Cinque anni dopo

In meno di cinque anni il faraone Horemheb e il visir Pirameses avevano fatto della festa del loto di Avaris e Qantir la celebrazione più importante di tutto l’Egitto, portando a trenta giorni la sua durata. La festa attirava i nobili più facoltosi, che venivano con le loro famiglie al completo per godere dell’ultimo mese dell’inondazione, prima dell’inizio della stagione della semina.

La chiatta reale sbarcava gli uomini a Qantir, dove venivano impegnati in esercitazioni militari e atletiche fino ai banchetti della sera, quando una breve navigazione sull’ansa del fiume li conduceva alla vicina Avaris, per raggiungere le loro mogli che nel frattempo avevano trascorso piacevolmente una giornata di chiacchiere e di acquisti nei mercati degli agricoltori e nella famosa bottega del lino.

Mered e la sua famiglia, spalla a spalla con gli schiavi ebrei e i contadini egiziani, aspettavano l’arrivo della nave proveniente dall’harem del Gurob osservando il mare di facce sul pendio verso settentrione, dove sorgeva il villaggio degli artigiani, e verso meridione con il nuovo insediamento dei contadini. Non riuscì a vedere Sifra e Hur e nemmeno i loro bambini, Uri e Yael. Il Signore aveva aperto il grembo della prima levatrice, e da allora non era più stata capace di essere puntuale.

«Arriveranno di sicuro.» Puah toccò il fianco del marito col gomito: «Hur ha promesso di portare i bambini al molo per dare la caccia ai topi in modo che tu possa andare subito alla bottega. Arriverà».

Mered continuò a scrutare la folla; aveva detto alla levatrice e a suo marito dove cercarli, accanto alla palma davanti alla filanda, ma la popolazione di Avaris era cresciuta e questo rendeva più difficili le comunicazioni.

«Ecco la nave!» Jochebed puntò il dito contro la chiatta dell’harem del Gurob che stava doppiando il promontorio sul fiume. «Rivedremo la nostra Miriam!» Si strinse al marito, gli occhi velati di lacrime di gioia. Perfino Aronne, presente con la moglie e il bambinetto, si alzò in punta di piedi per vedere l’imbarcazione scivolare sull’acqua sospinta dai rematori.

«Avviciniamoci alla banchina!» Ednah saltò su battendo le mani e fece per avviarsi tra la folla.

Mered afferrò la mano della bambina per tirarla indietro: cresciuta all’ombra protettiva di sua madre e di Jochebed, a dieci anni Ednah non conosceva la paura. «Tu resti qui e badi al tuo fratellino finché non saranno arrivati Hur e Sifra.» Il piccolo Cheber era nato nove mesi dopo il ritorno di Mered dalla guerra.

Ednah fece il broncio, ma Puah le prese una mano e se la premette sul ventre: «Senti! Tuo fratello mi sta prendendo a calci di nuovo».

Il broncio di Ednah scomparve e Mered mise un braccio intorno alle spalle di sua moglie: «Come sai che è un maschio?».

Puah si sollevò sulla punta dei piedi per bisbigliargli all’orecchio: «Questo è più agitato di tutti gli altri tre messi insieme. Sono sicura che è un maschio». Gli dette un bacio sulla guancia e si asciugò la fronte sudata.

Mered la strinse più forte a sé. Sua moglie sembrava stanca e mentre la osservava saltare e scherzare con Ednah nell’attesa che la chiatta attraccasse si domandò se Puah non dovesse riposare di più ora che il momento del parto era vicino.

«Padre, per piacere, lasciami tornare alla filanda.» Ieter, al contrario, era annoiatissimo. Per una buona metà dei suoi dodici anni Anippe era stata per lui soltanto la padrona dei mesi estivi e Mehy lo ignorava da quando era diventato amico inseparabile di Sety alla scuola del Kap a Menfi. Il suo scontroso figlio maggiore detestava la folla. «Non ho finito di applicare le perline sulla veste di pizzo della regina per il banchetto di domani.»

«Porta con te il tuo fratellino, ma non lasciarlo giocare con le pietre preziose.» L’ultima volta che era stato nella filanda, il piccolo Cheber, di quattro anni, si era portato a casa uno smeraldo e lo aveva nascosto in una piccola buca.

«Ecco che arrivano!» Puah strizzò il braccio di Mered come se stesse impastando il pane.

Osservarono i rematori accostare abilmente e gettare le cime di papiro agli schiavi, che si affrettarono a ormeggiare la chiatta alla banchina, poi la passerella si abbatté sulla sabbia e nubiani muniti di pali lunghi un cubito fecero largo al primo palanchino dorato che avanzò tra la folla.

Con la mano Mered si riparò gli occhi dal sole di mezzogiorno. La regina Mutno sedeva sul trono portato a spalle da sei medjay, lo sguardo rivolto verso l’alto. La villa di Avaris, un tempo piccola e caratteristica, era stata ampliata e abbellita per ordine del faraone Horemheb, che aveva voluto anche una fila di nuove case per ospiti costruite sul pendio sovrastante la villa. Si diceva anche che quegli appartamenti superassero in lusso gli edifici di Qantir.

Anippe seguiva nell’unica altra sedia portata a spalle e, gentile come sempre, si sporgeva per accettare gigli e mandragole dalla gente che le dava il benvenuto.

Puah nascose la faccia sul petto di Mered, piangendo a calde lacrime: «Sono contenta che sia tornata casa!».

Mered notò che la moglie si sosteneva il ventre arrotondato e le mise un braccio intorno alle spalle: «Ti senti bene?» le domandò cercando di vedere la sua espressione nonostante la donna tenesse il capo chino. «Puah, guardami!» Le prese il mento e la guardò in viso, notando la sua aria sofferente. «Dov’è Sifra?» domandò, cercandola di nuovo tra la folla.

«Sto bene.» Puah gonfiò le guance, poi soffiò via l’aria lentamente. «Ho avuto qualche doloretto tutta la mattina, ma niente di regolare. Credimi, so quando è il momento di chiamare la levatrice.» Dette un pugno scherzoso sul braccio del marito alleggerendo la tensione.

Gli occhi rotondi e castani di Ednah riflettevano la paura di Mered e, per amore della figlia, il padre rise. El-Shaddai, proteggi mia moglie e il bambino.

Il corteo continuò ad avanzare verso l’ingresso della villa, adesso molto più vicino alla palma preferita di Mered, e alla fine il palanchino dell’amira passò accanto a loro con Miriam al seguito, profumata e ingioiellata come tutte le altre ancelle del Gurob.

Mered batté la mano sulla spalla di Amram: «Ogni anno che passa tua figlia si fa sempre più bella. Forse Anippe le troverà un marito questo mese mentre è a casa».

Amram cercò di sorridere, un tremito nelle guance mentre guardava la figlia scomparire nella villa: «Miriam è nelle mani di El-Shaddai, amico mio, quasi come Mosè quando lo abbiamo messo in quel cestello più di dodici anni fa. Dobbiamo lasciare che sia Dio a provvedere al futuro dei nostri figli».

Mosè? Mered non si era reso conto che avevano dato un nome al bambino affogato nel Nilo. Quale ironia della sorte che lo avessero chiamato tratto dalle acque. Mosè. Il nome aveva un suono familiare, ma forse era semplicemente simile a quello del faraone Ahmose.

Comparve Sifra con il suo Yael, di due anni, in braccio: «Porterò Puah a casa a riposare».

«Sei arrivata, finalmente!» le disse Mered.

La donna si accigliò a quel saluto scortese e indicò un punto appartato vicino alla filanda: «Eravamo là. Hur doveva lavorare, perciò ha già preso Uri e ha portato via Cheber dalla bottega. Dovrebbe andare anche Ednah».

Mered baciò la figlia sulla fronte. «Troverai Hur ai granai, ma entra nella villa dalla filanda, c’è troppa confusione all’ingresso principale.» La bambina gli diede un bacetto sulla guancia e corse via in direzione della filanda.

Quando Mered riportò l’attenzione su Puah, Sifra stava esaminando il ventre della donna, premendolo con la mano, tastandolo, premendolo di nuovo. La levatrice inarcò un sopracciglio e scosse la testa. «Forse ci siamo e forse no. Rimarrò con lei e la terrò tranquilla.» Strizzò l’occhio a Mered sorridendo: «Calmati, Abba, noi sappiamo quel che facciamo».

Con un risolino, le due donne si avviarono giù per il sentiero verso il villaggio degli artigiani, lasciando Mered a prendere gli ordini del lino da parte delle mogli dell’harem del Gurob, così difficili da accontentare. Era il periodo di massimo lavoro per la filanda.

Anippe aspettò Miriam nelle sue stanze. Quella era l’unica area della villa che si era rifiutata di far ammodernare o ampliare da Abbi Horem: la camera con il giardino interno e il capanno sul fiume al quale si accedeva dal sentiero privato erano il suo santuario. I ricordi di Sebak indugiavano nelle stanze e il paniere dove aveva trovato Mehy ora conteneva i suoi gioielli più preziosi. Anche se soggiornava ad Avaris soltanto un mese all’anno, la casa di Mehy era pur sempre lì.

E apparteneva a lei e a Mehy… nonostante l’indifferenza di Abbi Horem per i suoi desideri; non fosse stato per le risposte che arrivavano da Menfi, avrebbe potuto pensare che al faraone non importasse nulla di lei.

Anippe aveva iniziato una corrispondenza settimanale con il suo abbi su suggerimento di Mutno e quelle comunicazioni regolari avevano avuto risultati positivi sotto molti punti di vista, dato che il giudizio di Abbi Horem su Mutno si era modificato in meglio come la regina aveva sperato, mentre le altre donne del Gurob vedevano quello scambio di missive come un’opportunità per guadagnarsi il favore del sovrano tramite Anippe, il che le faceva lavorare con più entusiasmo nella filanda.

Per quanto riguardava Avaris, però, Abbi Horem si era preso delle libertà che Anippe non approvava. Nuove costruzioni. Accresciuta presenza di soldati. Perfino una popolazione di contadini egiziani rendeva Avaris simile a una città più che alla proprietà di una famiglia.

Un colpetto e la porta della camera si aprì. Miriam. Anippe intravide due ramessidi sconosciuti di guardia all’esterno.

Arrabbiata, investì la sua ancella: «Dov’è Nassor? Perché non è venuto a riferirmi sulla situazione della proprietà?».

«Sta facendo rapporto al faraone Horemheb.»

Anippe strinse i pugni e respirò profondamente per calmarsi. «Io sono l’Amira di Avaris. Perché Abbi Horem fa costruire un’ala nuova per sé e chiama a rapporto il sovrintendente della mia proprietà?»

Miriam era ferma in piedi a capo chino: «Mi dispiace, Amira».

«Fai entrare una delle guardie.»

«Sì, Amira.» Miriam si affrettò a uscire per rientrare subito dopo con un ramesside giovanissimo e dall’aria terrorizzata.

«Vai a chiamare Mered, il mio capo filanda, lo voglio qui immediatamente.»

Chissà se quel ragazzino conosceva quel nome, Mered…

«Sì, Amira.» La guardia si voltò per andarsene dimenticando l’inchino e subito dopo, rendendosi conto del suo errore, si girò con gli occhi spalancati, fece un cenno col capo e sparì veloce come un topo che corresse a rintanarsi.

La porta si richiuse con forza e gli occhi di Miriam si fecero sempre più grandi. Anippe la guardò, poi guardò la porta e tutte e due scoppiarono a ridere.

Quando le risate divennero sospiri, Miriam toccò il braccio di Anippe, rassicurandola sul suo affetto: «Vuoi condividere con me ciò che ti turba, Amira?».

Anippe sedette sul letto dai cuscini imbottiti di piume, il loro posto preferito per chiacchierare. «Non è per il rapporto di Nassor, io sono in ansia al pensiero di rivedere Abbi Horem e perché desidero tanto che il mio soggiorno con Mehy vada bene.» Fissò la bella, giovane ebrea che le era vicina più di una sorella. «E so che dovrei trovare un marito per te, ma la verità è che… non voglio perderti.»

«Io ti sono amica, Amira, ma ho sempre saputo che prima di tutto devo essere la tua schiava. Se tu non vuoi che mi sposi, non mi sposerò» concluse voltandosi, quasi a nascondere un’emozione che forse traspariva sul suo viso.

«E siccome io ti sono amica, non posso non soddisfare il desiderio che sento nella tua voce.» Anippe le prese il mento e la fece voltare: «C’è un giovane che dovrei scegliere come tuo marito?».

Le guance di colpo rosse, Miriam si alzò immediatamente e si dette da fare vuotando cesti e sistemando vasetti. «Non saprei… L’ho visto solo per poco quando siamo tornate tre anni fa. A quest’ora potrebbe essere sposato.»

Anippe provò una stretta al cuore: non aveva mai pensato all’età di Miriam quando l’aveva portata al Gurob. «Quanti anni hai?»

«Ho visto diciotto inondazioni.» Miriam si interruppe, lasciando trascorrere parecchi istanti. «Ho passato da molto l’età in cui si sposa la maggior parte delle ragazze.»

Era vero, ma… «Non è troppo tardi».

Girandosi, Miriam incontrò lo sguardo di Anippe: «Se El-Shaddai lo vuole, mi sposerò. Lascio decidere a lui… e a te».

Un colpo bussato alla porta mise termine alla loro conversazione prima che Anippe potesse scoprire il nome del giovane di cui aveva parlato Miriam. Chissà se Mered lo conosceva…

Assumendo il tono di voce più riuscito da amira arrabbiata, disse: «Avanti!». Entrò Mered, seguito dal giovane ramesside. «Grazie, guardia. Puoi andare.»

Non sapeva quale fosse il nome di quel soldato bambino e non voleva nemmeno saperlo; per lo meno questa volta si era ricordato di inchinarsi prima di uscire e di richiudere piano la porta.

Lo sguardo di Mered passava da Anippe a Miriam, sulla faccia un sorriso imbarazzato. «Sta morendo qualcuno? La guardia mi ha detto che c’era bisogno di me immediatamente.»

«Ti ho fatto venire per avere un resoconto sull’attività della filanda, ma un’altra cosa richiede subito la tua attenzione.» Anippe si sforzò di non cambiare espressione rifiutandosi di mostrarsi sorridente. «Miriam, perché non vai a trovare Amram e Jochebed questo pomeriggio? Ti aspetto al molo all’arrivo della chiatta di Abbi Horem per il banchetto di questa sera.»

«Grazie, Amira!» Miriam corse via lasciando l’amira con il suo capo filanda.

Anippe si avviò lentamente alla sua sedia in giardino, un luogo non del tutto privato ma lontano da orecchi e occhi indiscreti; non voleva spingersi fino al fiume sola con un uomo. Nemmeno se quell’uomo era Mered.

«Sei stata molto gentile, Amira. Amram e Jochebed saranno felici di vedere Miriam.» Mered sedette sulla sedia di fronte all’amira, i gomiti appoggiati sul tavolo d’ebano tra loro. Si inumidì le labbra, si schiarì la voce e si lisciò la veste: «Prima che discutiamo di ciò che ti interessa, vorrei rivolgerti una domanda, se me lo permetterai».

Sorpresa davanti all’imbarazzo dell’amico, Anippe si sentì incuriosita: «Naturalmente, Mered. Qualsiasi cosa».

«Bene… Hai mai preso in considerazione…» Mered si interruppe, esitò. «Hai preso in considerazione un marito…»

«Se ho preso in considerazione un marito?» Colta di sorpresa, Anippe si portò la mano alla gola per coprire il rossore improvviso: «Mered, non credo che dovresti parlarmi di un mari…».

«No, no, intendevo un marito per Miriam!» Dopo che ebbe pronunciato tutta la frase, cominciò a ridere senza riuscire a trattenersi.

Anippe si riprese dalla sua umiliazione e rise con lui fino a quando ogni imbarazzo si fu dissolto e tra loro si stabilì un silenzio complice. «È bello essere a casa, Mered.»

«Sono contento che tu sia qui, Amira, e in tempo per dare il benvenuto al nostro nuovo bambino quando nascerà.»

«Ti ho intravisto con Puah dal palanchino entrando nella villa e mi è sembrato che tua moglie fosse proprio sul punto di partorire.» Il cenno di conferma di Mered accrebbe il calore della loro amicizia. «Mi fa piacere che tu abbia fatto menzione del matrimonio di Miriam. Era questo l’altro argomento di cui ti volevo parlare. Sai chi potrebbe essere un marito adatto a lei?»

«Un’idea l’avrei, ma posso chiedere ai suoi genitori prima di farne il nome?»

Contenta, Anippe gli strinse le mani al di sopra del tavolo. «Sì, è una buona idea.»

«Quando hai bisogno di saperlo?»

«Dopo il primo banchetto offerto da Abbi Horem la vita qui riprende il suo ritmo estivo e sarà il momento di parlare del fidanzamento di Miriam e delle nozze.»

Mered annuì, ma sembrava in certo modo distante. Stava pensando a Puah? Alla filanda? Anippe non riusciva a comprendere il suo stato d’animo bene come in passato, ma ogni anno al suo arrivo c’era un primo periodo di riscaldamento, per così dire, un momento di disagio in cui i vecchi amici sembravano quasi estranei.

«Come va a scuola Mehy?» si informò Mered.

Il fatto che Mered avesse cambiato argomento la disturbò… Il pensiero di Mehy la disturbò: «Mio figlio non viene più al Gurob a trovarmi, lui e Sety sono inseparabili, perciò mi vedrà soltanto qui perché Sety vive a Qantir, vicino a noi. Il banchetto di stasera è per festeggiare la fine dei suoi studi al Kap».

«Ah, non lo sapevo.»

Meglio così. Forse non aveva saputo nemmeno che Mehy e Sety erano diventati aggressivi a scuola e dato che Mehy era grande e grosso ne approfittavano per picchiare chiunque lo prendesse in giro per la sua balbuzie.

«Dopo aver trascorso l’estate qui ad Avaris, comincerà l’addestramento militare con Pirameses nella fortezza di Sile. Dovrà separarsi da Sety, ma ci penserà Pirameses ad affrontare le proteste dei ragazzi.» Notò un’ombra attraversare il volto di Mered. «Sembra impossibile che il mio piccolo Mehy sia abbastanza grande da maneggiare una spada, non è vero?»

«Ricordo quando Pirameses e padron Sebak cominciarono il loro addestramento. Non fu un periodo facile.»

Il cuore di Anippe si strinse: era perché era stato pronunciato il nome del suo defunto marito o perché Mered aveva conosciuto aspetti di Sebak a lei ignoti?

«Dimmi di più su Sebak, Mered. Quando siete diventati amici?»

«Padron Sebak e io abbiamo fatto amicizia quando sono morti i suoi genitori in seguito alla pestilenza fra i ramessidi.»

«Sì, mi ha detto della malattia che ha ucciso molti suoi parenti, ma non sapevo che in quel periodo stesse facendo l’addestramento militare con Pirameses.»

Mered fece una pausa dandole l’impressione di riflettere su ogni parola prima di pronunciarla: «Tuo marito era un uomo buono, Amira. Pirameses e Horemheb avevano cercato di fare di lui un mostro, lo chiamavano Seth reincarnato, ma era un uomo vero, che alla fine ha riconosciuto di avere bisogno di un dio più grande di Seth, del capriccioso dio del caos degli egiziani».

Anippe soffriva ancora al pensiero della morte di Sebak e più di tutto rimpiangeva di non essere stata con lui per confortarlo, per tenerlo stretto, per dargli nella morte tutto l’amore che lui le aveva dato in vita. Sarebbe stata capace di amare ancora? Più volte Abbi Horem le aveva scritto per domandarle se avrebbe preso in considerazione il matrimonio con il tale nobile o con il talaltro soldato non più in servizio. Anippe era grata del fatto che Abbi Horem volesse la sua approvazione quando avrebbe potuto imporle un marito e pensava che andasse a suo onore l’aver sempre rispettato i suoi rifiuti, ma lei voleva un uomo degno come Sebak… come Mered.

Un’ondata di tristezza la sopraffece mentre i ricordi affioravano alla superficie suo malgrado: Ummi Amenia, Tut, Senpa, vite portate via troppo presto, perdute senza motivo.

Il tocco della mano di Mered sulla sua la fece sussultare: «Amira, mi dispiace, ti ho reso triste, mentre questo è un giorno di festa. Rivedrai presto Mehy e il faraone Horemheb». Le offrì un sorriso gentile e un pezzetto di lino che portava infilato nella cintura.

Anippe si asciugò gli occhi e si costrinse a parlare in un tono allegro: «Hai ragione, Mered, devo pensare soltanto alla felicità di rivedere Mehy».

Ma non sarebbe mai stata felice di rivedere Abbi Horem. Perfino dopo anni di sorrisi finti e di sguardi menzogneri, si rifiutava di fingere affetto per l’abbi al quale aveva voluto così bene e che aveva perso ogni diritto sul suo cuore quando aveva terrorizzato il piccolo Mehy.

La balbuzie di suo figlio le ricordava continuamente la crudeltà del faraone Horemheb.