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When Tomorrow Comes
EURYTHMICS
I due angioletti si svegliarono nel primo pomeriggio con le ali stropicciate. CarloG aveva un gran cerchio alla testa, e non era sicuramente un segno di santità. Rocco respirava a fatica, tanto la bocca era impastata e arsa.What a big night, last night. Avevano cominciato con una cena in dieci a casa di CarloG. Zia Irvana si era cimentata nel cuscus di carne che la sua amica magrebina le aveva insegnato. Indossava un abito da sera lungo fino ai piedi, con le poppe tirate su da un Wonderbra in edizione limitata. Per la serata era accompagnata da Demian, un modello californiano che arrotondava volentieri il suo stipendio facendo il massaggiatore per signore. E che massaggiatore. Un vero personal trainer del sessoover fifty. Quella sera, notte inclusa, costava duecento euro. CarloG gliel’aveva portato come regalo di Natale. Zia Irvana lo presentava a tutti come se l’avesse conquistato con le sue forze. Diceva che anche lei aveva diritto a essere Liz Taylor, per una sera. Così rinunciò ben volentieri ai festeggiamenti in discoteca. Rocco, invece, li ricordò fino al giorno dopo, mentre guardava il disordine della sua stanza.
– È stato un peccato non avere tua zia con noi, ieri notte. Mi sarebbe piaciuto vederla in pista con quellasex machine.
– Il fatto che non ci fosse lui è stato un peccato. Per mia zia è stata una benedizione. Pensa se mi avesse visto mentre mi baciavo con Miriam. Le sarebbe venuto un mezzo arresto cardiaco.
CarloG provò a togliersi le ali, ma era ancora troppo rincoglionito per poter compiere un’azione fisica concreta. Rocco cercò di aiutarlo, le mani più pratiche, anche se di poco.
– Sei il solito esagerato. Probabilmente si sarebbe piegata dalle risate, come abbiamo fatto tutti noi.
– Tu non conosci zia Irvana. Per lei io sono gay e basta.
– Da quando hai dei dubbi?
– Da ieri.
CarloG si staccò dalla presa di Rocco e si tolse le ali da solo, rompendone una soltanto.
– Ma ieri eri ubriaco, ti volevi solo divertire a fare Clark Gable e Vivien Leigh.
– Sì, però mi è venuto duro.
– Duro quanto?
– Che razza di domanda è? Duro. Un cazzo duro normale.
– Woody Allen dice che una ragazza deve farti venire duro il cervello.
– È ovvio che quando non ti viene più duro lì, cerchi riparo da qualche altra parte.
CarloG si fermò di colpo davanti allo specchio con aria interrogativa.
– Non mi vedi un po’ giallo?
– Dove?
– In faccia, no? Guardami. È l’epatite K, lo sento. Lo sento che me la sono presa ieri da Miriam.
CarloG cominciò ad aprire le tende per fare entrare nella stanza tutta la luce possibile.
– Perché, quando siete spariti avete fatto qualcosa?
– No, ci siamo solo strusciati e toccati un po’, ma da fuori. Nel senso che non ci siamo messi le mani dentro le mutande, anche perché avevo tutta questa armatura che mi teneva su le ali.
Rocco avvicinò la sua faccia a quella di CarloG.
– Allora come hai fatto a prenderti l’epatite?
– Ma non li leggi i giornali? L’epatite K si prende dal contatto con la pelle. Oddio, accompagnami subito al pronto soccorso.
Rocco andò in bagno e tornò con un’aspirina, scuoteva la testa e rideva, ma dove l’ho trovato io, un amico così.
– Per me sei ancora ubriaco. Sei così bianco che sembri più anemico che con l’epatite.
– Anemico? Vuoi dire anemia ipercromica?
Rocco cominciava a perdere la pazienza. Le lentiggini divennero ancora più evidenti.
– CarloG, finiscila. Ti dico che non hai niente. Raccontami invece di Miriam.
– Già, Miriam. Ho una gran voglia di rivederla, sai? E se posso dirla tutta, ho proprio voglia di scopare.
Rocco prese da terra la camicia di CarloG e gliela tirò in faccia.
– Anche se ti è venuta ’sta botta di virilità non c’è bisogno che ti metti a fare lo scaricatore di porto.
– Vaffanculo.
CarloG cominciò a cercare un asciugamano aprendo tutti i cassetti della camera, camera non sua, ma di cui conosceva i contenuti e quasi tutti i segreti. Poi si spogliò completamente e andò in bagno. Rocco gli stava dietro come un cane da guardia.
– Dov’è che l’hai conosciuta?
– Fa le interviste con me alla Proxa International. Hai del sapone di Marsiglia?
– No, solo docciaschiuma.
– Per questa volta passi.
CarloG aprì l’acqua della doccia e ci si mise subito sotto. Rocco gli parlava attraverso la tendina di nylon, spruzzi occasionali gli accarezzavano il viso.
– E non ti era mai venuto in mente niente?
– In che senso?
– Nel senso ciularino del termine.
– No. Mi era simpatica e basta. Adesso mi sono simpatiche le sue tette.
– Be’, non ti resta che chiamarla e invitarla a uscire una sera. Vuoi del balsamo?
– Ho i capelli sfibrati?
– No, era solo una domanda così. Una gentilezza.
– Meno male. E dove mi consigli di portarla?
– A casa tua.
– Impossibile, c’è mia zia. Se la vede e capisce mi sbrana. Mi lavi un po’ la schiena?
Rocco si mise il guanto di spugna e cominciò a fare la mamma che non sarebbe stata mai.
– Allora vai a casa sua.
– Impossibile. Vive ancora con i suoi.
– Allora che cazzo ne so? Vieni qui a casa mia. Me lo dici prima e te la lascio.
CarloG chiuse la doccia e cominciò ad asciugarsi, la faccia illuminata dalla soluzione appena proposta.
– Vedi che quando vuoi sai essere intelligente?
– Bravo. Allora vedi di rivestirti in fretta e di mettere su il caffè.
– Bastardo. Ne approfitti solo perché non ho avuto il tempo di osservarti, ieri sera. Chissà cosa non hai combinato.
Rocco rise, ma non rispose. Si rivide in un flashback senza capire se si era divertito o no. Di certo non si era annoiato. Vedere tutti quegli angeli travestiti gli aveva fatto pensare alla distinzione tra bene e male.
Li aveva sempre osservati, gli angeli: negli affreschi rinascimentali, nei tormentoni dei poster che vendono vicino alle stazioni. Loro non si baciano mai. In compenso lanciano frecce, suonano arpe, hanno sempre gli occhi rivolti all’insù. Quella sera avevano finalmente coronato un sogno. E Rocco li spiava, senza badare mai alla loro origine umana. Erano angeli che baciavano altri angeli. Anche lui aveva ceduto. Nell’impeto degli auguri, due ali di nome Piergianni gli avevano lasciato un segno carnoso sulle labbra. Scioccato dalla poesia del gesto, si era guardato intorno e aveva visto quella passione contagiosa sbocciare anche sulle bocche di CarloG e Miriam. A Capodanno, la vita diventa un gioco. Ma una volta finita la musica, le regole resteranno le stesse? La notte di Rocco era stata tutta così. Un intervallo delirante di visioni sul mondo. Qua e là dedicava a Daniele un pensiero – un po’ triste, un po’ felice – che non riusciva a salvarlo né a guarirlo, in quel momento. S’immaginava Viola e un po’ l’invidiava. L’essere donna, per una volta, l’aveva privilegiata. Lei era molto più legittimata di lui a essere fragile. E probabilmente era così. Però gli sarebbe piaciuto vedere Daniele con le ali. Osservarne la faccia stupita e imbarazzata nei gironi della discoteca. Era ancora lì a bocca aperta, quando CarloG lo riportò alla realtà.
– Ehi, di casa? Sei collegato? Mi avevi chiesto un caffè o una pausa per pensare?
– Scusa, ero sovrappensiero.
– Quanto zucchero?
– Uno e mezzo.
CarloG cominciò a girare il caffè, mignolo rigorosamente all’insù.
– Cioè, eri sovrappensiero perché pensavi a Daniele?
– Cioè, stavo pensando a Daniele, sì. Secondo te è normale?
– Non è normale.
– Ah, no?
– No. È bello. Vuol dire che ti manca.
– E quindi?
– E quindi chiamalo. E salutalo anche da parte mia. Se riesci a resistere dieci minuti, preparo i bagagli e torno a casa. Così puoi chiacchierare indisturbato.
– E tu puoi telefonare a Miriam.
– Già.
CarloG stette ancora un attimo zitto, impacciato. Terrorizzato dall’ultima verifica allo specchio, me lo sento che me la sono beccata.
– Ma allora sei sicuro che non mi vedi giallo?
– Sicuro, sicurissimo, non hai niente, è stato bello, ciao.
Si salutarono più amici di prima, felici di avere un sogno in comune. Nella loro lotta dei cuori, ognuno faceva il tifo per sé e per l’altro.