arma, che decideranno cosa fare del Tenebra» continuò.
Ma Drith lo sentì appena. «Sì, signore» si sentì ripetere meccanicamente. La voce le echeggiò nel torace e un nodo le strinse la gola. L’onore del nuovo grado e delle nuove responsabilità sembrava molto diverso da come l’aveva immaginato. C’era qualcosa di sbagliato, ma non osava contraddire Alanera, anche perché sapeva perché aveva scelto Nortigaar. La stessa ragione per cui lei stessa l’avrebbe scelto se non...
«Fatevi trovare qui per l’esercitazione al tramonto. Avete bisogno di mettervi alla prova e voglio osservarvi personalmente prima di mandarvi allo sbaraglio» aggiunse tetro il Capo Alanera. Poi sollevò la testa in quel modo che metteva soggezione a chiunque e concluse: «È tutto».
«E a Deva non hai pensato? Al bambino?» tuonò Drith, scaraventando a terra un panchetto con un calcio non appena arrivarono al piano inferiore. Avevano sceso le scale della Torre in un silenzio forzato e a quella esplosione mezza Sala di Primo Volo si voltò a guardarli, con gli occhi sgranati. Drith non aveva mai quell’atteggiamento e il disagio che Nortigaar provava da quando era entrato alla Torre di Volo si acuì.
Drith aveva il viso impietrito e gli occhi saettanti, come se avesse appena ricevuto un pugno che intendeva restituire.
«È proprio a loro che ho pensato. E tu più di tutti puoi capirlo» ribatté Nortigaar con calma.
Per un istante la donna esitò; gli parve che i suoi occhi prendessero la luce profonda e di rassegnata comprensione che ricordava di aver visto in quelli di suo padre Einar e si chiese se non avesse preso la decisione sbagliata. Ma ricacciò indietro l’idea. Sapeva di aver ragione. Sapeva che lei poteva capire e sapeva, perché ci era passato, che questa era forse la cosa peggiore.
«Bene. Forse... forse capisco» gli concesse lei, piegando il viso di lato per non essere costretta a guardarlo ancora. «Questo però non significa che sia d’accordo con la tua decisione.» Intorno a loro la sala riprese a muoversi fingendo che non fosse successo nulla. E Nortigaar decise che gli sarebbe bastato.
«Non è necessario che tu lo sia» disse. «L’assedio non si fermerà solo perché mio figlio sta per nascere. E non è solo questo. Marca non è eterna e non posso aspettare che si faccia avanti qualcun altro al posto mio. Sono addestrato per missioni da guastatore e incursioni, e ciò che posso fare nel Tenebra è molto più importante di quello che posso fare come Serpente, nelle retrovie. Tu lo sai. Io lo so» aggiunse quasi in un ringhio. Drith avrebbe voluto ribattere ma capì di non averne alcun diritto. Aveva fatto la stessa scelta, anni prima. La vide serrare le labbra e limitarsi ad annuire. «E, Drith, voglio che tu sappia che potrai contare su di me. A terra... e in volo» aggiunse.
Lei gli rivolse uno sguardo cupo. «Lo so, questo. Lo so bene» sospirò, posandogli la mano sul braccio. E aggiunse: «E tu puoi e potrai sempre contare su di me. Ma adesso c’è una cosa che devo assolutamente fare prima del volo, dovrai scusarmi qualche ora... La Notte è il mio Scudo» disse staccando il braccio dal suo con improvvisa freddezza e salutandolo con il motto dell’Arma.
«Il Silenzio è la mia Arma» le rispose lui, colpito dall’espressione nei suoi occhi. La lasciò andare e rimase a guardarla allontanarsi, agile come una rondine, finché non fu scomparsa nell’oscurità.
Perché Oscurità e Silenzio sarebbe stato tutto ciò che avrebbero avuto. Oscurità e silenzio.
«Stormo Tenebra. Sì, ho sentito. Come avrei potuto non sentire? Si dicono cose su questo stormo, Drith... ci sono voci. Voci che ho... abbiamo sentito» si corresse mugugnando Chori Acuto.
Drith vedeva solo la sua schiena, china sul tavolo da lavoro come sempre, ma il tono di voce diceva abbastanza del suo umore. La Torre di Segnalazione era vuota e le finestre serrate.
«Come l’ha presa Deva?» gli domandò piano.
«Come volevi che la prendesse?» ragliò lui, voltandosi così di scatto che gli cadde il calamo.
Drith sobbalzò nervosamente, poi si passò la mano sul viso. Aveva solo ventidue anni e si sentiva stanca. Dei segreti, della morte e anche della vita. Aveva imparato presto che la gente non aveva quasi mai ciò che meritava, giusto o ingiusto che fosse, e forse per questo non aveva mai voluto arrendersi a ciò che le pareva ingiusto. Ma non ne poteva più di vedere che nulla di quel che faceva bastava. Qualsiasi fosse la direzione che prendeva. Sentì la sua rabbia traboccare: «Oh, non mettertici anche tu! Come avrebbe preso qualsiasi missione da Serpente di Nortigaar? Pensava forse che le sarebbe rimasto accanto a occuparsi di lei e del bambino? È un Serpente, dannazione! Prima Marca, prima la Squadra...» ruggì ricordando le parole che si insegnavano già all’Istruttorio. Lei però le aveva imparate prima ancora da Hcontor e sentì la sua voce echeggiare così forte nella torre che si fermò tremando.
Suo padre fu colpito dalla violenza che le aveva impregnate.
E lei aggiunse, voltandosi: «Credi che non glielo avrei impedito se avessi potuto?».
«So che lo avresti fatto, per Deva e per te stessa» disse lui, duro. «So che darai la vita per quell’uomo se capiterà ma so anche che devi smettere di pensare di poter o dover proteggere tutti. Che tutto è colpa di qualcosa che fai. O che non hai fatto. Forse sei l’ultima dei Pugno, ma sei solo una donna!»
Drith sbottò in una risata tagliente. «E quindi? Cosa dovrei fare? Stare chiusa al sicuro e al buio, a sperare che qualcuno dopo di me riesca in quello in cui non sono riuscita io?»
«A un certo punto dovrai» le gridò.
Lei serrò le labbra con ferocia. «Non se fermo l’Assedio.»
«E come hai intenzione di riuscirci in una sola vita, Drith? E se tu morissi senza aver lasciato qualcuno...» ribatté lui. La sua voce si affievolì prima di aver concluso il pensiero mentre Drith scoppiava a ridere cupamente.
«Il Conservatore della Società Sperimentale, l’uomo che non crede alle leggende e ha fatto della logica la sua ragione di vita, si sta forse chiedendo cosa farà Marca senza i Pugno? Ah, non credevo avrei vissuto fino a vedere questo momento...» sibilò. La durezza del proprio tono di voce la ferì.
«Non sto dicendo che credo alla leggenda dei Pugno e alla profezia sulla Rivincita degli Uomini» borbottò lui, irritato.
«Allora a che serve il sangue dei Pugno? Tutto è sempre stato in mano ai Markenn, non ai Pugno. E tu lo sai meglio di chiunque altro. Sono sempre stati solo uomini. Hiccam era solo un uomo, padre. O adesso ti sei pentito di avermi cresciuta come hai fatto e pensi che dovrei vivere come voleva il Viceré? A che serve essere ciò che sono se non per combattere e chiudere la partita una volta per tutte?»
«Ma ti ascolti? Sei viva, non uno strumento!» ringhiò lui.
Drith urlò. «Sono Pugno. Questo mi rende uno strumento.»
Il silenzio che seguì le sue parole sembrò fondo come un pozzo. «E a che servirebbe morire senza lasciare niente dietro di te e senza essere riuscita nel tuo intento? Fino a che punto ti spingerai prima di capire che hai una vita sola? Ingoiare il Morso Vermiglio?» mormorò dopo un po’ Chori Acuto.
Drith gli puntò il dito sul petto. «Ogni giorno, padre. Ogni singolo giorno ogni soldato di Marca porta con sé il Morso. Lo porta al collo, una piccola scatola in cui è racchiuso ciò che potrebbe sempre accadere. C’è Marca in quella piccola scatola che preme contro le costole, padre! Marca intera! E io stessa l’ho sempre portata con me. Cosa cambia adesso? Cosa cambia per me... o per Nortigaar? Perché chiediamo agli altri di accettare la perdita di chi amano ma non vogliamo farlo noi? Cosa hanno le nostre vite di diverso dalle altre?»
Chori Acuto tacque e lei aggiunse, ansando: «Niente. Assolutamente niente, a parte che potremmo riuscire in qualcosa che nessun altro è riuscito a fare sino a ora».
La voce del Conservatore però emerse dalla nebbia del vuoto e fu tanto calma da suonare agghiacciante. «Credi che non capisca a cosa serve un Serpente a bordo del Vespertillo? Credi che non lo capisca Deva? Credi che non capiamo quanto più alte sono le probabilità che veniate presi e uccisi dai Dragoni... o peggio ancora siate costretti a togliervi la vita per non essere costretti sotto tortura a rivelare i segreti di Marca? E tutto a causa della mia stupidissima macchina volante» mormorò burbero.
«Sapevi per cosa sarebbe stata usata quando la costruivi...»
«Io l’ho costruita perché volevo far finire l’Assedio, non per...»
Drith sorrise tristemente. «Che bella coppia siamo, padre. Tu parli a me di senso di colpa... e io a te di senso di sacrificio. Tu non vuoi sentirti responsabile della nostra morte. Della mia. O magari della morte dei Pugno. Ma hai sacrificato e sacrifichi ogni minuto della giornata per me. La tua vita, per me. Anche tu sei solo un uomo. Pensa a questo: insieme possiamo farcela. Possiamo avere successo, io e te. Possiamo fare qualcosa di buono esattamente così come siamo...» sospirò sfinita.
Lui scosse la testa. «Figliola, so cosa siamo. E se non avessi avuto speranza di migliorare le cose non sarei vissuto sino a ora, non avrei sposato Nica. Non avrei mai trovato l’impensato. Ma mi sono sempre occupato di risolvere ciò che apparentemente è irrisolvibile. Trovare un modo per fare cose impossibili... e so che c’è un momento in cui si deve smettere. Ci sono cose di fronte alle quali devo arrendermi e pensare a ciò che lascerò per chi verrà dopo di me. Tua madre mi ha lasciato te da vigilare e io...»
«Non sono più una bambina e non ho bisogno di qualcuno che vegli su di me, ma che stia al mio fianco!» gli chiese però lei.
Il volto di Chori Acuto si contrasse in una smorfia dolorosa. «E ci sono, lo sai. Ma vorrei vederti sperare in un domani migliore. Capire che quello che hai deciso non è il solo modo di aiutare Marca. Che sei anche un simbolo. Che lo saresti per tutta Marca se...»
Lei chiuse gli occhi. «Se mi rivelassi? Cosa accadrebbe a parte essere costretta a provare chi sono? Vivrei protetta nell’Altamarca? Senza poter fare quello che devo? Sfuggendo all’odio di quei Markenn che ucciderebbero volentieri i Pugno? No. Nemmeno tu vorresti questo. Vorresti vedermi al sicuro, sì. Ma non puoi. Forse non ho abbastanza speranza, è vero... ma tu e la mamma mi avete insegnato di meglio. La fiducia. Nel tuo lavoro e nel mio. In quello che posso fare, ora.»
«Non volevamo che tu rinunciassi alla tua vita. Io... guardo Deva e non posso fare a meno di pensare che avresti potuto essere tu al posto suo... e se fosse accaduto, se ti avessi dissuaso allora invece di lasciarti fare, tutto sarebbe stato diverso... forse avresti visto ciò che io vedo...» S’interruppe, per un istante nell’aria aleggiò l’idea di ciò che non era stato e avrebbe potuto e Drith sentì le vecchie ferite riprendere a sanguinare.
«Ma non lo è» scosse la testa. «Non ho sposato Nortigaar e non aspetto alcun bambino. Non lo aspetterò mai. Accetta le mie decisioni, ti prego, e abbi fiducia in quel che posso fare. Da Pipistrello. Adesso» lo pregò afferrandogli la mano. Avrebbe voluto che non fosse vero ma aveva bisogno del suo supporto ora come non mai. Cercò la calma che le aveva sempre trasmesso, la sicurezza delle sue mani solide e capaci.
Il silenzio li avvolse come un guscio e per un lungo momento fu tutto quello che riempì la Torre. Chori Acuto serrò le dita sulle sue e lei mormorò: «Sono un soldato volante. Ogni giorno, finché ci sarà da combattere, volerò in combattimento. Obbedirò agli ordini. Se necessario improvviserò. Sarei potuta morire mille volte, in passato, per una febbre o anche solo standomene qui durante un attacco. In battaglia avrei potuto dover ingoiare quella pastiglia di veleno mille volte. È grazie al mio addestramento e agli strumenti che ho a disposizione che non è accaduto. E non sarà colpa tua se morirò nel campo dei Dragoni. Ma è merito tuo se abbiamo una possibilità che non abbiamo mai avuto prima».
Chori Acuto sbuffò lasciandola per darle le spalle. «Possibilità...?»
«Sì, padre. Non una lontana speranza. Una vera possibilità. Non mi arrenderò proprio adesso.»
«È Hiccam, vero?» mormorò amaro lui.
Drith non lo guardò. «Sai cosa pensa. Che il traditore si nasconda tra i Dragoni. Che sia ancora lì. Il piano di Alanera ci darà modo di mettere in atto anche il nostro.»
«E il vostro è trovare il traditore. Quel Woos che le cronache degli Scrittori e persino il diario di Weru sostengono sia fuggito con Hiccam dalla Coracca e che poi lo abbia tradito...» Scosse violentemente il capo. «Ancora non capisco come possiate pensarlo. Come può essere ancora vivo?»
«Hai trovato nei registri tenuti da Weru le sue annotazioni sul fatto che la vita degli Occlumsaac è lunga molte vite degli uomini» ribatté Drith.
«E ancora non capisco come un Occlumsaac avrebbe potuto ingannare Hiccam o l’intera città di Marca. Indurli a credere che fosse umano... e ingannare i Dragoni, per quel che vale. Come può crederlo lui? O te? Cosa c’è che non mi dici? Cosa non mi hai mai detto?» sbottò livido e disperato.
Drith si strinse nelle braccia e represse un tremito.
Guardò la punta dei propri stivali. Non gliene aveva mai parlato perché temeva la sua reazione, ma quel giorno ogni muro che aveva eretto intorno a sé per proteggersi da quel che era e quel che provava era crollato e suo padre meritava di sapere. Tutto.
Così dette finalmente ascolto a quel che Hiccam le diceva di fare da anni.
«Lui lo sa come lo so io, padre. Lo so anche se non voglio crederci» mormorò. «E lui lo sa perché nella Coracca ha visto con i suoi occhi gli uomini che si arrendevano agli Occlumsaac diventare Occlumsaac... trasformarsi in Occlumsaac. In qualche modo morire... mentre nascevano altri Occlum. Erano uomini, un tempo. Come te. Come i Dragoni. Uomini che sono... mutati. Che hanno una vita più lunga, capacità incomprensibili e una forza incredibile, ma hanno ceduto la loro umanità per averla. Questo era quello che sarebbe diventato anche Hiccam, se non fosse riuscito a fuggire. Un Occlumsaac. Woos era rimasto nella Coracca più a lungo. Era già cambiato quando ne uscì. È per questo che tradì Hiccam e noi tutti. E che appena poté, Hiccam ordinò che mai più nessun ferito fosse lasciato indietro, vivo, sul territorio Occlum. Perché è sangue in parte Occlum quello che Hiccam aveva nelle vene quando riuscì a fuggire. E che ci ha passato per generazioni. La Condanna altro non è che la natura Occlumsaac. Una trasformazione mai ultimata. Ecco perché sa che Woos è ancora vivo. Ecco perché io non lo metto in dubbio» disse, con una nota di disgusto nella voce.
Suo padre la fissò con gli occhi sgranati e la bocca improvvisamente secca. Sembrava fosse stato colpito da una freccia. Credeva di aver sempre capito il suo comportamento, ma non aveva mai immaginato questo, nemmeno dai diari di Weru, e fu costretto a sedersi sul panchetto, pallidissimo e senza fiato. «Da quanto lo sai?» ansò dopo un infinito silenzio.
«Dall’Assegnazione. Dalla prima volta che parlai con Hiccam... anche se in realtà forse da sempre.»
«Hcontor...»
«Non mi aveva detto nulla, no, ma credo mi avesse preparato, in qualche modo.»
«Ma perché non lo hai mai detto a me? Avrebbe potuto essermi utile. Avrei potuto...»
Drith esalò un mezzo sorriso. «Cosa avrei dovuto dirti? E in che modo avrebbe potuto esserti utile? Ero solo una ragazzina. E avevo paura di quel che avresti pensato di me se lo avessi saputo.»
Chori Acuto non rispose. Disse invece: «E così ha sempre temuto... ha sempre temuto che suo figlio fosse andato nel territorio Occlumsaac per unirsi alle Coracche e non per... cercare una cura? Per questo non vuole affrontare l’argomento?».
«Non ne parla» borbottò Drith.
Suo padre rimase ancora in silenzio, sotto shock, pallido come la morte. Poi si scosse, sorprendendola ancora una volta con la sua incredibile forza d’animo e la capacità d’adattamento. «E quando avrai trovato Woos cosa farai...? Cosa vuole che tu faccia?» chiese, senza mettere più in dubbio nulla.
Drith lo fissò. «Il necessario» disse. «Abbiamo una sola freccia al nostro arco. Solo una. Il resto sarebbero rimedi temporanei, se non eliminiamo Woos e non chiudiamo almeno un fronte dell’Assedio.»
«E ucciderlo chiuderà quel fronte? Lo credete davvero? Non è un solo uomo o un solo Occlum a farci la guerra... sono centinaia d’anni che è passato dall’altro lato. Come facciamo a essere sicuri che non abbia corrotto qualcuno, che non lo abbia reso come lui e...?»
«No, è solo e si considera in mezzo al nemico. Non si scoprirebbe mai. Hiccam dice che gli Occlumsaac disprezzavano apertamente ciò che erano stati. E lui disprezza i Dragoni. Ma di sicuro ormai loro si fidano di lui; deve essere in una posizione da cui è in grado di influenzarli e probabilmente questo lo diverte. Li usa come bestie.»
«E crederebbero a noi piuttosto che a lui? Come potreste... come potremmo mai convincerli?» si corresse Chori Acuto.
Drith trasse un profondo sospiro. «Mostrandogli la verità forse capiranno. O forse potremo almeno trattare... è l’unica possibilità che abbiamo. Quelli che ora chiamiamo Dragoni erano nostri alleati. Di più. Erano noi. Deve esserci un modo per far loro comprendere la verità. E svegliarci tutti da quest’incubo.»
Finalmente lui annuì, anche se con una smorfia, come se davvero capisse e la cosa gli desse la nausea. «E Nortigaar? Sa tutto questo?» le domandò, sorprendendola di nuovo.
Drith sentì le lacrime pungerle le palpebre ma sollevò un muro di volontà e non le lasciò cadere. «No. Ma vede un’opportunità. Non la stessa che vediamo noi, la vede per ragioni diverse, la vede per Deva e suo figlio, ma vede la possibilità che l’Assedio finisca. Per questo Alanera l’ha scelto... e non posso chiedere altro. Altri Serpenti non la vedrebbero.»
Il volto di suo padre rimase cupo e serio, una luce di lacrime anche nei suoi occhi infossati, ma trovò la forza di muoversi e le afferrò ancora la mano, stringendola forte. «So come sei fatta, Drith. Sentirai l’ombra della sua vita sulle tue spalle. E la responsabilità della sua morte incombere in ogni momento. Sappiamo entrambi che non peserebbe come la morte di un altro Serpente» sospirò. «E hai già abbastanza fardelli.»
«Avevo la responsabilità anche della vita di Sari» riconobbe lei «e con lui della sua famiglia, ma sì, avrei scelto qualcun altro se fosse spettato a me» aggiunse, a voce più bassa. Però non era stata lei a decidere. Nessuno l’aveva consultata.
Se Deva avesse saputo che prima di chiederle di sposarla Nortigaar lo aveva chiesto a Drith, le cose sarebbero state più difficili per tutti. Ancora di più se avesse saputo che lei aveva rifiutato solo perché era una Pugno; e più di tutto se avesse saputo quanto si sentiva in colpa per il fatto di amarlo ancora. Ma Deva non sapeva ed era giusto così. L’ignoranza poteva essere una benedizione. E le cose non sarebbero cambiate. Drith apparteneva all’Arma dei Pipistrelli. Sarebbe vissuta e morta per la città. Nortigaar aveva capito ed era andato avanti con la sua vita; lei lo amava e lo odiava per questo, ma sebbene non desiderasse altro che essere dimenticata e poter dimenticare, sapeva che Marca non gliel’avrebbe mai permesso. Ci aveva messo anni a capirlo ma ora Drith lo sapeva per certo.
Non poter dimenticare era la maledizione dei Pugno.
La vera e unica.
Drith scivolò al posto di guida e si allacciò le cinghie di sicurezza trovando conforto nella ripetitività del gesto e nel guscio di legno, metallo e corde che aveva intorno.
«Pronto?» chiese a Nortigaar, seduto alle sue spalle, il sottile schienale della sua postazione contro quello di lei, le teste vicine. «Quando vuoi» le rispose.
Drith mosse le mani sulle eleganti leve e dette il segnale di apertura dei condotti di ascesa. L’attimo seguente ci furono i fischi di avvertimento e vennero sollevati verso la sommità della Torre di Volo, in uno sferragliare di catene e meccanismi.
«Quanti voli hai fatto prima di questo?» gli chiese.
«Cinque.»
«Con chi?»
«Raenth Tritello tre volte, poi weir Piuma e l’ultima con raenth Vagabondo» ribatté Nortigaar.
Drith sentì un sorriso incresparle le labbra. «E scommetto che ti ha fatto provare il suo famoso giro della morte...»
«Credo si siano divertiti molto alle mie spalle, durante l’addestramento» osservò lui, a denti stretti.
«Oh, non saprei. Scommetto che hai resistito bene.»
«Ho resistito.»
Drith sorrise. Non ne dubitava. «Be’, hanno la tendenza a mettere pressione addosso ai nuovi arrivati, ma è solo il loro modo di dare il benvenuto ai secondi di volo. Spesso i balestrieri arrivano qui come se fossero obbligati, perché hanno rimediato delle ferite gravi alle gambe o per problemi con la linea di tiro; lo vedono come un ripiego. Si sentono ancora Aquile e ai Pipistrelli questo non piace...»
«O forse pensano di apparirvi come una seconda scelta» osservò Nortigaar, con calma.
«Forse, ma più spesso c’è lo spirito di corpo a renderli arroganti, almeno tanto quanto noi. E così li svezziamo... Be’, qui lo chiamiamo battesimo dell’aria.»
«Cioè cercate di far perdere conoscenza ai novellini?»
«Diciamo che gli mostriamo subito alcune tra le manovre più brutte. È difficile che in seguito non capiscano quanto è difficile il volo. E non è colpa loro se a volte svengono. Più spesso danno di stomaco» rispose lei.
Sapeva che Nortigaar non aveva fatto né l’una né l’altra cosa, non in volo né di fronte agli altri. Si era limitato a barcollare scendendo dalla macchina, il che li aveva impressionati anche se lui non se n’era reso conto. Era una cosa che aveva sempre ammirato di lui, la sua capacità di mantenere sempre il sangue freddo, in ogni circostanza.
«Tu hai mai tenuto a battesimo qualcuno?» le chiese.
Drith ridacchiò. «Io sono chi ci si augura di non avere mai alla Torre... Il mio volo è sempre stato piuttosto... creativo. Vagabondo è stato il mio istruttore per quattro anni e la mela non cade mai lontano dall’albero. Può darsi che Alanera abbia richiesto loro perché sperava di abituarti alle mie manovre più in fretta possibile.»
Lui non protestò. «Alla Torre sembra che tu abbia una certa fama come pilota.»
«Nomea, direi» lo corresse.
«In molti te la invidiano» precisò Nortigaar. «E altrettanti vorrebbero volare nel tuo Stormo. Dicono che non lasci indietro nessuno» aggiunse girando la testa nella sua direzione.
Drith scosse la testa. «E che sono pazza. E che mi sfracellerò, prima o poi» disse, poi sospirò. «Non lasciare indietro nessuno sarebbe la mia regola se fossi certa di poterla rispettare sempre. Per quel che conta, sì, è quel che cerco di fare. Riportare alla Torre tutti... non è sempre possibile» mormorò poi, rabbuiandosi.
«Sari non è morto per colpa tua. E conosceva i rischi» osservò Nortigaar.
Drith ripensò alle assurde conversazioni che aveva sempre avuto con Sari mentre salivano nella Torre, quando le raccontava dei suoi figli e la faceva ridere, spezzando la tensione prima della missione. Sentì un nodo di rabbia stringerle il petto. Ripensò al Dragone Grigio che aveva intravisto, al lampo e alla nube di fumo che subito dopo lo aveva nascosto e lo maledisse. Difficilmente avrebbe avuto un altro amico come Sari.
«Se non fossi volata così bassa, forse...» sibilò.
«Non puoi saperlo.»
Lei si morse le labbra. «Lo avevo tenuto io a battesimo. Per un certo periodo, dopo, mi odiò così tanto che quando lo assegnarono al mio Molosso pensai che non saremmo mai stati una buona squadra.»
«Ti odiava?»
«Pensava che avessi voluto fargli fare la figura dello sciocco per divertirmi. Quando scese non svenne, ma vomitò anche l’anima. E gli sembravo troppo giovane e troppo spocchiosa per far volare “uno di questi affari”... Sai com’era, quando aveva una lisca per traverso non ti mandava certo a dire le cose» sospirò mentre arrivavano alle aviorimesse sulla sommità della Torre.
I dotti di ventilazione forzata, che indirizzavano il vento praticamente continuo in cima alle torri sotto le ali, furono orientati e il Vespertillo fluttuò e vacillò, facendo tentennare le catene. I Pipistrelli si mossero rapidamente intorno alla macchina, sganciandola dai sostegni e spostandola tramite le barre di piazzamento in posizione di lancio su uno degli scivoli a leva, dopo di che la mano del Primo Capo batté tre volte sulla carcassa.
«Spocchiosa? Tu?»
«Be’. Io lo pensavo di lui... Una volta in battaglia però si ricredette. Diceva che pensavo come un Pipistrello e non avrebbe mai capito nulla di me. Ma imparò a fidarsi del mio istinto. Anche se continuava a dire che ero tutta matta...»
«Diceva anche che era come se ce le avessi sempre avute, le ali» sogghignò Nortigaar, che aveva parlato con lui alla Taverna.
«Già. Be’, io non so come facesse a tirare e centrare i bersagli con quella precisione, ma era incredibile... Non ne mancava uno...» disse. Poi s’interruppe, non voleva sminuire il risultato del suo nuovo compagno di volo né indurlo a sentirsi inferiore a Sari. Ma in quell’esatto istante la porta dell’aviorimessa si spalancò e la sua voce si spezzò; il vento della notte investì il Vespertillo con tutta la sua forza e un brivido di anticipazione corse lungo le braccia di Drith. «Ci siamo. Sei pronto?»
«Pronto» ribatté teso lui.
«Allora si va» disse lei. Liberò il fermo e la notte li ingoiò.
Nortigaar sobbalzò sul sedile, con la sensazione di galleggiare in aria senza peso che aveva sperimentato anche nei voli di prova allo staccarsi dalla Torre di Volo.
L’attimo in cui la discesa sullo scivolo di lancio finiva e la macchina volante restava sospesa a mezz’aria, come prima di una caduta infinita, sembrava la parte peggiore. Il vuoto in petto galleggiò un lungo attimo, poi si stemperò e il mondo riprese le sue regole. Sentì il peso che lo trascinava contro il sedile del Vespertillo e la macchina volante che planava in aria con grazia. Premendo con i piedi sul fermo aprì la feritoia di tiro e la città di Marca comparve sotto di lui. Uno spettacolo incredibile, nella notte, disegnata dall’alto dalle sottili strisce di luce tremula delle lampade, mezze nascoste dal fumo che sembrava avvolgere la città a ondate. Seduto sull’orlo dell’apertura aggiustò gli stivali nei fermi e, nel refolo d’aria, avvicinò al viso l’oculare imbottito del cannocchiale da tiro. Le balestre di volo erano pronte e cariche e si stupì di sentirsi così nervoso.
Non era mai stato il miglior cecchino tra i Serpenti, ma se la cavava con la balestra e aveva intenzione di dimostrarsi in grado di fare un ottimo lavoro anche in quella posizione. Dall’alto tutto appariva strano, deformato. Ma forse, in realtà le cose erano proprio come apparivano da lassù, ed era a terra che erano deformate, più lontane, più alte o più ingombranti di quanto non fossero in realtà.
Girò l’oculare e sondò la terra nera in mille incredibili sfumature di oscurità che scorreva rapida sotto le ali del Vespertillo e mentre salivano di quota vide la luce ovattata che circondava il campo dei Dragoni, oltre le estremità del Collo di Vipera. Solo la conformazione di quelle montagne aveva consentito loro di resistere per tutto quel tempo... quella e il lavoro dei Markenn.
«Si muovono» disse, osservando la fila di luci, torce probabilmente, che scavavano nell’oscurità un sentiero lucente. Per un istante si sentì eccitato all’idea di poter fare qualcosa.
«Lo vedo» ribatté Drith, in tono teso. «Non pensare a loro. Pensa a identificare e centrare i bersagli... siamo quasi al percorso di addestramento.» La sua voce suonava strana sbattuta dal vento e nello scricchiolio di velluto della macchina volante e Nortigaar la ricordò tra i rottami del Molosso, appesa alle cinghie, il viso macchiato di sangue e i movimenti scoordinati.
«Ci sono» le rispose. Non sarebbe accaduto di nuovo.
Drith oltrepassò proprio allora la cresta della montagna e con una lieve vertigine, dal cannocchiale di volo, lui vide il primo bersaglio. Nel pianoro pieno di sporgenze e lievemente illuminato qualcosa si mosse e i suoi riflessi agirono da soli, prima che la mente intervenisse. La freccia partì e il proiettile a tinta fluorescente scoppiò a terra, disegnando una larga macchia leggermente luminosa. Ma non prese il bersaglio se non di striscio. La misteriosa figura continuò a muoversi e si rifugiò dietro alcune rocce. Lui imprecò e Drith virò piano per seguire la conformazione delle montagne.
«Resta concentrato» gli disse.
Nortigaar sentì il sussulto di una corrente più feroce contro le ali e serrò le mani sui comandi della seconda balestra, piegando il braccio per la ricarica automatica della prima. Fu proprio questo, forse, che gli ricordò Sari. E quello che una volta gli aveva sentito dire da ubriaco, alla Taverna. Quando si vantava della sua tecnica di tiro. «Tutto ti balla intorno, e l’unico modo per farcela a centrare uno di quei maledetti è pensare di essere tu quello fermo e loro le prede in movimento.» A quel ricordo una sensazione che conosceva bene lo invase, allontanando tutto il resto. Le vibrazioni del volo, i suoni dell’aria nei tramezzi, il fischio del vento nelle orecchie e il lieve traballio della struttura scomparvero e la concentrazione che aveva imparato a coltivare nel suo addestramento prese il sopravvento.
Il secondo bersaglio si mosse, Drith guizzò scendendo per passargli sopra e stavolta, nel silenzio che sentiva solo nella sua mente, Nortigaar premette il pedale della scocca. Prese il bersaglio in pieno e una macchia lucente continuò a muoversi alle loro spalle anche quando lo ebbero sorpassato. «Sì!» sibilò soddisfatto. Quasi non sentì esultare Drith; concentrato com’era, cercò il bersaglio successivo e lo videro entrambi quasi nello stesso momento. Drith manovrò e Nortigaar scoccò ancora. Scoccò e fece ancora centro.
«Quanti?» domandò Alanera scrutando sulla tavola da annotazione. Non aveva visto la partenza, ma non dubitava che Acuto avesse fatto un ottimo decollo. Anche se gli dispiaceva non aver assistito, considerava in qualche modo quello come il primo volo di una nuova era. Si domandò se ciò significasse qualcosa di più profondo, ma subito dopo abbandonò il pensiero.
«Quattordici su quindici sul campo due» rispose il vecchio Trant raenth Rodiossa. «Tredici su quindici sul quattro e poi quindici su quindici sul cinque. Ho appena ricevuto la media dai controllori. Ottima per un novellino, soprattutto considerando che era con il Comandante Acuto... uh... il Capo Stormo Acuto» si corresse e aggiunse subito «e che entrambi volavano su una macchina nuova. Scommetto che ne ha mancati due dopo la picchiata che fa sempre vicino al Picco Leverano. Difficile prendere i primi mentre si è in picchiata stretta... Che dite? Li metto in lista per i campi uno, tre e sei? Stanotte?»
Alanera fu costretto ad annuire, suo malgrado sbalordito. Sapeva di aver scelto bene, ma non aveva immaginato che raenth Curaro si sarebbe abituato tanto in fretta al suo nuovo ruolo.
“Molto bene” pensò. A quanto pareva quei due erano già quasi pronti per la prima missione del Tenebra. «Avvistamenti da parte delle Aquile di guardia sul percorso?»
«Uno solo. E anche l’avvistamento è stato più una segnalazione di sventolio che altro. L’Aquila ha detto che ha sentito un’insolita corrente sopra la testa... niente fischi, sventolii o altro.»
Alanera annuì. «Domani programma la ripetizione dei due percorsi con la variazione a doppio incrocio. Se saranno in grado di procedere senza mancare un bersaglio mandali da me» ordinò. Poi si diresse verso la Torre di Volo, per dare gli ordini agli altri Pipistrelli.
La notte era ancora lunga ma adesso, in qualche modo, il Capo Pipistrello Ean raenth Alanera sentiva l’alba di un’era avvicinarsi. Per la prima volta, dopo anni, forse da tutta la vita, aveva un buon presentimento. Entro pochissimo, forse già entro un paio di giorni, avrebbero potuto iniziare a dare la caccia al nemico, invece che limitarsi a respingerlo. Era la migliore occasione che avessero mai avuto. Non se la sarebbe lasciata sfuggire solo perché gli altri Capi Arma erano ciechi, convinti che la fortificazione avrebbe resistito per sempre. Sottovalutare il nemico non era mai stata una buona cosa, per nessuno. Sottovalutare i Dragoni sarebbe stata la loro fine.