XXII
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
SALMI 122, 8
Mered rideva così forte che gli dolevano i fianchi mentre, al sorgere del sole, guardava i suoi bambini e Mehy giocare con Miriam nella loro unica stanza. Quando Anippe, partendo per il Gurob con Ankhe, aveva affidato a lui e a Puah il giovane principe, si era sentito onorato e ora vedere Miriam rifiorire in seno alla sua famiglia era un’altra benedizione per lui.
Unica macchia in quella serena mattina erano state le parole enigmatiche di Mandai che ancora riecheggiavano nella sua memoria: «L’incidente del faraone non è stato un incidente». Che cosa aveva scoperto l’amira al suo arrivo al Gurob?
Amram scostò la tenda divisoria fra le due abitazioni: «Sembra che ci stiamo perdendo tutto il divertimento». Il giovane Aronne sbucò da dietro suo padre per unirsi ai suoi piccoli amici in una rincorsa intorno al tavolo basso; Miriam faceva la pastorella che guidava gli altri nella stessa direzione.
Mered chiamò con un cenno il vecchio amico perché lo raggiungesse in un angolo sicuro: «Amram, vieni qui prima di essere calpestato dalla mandria».
Amram sedette a gambe incrociate sul pavimento e tutti e due tacquero, il silenzio amichevole di due padri orgogliosi che godevano della loro nidiata prima di andare al lavoro, mentre Puah e Jochebed continuavano nelle loro incombenze, sedute accanto al fuoco, cucinando e cercando di non bruciarsi le dita dei piedi.
«Resta giù!» Puah sgridò Ieter che si sforzava di rizzarsi sulle gambe e di correre. «Puoi inseguire chi vuoi purché tu lo faccia gattoni.»
Bella idea. Le madri erano dei veri geni quando si trattava di tenere i bambini al sicuro pur lasciandoli giocare.
«La farinata è pronta!» Jochebed posò sette ciotole di terracotta sul tavolo, ognuna colma di farinata fumante. Le due famiglie avevano cominciato a consumare i pasti insieme nel periodo in cui Jochebed era impegnata alla villa e Puah cucinava anche per Amram e Aronne. Si erano abituati alla compagnia reciproca e Jochebed era stata felice della nuova situazione: i legami del cuore erano solidi come quelli del sangue.
Un rumore di passi all’esterno avvisò Mered della presenza di un intruso prima che la tenda sulla porta venisse scostata.
«Mered, abbiamo bisogno di Puah al porto.»
«Ankhe!» Mered balzò in piedi e i bambini si aggrapparono alle gonne delle madri: «Perché? Che cosa è succes…».
«Mandai è ferito. Stanno aspettando al molo.» Ankhe cercò Miriam con lo sguardo e accennò a Mehy: «Portalo negli appartamenti di Anippe. Subito».
Mered gettò uno sguardo a Puah che stava già mettendo le erbe medicinali in un paniere. Non poteva aspettare un istante di più: «Vado avanti per vedere se posso essere di aiuto».
«Vengo anch’io,» disse Ankhe «Puah conosce la strada.»
Mered seguì Ankhe all’aperto e su per la salita verso la villa. Non aveva mai visto la ragazza realmente sconvolta, ma ora la paura la faceva correre come una lepre del deserto. Non riusciva a starle dietro.
«Ankhe, che cosa è successo?»
«Il visir Ay ha cercato di uccidere Tut e ha accusato Amenia di tradimento.» Giunta in cima, Ankhe riprese fiato e indicò con un gesto il molo e la piccola imbarcazione tirata in secco. «Mandai è stato ferito mentre cercava di salvarla, siamo riusciti a fuggire per miracolo. Di notte ci lasciavamo portare dalla corrente e di giorno Anippe e io abbiamo aiutato ai remi.»
Mered corse giù dall’altura verso Anippe e Nassor, chini su Mandai che era appoggiato all’imbarcazione, bende insanguinate intorno all’addome.
Nassor, un ginocchio a terra, accolse Mered con un’occhiataccia, ma il medjay ferito sorrise nel vederlo arrivare: «Capo filanda, le tue preghiere hanno funzionato, il tuo unico dio ha rivelato senza ombra di dubbio chi è stato a segare l’asse del carro».
Senza fiato Mered si chinò su di lui, il fianco dolorante per la corsa. «Forse avresti dovuto… specificare meglio… per cosa dovevo pregare. Non sapevo che avevi deciso anche di batterti contro chi aveva guidato quella sega.»
«Mered, grazie di essere venuto.» Anippe, pallida e tremante, sembrava una bambina senza la pittura sul viso. «Aiuta Nassor a trasportare Mandai alla villa.»
«Certamente, Amira. In quale camera?»
«Mettetelo nella camera di Miriam. Lei e Mehy potranno dormire nel mio soggiorno.» Le salirono le lacrime agli occhi. «Di chi possiamo fidarci per far avere un messaggio a Abbi Horem?» domandò a Nassor.
Nassor piegò di lato la testa avvolta in un panno di rozza tela, guardandola con gentilezza e compassione: «Non devi preoccuparti, Amira, sei al sicuro adesso. Ogni ramesside del Delta è fedele al generale Horemheb, noi proteggiamo i nostri e tu sei di Padron Sebak».
La compostezza di Anippe crollò nel sentire l’affettuosa promessa di Nassor. Subito Ankhe mise un braccio intorno alle spalle di Anippe e la condusse verso la villa: «Gli uomini possono aspettare Puah. Tu hai bisogno di riposare».
Confuso e ancor più spaventato dal comportamento insolitamente premuroso di Ankhe, Mered si rivolse a Nassor per avere spiegazioni: «Che è successo al Gurob?».
«Uno schiavo non ha bisogno di saperlo.»
Mandai, un sopracciglio inarcato, guardò alternativamente Nassor e l’ebreo. «A quanto vedo vi siete già incontrati.» Allungò la mano verso la spalla di Nassor e aspettò che il capitano incontrasse il suo sguardo. «Questo tessitore può essere seccante, è vero, ma è un brav’uomo e l’amira si fida di lui. Faresti meglio a dargli fiducia anche tu.»
Non era una presentazione eccezionale, ma sembrò che le parole del medjay fossero andate a segno, addolcendo Nassor, che sospirò profondamente e sedette togliendosi la parrucca e asciugandosi il sudore sulla testa calva e sulla faccia. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e aspettò che Mered si mettesse a sedere a sua volta.
Era il massimo che Nassor riuscisse a fare per mostrarsi cordiale con uno schiavo ebreo e Mered si sentì privilegiato.
«Siamo arrivati al Gurob al tramonto del terzo giorno» cominciò Nassor «e l’amira ha parlato brevemente con il faraone Tut, abbastanza per avere la conferma della colpa di Ay nel cosiddetto incidente di caccia. Ma non aveva prove. E quella sera al banchetto il visir ha accusato di tradimento la moglie del generale Horemheb.» Nassor si girò verso Mandai, come a dirgli che il resto della storia doveva raccontarlo lui.
«Quasi certamente l’Amira Amenia è morta ormai, probabilmente anche il faraone Tut. Io devo partire stanotte per avvertire il generale Horemheb del tradimento del visir.» Mandai cercò di rimettersi in piedi e gli altri due si dettero da fare per aiutarlo; quando il medjay inciampò, Mered lo trattenne, premendo però sulla ferita e strappandogli un urlo.
Mered si girò a guardare dietro di sé, domandandosi che cosa stesse trattenendo Puah, che ormai avrebbe dovuto essere lì.
«Stasera tu non vai da nessuna parte, medjay.» Il tono perentorio di Nassor non permetteva repliche. «Aiutami a sollevarlo, ebreo. Tua moglie potrà visitarlo alla villa.»
I due uomini afferrarono saldamente il ferito e si avviarono su per la salita.
Nassor guardò in direzione del pianoro che divideva Avaris da Qantir. «Dobbiamo avvertire i ramessidi delle due proprietà e passare parola a tutte le fortezze del Delta. Ay attaccherà per prima Avaris, poi gli altri insediamenti e lascerà per ultime le fortezze.»
«Attaccherà Avaris?» A Mered balzò il cuore nel petto. «Ma la nostra è una proprietà piena di schiavi disarmati e con poche guardie! Perché dovrebbe attaccarci?»
«Se il visir riesce a impossessarsi delle proprietà, acquisterà ricchezze e risorse. Nello stesso tempo distruggerà il morale dei ramessidi perché, come ho detto all’amira, è vero che tutti i ramessidi, non uno escluso, sono fedeli a Horemheb ma, se le famiglie dei suoi soldati saranno massacrate prima del suo ritorno con l’esercito, Ay avrà vinto la guerra ancor prima di aver combattuto.»
Mandai sussultò. «Fermatevi, per favore.» Si piegò su se stesso, appoggiando le mani sulle ginocchia. «Nassor ha ragione, domani non sarò in grado di viaggiare sul fiume, ma le proprietà e le fortezze del Delta devono essere avvertite immediatamente.» Si raddrizzò, afferrando Nassor per la spalla. «Devi informare il Delta mentre io avviserò il generale Horemheb. L’ultimo rapporto inviato al faraone Tut diceva che l’esercito di Horemheb era penetrato in profondità nel territorio ittita e puntava su Kadesh. Partirò con la prima carovana da Avaris e troverò una nave diretta a Byblos. A quel punto la mia ferita si sarà rimarginata e potrò accorciare la strada attraverso le montagne per raggiungere il generale.»
Mered stava scuotendo la testa ancor prima che il medjay avesse finito di parlare: «Nessun mercante permetterà a un guerriero medjay, un guerriero medjay ferito, di unirsi alla carovana o di imbarcarsi su una nave. I mercanti sono diffidenti per natura, amico mio. C’è bisogno di qualcuno che sembri un mercante e ragioni come un mercante per conquistarsi la fiducia di quegli uomini in modo da potersi imbarcare con loro».
Nassor e Mandai si scambiarono un’occhiata, poi guardarono entrambi Mered con un sorrisetto di complicità.
Mered si rese conto che in quel momento era stato deciso il suo destino. «Oh, no, io non posso, chi manderà avanti la filanda?» Mentre diceva così, sapeva già che avrebbe potuto farlo Anippe: l’amira conosceva perfettamente il processo di lavorazione e sapeva scrivere meglio di lui.
«Tu sembri proprio un mercante, capo filanda.» Nassor gli batté una pacca sulle spalle.
«Ma io…»
«Non te lo stiamo chiedendo.» Il buonumore di Nassor era scomparso. «Il medjay ha detto che sei un brav’uomo e che si può avere fiducia in te. Io sono una guardia ramesside che permette a uno schiavo ebreo di lasciare la proprietà di padron Sebak. Posso fidarmi di te?»
Mered deglutì con sforzo. Il pensiero della fuga non gli era passato per la mente. «Ma certo, puoi…» Si interruppe, colpito da un’idea improvvisa che gli tolse il fiato. «Per l’appunto domani un mercante fenicio deve caricare il lino! Viaggia sempre con una grossa carovana.»
Mered vide il suo stesso stupore sul volto degli altri due. È più di una coincidenza, El-Shaddai? È la tua volontà che io vada con Mandai?
«Allora è deciso.» Il medjay si appoggiò di nuovo alle sue grucce umane e riprese a salire verso la villa. «Nassor avvertirà le proprietà e le fortezze del Delta, poi tornerà qui per comandare le guardie ramessidi e Mered e io partiremo…»
«…domani» concluse Mered con un sorrisetto storto.
Mandai ridacchiò: «Forse vale la pena di pregare quel tuo unico dio, capo filanda. Chissà se riesce a far venire un medico per curare la mia ferita?».
«Probabilmente sì, ma credo che ci abbia già pensato mandando qui le levatrici ebree.» Mered accennò alle due donne che stavano venendo verso di loro dal villaggio degli artigiani. «Puah deve aver chiesto dei rinforzi, sembra che abbia portato con sé la tua vecchia amica, Mandai. Ti ricordi di Sifra, la levatrice che hai arrestato?»
Sul volto di Mandai si diffuse il terrore, il che fece scoppiare in una gran risata Nassor.