15

 

Era sempre Kiz Rider a preparare le domande scritte. Si trovava a proprio agio con i computer e con il linguaggio giuridico. Bosch l'aveva vista mettere a frutto queste capacità in diverse precedenti indagini. Perciò la decisione era sottintesa. Lei avrebbe redatto tutte le richieste di autorizzazione per far tracciare le telefonate effettuate o ricevute da Roland Mackey al cellulare, al telefono dell'ufficio della stazione di servizio dove lavorava, al telefono di casa e a qualsiasi altro telefono utilizzasse. Sarebbe stato un lavoro massacrante; avrebbe dovuto ricostruire il caso contro Mackey, assicurarsi che la catena di passaggi logici, la catena di causa ed effetto, non avesse gangli deboli.

Il rapporto doveva in primo luogo convincere Pratt, poi il capitano Norona, poi il procuratore distrettuale preposto a garantire che le forze dell'ordine non violassero i diritti civili e, da ultimo un giudice che aveva le stesse responsabilità, ma che, se avesse commesso un errore, avrebbe dovuto risponderne di fronte all'elettorato. Avevano un solo colpo in canna, e dovevano fare centro. Anzi, Kiz Rider doveva fare centro.

Ma, innanzitutto, dovevano superare il primo ostacolo e procurarsi i numeri di telefono di Mackey senza che l'uomo avesse il sospetto che le indagini si stavano stringendo attorno a lui.

Iniziarono con la Tampa Towing, che aveva mezza pagina sulle pagine gialle, con due numeri attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Con una telefonata al servizio informazioni abbonati, stabilirono che Mackey non aveva un telefono fisso, o quanto meno non lo aveva intestato a proprio nome. Ciò significava o che non aveva alcun apparecchio telefonico o che il telefono della casa dove viveva era registrato a nome di qualcun altro. In tal caso sarebbero intervenuti dopo aver individuato la residenza di Mackey.

L'ultima cosa, la più difficile, era procurarsi il numero di cellulare di Mackey. L'elenco abbonati non forniva i numeri dei cellulari. Controllare tutti i gestori avrebbe richiesto giorni, se non settimane, perché molti di essi pretendevano un'ordinanza del giudice prima di fornire il numero di un cliente privato. Così, gli investigatori utilizzavano sempre degli stratagemmi per procurarsi quello di cui avevano bisogno. Di solito lasciavano dei messaggi innocui sul posto di lavoro, in modo da rintracciare il cellulare quando la persona richiamava. Il trucco standard consisteva nel chiedere di richiamare per ottenere un premio, promettendo un televisore o un lettore DVD alle prime cento persone che rispondevano alla telefonata. Comunque, questo significava utilizzare una linea che non apparteneva alla polizia e poteva portare a lunghi periodi di attesa senza garanzie di successo, c'era sempre il rischio che il bersaglio avesse schermato il proprio numero. Rider e Bosch sentivano di non avere il lusso del tempo. Avevano messo in giro il nome di Mackey. Dovevano muoversi rapidi verso la meta.

«Non preoccuparti» disse Bosch a Rider. «Ho un piano.»

«Allora me ne rimango seduta a guardare il maestro all'opera.»

Siccome sapevano che Mackey era al lavoro alla stazione di servizio, Bosch si limitò a chiamare lì e a dire che aveva bisogno di un carro attrezzi. La persona che aveva risposto lo invitò a rimanere in linea, poi una voce, che doveva essere quella di Roland Mackey, disse: «Ha bisogno di un carro attrezzi?».

«O un carro attrezzi o un traino. Non riesco a far partire l'auto.»

«Dove?»

«Nel parcheggio di Albertson, a Topanga, vicino al Devonshire.»

«Noi siamo sulla Tampa. Può chiamare qualcuno più vicino.»

«Lo so, ma io abito vicino a voi. Appena fuori dalla Roscoe, dietro l'ospedale.»

«Va bene, allora. Che macchina ha?»

Bosch pensò all'auto su cui avevano visto Mackey poco prima. Decise di servirsene per fargli abbassare le difese.

«Una Camaro del 72.»

«Restaurata?»

«Ci sto lavorando.»

«Ci metterò una quindicina di minuti ad arrivare lì.»

«Benissimo. Come si chiama?»

«Ro.»

«Ro? Come Roscoe?»

«Come Roland, amico. Mi metto in moto.»

Riattaccò. Bosch e Rider aspettarono cinque minuti, durante i quali Bosch spiegò alla collega il resto del piano e che ruolo avrebbe dovuto giocare lei. Il suo obiettivo era ottenere due cose: il numero di cellulare di Mackey e il gestore, in modo da inviare subito alla società giusta la richiesta di autorizzazione per mettere il telefono sotto controllo.

Seguendo le istruzioni di Bosch, Kiz chiamò la stazione di servizio e si mise a descrivere con cura i cigolii che emettevano i freni della sua auto. Mentre era nel mezzo della conversazione, Bosch chiamò l'altro numero indicato sulle pagine gialle. Com'era da aspettarsi, Kiz fu messa in attesa. Qualcuno rispose alla chiamata di Bosch e lui disse: «Ha un numero a cui posso rintracciare Ro? Sta venendo qui a darmi una trainata, ma sono riuscito a mettere in moto».

Il collega di Mackey, esasperato, disse: «Provi sul cellulare».

Diede il numero a Bosch, che mostrò il pollice a Rider, seduta dall'altra parte della scrivania. La detective terminò la telefonata senza interrompere la messinscena, e riagganciò.

«Uno segnato, uno da segnare» disse Bosch.

«Hai segnato il più facile» disse Kiz.

Con il numero di Mackey in mano, Kiz alzò il ricevitore, mentre Bosch ascoltava da una derivazione. Impresse alla voce un tono burocratico e disinteressato e quando Mackey rispose - presumibilmente mentre girava per il parcheggio in cerca di una Camaro del 72 - annunciò di essere della AT&T e di avere delle straordinarie proposte per risparmiare sul piano tariffario delle chiamate interurbane.

«Stronzate» disse Mackey, interrompendola nel mezzo della spiegazione.

«Scusi, signore?» rispose Rider.

«Ho detto stronzate. È un trucco per convincermi a cambiare.»

«Non capisco, signore. Io ho il suo numero nell'elenco degli abbonati della AT&T. C'è un errore?»

«Sì, c'è un cazzo di errore. Io sono con la Sprint, mi piace e non faccio mai telefonate interurbane. Perciò vaffanculo. Mi senti?»

Riattaccò e Rider cominciò a ridere.

«Abbiamo a che fare con un tizio incazzato» disse.

«Be', ha appena attraversato Chatsworth a vuoto» disse Bosch. «Sarei arrabbiato anch'io.»

«È con la Sprint» disse. «Sono pronta a buttarmi sulle carte. Ma forse dovresti chiamarlo, per non insospettirlo, dato che il tizio alla stazione di servizio ti ha dato il suo cellulare.»

Bosch annuì e compose il numero di Mackey. Fu grato di trovare la segreteria; con tutta probabilità Mackey era al telefono e stava dicendo al collega che non riusciva a trovare l'auto che avrebbe dovuto trainare. Bosch lasciò un messaggio in cui diceva che gli dispiaceva, ma era riuscito a mettere in moto e stava cercando di tornare a casa. Chiuse il telefono e guardò Rider.

Parlarono ancora un po' del piano d'azione e decisero che lei avrebbe lavorato soltanto alle domande quella sera e tutto il giorno seguente, e poi avrebbe curato la pratica fino all'approvazione finale. Si sarebbero presentati entrambi in camera di giudizio, per dare maggior forza alla richiesta, ma fino ad allora, Bosch avrebbe continuato a lavorare sul campo, rintracciando i nomi che rimanevano sulla lista delle persone da interrogare e mettendo in moto la storia da far uscire sui giornali. Il tempismo sarebbe stato un elemento fondamentale. Non volevano che i giornali pubblicassero la storia prima che i telefoni di Mackey fossero messi sotto controllo. Dovevano giocare d'astuzia.

«Vado a casa, Harry» disse Rider. «Posso lavorarci sul portatile.»

«Fai un buon lavoro.»

«Tu che farai?»

«Ci sono un po' di cose che voglio sbrigare stasera. Magari andare al Toy District.»

«Da solo?»

«Sono solo dei senzatetto.»

«Già, e l'ottanta per cento di loro sono senzatetto perché erano psicopatici, sociopatici e tutto il resto. Devi stare attento. Forse dovresti chiamare la Divisione Centrale e vedere se possono mandarti una macchina. Magari potrebbero prestarti uno dei loro sottomarini stasera.»

Il sottomarino era un'auto con un solo agente, usata per lo più per le ricognizioni del comandante. Ma Bosch non pensava di aver bisogno di uno chaperon. Disse a Rider che sarebbe stato bene e che se ne sarebbe potuta andare dopo avergli mostrato come si usava il sito dell'AutoTrack.

«Be', Harry, per prima cosa devi avere un computer. Io l'ho fatto dal mio portatile.»

La raggiunse dietro la scrivania e la osservò entrare nel sito dell'AutoTrack, inserire la password e arrivare alla schermata per la ricerca nominale.

«Da chi vuoi cominciare?» domandò.

«Che ne dici di Robert Verloren?»

Scrisse il nome e impostò i parametri per la ricerca.

«È molto veloce?» domandò Bosch.

«Molto.»

Dopo pochi minuti il programma aveva individuato una lista di indirizzi del padre di Rebecca Verloren. Ma si fermava alla casa di Chatsworth. Negli ultimi dieci anni Robert Verloren non aveva rinnovato la patente, non aveva acquistato proprietà, non si era iscritto alle liste elettorali, non aveva fatto richiesta di carta di credito, né si era intestato alcuna utenza. Era una pagina bianca. Era scomparso, quantomeno dalla rete elettronica.

«Deve vivere ancora in strada» disse Rider.

«Se è ancora vivo.»

Kiz Rider inserì i nomi di Tara Wood e Daniel Kotchof, e l'AutoTrack estrasse un elenco di omonimi per entrambi, ma utilizzando i dati approssimativi sull'età e concentrando la ricerca sulla California e sulle Hawaii, riuscirono a ottenere due liste di indirizzi che dovevano appartenere alla Tara Wood e al Daniel Kotchof che cercavano. Se la Wood non era andata alla riunione scolastica, non era perché si fosse trasferita lontano. Si era solo spostata dalla Valley alle colline sopra Santa Monica. Al contempo, risultò che Daniel Kotchof era tornato dalle Hawaii molti anni prima, aveva vissuto a Venice per qualche anno, poi era tornato a Maui, dove al momento risultava residente.

L'ultimo nome che Bosch chiese a Rider di passare nel computer era quello di Sam Weiss, la vittima del furto della pistola poi utilizzata per uccidere Rebecca Verloren. Sebbene ci fossero centinaia di omonimi, non fu difficile rintracciare il Sam Weiss giusto. Non aveva mai lasciato la casa nella quale aveva avuto luogo la rapina. Aveva persino lo stesso numero di telefono. Aveva messo radici.

Rider stampò tutti i risultati per Bosch e gli diede anche il numero di Grace Tanaka, che avevano avuto poco prima da Bailey Sable. Raccolse i documenti di cui avrebbe avuto bisogno per lavorare a casa.

«Se hai bisogno di me, fai uno squillo» disse, mentre infilava il portatile nella borsa imbottita.

Dopo che Rider se ne fu andata, Bosch consultò l'orologio sopra la porta dell'ufficio di Pratt e vide che erano le sei passate. Decise che sarebbe rimasto ancora un'oretta a lavorare su quei nomi prima di dirigersi al Toy District per tentare di trovare Robert Verloren. Sapeva di star solo procrastinando la ricerca tra quei relitti umani, una ricerca che di certo l'avrebbe depresso. Gettò di nuovo un'occhiata all'orologio e si ripromise di non passare più di un'ora a lavorare al telefono.

Decise di cominciare dalle telefonate urbane, ma dovette rinunciare subito. Né Tara Wood né Sam Weiss risposero, e in entrambi i casi la chiamata venne inoltrata alla segreteria telefonica. Lasciò un messaggio alla Wood in cui si qualificava, dava il numero di cellulare e spiegava che la telefonata riguardava Becky Verloren. Sperava che menzionare il nome dell'amica potesse bastare a intrigarla e spingerla a richiamare subito. A Weiss lasciò solo il nome e il numero di telefono; non voleva anticipare l'oggetto della telefonata, che avrebbe potuto risvegliare il senso di colpa nell'uomo che aveva indirettamente fornito l'arma per l'assassinio di una ragazzina di sedici anni.

Quindi compose il numero di Grace Tanaka ad Hayward. La donna rispose dopo sei squilli. Inizialmente parve infastidita dalla telefonata, come se avesse interrotto qualcosa di importante, ma i suoi modi scontrosi si addolcirono non appena Bosch le disse di aver chiamato per parlare di Rebecca Verloren.

«Oh, mio Dio, sta succedendo qualcosa?» domandò.

«Il dipartimento ha deciso di riaprire il caso» disse Bosch. «È saltato fuori un nome. Si tratta di un individuo che potrebbe essere stato coinvolto nel caso nel 1988, stiamo cercando di capire se in qualche modo avesse a che fare con Becky o con i suoi amici.»

«Come si chiama?» domandò in fretta.

«Roland Mackey. Aveva un paio d'anni più di Becky. Non ha frequentato la Hillside, ma viveva a Chatsworth. Il nome le dice niente?»

«No, non ricordo. Che legame c'è? Era il padre?»

«Il padre?»

«La polizia disse che era incinta. Cioè, che era rimasta incinta...»

«Non sappiamo se fosse quello il legame con la ragazza. Perciò non riconosce il nome?»

«No.»

«Usa "Ro" come diminutivo.»

«Neanche.»

«E dice che non sapeva nulla della gravidanza, giusto?»

«Non lo sapevo. Nessuna di noi ne era a conoscenza. Almeno, nessuna di noi amiche.»

Bosch annuì, sebbene sapesse che lei non lo poteva vedere. Non disse nulla, sperando che il silenzio la mettesse a disagio e la spingesse ad aggiungere qualcosa di rilevante.

«Uhm, ha una foto di quest'uomo?» domandò infine la donna.

Non era quello che Bosch sperava.

«Sì» disse. «Dovrò trovare un modo per portargliela e fargliela vedere, magari potrebbe risvegliarle qualche ricordo.»

«Può fare una scansione e mandarmela per e-mail?»

Bosch aveva un'idea di quello che gli stava chiedendo e, benché lui non sapesse da dove cominciare, immaginava che Kiz Rider avrebbe potuto farlo.

«Penso di sì. È la mia collega che usa il computer, ma al momento non c'è.»

«Le do il mio indirizzo mail, così potrà mandarmi la foto appena rientra.»

Bosch trascrisse l'indirizzo sul suo taccuino. Disse alla donna che avrebbe ricevuto la mail la mattina seguente.

«C'è altro, detective?»

Bosch sapeva che avrebbe potuto terminare la conversazione e chiedere a Rider di provare a legare con Grace Tanaka dopo averle mandato la foto. Ma decise di non perdere l'occasione per iniziare a smuovere emozioni e ricordi. Magari qualcosa si sarebbe sciolto.

«Ho ancora qualche domanda. Come descriverebbe il suo rapporto con Becky durante quell'estate?»

«Cosa intende? Eravamo amiche. Ci conoscevamo fin dal primo anno di scuola.»

«Capisco. Ed era lei la più vicina a Becky nel vostro gruppo?»

«No, credo che all'epoca fosse Tara.»

Un'altra conferma che nell'ultimo periodo Tara Wood era la più legata a Becky.

«Perciò non si confidò con lei quando scoprì di essere incinta.»

«No, gliel'ho già detto, non lo seppi fino a dopo la sua morte.»

«E lei? Lei si confidava con Becky?»

«Certo.»

«Su tutto?»

«Dove vuole arrivare?»

«Sapeva della sua omosessualità?»

«Questo cosa c'entra?»

«Sto cercando di ricostruire un quadro del vostro gruppo. Il Club delle Gattine. Penso che tutte e quattro...»

«No» sbottò. «Non lo sapeva. Nessuna di loro ne era a conoscenza. Con tutta probabilità allora non lo sapevo neppure io. Va bene, detective? Le basta?»

«Mi dispiace, signora Tanaka. Sto cercando di tracciare un quadro il più dettagliato possibile. Apprezzo la sua onestà. Un'ultima domanda. Se Becky avesse avuto bisogno di farsi accompagnare a casa da qualcuno dopo l'intervento, a chi si sarebbe rivolta?»

Ci fu un lungo silenzio prima che Grace Tanaka rispondesse.

«Non lo so. Avrei sperato che chiamasse me. Che fossi quel genere di amica. Ma è evidente che preferiva qualcun'altra.»

«Tara Wood?»

«Dovrà domandarlo a lei. Buonanotte, detective Bosch.»

Riagganciò. Bosch aprì l'annuario per studiare la sua foto. Era una piccola asiatica. La foto - di tanti anni prima - non coincideva con il contegno scontroso della voce che aveva appena sentito al telefono.

Bosch lasciò un appunto per Rider con l'indirizzo e-mail e le istruzioni di passare allo scanner la foto di Mackey e inviarla a Tanaka. Scrisse anche qualche riga per mettere in guardia Kiz sulle resistenze della donna quando aveva affrontato l'argomento dell'omosessualità. Fece scivolare il biglietto sulla scrivania della collega, in modo che fosse la prima cosa su cui avrebbe posato gli occhi la mattina seguente.

Gli rimaneva una sola telefonata, quella a Daniel Kotchof, che, stando all'AutoTrack, viveva a Maui, dove l'orologio era due ore indietro.

Compose il numero, rispose una donna. Disse di essere la moglie di Daniel Kotchof, il marito - spiegò - era al lavoro al Four Seasons Hotel, dov'era impiegato come responsabile dell'ospitalità. Bosch chiamò il numero che la donna gli aveva dato e si fece passare Daniel Kotchof. L'uomo disse di aver pochissimo tempo a disposizione, ma lasciò Bosch in attesa per cinque minuti buoni mentre cercava un punto più riservato dell'hotel da cui parlare. Quando finalmente tornò in linea, la telefonata si rivelò del tutto improduttiva. Come Grace Tanaka, non riconobbe il nome di Roland Mackey. Parve anche considerare la conversazione come una seccatura, un'intrusione. Spiegò che era sposato, che aveva tre figli e che ormai pensava di rado a Becky Verloren. Ricordò a Bosch che lui e la sua famiglia si erano trasferiti un anno prima della morte della ragazza.

«Ma sono stato portato a credere che, dopo che si trasferì alle Hawaii, avesse continuato a telefonarle piuttosto spesso» disse Bosch.

«Non so chi le abbia detto questo» rispose Kotchof. «Voglio dire, parlavamo. Soprattutto all'inizio. Ero costretto a chiamarla io perché i suoi genitori dicevano che spendeva troppo a telefonarmi. Io pensavo che fosse una balla. Volevano solo che sparissi dal quadro, tutto qui. Perciò ero costretto a chiamare io, ma mi domandavo che senso avesse. Io ero alle Hawaii e lei a Los Angeles. Era finita, amico. E abbastanza presto mi trovai una ragazza qui - che poi è la mia attuale moglie - e smisi di chiamare Beck. Questo fino a dopo, sa, quando seppi quello che accadde e il detective mi telefonò.»

«Lo sapeva già prima che il detective la chiamasse?»

«Sì, me l'avevano detto. La signora Verloren aveva avvisato mio padre, fu lui a darmi la notizia. Ricevetti anche qualche telefonata da alcuni amici. Sapevano che avrei voluto essere informato. Era strano, sa, quella ragazza che conoscevo fatta fuori in quel modo.»

«Già.»

Bosch pensò a cos'altro avrebbe potuto chiedergli. La storia di Kotchof per alcuni aspetti differiva da quella di Muriel Verloren. In qualche modo avrebbe dovuto far quadrare i conti. E l'alibi di Kotchof continuava a infastidirlo.

«Ehi, senta, detective, io devo andare» disse Kotchof. «Sono al lavoro. C'è altro?»

«Soltanto qualche domanda ancora. Si ricorda quanto tempo prima della morte di Rebecca aveva smesso di telefonarle?»

«Uhm, non lo so. Direi intorno alla fine della prima estate. Una cosa del genere. Era un bel po', quasi un anno.»

Bosch decise di cercare di scuotere Kotchof e vedere cosa ne sarebbe uscito. Era una tecnica che avrebbe preferito tentare di persona, ma non disponeva né del tempo né del denaro per un viaggio alle Hawaii.

«Perciò la vostra relazione era assolutamente conclusa al momento della sua morte?»

«Sì, assolutamente.»

Bosch pensò che la possibilità di recuperare i tabulati telefonici di allora sarebbe stata remota.

«Quando la chiamava ancora, era sempre alla stessa ora, una specie di appuntamento?»

«Qualcosa del genere. Qui eravamo due ore indietro, perciò non potevo chiamare troppo tardi. Di solito telefonavo subito dopo cena, poco prima che lei andasse a letto. Ma, come ho detto, la cosa non durò molto a lungo.»

«Okay. Ora le devo fare una domanda piuttosto personale. Ha mai fatto sesso con Rebecca Verloren?»

Ci fu una pausa.

«Questo cosa c'entra?»

«Non glielo posso spiegare, Dan. Ma fa parte delle indagini e potrebbe avere rilevanza per il caso. Le dispiace rispondere?»

«No.»

Bosch attese, ma Kotchof non disse nient'altro.

«È la sua risposta?» domandò alla fine. «Voi due non avete mai fatto sesso?»

«No, mai. Lei diceva di non sentirsi pronta, e io non feci pressioni. Senta, ora devo andare.»

«Okay, Dan, solo un paio di domande ancora. Sono certo che le farebbe piacere che prendessimo il tizio che ha fatto questo, no?»

«Sì, certo, è solo che sono al lavoro.»

«Sì, me l'ha detto. Mi lasci fare ancora qualche domanda. Quand'è stata l'ultima volta che ha visto Rebecca?»

«Non ricordo la data esatta, ma penso fosse il giorno in cui partimmo. Quando ci dicemmo addio. Quella mattina.»

«Perciò non tornò mai dalle Hawaii dopo che la sua famiglia si trasferì?»

«No, non nei primi tempi. Voglio dire, da allora qualche volta sono tornato. Ho vissuto a Venice per un paio di anni dopo la fine della scuola, ma poi sono ritornato qui.»

«Ma mai nel periodo tra il trasferimento della sua famiglia e l'omicidio di Rebecca. È questo che sta dicendo?»

«Sì, giusto.»

«Perciò se una testimone con cui ho parlato mi avesse detto di averla vista in città nel week-end del 4 luglio, poco prima che Rebecca scomparisse, si sarebbe sbagliata?»

«Sì, si sarebbe sbagliata. Senta, cos'è questo? Gliel'ho detto, non sono mai tornato. Avevo una nuova ragazza. Voglio dire, non andai neppure al funerale. Chi le ha detto di avermi visto? È stata Grace? A lei non sono mai piaciuto, quella lesbica. Cercava sempre di mettermi nei guai con Becky.»

«Non posso dirle chi è stato, Dan. E farei lo stesso se lei volesse dirmi qualcosa di confidenziale.»

«Chiunque sia stata, è una bugiarda di merda» disse Kotchof, con voce tremante. «È una maledetta bugia! Controlli il file, amico! Io avevo un alibi. Lavoravo il giorno in cui venne portata via, e anche il giorno successivo. Come avrei potuto arrivare laggiù e tornare indietro? Chiunque le abbia detto una cosa del genere è solo un contaballe del cazzo!»

«Il suo alibi è una balla, Dan. Il suo vecchio avrebbe potuto costringere il supervisore a confermarlo. Niente di più facile.»

Ci fu un momento di silenzio prima che arrivasse la risposta.

«Non so di cosa stia parlando. Mio padre non costrinse nessuno a fare niente, e questo è un maledetto dato di fatto. Dovevamo timbrare il cartellino, il mio capo lo disse ai poliziotti, tutto qui. Ora lei se ne salta fuori diciassette anni dopo con questa merda? Mi sta prendendo per il culo?»

«Okay, Dan, non se la prenda. A volte la gente commette degli errori. Soprattutto quando si torna indietro di tanti anni.»

«Mi manca solo questo, di essere trascinato in una faccenda del genere. Amico, ho una famiglia qui.»

«Le ho detto di non prendersela. Non la sto trascinando in nessuna faccenda. È solo una telefonata. Solo una chiacchierata, okay? Ora, c'è qualcos'altro che può o vuole dirmi per aiutarmi?»

«No. Le ho detto tutto quello che so, cioè niente. E devo andare. Questa volta dico sul serio.»

«Perciò fu turbato quando Rebecca le disse di essere incinta, senza dubbio di qualcun altro?»

Non ci fu alcuna risposta, così Bosch cercò di stringere un po' la morsa.

«Soprattutto visto che quando stavate insieme non avevate rapporti.»

Bosch realizzò di essersi spinto troppo oltre, e iniziò a tamburellare con le dita. Kotchof capì che Bosch recitava sia il ruolo del poliziotto buono sia quello del poliziotto cattivo. Quando rispose, la voce era calma e modulata.

«Non me lo disse mai» rispose. «Non lo seppi se non quando, dopo, si diffuse la notizia.»

«Davvero? E chi glielo disse?»

«Non ricordo. Uno dei miei amici, immagino.»

«Ah sì? Perché Rebecca teneva un diario, dove lei è molto presente, amico. E la ragazza dice di averglielo detto, e che lei non fu per niente contento di saperlo.»

Ora Kotchof rise e Bosch capì di aver sputtanato tutto.

«Detective, lei è pieno di merda. Dice un sacco di balle, amico. Voglio dire, guardo anch'io Law and Order, sa?»

«E guarda anche CSI

«Sì, e allora?»

«Be', abbiamo il DNA dell'assassino. Se riusciremo a trovare a chi appartiene, avremo un arresto. Il DNA è una prova definitiva.»

«Bene, allora controllate il mio, così per me tutta questa storia finirà.»

Bosch sapeva che ormai era lui a inseguire, perciò doveva concludere la telefonata.

«Va bene, allora, Dan, la terremo informata. Nel frattempo, grazie per l'aiuto. Un'ultima domanda. Cos'è un responsabile dell'ospitalità?»

«Si riferisce al mio lavoro qui all'hotel? Mi occupo delle feste, dei convegni, dei matrimoni, cose del genere. Mi assicuro che tutto fili liscio quando arrivano i grandi gruppi.»

«Va bene, allora, la lascio al suo lavoro. Le auguro buona giornata.»

Bosch riattaccò e rimase seduto alla scrivania a ripensare alla telefonata. Era imbarazzato, si era fatto prendere la mano e si era lasciato fregare da Kotchof. Sapeva che le sue tecniche di interrogatorio erano rimaste a riposo per tre anni, ma questo non attenuava la scottatura. Doveva migliorare, e farlo in fretta.

A parte questo, la telefonata aveva fatto emergere diverse questioni da considerare. La reazione rabbiosa all'accusa di essere stato visto a Los Angeles prima dell'omicidio non significava granché. Dopotutto, Bosch si era inventato la testimonianza, e la rivolta di Kotchof appariva più che giustificata. Ma il punto degno di nota era che la rabbia si era indirizzata verso Grace Tanaka. Sarebbe valsa la pena di indagare sui rapporti tra loro due, magari con l'aiuto di Kiz Rider.

Rifletté anche sull'affermazione di Kotchof di non essere al corrente della gravidanza di Rebecca Verloren. Bosch d'istinto gli credeva. Dopotutto, questo non lo eliminava dalla lista dei sospetti, ma quantomeno lo relegava nelle retrovie. Avrebbe discusso tutte le risposte di Kotchof con Rider e avrebbe visto se lei la pensava allo stesso modo.

L'informazione più interessante che aveva ricavato dalla telefonata era la discrepanza tra i ricordi di Kotchof e quelli di Muriel Verloren, la madre della vittima. Muriel Verloren aveva detto che Kotchof aveva continuato a chiamare la figlia con precisione religiosa, fino al momento della morte. Kotchof sosteneva di non aver fatto nulla del genere. Bosch non trovava alcuna ragione per cui l'uomo dovesse mentire in proposito. Se non aveva mentito, allora i ricordi di Muriel Verloren erano sbagliati. Oppure era stata la figlia a mentire su chi la chiamava tutte le sere prima di andare a letto. Dato che la ragazza teneva nascosta una relazione e la gravidanza che ne era derivata, era plausibile che tutti i giorni arrivasse una telefonata, ma non da Kotchof. Era qualcun altro a chiamare, qualcuno a cui Bosch cominciò a pensare come a Mr. X.

Dopo aver cercato il numero di Muriel Verloren sul fascicolo del delitto, Bosch le telefonò. Si scusò per il disturbo e disse di avere qualche altra domanda. Muriel rispose che la telefonata non la disturbava affatto.

«Che domande vuole farmi?»

«Ho visto il telefono sul comodino accanto al letto di sua figlia. Era una linea indipendente o una derivazione del numero di casa?»

«Aveva il suo numero. Una linea privata.»

«Perciò quando Daniel Kotchof la chiamava alla sera, era solo lei a rispondere al telefono, dico bene?»

«Sì, nella sua stanza. Non c'erano altre derivazioni.»

«Perciò lei sapeva che Danny la chiamava solo perché lo diceva sua figlia.»

«No, a volte sentivo squillare il telefono.»

«Quello che intendo, signora Verloren, è che lei non ha mai risposto a quelle telefonate e parlato con Daniel Kotchof, giusto?»

«Giusto. Era la sua linea personale.»

«Perciò quando quel telefono squillava e sua figlia parlava con qualcuno, l'unico modo che aveva di sapere chi fosse era che glielo dicesse Becky. È corretto?»

«Uh, sì, direi di sì. Sta dicendo che non era Danny a chiamare tutte le sere?»

«Non ne sono ancora sicuro. Ma ho parlato con Danny alle Hawaii e lui mi ha detto di aver smesso di chiamare Becky molto prima che venisse portata via. Aveva una nuova ragazza alle Hawaii.»

L'informazione fu accolta con una lunga pausa. Alla fine Bosch riempì il vuoto.

«Ha un'idea di chi potesse essere la persona con cui parlava, signora Verloren?»

Dopo un altro silenzio, Muriel Verloren offrì una risposta con voce debole.

«Magari una delle sue amiche.»

«È possibile» disse Bosch. «Le viene in mente qualcun altro?»

«Non mi piace tutto questo» disse in fretta. «È come se stessi riscoprendo di nuovo tutto quanto.»

«Mi dispiace, signora Verloren. Cercherò di non ferirla con questo genere di informazioni, a meno che non sia necessario. Lei e suo marito siete mai giunti a qualche conclusione riguardo alla gravidanza?»

«Cosa intende? Lo scoprimmo solo dopo.»

«Questo l'ho capito. Intendo se pensate che fosse il frutto di una relazione segreta o l'errore di un giorno, sa, con qualcuno con cui non aveva una vera e propria relazione.»

«Intende una storia di una notte? È questo che sta insinuando su mia figlia?»

«No, signora, non sto insinuando nulla su sua figlia. Non voglio turbarla, ma desidero scoprire chi è stato a uccidere Rebecca. E ho bisogno di sapere tutto quello che c'è da sapere.»

«Non potremo mai spiegarlo, detective» rispose con freddezza. «Lei ci ha lasciati e noi abbiamo deciso di non torturarci per cercare la verità. Abbiamo rimesso tutto nelle mani della polizia e abbiamo tentato di ricordare la figlia che conoscevamo e amavamo. Mi ha detto di avere una figlia, detective, spero che possa comprendere.»

«Penso di sì. Grazie per le sue risposte. Ancora una domanda - e non intendo in nessun modo obbligarla - ma sarebbe disposta a parlare con un giornalista di sua figlia e del caso?»

«Perché dovrei? Non l'ho mai fatto. Non credo che sarebbe giusto mettere in piazza la nostra storia.»

«L'ammiro per questo. Ma questa volta voglio che lei lo faccia perché potrebbe aiutarci ad attirare la preda.»

«Vuol dire che potrebbe far uscire allo scoperto il colpevole?»

«Esatto.»

«Allora lo farò subito.»

«Grazie, signora Verloren. Le farò sapere.»