XXI

Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui;

non irritarti per chi ha successo, per l’uomo

che trama insidie.

SALMI 37, 7

Anippe scorse il molo del Gurob quando il sole stava tramontando e destò Ankhe che dormiva con la testa sulla sua spalla: «Svegliati, sorella!».

La piccola imbarcazione di papiro aveva lasciato Avaris due giorni prima dopo mezzogiorno. Quando Ankhe aveva saputo che Tut aveva chiamato soltanto Anippe, si era legata alla barca, sfidando Mandai – come aveva detto lei – a «toccare la sorella del faraone e morire». Con Ankhe a bordo avevano avuto bisogno di un secondo rematore e Anippe aveva chiamato Nassor. Ankhe ne era stata felicissima.

«Hai portato uno specchio?» le domandò Ankhe, cercando di aggiustarsi il trucco intorno agli occhi.

«No, non ho portato niente a parte i viveri per il viaggio.» Anippe si morse il labbro per costringersi a non sbottare: possibile essere così presi da se stessi? «Vai da Ummi Amenia o da Senpa, loro avranno il tuo maledetto specchio e tu potrai informarle che siamo qui. Io vado da Tut.»

Lo scafo raschiò il fondo sabbioso della sponda e Anippe balzò in piedi prima che Ankhe potesse protestare.

«Lascia che ti aiuti» si offrì Nassor, ma Ankhe si aggrappò alla spalla di Anippe, rischiando di far cadere in acqua tutte e due.

«Non dimenticarti, non dimenticarti di chiedere a Tut…» Ankhe gettò uno sguardo furtivo a Nassor e abbassò la voce: «Per favore, Anippe, ti prego». Nessuna minaccia. Nessuna menzogna. La supplica di Ankhe sembrava assolutamente sincera e Anippe avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per rendere felice sua sorella.

Ma dov’era la preoccupazione di Ankhe per Tut? Non si era mai informata sul suo stato di salute se non una volta, quando le aveva domandato se il loro fratello fosse in condizioni di scrivere. Mandai l’aveva guardata come se la ritenesse priva di senno, ma Anippe aveva capito che Ankhe voleva sapere se Tut poteva scrivere il contratto di matrimonio, che sarebbe stato necessario se lui non fosse stato in grado di presenziare alla cerimonia.

Mandai saltò giù dall’imbarcazione e aiutò Anippe, tenendola per un gomito e quasi sollevandola fino al terreno asciutto. «Presto, Amira, speriamo di essere arrivati in tempo.»

Anippe riuscì soltanto a rispondere con un cenno che esprimeva anche la sua gratitudine. Mandai e Nassor avevano remato contro la corrente di marea per due giorni e due notti, fermandosi soltanto per i loro bisogni e per scacciare l’occasionale coccodrillo: come avrebbe fatto a ricambiare tanta premura?

Arrivata alla residenza del faraone, era ansante. Il sovrano dimorava nella Casa dell’adorazione dove Anippe non era mai stata invitata, il luogo inaccessibile che Tut condivideva soltanto con Senpa. Mandai tuttavia superò le postazioni delle guardie di palazzo ricambiando i loro saluti, l’espressione del viso sempre più dura.

«Sono uomini del visir Ay» le bisbigliò senza girarsi verso di lei o modificare il passo.

Anippe provò una stretta al cuore alla menzione del nemico acerrimo di Abbi Horem. L’avvenente governatore non aveva fatto parte del seguito del faraone quando Anippe aveva finto di dare alla luce Mehy e Tut, lontano dall’influenza di Ay, era tornato quello di sempre. Come mai il visir godesse di nuovo del favore del sovrano… O forse le cose non stavano così?

Arrivarono davanti alla doppia porta di ebano intarsiata con lapislazzuli e avorio e rifinita in oro. Mandai si rivolse alle guardie medjay nella lingua materna, alzando la voce quando i due, come era ovvio, rifiutarono di far entrare Anippe. Una delle guardie scomparve nella camera per riapparire quasi immediatamente e inchinarsi profondamente davanti alla sorella del faraone lasciandola entrare.

Per poco Anippe non si sentì male per il fetore che vi regnava e un’ancella si affrettò a porgerle un sacchetto di petali di ninfea azzurra schiacciati da tenere sotto il naso. Tut giaceva sul letto, la gamba sinistra, fasciata e sollevata sui cuscini, grande due volte il normale. Sull’altro lato del letto il visir, seduto su una sedia dorata, era intento a scrivere con cannucce e pigmenti. Tut era circondato da quattro medjay e tre sacerdoti di Amon-Ra, mentre un medico e due ancelle si affaccendavano nella stanza.

Vedendola entrare, il visir si alzò, salutandola con un inchino sbrigativo. Gli occhi color tortora si soffermarono su di lei percorrendola dalla testa ai piedi e Anippe rimpianse di non essere vestita di lino rozzo anziché di bisso: «Tuo fratello sarà felice di vederti quando si sveglierà… se si sveglierà».

Sulla testa e sul volto di Tut luccicava l’olio col quale era stato unto e qualche goccia gli imperlava la fronte; senza il kohl dell’occhio di Horus tracciato dalle sopracciglia alle tempie sembrava un bambino.

Sopraffatta dall’angoscia, Anippe si chinò su di lui per abbracciarlo, ma si fermò di colpo per domandare al medico: «Posso toccarlo o gli farò male?».

Il medico guardò il visir come se aspettasse da lui la risposta e Anippe ebbe voglia di urlare. Perché chiedere a lui? Ha per caso imparato le magie dei sacerdoti mentre io ero ad Avaris?

Ribolliva ancora di rabbia, quando si sentì toccare sulla spalla: «Amira, siedi qui». Mandai aveva sistemato una sedia accanto al letto e una volta di più Anippe fu commossa dalla sua gentilezza.

«Grazie.» Anippe sedette e prese la mano di Tut, rivolgendo un’occhiata cattiva al visir: «Quando si è svegliato l’ultima volta? Avete avvertito Abbi Horem?».

«Ieri ha aperto gli occhi, ma non era del tutto cosciente. Ti ho fatto chiamare qualche giorno fa, quando è cominciata l’infezione. Certamente tu avrai mandato un messaggio al generale.» Un sorriso sinistro aleggiò sul volto pallido, facendo sporgere ancora di più sul labbro superiore il naso a becco.

«Perché dovrei essere io ad avvertire il principe reggente? È un compito tuo, visir.»

Ay balzò in piedi e, chinandosi sul letto, sibilò: «Il mio compito è proteggere l’Egitto da bambini e da idioti che rimarrebbero senza far nulla mentre i Due Regni finiscono in mano a gente selvaggia!».

Gli occhi del visir non si staccarono da quelli di Anippe, che sentì il cuore batterle all’impazzata nel petto davanti a quella velata confessione: Tut era il bambino, Abbi Horem l’idiota e ovviamente Ay era deciso a mettere le mani sul trono dell’Egitto. Come avrebbe fatto Anippe a combatterlo da sola?

Sentendosi stringere lievemente la mano, Anippe abbassò lo sguardo sul fratello.

«Fuori.» La voce di Tut era un bisbiglio roco che usciva dalle labbra secche e screpolate. Un’ancella gli si avvicinò rapidamente per passargli sulla bocca un panno bagnato e Tut attese che fossero umide prima di sforzarsi di nuovo di parlare: «Tutti fuori. Tranne Anippe». Aprì gli occhi, due fessure, ma li richiuse subito, sollevato nel vedere il suo medjay. «Mandai, resta anche tu.»

Da aggressivo, Ay si fece fintamente ossequioso: «Non avevo idea che tu fossi desto, signore di tutti, dio clemente che porta le due corone dell’Egitto. Sarei felice di rimanere…».

«Fuori di qui.»

Avviandosi alla porta, il visir si girò verso Anippe con beffarda cortesia: «Non fermarti troppo a lungo, come puoi vedere il sovrano è debolissimo. Amira Anippe, sarei onorato se tu ti unissi a me per una cena privata nei miei appartamenti domani sera».

Accennò a un inchino e uscì, seguito dai nubiani, i sacerdoti, le ancelle e il medico.

Nella stanza regnò la quiete e sembrò che Tut si riaddormentasse. Anippe si alzò dalla sedia, disturbata al pensiero di quell’invito, e sedette sulla sponda del letto accanto al fratello, che ebbe un sussulto a quel movimento.

«Oh, mi dispiace, mi rimetto subito sulla…»

«No, resta qui con me.» Tut le afferrò il braccio, la stretta più forte di quanto Anippe si aspettasse, e una lacrima gli sfuggì dall’angolo dell’occhio. «Finalmente con me c’è qualcuno che non tenterà di uccidermi.»

Piena di dolore per tutto ciò che avevano perduto, Anippe posò la testa sul petto fasciato del fratello e ascoltò i battiti del suo cuore. «Come posso aiutarti?»

«Horemheb aveva ragione, Ay riuscirà a portarmi via il trono d’Egitto con le sue trame, sempre che io non muoia addirittura prima. Mandai, le hai detto del cocchio?»

«No, mio re.»

«L’asse del carro era stato segato per metà. Il mio incidente non è stato un incidente e io so che è stato Ay a ordinarlo.»

Anippe rialzò di scatto la testa dal petto di Tut: «Allora hai una prova? Puoi farlo arrestare?».

Si fece avanti Mandai: «Condurrò i miei medjay contro il visir» disse chinandosi sul faraone. «Noi siamo i tuoi fedeli servitori, mio sovrano, daremo la caccia ad Ay come allo sciacallo che è.»

«Non c’è nessuna prova. Ay è protetto da una parte delle mie guardie del corpo. E anche se voi riusciste a trovare una prova e un numero sufficiente di nobili fedeli a me, io non potrei tornare a Menfi per giudicarlo.» Si interruppe, traendo qualche respiro affannoso, con evidente sofferenza. «Le nostre truppe di terra sono fedeli al visir e il comandante Nakhtmin tiene in pugno i nubiani con brutali minacce contro le loro famiglie.» Afferrò la mano di Anippe: «Sto morendo, Anippe, e Ay si impossesserà del trono se Horemheb non sarà qui quando…». Le parole si spensero sulle sue labbra, all’esaurirsi delle forze.

Anippe continuò al posto suo: «Il prossimo faraone dovrà essere presente per accogliere l’incarnazione di Horus».

«Non sapevo che Ay non aveva fatto avvertire Horemheb…e perché avrebbe dovuto farlo? Perché non ho dato ascolto a Horemheb?» Tut si girò dall’altra parte, il rimpianto incollato a lui come le lenzuola impregnate di sudore.

La mente di Anippe era in subbuglio. «Non arrenderti, fratello! Ay crede di aver vinto la battaglia… ma stupidamente ha dichiarato guerra a Horemheb e a sua figlia.» Si alzò dalla sedia e baciò la guancia di un dio. «Ti voglio bene, re Tut. Riposa e lascia che Isis, dea della salute, faccia il suo lavoro mentre tua sorella prepara al nostro nemico un banchetto che non dimenticherà molto presto.»

Anippe scostò appena la tenda che copriva l’ingresso della sala del Gurob e contò gli ospiti che aveva radunato per il banchetto destinato a intrappolare il suo nemico. Non aveva accettato l’invito a cena negli appartamenti del visir, ma aveva organizzato quel festino in onore di Ay, per ringraziarlo della sua devozione durante la malattia di Tut; e l’arrogante governatore aveva a sua volta invitato altri ospiti.

Perché Ummi Amenia non era ancora arrivata? Quando avevano condiviso il pasto di mezzogiorno qualche ora prima, si era dimostrata ansiosa quanto Anippe di smascherare il loro nemico. Senpa si era unita a loro e Ankhe, naturalmente, si era arrabbiata moltissimo perché Anippe aveva trascurato di farsi dare uno scritto che assicurasse l’approvazione di Tut al suo matrimonio con Nassor.

Perfino in quel momento Ankhe stava chiacchierando animatamente con le donne al tavolo loro riservato come se il fratello non stesse morendo nella sua camera. Accanto a lei il cuscino vuoto di Ummi Amenia mentre all’altro lato era seduta Senpa, silenziosa e afflitta. Le mogli del Gurob, che avevano riempito dieci tavoli della sala, si scambiavano in un vocio crescente commenti acidi sull’assenza di Anippe: le donne del Gurob avevano una loro opinione su tutto.

Dall’altra parte del vasto salone il visir Ay era seduto comodamente con altri dodici nobili, che ridevano, bevevano, allungavano le mani sulle danzatrici. I musicisti suonavano, gli acrobati eseguivano i loro esercizi e le danze intrattenevano gli uomini, mentre Anippe sorvegliava la sala in attesa di Ummi Amenia.

Che cosa mai poteva trattenerla?

Mandai e Nassor stavano di guardia alle spalle di Ankhe, aspettando con impazienza l’arrivo di Anippe, mentre esaminavano ogni ospite e ogni servo come falchi in cerca di topi in un campo. Anippe riuscì ad attirare l’attenzione di Mandai e gli fece cenno di raggiungerla: la rapidità silenziosa del medjay era utile in un banchetto chiassoso come sul campo di battaglia.

Qualche istante dopo l’uomo era accanto a lei dietro la tenda: «Che succede? Qualche guaio?».

«Non lo so. A quest’ora Ummi Amenia avrebbe dovuto essere qui. Vai a controllare in camera sua mentre io do inizio al banchetto.»

L’uomo annuì e scomparve.

Anippe scostò la tenda e si inchinò al primo ungitore, il quale fissò alla sua parrucca un cono di cera contenente olio profumato. Come i coni sulle parrucche degli altri commensali, anche il suo ornamento si sarebbe sciolto alla fine della serata, facendo gocciolare l’olio nella parrucca e impregnandola del dolce profumo… un po’ come si sarebbero dissolti i sogni di Ay a proposito del trono d’Egitto. Anippe avrebbe smascherato il visir davanti a tutti.

Quel pensiero fece affiorare un sorriso sulle sue labbra mentre avanzava nello spazio libero al centro della sala. Salutò graziosamente le amiche di una vita e si accomodò sul cuscino vuoto accanto alla regina Senpa, inchinandosi cortesemente al visir dall’altra parte della sala: «Grazie di aver accondisceso al mio desiderio di ritrovarmi con le donne del Gurob, visir. Non le ho più viste dopo il mio matrimonio tre anni fa e so che Tut sarà contento quando gli riferirò della nostra celebrazione».

Il visir si asciugò il sudore sulla fronte e si rivolse agli uomini, pur rispondendo alle parole di saluto di Anippe: «Avrei pensato che la sorella del re avrebbe pianto sulle gravi ferite del fratello e non celebrato la sua morte imminente». La voce possente del visir catturò l’attenzione di tutti i presenti.

Anippe aveva il cuore in gola: era giunto il momento. Guardò in direzione dell’ingresso, ma il suo medjay non era tornato con un messaggio da parte di Amenia. Tuttavia non si poteva più aspettare. Le conversazioni si stavano facendo accalorate, ma i servi stavano arrivando dalle cucine con vassoi carichi di carni arrostite, oche, gazzelle, cinghiali, una distrazione gradita agli ospiti.

«Ho saputo dal faraone Tut che il suo cosiddetto incidente non è stato un incidente, ma un attentato alla sua vita» disse Anippe ad alta voce. Nella sala scese di colpo il silenzio. «Che cosa sai di questo, visir?»

«Sì, mi è stata data questa informazione dalla guardia del corpo del re… ma non credo che dovremmo discuterne qui.» Ay la fissò ironico, sfidandola con un sorriso arrogante.

«Di fronte a tutta la corte del faraone? Non potrebbe esserci un luogo né un momento migliore. Non siete d’accordo?» Rivolse la domanda ai commensali che approvarono rumorosamente, gridando e battendo la mano sul tavolo. A voce bassa, Anippe soggiunse: «Ti ho inchiodato, cobra dalla testa di sciacallo».

L’uomo le rispose a voce altrettanto bassa: «Sei caduta nella tua stessa trappola». Gridando per farsi udire al di sopra del baccano, ordinò ai suoi nubiani di guardia alle porte laterali: «Fate entrare la prigioniera!».

La porta si aprì lentamente e due medjay entrarono, una donna piccola in mezzo a loro.

«Amenia!» Anippe saltò su dai cuscini e si lanciò verso la prigioniera, cadendo ai piedi della madre, abbracciandole le caviglie incatenate e singhiozzando.

«Baci i piedi della donna che ha cercato di uccidere tuo fratello?» La domanda del visir squillò come una tromba nel silenzio improvviso.

«Rialzati, figlia mia. Rialzati!» Amenia si esprimeva con la stessa voce chiara e piena di compassione che Anippe aveva udito da lei la prima volta che si erano parlate. «Tu sei la sorella del faraone, la figlia di Horemheb, l’Amira di Avaris, tu non ti getti ai piedi dei prigionieri.»

Ma Anippe si sarebbe gettata ai piedi di chiunque, se fosse servito a salvare Ummi Amenia.

Premendosi l’orlo della veste di Amenia sugli occhi, si asciugò le lacrime, macchiando di kohl il lino candido, poi si alzò per affrontare l’unico uomo al mondo che odiava tanto da essere capace di ucciderlo. «Visir Ay, tu sai che Amira Amenia non farebbe mai del male al re Tut.» Tornò al tavolo, ma questa volta si inginocchiò davanti al visir come una supplice: «Il generale Horemheb ama il faraone come un figlio e così è anche per Amira Amenia».

«Le mie spie hanno intercettato dei papiri segreti scambiati tra Amenia e Horemheb e in questi papiri Amenia informava il generale su questioni delicate riguardanti il governo dell’Egitto.»

«Tu vuoi dire che Amira Amenia ha informato suo marito, il generale Horemheb, il principe reggente, che tu hai cospirato con il comandante Nakhtmin per portare via il trono al faraone Tut?»

Nella vasta sala si levò un brusio, molto grano per il mulino dei pettegolezzi del Gurob.

Ay sorrise: «Sono anni che il generale ci canta questa nenia, mia cara, e lo stesso sovrano, il faraone Tut, ha convenuto che si tratta di una sciocchezza. Ti prego, se sei in possesso di prove che io abbia cospirato contro il nostro dio e re, faccele conoscere ora».

Anippe tremava di rabbia, furiosa, incapace di parlare e sola. Aveva chiesto a Mandai di cercare Amenia, ma nemmeno lui era in possesso di prove che l’asse del carro di Tut fosse stato in parte segato. Fissò la madre disperatamente, impotente a salvare la donna che l’aveva salvata.

«Ummi!» Si lanciò di nuovo verso Amenia, ma due medjay le afferrarono le braccia con mani di ferro.

La voce cantilenante di Ay si alzò al di sopra del pianto di Anippe: «Dobbiamo ricordare a tutti che il viaggio della principessa Anippe da Avaris è stato molto faticoso e che, arrivando qui, ha trovato il suo caro fratello, il divino Tut, molto vicino alla sua dimora eterna. E come se non bastasse ha dovuto scoprire che i suoi genitori adottivi probabilmente sono responsabili della morte del faraone… Be’, amici, la sua disperazione prova che non sa niente del complotto di Horemheb e di Amenia per uccidere Tut».

L’uditorio mormorò il suo assenso e Anippe scorse pietà sui volti dei presenti. Fece per gettarsi sul visir, urlando: «No, tu menti!».

L’uomo fece un cenno ai suoi medjay: «Riconducetela nella sua stanza. Parlerò con lei domattina, dopo che si sarà riposata».

Mentre i nubiani la trascinavano lungo lo spazio libero al centro della sala, alle loro spalle si udì il grido gutturale di Nassor; i medjay la lasciarono andare e con qualche colpo ben assestato fermarono il ramesside, che rimase a terra gemente.

Anippe serrò le palpebre rifiutando di vedere se stessa così totalmente sconfitta e i due medjay l’afferrarono di nuovo per le braccia, conficcandole le unghie nella carne. Urlò e, con sua sorpresa, i medjay mollarono la presa.

Quando riaprì gli occhi, Mandai, piantato davanti a loro, bloccava il passaggio, inamovibile come le pietre scure di Coptos.

«Non vorrei dovervi uccidere, fratelli, ma il faraone Tut mi ha incaricato di proteggere Amira Anippe.»

Le guardie arretrarono e Nassor, che nel frattempo si era rialzato, stordito ma in grado di battersi, aiutò Anippe a stare in piedi. Marciando a testa alta, Mandai l’accompagnò fuori dalla sala, con Nassor che fungeva da retroguardia.

Anippe non parlò finché non fu certa che nessuno la stesse osservando o seguendo: «Non tornerò nella mia stanza e domattina non parlerò con quel rettile» disse alla fine.

Mandai scrutò con la massima attenzione lungo tutto il porticato che collegava l’harem alla residenza privata del faraone: «Mi dispiace, Amira, ma per ora dovrai tornare nel tuo appartamento, far scorta di viveri e aspettarmi» disse accompagnandola fino all’estremità settentrionale dell’harem. «Nassor resterà con te finché Ankhe non sarà tornata dal banchetto. A quell’ora io avrò trovato il modo di salvare Amenia e la condurrò alla nostra imbarcazione prima che si levi la luna piena.»

«Stanotte? Credi di poter salvare Amenia e tornare alla barca stanotte?» Trattenendo il fiato, Anippe osò sperare.

«È questo il mio piano» disse Mandai, guardando Nassor alle spalle dell’amira. «Se non sarò tornato prima dello zenit della luna, prendi tutte e due le sorelle del re e parti senza di me. Ay le ucciderà se saranno ancora al Gurob domattina.»

Anippe, distesa sul letto sotto la rete finissima che impediva alle zanzare di banchettare su di lei, ascoltava i rumori familiari del Fayum, il ruggito dei leoni in lontananza e il richiamo delle civette. La terra era inquieta quando il male era all’opera e Ay era il male. Più di quanto Anippe avesse immaginato.

Avrebbe mai rivisto Tut o Senpa o la sua ummi? Aveva detto addio al fratello, ma ummi… E che cosa ne sarebbe stato di Senpa? Le palpebre non trattennero le lacrime mentre giaceva immobile come una morta, la testa appoggiata al sostegno di turchese.

«Anippe, sei sveglia?» Il bisbiglio di Ankhe aveva un suono rauco.

Ricacciando le lacrime, Anippe si costrinse a restare calma: «No. Dormo come un sasso».

«Credi che dovremmo partire senza Mandai? Riesco a vedere la luna e mi sembra quasi…»

«Partiremo quando Mandai sarà ritornato con Ummi Amenia.»

Silenzio. Ankhe stava cercando di superare la sua delusione: Anippe non aveva parlato con Tut del suo matrimonio, non ci sarebbero state nozze per lei.

«Dopo che hai lasciato il banchetto, il visir Ay ha emesso la sentenza su Amenia. Tradimento, Anippe. Pensi davvero che possa essere salvata da un solo guerriero nubiano?»

Anippe stava piangendo senza freni nel buio, non aveva bisogno di rispondere a una domanda che non lasciava speranza.

«E dovevi vedere come si agitava il visir intorno a Senpa: le versava da bere, le porgeva gli acini d’uva, credo che le avrebbe perfino soffiato il naso se lei avesse starnutito.»

«Ankhe, basta così.»

«Stavo solo…»

«Stavi solo parlando a vanvera a proposito di un uomo che sta cercando di uccidere nostro fratello, Amenia e anche noi. E che potrebbe sposare Senpa per assicurarsi il trono.»

La porta della camera si spalancò di colpo e Nassor le afferrò entrambe e le fece alzare: «All’uscita del cortile!».

Correndo, Anippe si girò e vide Mandai, solo. «Dov’è ummi?»

Nassor continuò a correre, tirandosi dietro le due sorelle.

«Dov’è Ummi Amenia?» gridò Anippe, sollevando con i piedi scalzi sabbia e piccole pietruzze mentre si avvicinavano al molo.

«Nella barca, presto!» Nassor scaraventò le donne nell’imbarcazione in attesa e Mandai le raggiunse di corsa, premendosi la mano sull’addome insanguinato. In alto, in cima alla salita comparvero tre medjay con la spada sguainata.

«Mandai, tu non puoi remare!» Anippe afferrò un remo corto e aiutò Nassor a spingere la barca lontano dal fondo basso e sabbioso, mentre il ramesside, inginocchiato nell’imbarcazione e usando il secondo remo, li dirigeva al largo.

Nassor e Anippe manovrarono i remi con tutta la loro forza, nessuno si guardò indietro e solo quando furono al sicuro al centro del canale Anippe si girò e vide i loro inseguitori prendere a calci la sabbia, frustrati; ma nemmeno i medjay osavano affrontare a nuoto il Nilo di notte.

Mandai esaminò lo squarcio sul suo fianco, appoggiato alla fiancata dell’imbarcazione. «Nessuno squillo di tromba, questo è un buon segno.»

Allungando una mano, strappò un lembo della veste di Ankhe.

«Fermo! Che stai facendo?»

Mandai estrasse il pugnale e Ankhe si calmò. «Mi serve una striscia della tua tunica per farci una benda. Non muoverti o la lama potrebbe sfuggirmi di mano.»

Anippe continuava a guardare alle loro spalle; Mandai aveva ragione, l’assenza di squilli di tromba significava che non c’erano soldati al loro inseguimento sulle acque del fiume illuminate dalla luna. Osservando Mandai fasciarsi la ferita, immaginò il peggio, ma aveva bisogno di sapere: «Mandai, che cosa è successo?».

L’uomo continuò ad avvolgersi in silenzio la benda ricavata dalla veste di Ankhe intorno alla vita, sussultando solo quando strinse con forza il nodo; il bel lino bianco si macchiò di rosso scuro ma il sanguinamento rallentò notevolmente. Il chiaro di luna rivelò la tristezza sul volto del medjay: «Quando sono riuscito a scoprire dove avevano nascosto Amira Amenia…». Scuotendo la testa, tacque di nuovo.

«Per favore, Mandai, devo sapere.»

Il guerriero chinò il capo, sussurrando: «Stava supplicando le guardie di Ay di ucciderla».

Inorridita, Anippe si premette la mano sulla bocca.

Temendo che Anippe perdesse conoscenza, Mandai si sporse per afferrare il remo che la giovane donna aveva lasciato andare. «Sapevo che la tua ummi non sarebbe sopravvissuta a questa navigazione, perciò me ne sono andato di corsa ma uno dei miei uomini ha rivolto la spada contro di me.»

«Grazie per aver tentato, amico mio.» Nascondendosi la faccia tra le mani, Anippe dette sfogo a tutto il dolore che aveva accumulato dentro di sé da quando aveva saputo delle condizioni di Tut.

Per gli dei! Ay pagherà per ciò che ha fatto.

Il tonfo regolare dei remi la cullò in una specie di nebbia di disperazione; ricordi confusi si riaffacciarono alla sua mente, rivide se stessa che filava il lino con Amenia e Senpa, Tut che giocava con i soldatini di legno. Davvero li avrebbe ritrovati nel mondo dell’aldilà? I racconti sugli dei erano veri o falsi?

«Amira, dovresti riposare.» Nassor passò il remo sulla sua sinistra, mentre Mandai si spostava sulla destra: le bende del medjay erano completamente impregnate di sangue.

«Non riesco a dormire, dammi il tuo remo, Mandai.» Anippe non gli diede il tempo di protestare e prese il remo; Ankhe si sedette in modo che il soldato potesse appoggiare la schiena contro di lei.

La navigazione sarebbe stata più lenta, ma per lo meno erano riusciti a fuggire, avrebbero potuto avvertire Abbi Horem e si sarebbero rintanati nella sicurezza del Delta e delle piazzeforti dei ramessidi. Abbi avrebbe saputo che cosa fare… e forse Sebak sarebbe finalmente tornato da lei.

Le braccia e la schiena le bruciavano a ogni colpo del remo, ma il ricordo degli abbracci del marito la rendeva forte.