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Kiz Rider era quasi a metà del fascicolo quando Bosch rientrò con il secondo giro di caffè. Gli prese la tazza dalle mani.
«Grazie, ho bisogno di qualcosa per tenermi sveglia.»
«Come? Non vorrai farmi credere che questo lavoro è più noioso che passare carte nell'ufficio del comandante.»
«No, non è questo. È il fatto di mettersi in pari con tutte le informazioni che ci mancano, leggere tutto. Dovremo arrivare a conoscere questo fascicolo come le nostre tasche. Dobbiamo essere pronti a ogni eventualità.»
Bosch notò che la collega aveva un blocco per appunti aperto accanto al fascicolo, e la prima pagina era piena di appunti. Non riusciva a leggere cosa ci fosse scritto, ma vedeva che la maggior parte delle righe terminava con un punto di domanda.
«Comunque,» aggiunse la donna «ora uso dei muscoli diversi. Muscoli che al sesto piano non usavo mai.»
«Capisco» disse lui. «Va bene se inizio anch'io adesso?»
«Accomodati.»
Aprì l'anello del raccoglitore e tirò fuori il fascio di documenti spesso cinque centimetri che aveva già letto. Li passò a Bosch, che si era seduto alla sua scrivania.
«Hai un altro blocco grande come quello?» domandò. «Io ho solo un taccuino.»
Rider sospirò in maniera esagerata. Bosch sapeva che era tutta scena e che la partner era contenta di lavorare di nuovo con lui. Aveva passato gli ultimi due anni a studiare strategie e a risolvere problemi per il nuovo comandante. Ma quello per cui era veramente tagliata era il lavoro vero del poliziotto.
Fece scivolare un blocco verso di lui.
«Hai bisogno anche di una penna?»
«No, per quella penso di potermela cavare.»
Bosch posò i documenti sul tavolo e cominciò a leggere. Era pronto a partire, e non aveva bisogno del caffè per mettersi in moto.
La prima pagina del fascicolo era una foto a colori contenuta in una busta di plastica trasparente con tre fori. La foto, presa da un annuario scolastico, ritraeva una ragazza attraente ed esotica, i cui occhi a mandorla di un verde sorprendente si stagliavano contro la pelle color caffè. Aveva i capelli castani, ricci, con delle striature di biondo che parevano naturali e che avevano catturato il flash della macchina fotografica. Gli occhi erano luminosi e il sorriso naturale. Quel sorriso pareva dire che la ragazza custodiva segreti che nessun altro conosceva. Bosch non pensò che fosse bella. Non ancora. I tratti somatici parevano in conflitto l'uno con l'altro, non coordinati. Ma sapeva che la goffaggine degli adolescenti spesso si addolcisce e più tardi si trasforma in bellezza.
Ma per la sedicenne Rebecca Verloren non ci sarebbe mai stato un più tardi. Il 1988 sarebbe stato il suo ultimo anno di vita. Il cold hit riguardava l'omicidio della ragazza.
Becky, come la chiamavano i familiari e gli amici, era l'unica figlia di Robert e Muriel Verloren. Muriel era casalinga, Robert era lo chef e il proprietario di un famoso ristorante di Malibu, l'Island House Grill. Vivevano sulla Red Mesa Way poco oltre la Santa Susana Pass Road a Chatsworth, nell'angolo nord occidentale dell'agglomerato urbano che si congiungeva con Los Angeles. Il giardino sul retro della loro casa si inerpicava sul pendio alberato della Oat Mountain, la montagna che si ergeva sopra Chatsworth e rappresentava il confine nord occidentale della città. Quell'estate Becky aspettava di frequentare il terzo anno alla Hillside Preparatory School, una scuola privata vicino a Porter Ranch, dove era nella lista degli studenti meritevoli e dove sua madre lavorava come volontaria alla caffetteria, portando persino il pollo al jerk e altre specialità dalla cucina del ristorante del marito per la mensa dei professori.
La mattina del 6 luglio 1988, i Verloren scoprirono che la figlia non era in casa. Trovarono la porta sul retro aperta, nonostante fossero sicuri di averla chiusa a chiave la sera prima. Pensando che la ragazza potesse essere uscita a fare una passeggiata, aspettarono in apprensione per un paio d'ore, ma Becky non tornò. Quel giorno sarebbe dovuta andare al ristorante con il padre, per lavorare al turno di mezzogiorno come aiutocameriera, ed era passato da parecchio l'orario in cui sarebbero dovuti partire per Malibu. Mentre la madre chiamava le amiche, nella speranza di localizzarla, il padre andò a cercarla sulla collina dietro casa. Quando tornò senza aver trovato alcuna traccia di lei, i genitori decisero che fosse giunto il momento di chiamare la polizia.
Furono inviati a casa Verloren degli agenti della Divisione Devonshire. Non trovarono segni di effrazione. Per questa ragione, e per il fatto che la ragazza era nell'età che contava la più alta percentuale di fughe, sembrava probabile che Rebecca fosse scappata di casa. Si decise così di seguire la procedura standard per le persone scomparse, a dispetto delle proteste dei genitori che non credevano possibile che la figlia avesse lasciato la casa di propria volontà.
Due giorni più tardi la tesi dei genitori si dimostrò tragicamente vera. Il cadavere già in stato di decomposizione di Becky Verloren fu rinvenuto accanto al tronco abbattuto di una quercia, a una decina di metri circa da un sentiero per le passeggiate a cavallo sulla Oat Mountain. Una donna in sella al suo appaloosa aveva lasciato il sentiero incuriosita da un odore terribile, e si era imbattuta nel cadavere. La cavallerizza avrebbe potuto benissimo ignorare quel tanfo, ma aveva appena visto sui pali del telefono il cartello con la foto della ragazza scomparsa nella zona.
Becky Verloren era morta a meno di quattrocento metri da casa. Era probabile che il padre fosse passato a pochi metri, addirittura a pochi passi dal corpo mentre si inerpicava sulla collina chiamando a gran voce il nome della figlia. Ma quella mattina non c'era ancora nessun cattivo odore che potesse attirare la sua attenzione.
Bosch era padre di una ragazzina. Sebbene la figlia vivesse lontana da lui, con la madre, non era mai distante dai suoi pensieri. In quel momento pensò a un padre che si arrampica sulla collina e chiama il nome della figlia, che non tornerà mai più a casa.
Cercò di concentrarsi sui documenti.
La vittima era stata uccisa con un colpo di pistola al petto. L'arma, una Colt semiautomatica calibro 45, era stata rinvenuta tra le foglie accanto alla caviglia sinistra della ragazza. Mentre studiava le foto della scena del crimine, Bosch scorse quella che gli parve la bruciatura provocata da uno sparo ravvicinato sulla stoffa della camicia da notte azzurra. Il foro del proiettile si trovava appena sopra il cuore, e Bosch capì dal calibro dell'arma e dalla dimensione della ferita che la morte doveva essere sopraggiunta immediata. Il cuore era stato frantumato dal proiettile che aveva attraversato il corpo.
Bosch esaminò a lungo le foto del cadavere. La vittima non aveva le mani legate. Non c'erano tracce di violenza, né di colluttazione. Il viso era rivolto verso il tronco caduto. Niente lasciava pensare a una molestia sessuale o a un'aggressione di qualsiasi genere.
Il fraintendimento da parte della polizia sulla scomparsa della ragazza era stato aggravato da un secondo errore, nell'analisi della scena del delitto. Gli incartamenti dimostravano che il decesso era stato considerato un probabile caso di suicidio, e come tale era stato presentato alla Omicidi dai due detective che avevano risposto alla chiamata, Ron Green e Arturo Garcia.
Ai tempi del delitto, e ancora adesso, la Divisione Devonshire era la stazione di polizia più tranquilla del distretto di Los Angeles. Costituito da un ampio quartiere dormitorio con proprietà immobiliari di valore e residenti per lo più dell'alta borghesia, Devonshire era sempre stato al livello più basso nelle statistiche sul crimine in città. Tra gli uomini del dipartimento la stazione era soprannominata il Club Dev. Era un posto parecchio ambito dagli agenti e dai detective che avevano alle spalle molti anni di servizio, erano stanchi, o semplicemente avevano visto troppe azioni. Sotto la giurisdizione della Divisione Devonshire ricadeva anche la parte della città attorno alla Simi Valley, una comunità tranquilla, pressoché priva di criminalità, nella Contea di Ventura, dove centinaia di agenti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles avevano deciso di andare a vivere. Essere assegnati alla Devonshire significava viaggi brevi e il minor carico di lavoro di tutto il dipartimento.
Il pedigree del Club Dev scorreva in fondo alla mente di Bosch mentre leggeva i rapporti. Sapeva che buona parte del suo lavoro consisteva nel giudicare l'operato di Green e Garcia, per determinare se fossero stati all'altezza del loro ruolo. Non li conosceva, e non aveva avuto alcuna esperienza con loro. Non aveva idea del loro livello di competenza e dedizione. Sì, c'era l'erronea interpretazione iniziale, ma stando ai rapporti i due investigatori se n'erano resi conto per tempo e avevano preso subito in mano il caso. I rapporti sembravano ben scritti, minuziosi e completi. Pareva che, ogni volta che ne avevano avuto l'opportunità, gli investigatori avessero compiuto un piccolo passo avanti.
Tuttavia, Bosch sapeva che era possibile manipolare il fascicolo di un delitto per dare questa impressione. Avrebbe scoperto la verità solo scavando a fondo e conducendo la propria indagine. Sapeva che avrebbe potuto esserci una considerevole differenza tra quanto era stato registrato e quanto era stato omesso.
Secondo quanto diceva il fascicolo, Green e Garcia avevano cambiato direzione alle indagini dopo che l'autopsia e l'analisi dell'arma del delitto li avevano portati a scartare l'ipotesi del suicidio. Il caso era stato riclassificato come omicidio camuffato da suicidio.
Bosch arrivò alle prime rilevazioni dell'autopsia. Aveva letto un migliaio di referti autoptici e aveva assistito a centinaia di analisi. Sapeva di dover saltare tutte le misurazioni e le descrizioni della procedura e passare subito alle conclusioni riassuntive e alle foto allegate. Non fu sorpreso di leggere che la causa della morte era stata una ferita d'arma da fuoco al petto. L'ora stimata del decesso era tra la mezzanotte e le due del mattino. Il 6 luglio. Le conclusioni segnalavano che nessun testimone aveva dichiarato di aver sentito gli spari, pertanto la stima sull'ora del decesso si basava esclusivamente sulla perdita di temperatura del cadavere.
Le sorprese si trovavano negli altri accertamenti. Rebecca Verloren aveva capelli lunghi e folti. Alla base del collo, sul lato destro, sotto l'attaccatura dei capelli, il medico aveva riscontrato una piccola bruciatura circolare all'incirca del diametro di un bottone da camicia. A cinque centimetri da questo segno, c'era un'altra bruciatura, molto più piccola della prima. Un tasso elevato di globuli bianchi nel sangue attorno a queste ferite indicava che entrambe erano state procurate un po' prima, non al momento della morte.
Il rapporto concludeva che le bruciature dovevano essere state lasciate da un'arma stordente: un dispositivo che emetteva una potente scarica elettrica, tale da togliere coscienza alla vittima per diversi minuti, o anche più a lungo, a seconda della carica.
Di norma la scarica di un'arma stordente lasciava sulla pelle due segni piccoli e quasi impercettibili, in coincidenza con il doppio punto di contatto. Ma se i due estremi del dispositivo venivano appoggiati in maniera diseguale contro il corpo della vittima, la carica elettrica bruciava l'epidermide nella maniera visibile sul collo di Becky Verloren.
Le conclusioni dell'autopsia facevano notare anche che un esame dei piedi della ragazza non aveva evidenziato tracce di terra, tagli o lividi, che sarebbero stati inevitabili se avesse camminato a piedi nudi sulla montagna al buio.
Bosch tamburellò con la penna sul rapporto e rifletté su questo particolare. Sapeva che si trattava di un errore commesso da Green e Garcia. I piedi della vittima avrebbero dovuto essere esaminati sul luogo del delitto, e da questo i detective avrebbero dovuto capire subito che il suicidio era una messinscena. Invece si erano lasciati sfuggire il particolare e avevano sprecato due giorni per aspettare l'autopsia con il week-end di mezzo. Quei due giorni, più i due persi quando gli agenti dell'autopattuglia avevano sottovalutato la chiamata dei genitori e attribuito la scomparsa a una semplice fuga, avevano costituito un pessimo inizio per le indagini. Non c'erano dubbi, la partenza dai blocchi era stata decisamente lenta. Bosch cominciava a rendersi conto del pessimo servizio che il dipartimento aveva fatto a Rebecca Verloren.
Il referto autoptico conteneva anche i risultati di un test per la ricerca di eventuali residui di polvere da sparo sulle mani della vittima. Erano state trovate tracce sulla mano destra di Becky, mentre non c'era nulla sulla sinistra. Nonostante Rebecca Verloren fosse destra, Bosch sapeva che quel test era la riprova che la ragazza non poteva aver sparato con la pistola che l'aveva uccisa. L'esperienza - non importava quanto limitata - e il buon senso avrebbero dovuto suggerire agli investigatori che la giovane avrebbe avuto bisogno di entrambe le mani per sorreggere la pesante pistola, puntarla contro il petto e premere il grilletto. In quel caso, il risultato del test avrebbe dovuto segnalare la presenza di polvere da sparo anche sulla mano sinistra.
Nelle conclusioni del referto c'era un altro punto degno di nota. L'esame del cadavere aveva stabilito che la vittima era sessualmente attiva, e alcune ferite sulla parete dell'utero testimoniavano di un recente raschiamento per interrompere una gravidanza. Il coroner che aveva effettuato l'autopsia aveva stimato che fosse accaduto all'incirca tra le quattro e le sei settimane prima del decesso.
Bosch lesse il primo rapporto di sintesi delle indagini che era stato redatto e aggiunto al fascicolo dopo l'autopsia. Green e Garcia a quel punto classificavano il decesso come omicidio e teorizzavano che qualcuno fosse entrato nella stanza della ragazza mentre lei dormiva, l'avesse immobilizzata con un'arma stordente e l'avesse portata fuori dalla camera e dalla casa. Era stata trasportata su per la montagna fino al luogo in cui si trovava la quercia caduta, dove l'omicida, con tutta probabilità a seguito di una decisione estemporanea, aveva cercato in maniera goffa di inscenare un suicidio. Il rapporto era stato compilato lunedì 11 luglio: cinque giorni dopo che Rebecca Verloren era stata abbandonata senza vita sulla collina.
Bosch passò al rapporto sull'analisi dell'arma da fuoco. L'autopsia aveva dato indicazioni più che convincenti della falsità del suicidio, e lo studio dell'arma e la perizia balistica confermavano la teoria investigativa.
Sull'arma non c'erano altre impronte digitali oltre a quelle della mano destra di Becky Verloren. Il fatto che non ci fossero impronte della mano sinistra né macchie di alcun genere indicava agli investigatori che la pistola era stata pulita con cura prima di essere piazzata nella mano di Becky. L'arma era stata poi diretta verso il petto della ragazza e aveva sparato. Era probabile che la vittima fosse priva di conoscenza, dopo essere stata colpita con l'arma stordente.
Il bossolo espulso dalla pistola quando era stato sparato il colpo fatale era stato rinvenuto a poco meno di due metri dal cadavere. Non c'erano impronte digitali né macchie nemmeno sul bossolo, segno che l'arma era stata caricata indossando dei guanti.
La prova investigativa più importante era stata trovata proprio durante l'analisi dell'arma del delitto. A dire il vero era stata trovata dentro l'arma del delitto. La pistola era una Mark IV Serie 80, prodotta dalla Colt nel 1986, due anni prima dell'omicidio. Aveva la cresta del cane molto lunga, un particolare di rilievo visto che l'arma aveva la reputazione di lasciare un "tatuaggio" sulla mano di chi sparava se non veniva impugnata in maniera corretta al momento di fare fuoco. Questo di solito accadeva quando si stringeva l'impugnatura con due mani, in modo che la mano che premeva il grilletto era posizionata troppo in alto, troppo vicina al cane. La pistola sparava e il carrello scivolava automaticamente indietro per espellere il bossolo; a quel punto, mentre il carrello tornava nella posizione di tiro, pizzicava la mano - di solito la parte molle tra il pollice e l'indice - e portava con sé un pezzo di pelle dentro il caricatore. Tutto questo succedeva in una frazione di secondo, e il tiratore inesperto non capiva neppure cosa l'avesse "morsicato".
Era proprio quello che era capitato con la pistola che aveva ucciso Becky Verloren. Quando un esperto di armi da fuoco aveva aperto la pistola, aveva trovato un frammento di pelle e del sangue essiccato all'interno del carrello. Chi aveva pulito la pistola dall'esterno per cancellare le tracce di sangue e le impronte digitali non avrebbe potuto notarlo.
Green e Garcia avevano aggiunto anche questo alla loro teoria investigativa. Nel secondo rapporto di sintesi avevano scritto che le prove evidenziavano che il killer aveva stretto la mano di Becky Verloren attorno all'arma e poi le aveva premuto la canna contro il petto. Il killer aveva usato una o entrambe le mani per tenere dritta l'arma e aveva spinto il dito della ragazza sul grilletto. La pistola aveva sparato e il carrello aveva "tatuato" l'assassino: si era portato un pezzo di pelle dentro il caricatore.
Bosch prese mentalmente nota del fatto che Green e Garcia non avevano menzionato un'altra possibilità nella loro ricostruzione. E cioè che il frammento di pelle e il sangue secco si trovassero già dentro l'arma prima della notte dell'omicidio, che l'arma avesse "tatuato" qualcuno di diverso dal killer, quando era stata usata in un momento precedente a quello dell'omicidio.
Incuranti di questo potenziale ribaltamento del punto di vista, gli investigatori avevano fatto recuperare il sangue e il tessuto dalla pistola e, nonostante si sapesse già dall'autopsia che Becky non aveva ferite alle mani, avevano richiesto un esame comparato del sangue della ragazza con quello rinvenuto nell'arma. Quest'ultimo era di tipo 0; il sangue di Becky Verloren AB positivo. Gli investigatori conclusero che il sangue sull'arma era quello dell'assassino. L'assassino aveva sangue del gruppo 0.
Ma nel 1988 l'uso del test del DNA per le indagini era tutt'altro che diffuso e, ancora più importante, non veniva accettato come prova dalla corte in California. I database contenenti i profili del DNA dei criminali sarebbero stati creati solo dopo qualche anno. Nel 1988 i detective avevano unicamente la possibilità di comparare il gruppo sanguigno degli indiziati con quello trovato sull'arma. E nel caso dell'omicidio Verloren non c'era nessun potenziale colpevole. Lavorarono a lungo, con molto impegno, ma alla fine nessuno venne mai arrestato. E il caso si raffreddò.
«Fino ad ora» disse Bosch ad alta voce, senza rendersene conto.
«Cosa?» domandò Rider.
«Niente. Pensavo ad alta voce.»
«Vuoi cominciare a parlarne?»
«Non ancora. Prima voglio finire di leggere. Tu hai finito?»
«Quasi.»
«Sai chi dobbiamo ringraziare per questo, vero?» domandò Bosch.
Lei lo guardò senza capire. «Mi arrendo.»
«Mel Gibson.»
«Di che stai parlando?»
«Quand'è uscito Arma letale? All'incirca in quel periodo, no?»
«Direi di sì, ma cosa c'entra? Quei film erano così poco credibili.»
«È questo il punto. È stato quel film a dare inizio alla mania di tenere le pistole di traverso e con due mani, una sopra l'altra. Abbiamo sangue nella pistola perché chi ha sparato era un fan di Arma letale.»
Rider scosse la testa poco convinta.
«Vedrai» continuò Bosch. «Lo domanderò al tizio quando lo sbatteremo dentro.»
«Sì, Harry, glielo domanderai.»
«Mel Gibson ha salvato un sacco di vite. Tutti quei tizi che sparano con la pistola di traverso non possono colpire un cazzo. Dovremmo nominarlo poliziotto onorario, o qualcosa del genere.»
«Okay, Harry, ora io torno a leggere, va bene? Voglio finirlo.»
«Sì, okay, anch'io.»