26

 

Bosch lasciò l'auto nel parcheggio sul retro ed entrò dalla porta posteriore della Divisione Hollywood. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che era stato lì, e la trovò subito diversa. La ristrutturazione a seguito del terremoto di cui aveva parlato Edgar pareva aver toccato ogni singolo angolo dell'edificio. Trovò il posto di guardia in un punto in cui prima c'era una cella e scoprì che agli agenti di pattuglia era stata destinata una stanza per scrivere i rapporti, mentre in passato dovevano rubare un po' di spazio nell'ufficio dei detective.

Prima di salire alla Buoncostume, entrò nel bureau dei detective per vedere se riusciva a recuperare un file di cui aveva bisogno. Percorse il corridoio posteriore, passò davanti a un sergente che si chiamava McDonald, di cui non ricordava il nome di battesimo.

«Ehi, Harry, sei tornato? È un pezzo che non ti vedevo, amico.»

«Sono tornato, Sei.»

«Bella notizia.»

"Sei" era la designazione radiofonica della Divisione Hollywood. Chiamare il sergente di pattuglia Sei era come chiamare un detective della Omicidi Roy. Funzionò e permise a Bosch di superare l'imbarazzo dovuto alla cattiva memoria. Quando giunse in fondo al corridoio si ricordò che il sergente si chiamava Bob.

La Omicidi si trovava in fondo all'ampio stanzone dei detective. Edgar aveva ragione. Era diverso da tutti gli uffici che Bosch aveva mai visto. Era grigio e impersonale. Sembrava uno di quei call-center dove si facevano fredde telefonate per tirare fregature alle vecchie signore e vendere penne sopracosto o unità immobiliari in multiproprietà. Riconobbe la testa di Edgar che sbucava da sopra una parete divisoria tra due cubicoli. Sembrava l'unico rimasto in tutto l'ufficio. Era tardi, ma non così tardi.

Camminò fino al muro divisorio e guardò Edgar da sopra la parete. Aveva la testa chinata ed era concentrato sulle parole crociate del Times. Era sempre stato un rito per Edgar. Faceva i cruciverba tutto il giorno, se li portava al bagno, in mensa o fuori, quando era di sorveglianza. Non gli piaceva tornare a casa senza averli completati.

Edgar non aveva notato la presenza di Bosch, che indietreggiò senza fare rumore ed entrò nel cubicolo accanto a quello dell'ex partner. Prese con cautela il cestino di metallo da sotto la scrivania e tornò nella posizione di prima, dietro Edgar. Si raddrizzò e fece cadere il cestino sul linoleum da un metro e mezzo di altezza. Il suono che ne uscì fu forte e tagliente, quasi come uno sparo. Edgar saltò in piedi, la penna gli volò verso il soffitto. Stava per urlare qualcosa quando riconobbe Bosch.

«Accidenti, Bosch!»

«Come te la passi, Jerry?» chiese Bosch, riuscendo a malapena a parlare per le risate.

«Accidenti, Bosch!»

«Sì, l'hai detto. Mi pare di intuire che stasera le cose procedono con calma a Hollywood.»

«Cosa cazzo ci fai qui? Voglio dire, a parte farmi cagare addosso.»

«Lavoro, amico. Ho un appuntamento con la truccatrice della Buoncostume. Tu cosa fai?»

«Avevo quasi finito, stavo per uscire.»

Bosch si chinò e vide che la griglia del cruciverba era quasi completata. C'erano molti segni di cancellature. Edgar non lavorava mai a un cruciverba con la penna biro. Bosch notò che aveva tirato giù dallo scaffale e posato sulla scrivania il vecchio dizionario rosso.

«Imbrogli ancora, Jerry? Lo sai che non dovresti usare il dizionario.»

Edgar si abbandonò sulla sedia. Sembrava esasperato, per lo spavento e per la domanda.

«Balle. Posso fare quello che voglio. Non esistono regole, Harry. Perché non te ne vai di sopra e non mi lasci in pace? Dille di metterti un po' di eyeliner e di mandarti a battere il marciapiede.»

«Già, ti piacerebbe. Saresti il mio primo cliente.»

«Va bene, va bene. C'è qualcosa di cui hai bisogno o sei passato solo per farmi scoppiare le coronarie?»

Edgar finalmente sorrise, e Bosch capì che era tutto a posto tra loro.

«Tutte e due le cose» disse Bosch. «Ho bisogno di recuperare un vecchio file. Dove li tengono adesso?»

«Quanto vecchio? Hanno cominciato a mandare la roba in centro per farla trasferire su microfilm.»

«Deve essere del 2000. Ti ricordi Michael Allen Smith?»

Edgar annuì.

«Certo che mi ricordo. Uno come me non può dimenticare Smith, Cosa cerchi in quella storia?»

«Voglio solo la foto di Smith. Quel file è ancora qui?»

«Sì, i documenti recenti sono ancora da queste parti. Seguimi.»

Accompagnò Bosch a una porta chiusa. Edgar aveva la chiave e presto si ritrovarono in una stanzetta le cui pareti erano coperte da scaffali ricolmi di raccoglitori blu. Edgar individuò il fascicolo di Michael Allen Smith e lo prese dallo scaffale. Lo fece cadere nelle mani di Bosch. Era pesante. Si era trattato di un caso difficile.

Bosch portò il fascicolo nel piccolo scomparto accanto a quello di Edgar e cominciò a sfogliarlo finché arrivò a una sezione di fotografie che mostravano il busto di Smith e diversi primi piani dei suoi tatuaggi. I tatuaggi erano serviti per identificarlo e condannarlo per l'omicidio di tre prostitute cinque anni prima. Bosch, Edgar e Rider avevano lavorato al caso. Smith era un macho bianco, razzista dichiarato, che caricava di nascosto travestiti neri sul Santa Monica Boulevard. Poi, oppresso dal senso di colpa per aver tradito le proprie convinzioni razziali e sessuali, li uccideva. In qualche modo questo gli faceva superare la trasgressione. La chiave di volta era stata la deposizione resa a Rider da un travestito che aveva visto salire una delle vittime sul furgone di un cliente. Era riuscito a descrivere un tatuaggio sulla mano del tizio. Questo alla fine li aveva portati a Smith, che aveva collezionato una varietà di tatuaggi nei diversi soggiorni in prigione in giro per il paese. Venne giudicato, condannato e inviato nel braccio della morte, dove per ora aveva evitato l'iniezione letale con una serie di appelli.

Bosch scelse le foto del collo, delle mani e del bicipite sinistro, tutte parti del corpo ornate con l'inchiostro della galera.

«Ho bisogno di queste mentre sono su. Se stai andando e devi chiudere l'archivio, te le posso lasciare sulla scrivania.»

Edgar annuì.

«Va bene. Allora, in cosa ti sei cacciato, amico? Hai intenzione di metterti addosso quella merda?»

«Esatto. Voglio essere come Mike.»

Edgar socchiuse gli occhi.

«Ha a che fare con la storia degli Otto di Chatsworth di cui abbiamo parlato ieri?»

Bosch sorrise.

«Sai, Jerry, dovresti fare il detective. Saresti bravo.»

Edgar annuì, come se si preparasse a un'altra ondata di sarcasmo.

«Ti farai anche tagliare i capelli?» domandò.

«No, non pensavo di spingermi a tanto» disse Bosch. «Penso che farò la parte dello skinhead riformato.»

«Capito.»

«Senti, hai da fare stasera? Non dovrei metterci molto lassù. Se ti va di aspettare, finisci il cruciverba e ci andiamo a mangiare una bistecca da Musso.»

Solo a dirlo, Bosch sentì che gli veniva fame. Aveva voglia di una bella bistecca e di un martini vodka.

«No, Harry, devo andare allo Sportsmen's Lodge per la festa del pensionamento di Sheree Riley. Per questo ammazzavo il tempo in ufficio. Aspettavo che il traffico si calmasse un po'.»

Sheree Riley era una detective che si occupava di crimini sessuali. Bosch aveva lavorato con lei di tanto in tanto, ma non avevano mai legato. Quando sesso e omicidio si intrecciavano, i casi di solito erano così brutali e complessi che non rimaneva molto spazio per dedicarsi ad altro che al lavoro. Bosch non sapeva che fosse sul punto di andare in pensione.

«Magari potremmo prendere quella bistecca un'altra volta» disse Edgar. «È okay per te?»

«È okay, Jerry. Divertiti e dille che la saluto e che le auguro buona fortuna. E grazie per le foto. Le trovi domani sulla scrivania.»

Bosch tornò verso il corridoio, ma sentì Edgar che imprecava. Si voltò e vide il vecchio partner in piedi nel cubicolo con le braccia aperte.

«Dove cavolo è la matita?»

Bosch perlustrò il pavimento senza successo. Alla fine levò lo sguardo e la vide incastrata tra due pannelli insonorizzati sul soffitto, sopra la testa di Edgar.

«Jerry, delle volte quello che sale non scende più.»

Edgar guardò su e vide la matita. Gli ci vollero due salti per prenderla.

La porta della Buoncostume al secondo piano era chiusa a chiave, ma era normale. Bosch bussò, gli rispose un agente in incognito che Bosch non riconobbe.

«C'è Vicki? Mi aspettava.»

«Allora entri.»

L'agente fece un passo indietro e lasciò entrare Bosch. Quella stanza non era cambiata in maniera sostanziale durante la ristrutturazione. Era una lunga sala con scrivanie che correvano su ambo i lati. Sopra lo spazio destinato a ogni agente c'era il poster incorniciato di un film. Alla Divisione Hollywood era permesso adornare le pareti soltanto con poster di film che erano stati girati entro la loro giurisdizione. Trovò Vicki Landreth al lavoro sotto il poster di Blue Neon Night, un film che Bosch non aveva visto. Nell'ufficio c'erano solo lei e l'altro agente. Bosch pensò che tutti gli altri fossero già in strada per il turno di notte.

«Ehi, Bosch» disse Landreth.

«Ehi, Vic. Hai ancora il tempo per fare queste cose?»

«Per te, tesoro, avrò sempre il tempo.»

Landreth era una ex truccatrice di Hollywood. Un giorno, vent'anni prima, era stata convinta a farsi un giro di ronda con un agente che si occupava della sicurezza sul set. Il tizio voleva solo passare un po' il tempo, sperava che magari il giro la eccitasse e ci potesse scappare qualcosa di più. Invece la conseguenza era stata che Landreth si era iscritta all'Accademia di polizia ed era diventata un'agente ausiliaria, faceva un paio di turni al mese sulle auto e copriva i buchi quando era necessario. Poi qualcuno alla Buoncostume aveva scoperto il mestiere che faceva di giorno e le aveva chiesto di sfruttare la propria abilità per far assomigliare di più a prostitute e papponi gli agenti travestiti. Presto Vicki trovò il lavoro con la polizia più interessante di quello nel cinema, così divenne un'agente a tempo pieno. Le sue doti di truccatrice erano molto richieste, e la nicchia che si era ritagliata nella Divisione Hollywood era più che sicura.

Bosch le mostrò le foto dei tatuaggi di Michael Allen Smith e lei le studiò per qualche momento.

«Carino, eh?» disse alla fine.

«Uno dei migliori.»

«E vuoi che ti faccia tutta questa roba stasera?»

«No. Pensavo alle saette sul collo. E magari al bicipite, se puoi.»

«È tutta roba da galera. Non è arte vera. Un solo colore. Certo che posso. Siediti lì e togliti la camicia.»

Lo accompagnò a una postazione per il trucco, dove lui si sedette su uno sgabello accanto a uno scaffale con diversi colori per il corpo e delle polveri. Su una mensola più in alto c'erano delle teste di manichini con la parrucca e i baffi. Sotto qualcuno aveva scritto i nomi di diversi personaggi dell'unità.

Bosch si sfilò la camicia e la cravatta. Indossava una T-shirt.

«Voglio che si vedano, ma non che siano troppo sfacciati» disse. «Pensavo che potessi realizzarli in modo che, con indosso una maglietta come questa, ne sbucasse una parte. Quanto basta perché si capisca cosa sono e cosa significano.»

«Non è un problema. Rimani fermo.»

Usò un pezzo di gesso per tracciare delle linee sulla pelle nel punto in cui arrivavano il collo e le maniche della maglietta.

«Queste sono le linee di demarcazione» spiegò. «Mi devi dire quanto vuoi che vada sopra e sotto.»

«Capito.»

«Ora toglila, Harry.»

Lo disse con un tono palesemente sensuale. Bosch si sfilò la maglietta da sopra la testa e la gettò su una sedia insieme alla camicia e alla cravatta. Si voltò verso la donna, che gli esaminò il petto e le spalle. Vicki allungò una mano e sfiorò la cicatrice sulla spalla sinistra.

«Questa è nuova» disse.

«È vecchia.»

«Be', è passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui ti ho visto nudo, Harry.»

«Già, direi di sì.»

«Quando eri ancora un ragazzo in divisa e mi avresti convinto a fare qualsiasi cosa, persino arruolarmi nella polizia.»

«Io ti convinsi a entrare nella mia auto, non nel dipartimento. Prenditela con te stessa per questo.»

Bosch era in imbarazzo e si sentì arrossire. La loro relazione di vent'anni prima era finita solo perché nessuno dei due sentiva il bisogno di impegnarsi troppo. Avevano preso strade diverse, ma erano rimasti buoni amici. Soprattutto quando Bosch era stato trasferito alla squadra Omicidi della Divisione Hollywood e lavoravano nello stesso edificio.

«Ma guardati, sei arrossito» disse Landreth. «Dopo tutti questi anni.»

«Be', sai...»

Non disse nient'altro. Landreth avvicinò lo sgabello a Bosch. Allungò la mano e passò il pollice sul tatuaggio del topo nel tunnel che aveva sul braccio destro.

«Questo lo ricordo» disse. «Non se la passa tanto bene, eh?»

Aveva ragione. Il tatuaggio che si era fatto in Vietnam aveva perso le linee e con il tempo i colori si erano confusi. Il personaggio del topo che usciva dal tunnel con la pistola in pugno non era più riconoscibile. Il tatuaggio ormai appariva come un doloroso livido.

«Non me la passo tanto bene neppure io, Vicki» disse Bosch.

La donna ignorò la lamentela e si mise al lavoro. Per prima cosa usò un eyeliner per schizzare i soggetti sulla pelle. Michael Allen Smith aveva quello che lui chiamava un bavero della Gestapo tatuato attorno al collo. Su entrambi i lati della gola c'erano le saette gemelle, simbolo delle SS. Rappresentavano gli emblemi sul bavero dell'uniforme della forza di élite di Hitler. Landreth tracciò il disegno senza difficoltà e in fretta. Faceva il solletico, e Bosch faticò a rimanere fermo. Poi arrivò il turno del bicipite.

«Quale braccio?» domandò.

«Penso il sinistro.»

Rifletté sulla messinscena con Mackey. Era più probabile che finisse seduto alla destra di Mackey. Questo avrebbe significato che il braccio sinistro sarebbe stato il più visibile.

Landreth gli chiese di reggere la foto del braccio di Smith accanto al suo, così avrebbe potuto copiare. Sul bicipite dell'uomo c'era un teschio che aveva sulla fronte una svastica inscritta in un cerchio. Smith non aveva mai confessato i delitti di cui era accusato, ma ammetteva apertamente di essere razzista e spiegava senza remore l'origine dei molti segni sul suo corpo. Il teschio sul bicipite, aveva detto, era stato copiato da un manifesto propagandistico della Seconda guerra mondiale.

Ora che il lavoro si era spostato dal collo al braccio, Bosch poteva respirare con maggiore tranquillità e Landreth intavolò una conversazione.

«Allora, che novità hai?»

«Nessuna.»

«Il congedo è stato noioso?»

«Puoi dirlo.»

«Cosa hai fatto, Harry?»

«Ho lavorato a un paio di vecchi casi, ma soprattutto ho passato il tempo a Las Vegas a cercare di conoscere mia figlia.»

La donna fece un passo indietro e guardò Bosch con gli occhi colmi di stupore.

«Sì, anche io mi sono molto stupito quando l'ho scoperto.»

«Quanti anni ha?»

«Quasi sei.»

«Riesci ancora a vederla ora che sei tornato al lavoro?»

«Non importa, non è qui.»

«Be', dov'è?»

«La madre l'ha portata a Hong Kong per un anno.»

«Hong Kong? Che ci fa a Hong Kong?»

«Lavoro. Ha firmato un contratto annuale.»

«Non si è consultata con te in proposito?»

«Non so se consultarsi sia la parola giusta. Mi ha detto che sarebbe partita. Ho parlato con un avvocato, ma non c'era molto che potessi fare.»

«Non è giusto, Harry.»

«Va bene. La sento al telefono una volta alla settimana. Appena accumulo un po' di vacanze, la vado a trovare.»

«Non sto parlando di te. Sto parlando di lei. Una bambina dovrebbe stare vicino al proprio padre.»

Bosch annuì, perché non poteva fare altro. Qualche minuto più tardi, Landreth terminò lo schizzo, aprì una valigia ed estrasse una boccetta di inchiostro per finti tatuaggi, insieme a un applicatore simile a una penna.

«Questo è il Bic blu» disse. «È quello che usa la maggior parte di loro nelle prigioni. Non perforerò la pelle, così dovrebbe andare via in un paio di settimane.»

«Dovrebbe?»

«Va via quasi sempre. C'è stato un attore a cui tatuai un asso di spade sul braccio, e la cosa buffa è che non andava più via. Non c'era modo. Perciò finì che si fece un vero tatuaggio sopra il mio disegno. Non era troppo contento.»

«Nemmeno io sarò troppo contento se mi resteranno due saette sul collo per il resto della vita. Prima che cominci a mettermi quella roba addosso, Vicki, c'è qualche...»

Si fermò quando si accorse che la donna rideva.

«Scherzavo, Bosch. È la magia di Hollywood. Viene via con un paio di strofinate decise, okay?»

«Okay, allora.»

«Adesso stai fermo e lasciami lavorare.»

Si mise all'opera, applicò l'inchiostro blu scuro sul disegno che aveva realizzato. Lo tamponò con una spugnetta e invitò più volte Bosch a smettere di respirare, cosa che lui disse di non poter fare. Finì in meno di mezzora. Gli diede uno specchio e lui si esaminò il collo. Era un bel lavoro, nel senso che sembrava vero. Pareva strano vedere una simile manifestazione di odio sulla propria pelle.

«Posso mettermi la maglietta?»

«Aspetta qualche minuto.»

Gli sfiorò ancora una volta la cicatrice sulla spalla.

«Te la sei procurata quando ti hanno sparato in quel tunnel in città?»

«Sì.»

«Povero Harry.»

«Direi piuttosto fortunato Harry.»

La donna cominciò a raccogliere gli strumenti, mentre Bosch rimaneva seduto senza maglietta, sentendosi a disagio.

«Allora, cosa devi fare stasera?» domandò, tanto per dire qualcosa.

«Io? Niente.»

«Hai finito?»

«Sì, oggi avevo il turno di giorno. Delle ragazze hanno invaso l'hotel vicino al Kodak Center. Non si possono fare cose del genere nella nuova Hollywood, no? Così abbiamo ingabbiato quattro di loro.»

«Mi dispiace, Vicki. Non pensavo di trattenerti. Sarei venuto più presto. Cavolo, ero qua sotto a sparare stronzate con Edgar prima di salire. Avresti dovuto dirmi che aspettavi me.»

«Non c'è problema. È stato un piacere vederti. E volevo dirti che sono contenta che tu sia rientrato in servizio.»

All'improvviso Bosch pensò una cosa.

«Ehi, ti va di cenare da Musso, o devi andare allo Sportsmen's Lodge?»

«Scordati lo Sportsmen's Lodge. Queste cose mi ricordano troppo le feste di fine riprese. Non mi piacevano neanche quelle.»

«Allora cosa dici?»

«Non so se ho voglia di farmi vedere da quelle parti con un porco razzista.»

Questa volta Bosch sapeva che stava scherzando. Sorrise, e lei disse che la cena era una buona idea.

«Vengo, ma a una condizione» disse.

«Quale?»

«Che ti rimetta la camicia.»