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Poco dopo che il LAPD, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, aveva istituito l'Unità Casi Irrisolti, le prove del DNA nel caso Verloren erano state inviate al Dipartimento di Giustizia della California. Il laboratorio per le analisi le aveva ricevute insieme a quelle di decine di altri casi, rinvenute dalla unità nel corso delle indagini iniziali sugli omicidi irrisolti. Il Dipartimento di Giustizia gestiva il database principale della California sul DNA. Gli arretrati dei confronti richiesti al laboratorio, che disponeva di scarse risorse e troppo poco personale, erano fermi a più di un anno prima. A causa della marea di richieste provenienti dalla nuova unità del LAPD, c'erano voluti più di diciotto mesi perché i dati del caso Verloren fossero inseriti nei computer dagli analisti del dipartimento e comparati con le migliaia di profili nel database dello stato. L'indagine produsse un unico risultato, un cold hit, nel gergo degli esperti di DNA.

Bosch guardò il rapporto del Dipartimento di Giustizia, una sola pagina posata sulla scrivania di fronte a lui. Diceva che dodici su quattordici possibili indicatori facevano combaciare il DNA trovato nella pistola usata per uccidere Rebecca Verloren con quello di un uomo, ormai trentacinquenne, di nome Roland Mackey. Originario di Los Angeles, il suo ultimo indirizzo conosciuto era a Panorama City. Mentre leggeva il rapporto, Bosch sentì il sangue che cominciava a scorrere un po' più rapidamente. Panorama City si trovava nella San Fernando Valley, a non più di quindici minuti da Chatsworth, persino in condizioni di traffico terribili. Questo aggiungeva un notevole livello di credibilità al risultato dell'analisi. Non che Bosch non si fidasse della scienza. Si fidava. Ma sapeva anche che la scienza non basta mai per convincere una giuria al di là di ogni ragionevole dubbio. Devi collegare il dato scientifico alle prove circostanziali e sostenerlo con il buon senso. E questo era il genere di collegamento che ci voleva.

Bosch notò la data sulla lettera di accompagnamento del rapporto del Dipartimento di Giustizia.

«Hai detto che l'abbiamo appena ricevuto?» domandò a Rider.

«Sì, penso che sia arrivato venerdì. Perché?»

«La data è di due venerdì fa. Dieci giorni.»

Rider alzò le spalle.

«Burocrazia» disse. «Immagino che sia il tempo che ci ha messo ad arrivare quaggiù da Sacramento.»

«So che il caso è vecchio, ma immaginavo che si muovessero un po' più alla svelta di così.»

Rider non rispose. Bosch lasciò perdere e si mise a leggere. Il DNA di Mackey si trovava nel computer del Dipartimento di Giustizia perché chiunque avesse subito una condanna per reati sessuali in California era costretto dalla legge dello stato a fornire campioni di sangue e saliva per farsi inserire nella banca dati. Il reato che aveva causato l'inserimento del DNA di Mackey nel database era al limite della normativa: due anni prima, Mackey era stato condannato per atti osceni a Los Angeles. Il rapporto del Dipartimento di Giustizia non forniva ulteriori dettagli, ma affermava che Mackey era stato dodici mesi in libertà vigilata, a riprova che si trattava di un reato minore.

Bosch stava per scrivere un appunto sul taccuino quando alzò lo sguardo e vide Rider chiudere il fascicolo.

«Fatto?»

«Fatto.»

«E ora?»

«Pensavo di andare su all'ESB e recuperare la scatola, mentre tu finisci di leggere.»

Bosch non ebbe problemi a ricordare il significato di quelle parole. Si era reinserito con facilità nel mondo degli acronimi e nel gergo dei poliziotti. Esb stava per Evidence Storage Building, l'edificio dove venivano archiviate le prove, nel complesso del Piper Tech. Sarebbe andata lì a prendere le prove materiali del caso. Oggetti come l'arma del delitto, i vestiti della vittima e tutto quello che era stato accumulato nel corso delle prime indagini. Di solito veniva raccolto tutto in una scatola di cartone chiusa con il nastro adesivo e sistemata su uno scaffale. Facevano eccezione solo le prove deperibili e biologiche - come per esempio il sangue e il frammento di pelle ritrovate nella pistola che aveva ucciso la Verloren - che erano conservate nei laboratori della Scientifica.

«Mi sembra una buona idea» disse Bosch. «Ma prima perché non fai passare questo tizio nel DMV e nel NCIC per vedere se riusciamo a trovare un indirizzo?»

«Già fatto.»

Girò il computer portatile per mostrare lo schermo al collega. Bosch riconobbe la maschera di ricerca del National Crime Index Computer. Allungò una mano sulla tastiera e iniziò a far scorrere la schermata, mentre gli occhi esaminavano le informazioni.

Rider aveva inserito i dati di Roland Mackey nel programma del NCIC e ne aveva ricavato la fedina penale. La condanna per atti osceni di due anni prima era solo l'ultimo di una catena di arresti che aveva avuto inizio quando aveva diciotto anni, lo stesso anno dell'omicidio di Rebecca Verloren. Qualunque misfatto avesse compiuto prima non poteva risultare perché la legge sulla tutela dei minori impediva di consultare quella parte della sua schedatura. La maggior parte dei crimini elencati erano reati contro la proprietà o legati all'uso e allo spaccio di droga: un'auto rubata, un furto con scasso, due condanne per possesso di sostanze stupefacenti, due per guida in stato di ebbrezza, ancora un furto con scasso e riciclaggio di materiale rubato. C'era anche un'accusa per sfruttamento della prostituzione. Tutto sommato era il pedigree tipico del piccolo criminale con problemi di droga. A quanto pareva Mackey non era mai finito nelle prigioni di stato per questi crimini. Gli era sempre stata offerta una seconda chance e poi, grazie ai patteggiamenti di pena, gli era sempre stata concessa la libertà vigilata o brevi periodi di detenzione nella prigione della contea. Il periodo più lungo che aveva passato in carcere era stato di sei mesi, all'età di ventotto anni, per riciclaggio. In quell'occasione era stato detenuto al Wayside Honor Rancho.

Dopo aver finito di far scorrere le informazioni sullo schermo, Bosch si appoggiò allo schienale. Quello che aveva appena letto lo inquietava. Mackey aveva quel genere di fedina che poteva essere interpretata come una strada spianata verso l'omicidio. Ma in questo caso l'omicidio era venuto prima - quando Mackey aveva solo diciotto anni - e i piccoli crimini erano arrivati dopo. Qualcosa non tornava.

«Che c'è?» domandò Rider, avvertendo lo stato d'animo del partner.

«Non so. Pensavo che ci sarebbe stato di più. È come al contrario. Questo tizio è passato dall'omicidio ai piccoli reati? Non mi pare che i conti tornino.»

«Be', queste sono solo le cose per cui è stato incriminato. Non è detto che sia tutto quello che ha fatto.»

Bosch annuì.

«Reati da minore?»

«Forse. Probabile. Ma non otterremo mai quelle informazioni. Con tutta probabilità sono scomparse da tempo.»

Era vero. Lo stato rinunciava ad alcune prassi per proteggere la privacy dei minori. I reati minorili difficilmente seguivano i delinquenti nel sistema giudiziario degli adulti. Nonostante questo, Bosch pensava che potessero esserci dei crimini commessi prima dei diciotto anni che avrebbero spiegato meglio l'omicidio a sangue freddo di una sedicenne stordita con una scarica elettrica e portata via dalla sua casa. Bosch cominciò a provare una sensazione inquietante riguardo al cold hit su cui stavano lavorando. Cominciava a sentire che Mackey non era il bersaglio giusto. Era solo un mezzo per arrivare all'obiettivo.

«Lo hai inserito nell'archivio della motorizzazione per trovare l'indirizzo?» domandò.

«Harry, non essere vecchia scuola. Sei tenuto ad aggiornare la patente solo una volta ogni quattro anni. Se vuoi trovare qualcuno devi rivolgerti alla AutoTrack.»

Aprì il fascicolo e porse al partner un foglio singolo. Era una stampata con la dicitura AutoTrack in testa. Rider spiegò che si trattava di una società privata che forniva servizi al Dipartimento di Polizia. Si occupava di ricerche informatiche su tutti gli archivi pubblici - compresi quelli della DMV, ossia la motorizzazione, delle utenze pubbliche e della TV via cavo, oltre ai database privati come quelli delle agenzie di credito - per determinare l'indirizzo passato e presente di qualsiasi individuo. Bosch vide che la stampata conteneva un elenco di diversi indirizzi di Roland Mackey, che partiva da quando il ragazzo aveva diciotto anni. Negli ultimi documenti, compresa la patente di guida e il libretto di circolazione, risultava residente a Panorama City. Ma sul foglio Rider aveva segnato con un cerchio l'indirizzo dove Mackey aveva vissuto dai diciotto ai vent'anni: gli anni dal 1988 al 1990. Era un appartamento sul Topanga Canyon Boulevard a Chatsworth. Questo significava che al momento del delitto Mackey viveva molto vicino alla casa di Rebecca Verloren. Il risultato della ricerca fece sentire Bosch un po' meglio riguardo alla faccenda. La prossimità era un tassello chiave per comporre il mosaico. A parte i dubbi sul pedigree criminale di Mackey, sapere che l'uomo nel 1988 si trovava nelle immediate vicinanze e che pertanto poteva aver visto o addirittura conosciuto Rebecca Verloren rappresentava un bel segno di spunta nella colonna delle voci all'attivo.

«Ti fa stare un po' meglio, Harry?»

«Un po'.»

«Bene. Allora vado.»

«Mi trovi qui.»

Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch si immerse di nuovo nella lettura del fascicolo. Il terzo rapporto di sintesi si concentrava sul modo in cui l'assassino si era introdotto nella casa. Né le porte né le finestre mostravano segni di effrazione, e tutte le chiavi erano in mano ai membri della famiglia e a una domestica che era al di sopra di ogni sospetto. Gli investigatori teorizzarono che l'intruso potesse essersi intrufolato attraverso il garage, che era stato lasciato aperto, e che poi fosse passato in casa dalla porta di collegamento, che di solito non veniva chiusa a chiave prima che Robert tornasse a casa dal lavoro a tarda sera.

Secondo il racconto di Robert Verloren, il garage era aperto quando era rientrato dal ristorante verso le ventidue e trenta del 5 luglio. La porta che collegava il garage all'appartamento non era chiusa a chiave. L'uomo era entrato in casa, aveva chiuso il garage e la porta di collegamento. La teoria degli investigatori era che a quell'ora l'assassino si trovasse già nell'appartamento.

La spiegazione che i Verloren avevano dato al fatto che il garage fosse aperto era che la figlia aveva di recente preso la patente e di tanto in tanto aveva il permesso di usare l'auto della madre. Non aveva ancora preso l'abitudine di chiudere il garage quando usciva o rientrava, ed era stata rimproverata più di una volta dai genitori per questo motivo. Nel tardo pomeriggio, il giorno del suo rapimento, Rebecca era uscita a sbrigare una commissione, doveva andare alla lavanderia. Aveva usato l'auto della madre. Gli investigatori confermarono che aveva ritirato i vestiti alle diciassette e quindici e che poi era tornata a casa. Era convinzione degli investigatori che ancora una volta si fosse dimenticata di chiudere la saracinesca del garage e la porta di collegamento. La madre disse che quella sera non controllò il garage, presumendo, erroneamente, che fosse chiuso.

Due vicini, interrogati dopo l'omicidio, testimoniarono di aver visto il garage aperto. In questo modo la casa era risultata accessibile fino al ritorno di Robert Verloren.

Bosch pensò a quante volte negli anni aveva visto degli errori all'apparenza insignificanti segnare in modo irreparabile il destino di qualcuno. Una commissione da niente, andare a ritirare la biancheria, aveva concesso all'omicida l'opportunità di intrufolarsi nella casa. La stessa Becky Verloren aveva, in maniera inconsapevole, provocato la propria morte.

Bosch spinse la sedia all'indietro e si alzò in piedi. Aveva terminato la lettura della prima metà del fascicolo. Decise di prendere un'altra tazza di caffè prima di affrontare la seconda parte. Chiese a tutti i colleghi se qualcuno avesse bisogno di qualcosa dalla caffetteria e ricevette l'ordine per un caffè da Jean Nord. Scese a piedi, entrò in caffetteria e riempì due tazze, pagò e andò al bancone dei condimenti per prendere la panna e lo zucchero per Nord. Mentre versava uno schizzo di panna nella tazza della collega, avvertì una presenza. Si fece da parte, ma nessuno allungò la mano per prendere qualcosa. Si voltò verso la presenza e si trovò davanti il viso sorridente di Irvin S. Irving, il vicecapo.

Quella tra Bosch e Irving non era mai stata una grande storia d'amore. Il vicecapo era stato in diversi momenti fiero avversario o involontario salvatore. Ma Bosch aveva saputo da Rider che adesso Irving era stato tagliato fuori. Il nuovo comandante gli aveva tolto dalle mani tutto il potere, senza troppe cerimonie, e gli aveva affidato un incarico di fatto insignificante fuori dal Parker Center.

«Mi sembrava che fosse lei, detective Bosch. Le offrirei una tazza di caffè, ma vedo che ne ha già preso abbastanza. Le va comunque di sedersi un minuto con me?»

Bosch sollevò le due tazze.

«Sono nel bel mezzo di una cosa, capo. E devo portare una di queste di sopra.»

«Solo un minuto, detective» insistette Irving. Un tono severo si era impossessato della sua voce. «Il caffè sarà ancora caldo quando arriverà dove deve andare. Glielo prometto.»

Senza aspettare una risposta, si voltò e raggiunse il tavolo vicino. Bosch lo seguì. Irving aveva ancora la testa rasata e luccicante. La mascella prominente era la sua caratteristica principale. Si sedette con la schiena dritta come un bastone. Non parlò finché Bosch non si fu accomodato a sua volta. Ritornò a un tono di voce cortese.

«Volevo solo darle il benvenuto al dipartimento» disse.

Sorrise da squalo. Prima di rispondere Bosch esitò, come un uomo che sta per infilarsi in una botola.

«Sono contento di essere tornato, capo.»

«L'Unità Casi Irrisolti. Penso che sia la collocazione adatta per un uomo con le sue capacità.»

Bosch prese un sorso dalla tazza di caffè fumante. Non sapeva se Irving gli avesse appena fatto un complimento o l'avesse insultato. Desiderava andare via.

«Bene, vedremo» replicò. «Spero di sì. Credo che sia meglio...»

Irving spalancò le braccia, come a mostrare che non nascondeva nulla.

«Tutto qui» concluse. «Può andare. Volevo solo darle il benvenuto. E ringraziarla.»

Bosch ebbe un attimo di esitazione, ma poi abboccò.

«Ringraziarmi per cosa?»

«Per avermi ridato la speranza di tornare in questo dipartimento.»

Bosch scosse la testa e sorrise, come a dire che non aveva capito.

«Non ci arrivo, capo» disse. «Come potrei averlo fatto? Voglio dire, lei sta dall'altra parte della strada, nella succursale del municipio, no? Cos'è, l'ufficio delle programmazioni strategiche? Da quanto ho sentito dire, ha dovuto lasciare la pistola a casa.»

Irving incrociò le braccia e si chinò verso Bosch. La buona disposizione, vera o pretesa che fosse, era svanita di colpo. Parlò con decisione, ma con calma.

«Già, è lì che sto. Ma le garantisco che non sarà per molto. Specie ora che quelli come lei vengono riammessi nel dipartimento.»

Si appoggiò allo schienale e all'improvviso assunse un atteggiamento rilassato, come per proseguire una tranquilla chiacchierata amichevole.

«Sa cos'è lei, Bosch? È uno pneumatico ricostruito. A questo nuovo capo piace montare sulla sua auto le ruote con il battistrada ricostruito. Ma sa cosa succede agli pneumatici vecchi? Le suture cedono. L'attrito, il surriscaldamento... sono troppo per loro. Sa cosa succede? Scoppiano. E allora la macchina va fuori strada.»

Annuì in silenzio mentre lasciava che Bosch riflettesse sulle sue parole.

«Vede, Bosch, lei è il mio biglietto d'ingresso. Si sputtanerà, se mi passa l'espressione. È scritto nella sua storia. Fa parte della sua natura. È garantito. E quando si sputtanerà, il nostro illustrissimo nuovo capo si sputtanerà per aver scelto di mettere una ruota di pessima qualità sulla nostra auto.»

Sorrise. Bosch pensò che gli mancasse solo un orecchino d'oro per completare il quadro. Mastro Lindo all'opera.

«E quando lui andrà giù, le mie azioni ricominceranno a salire. Io sono un uomo paziente. Sono quarant'anni che aspetto in questo dipartimento. Posso aspettare ancora.»

Bosch pensava che ci fosse dell'altro, ma il discorso era finito. Irving annuì e si alzò in piedi. Si voltò rapido e uscì dalla caffetteria. Bosch avvertì la rabbia salirgli dal fondo della gola. Abbassò lo sguardo sulle due tazze di caffè e si sentì un'idiota per essere rimasto lì come un garzone indifeso mentre Irving lo schiaffeggiava con le parole. Si alzò e buttò entrambe le tazze nel cestino della spazzatura. Decise che quando sarebbe arrivato nell'ufficio 503 avrebbe detto a Jean Nord di andarsi a prendere da sola il suo maledetto caffè.