XXVI
La mente dell’uomo pensa molto alla sua via,
ma il Signore dirige i suoi passi.
PROVERBI 16, 9
Anippe si immerse nelle fresche acque del Nilo che lambivano il suo capanno sul fiume godendo della solitudine del mezzogiorno mentre Ankhe, in giardino, insegnava a Mehy i suoi primi geroglifici.
L’inondazione era stata abbondante quell’anno, portando i fertili depositi di limo nero dalle terre meridionali al di là della Nubia. L’acqua, furibonda nel suo viaggio iniziale verso settentrione, si placava scorrendo lenta e maestosa nelle paludi del Delta. Avaris avrebbe cominciato il raccolto entro pochi giorni.
Oppure no? Guardò il molo al di là del muro che delimitava il suo capanno privato domandandosi se Ay avrebbe sferrato il suo attacco ora che le navi potevano spingersi con facilità nei rami gonfi d’acqua del Nilo. I ramessidi avevano posti di guardia là dove il fiume, a nord di Menfi, si divideva in sette canali, ognuno una via diversa per raggiungere gli insediamenti e le fortezze ramessidi in allerta. Sarebbero arrivate in tempo le truppe di Abbi Horem?
Suo marito sarebbe mai tornato da lei? Forse si era preso una donna all’accampamento; Anippe aveva sentito dire che qualcuno lo faceva e qualcuno aveva addirittura una famiglia con la “moglie di guerra”. Immerse il viso nell’acqua in modo che nessuno la vedesse piangere.
Quando sollevò la testa, vide Mehy che stava correndo verso il fiume, sventolando una barchetta di papiro. «Ummi, ummi, guarda che cosa mi ha fatto Ankhe oggi!»
Ankhe lo seguiva, con Nassor poco distante dietro di lei.
Il capitano ramesside era tornato sei mesi prima da Sile senza nessuna notizia dell’esercito egiziano in Palestina. Anippe sapeva che le aveva mentito come tutti gli uomini quando parlavano di guerra, ma il suo ritorno aveva rallegrato Ankhe, più tranquilla ora, un vero sollievo in quell’atmosfera di tensione. Nassor non dava segno di accorgersi dei sentimenti di sua sorella ma sembrava che per il momento ad Ankhe bastasse la sua presenza.
«È una barca. Ti piace?» Mehy si precipitò in acqua per farle vedere il suo tesoro. «Voglio prendere un piccolo piccione e metterlo nella barca per fargli attraversare il Nilo.»
Anippe lo rimandò sulla spiaggia e si inginocchiò accanto al suo bambino, cresciuto ormai; ufficialmente erano passate quattro inondazioni dalla sua nascita, ma erano quasi cinque in realtà.
«Mehy, perché vuoi fare attraversare il Nilo a un piccolo piccione? Non credi che la sua ummi ne sentirebbe la mancanza?»
«Forse, però Ankhe dice che forse uno sciacallo lo troverà e lo alleverà come se fosse suo.»
Sopraggiunse Ankhe con un sorrisetto sulla faccia: «Non ti sembra una storia adatta agli dei, Anippe? Un normale piccione trovato sul Nilo e allevato da uno sciacallo».
Anippe fremette, ma si sforzò di restare calma in presenza di Nassor. «Forse oggi Nassor ti farà una spada di legno.» Guardò con aria interrogativa il fedele capitano delle guardie, che annuì: «È ora che tu impari a difendere la tua ummi, giovanotto». Mehy lasciò cadere la barchetta per correre via con Nassor e Anippe afferrò Ankhe per un braccio: «Come osi?».
«Lo sto semplicemente preparando per la verità quando la verità salterà fuori. Perché salterà fuori, Anippe. Come pensi di mantenere il segreto quando tuo marito e il generale saranno tornati? Mehy non assomiglia affatto a Sebak, ha la pelle chiara, non scura come gli egiziani, ha i capelli castani, non neri. E non ha le sopracciglia dei ramessidi.»
«Ha la nostra carnagione, la pelle di Ummi Kiya: il colore di Ummi Kiya, della principessa dei Mitanni.»
Ankhe rise: «Vuoi scherzare».
Anippe le venne vicina. «Sono serissima!» ringhiò.
«Amira.» La voce di Nassor la fece sobbalzare.
Si girò verso la villa. «Mered!?»
Mered, fermo in piedi sul sentiero piastrellato tra la sua camera e il capanno sul fiume, appariva magro, sfinito.
Ma vivo.
Abbandonando ogni contegno, Anippe gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo singhiozzando.
Perfino Nassor gli rivolse un sorriso: «Bentornato, ebreo. Dov’è Mandai?».
Anippe si staccò da lui, all’improvviso spaventata. «Sì, dov’è Mandai?»
«Sta bene, ora è la guardia personale del generale Horemheb.» Mered piegò la testa di lato, con la compassione negli occhi: «Il tuo Abbi Horem ti manda il suo affetto, Amira».
Nessuna menzione del marito. Forse Sebak aveva smesso di fingere di amare la moglie rimasta a casa.
Il visetto di Mehy si affacciò da dietro la gamba di Nassor e Mered si chinò verso di lui, sorridendo: «Ti saluto, padron Mehy».
«Io so chi sei» annunciò il bambino raggiante, abbracciando le ginocchia di Mered. «Sei l’abbi di Ieter, io sono stato a casa tua nel villaggio!»
«Anch’io mi ricordo di te. Hai visto Ieter e Ednah di recente? O Puah?»
«No, sono stato occupato a studiare.»
«Capisco. Be’, imparare è molto importante, perché un giorno tu sarai il padrone di Avaris.»
Le parole di Mered furono un colpo al cuore per Anippe. Padrone di Avaris.
Quando Mered incontrò di nuovo il suo sguardo, Anippe aveva già capito prima che lui parlasse. «Porto notizie che vorrei riferire senza la presenza di Mehy.» Lanciò uno sguardo a Nassor: «Ma tu dovresti restare».
Anippe bisbigliò, la gola stretta dall’emozione: «Ankhe, porta Mehy alla villa».
«Per favore, ummi, io voglio parlare con Mered!»
«Mehy, vai!» Anippe lo spinse verso la sorella, l’espressione offesa del bambino irrilevante davanti agli occhi lucidi di Mered.
Ankhe si affrettò con Mehy verso la villa, girandosi indietro a ogni passo: il mento di Mered cominciò a tremare, le guance a contrarsi, ma prima che aprisse bocca per parlare, le ginocchia di Anippe cedettero. Mered l’afferrò prima che cadesse, poi tirò fuori da una piega della veste un rotolo di papiro.
Anippe fissò il rotolo, poi guardò negli occhi l’amico fidato: «Dimmi tutto».
La fece sedere delicatamente sul pavimento e Nassor si unì a loro. Mered, schiarendosi la voce, incontrò il suo sguardo: «Padron Sebak e cinque altri uomini hanno ricevuto l’ordine di uccidere il principe ittita prima che raggiungesse l’Egitto per sposare la regina Senpa. Sebak e i suoi hanno intercettato il principe Zannanza con la sua scorta di cinquanta soldati e lo hanno ucciso, ma…» la voce di Mered si spezzò «…padron Sebak è stato colpito a morte mentre con i suoi stava cercando di mettersi in salvo». Le prese la mano. «Ti amava, Amira.»
Singhiozzando, Anippe scosse la testa. «No, Mered, se mi avesse amato sarebbe tornato da me. Perfino Pirameses è venuto a trovare una moglie che non si cura affatto di lui.»
«Ti stava proteggendo, Amira.» Mered chinò il capo sul petto, scuotendolo come se stesse lottando contro i suoi stessi pensieri. Quando lo rialzò, le guance erano rigate di lacrime. «Non avresti riconosciuto l’uomo che era diventato. Non devi dubitarne mai, tuo marito ti ha amato fino all’ultimo respiro.»
Anippe chiuse gli occhi. Non sapeva se le parole di Mered rendessero la morte di Sebak più facile o più dura da sopportare, ma una cosa era certa: Sebak se ne era andato per sempre.
Quando li riaprì, vide che Ankhe la stava guardando ansiosamente dal giardino dove Mehy stava inseguendo una farfalla e incontrando il suo sguardo Anippe le offrì la sua silenziosa comprensione: Sebak non sarebbe tornato per dare la sua approvazione al matrimonio della sorella. Il viso di Ankhe si indurì e la ragazza si precipitò in camera sua. La prima reazione di Ankhe era sempre la rabbia, quella di Anippe la paura.
Suo figlio aveva già abbandonato la caccia alla farfalla e stava battendo un bastoncino sulle piastrelle, felice e spensierato. Mehy non aveva mai conosciuto il suo abbi, come avrebbe potuto piangerlo? Ma chi gli avrebbe insegnato l’onore, il coraggio e l’integrità? Anippe si girò verso i due uomini che le stavano davanti. Nassor avrebbe potuto insegnare a suo figlio a diventare un vero ramesside ma non avrebbe potuto insegnargli a essere un vero uomo.
Strinse la mano di Mered, la persona che meglio di tutti aveva conosciuto suo marito: «Per lo meno tu sei a casa, amico mio, potrai tornare dalla tua famiglia e alla filanda».
«No, Amira.» Mered liberò la mano e se la passò sulla faccia. «Il generale Horemheb ha richiesto la mia presenza come ufficiale addetto ai rifornimenti.»
«Ma io ho bisogno di te qui!» La paura si stava trasformando in panico. «Sebak mi aveva avvertito che Pirameses avrebbe potuto cercare di prendersi Avaris se a lui fosse successo qualcosa!»
Nassor intervenne, prendendole la mano: «Il generale non lo permetterebbe, Amira». Dai suoi occhi si capiva che il ramesside sapeva qualcosa. «Sei al sicuro sotto la mia protezione.»
Un brivido di freddo le percorse la schiena e Anippe ritirò la mano. «Che cosa non mi stai dicendo, Nassor? Tu sapevi già della morte di Sebak?»
«No, Amira, non sapevo che il padrone era morto. Però ieri ho ricevuto un messaggio dal faraone Horemheb che mi nominava sovrintendente di Avaris. Sono sicuro che Pirameses non interferirebbe con una proprietà che dipende dal faraone in persona.»
Dipende dal faraone in persona. Queste parole la ferivano come un tradimento.
La paura di Anippe si trasformò in furia appena contenuta: «Dunque il mio abbi si è portato via il mio capo filanda e la mia proprietà, è così?».
Nassor si strinse nelle spalle. «Chi siamo noi per entrare nella mente di un dio, Amira?»
Anippe avrebbe voluto gridare: Non è affatto un dio! Se Tut fosse stato un dio, non avrebbe forse guarito se stesso? Se abbi era un dio, perché non riusciva a liberarsi di Ay?
Guardò Mered, intento a studiarsi le mani: «Dov’è l’esercito? Abbi sta per lo meno riportando le truppe nel Delta per difenderci?».
«Devo presentarmi a rapporto alla fortezza di Sile domani.»
Fu come se Mered l’avesse schiaffeggiata. «Sile? Abbi Horem è a un giorno di viaggio da qui e non è venuto personalmente?»
Nassor le toccò il braccio: «È impegnatissimo nella sua campagna contro il visir Ay, un uomo non può lasciare la guerra per fare visita a una donna».
Anippe si asciugò le lacrime con un gesto impaziente, ma non riuscì a mantenere asciutte le guance. «La guerra non è una buona scusa.» Fissò Mered sempre più infuriata. «La guerra non avrebbe dovuto portare via Sebak a sua moglie. La guerra non dovrebbe impedire ad Abbi Horem di vedere le persone che ama.»
«Il tuo abbi non si scusa per ciò che fa, Amira.» I lineamenti di Mered si indurirono. «Il faraone Horemheb non risponde a nessuno delle sue azioni.»
Il volto profondamente segnato di Mered non rivelava soltanto lo sfinimento fisico; sei mesi come addetto ai rifornimenti nell’esercito di Abbi Horem lo avevano invecchiato, cambiato. Era un uomo che aveva bisogno della sua famiglia.
«Va’ da Puah e dai tuoi figli, amico mio, ma domattina prima di partire torna alla villa per salutarci.»
«Grazie, Amira.»
I due uomini l’aiutarono a rialzarsi e Nassor la sostenne mentre si avviava verso la sua camera sulle gambe tremanti. Ankhe, apparsa sulla soglia, guardò per prima Anippe, poi la mano di Nassor che le stringeva con tanta tenerezza il gomito e, rossa in viso, rientrò a precipizio nella stanza sbattendo la porta alle sue spalle.
Nassor e Mered si scambiarono un’occhiata scrollando le spalle ma Anippe capiva anche troppo bene il sospetto che si annidava nella mente di Ankhe, che aveva aperto il suo cuore a un solo uomo e ora lo vedeva al fianco della sorella. Anippe non era affatto interessata a Nassor, ma Ankhe le avrebbe creduto? Sua sorella si era già resa conto che la morte di Sebak significava la fine del suo progetto matrimoniale?