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You’re So Vain
CARLY SIMON
– Allora Daniele, come li tagliamo questa volta?
– Fai tu. Basta sfoltirli un po’.
– Ogni volta mi dici la stessa cosa, e ogni volta vedo che non sei contento.
Daniele cercò di trattenersi, ma non ci riuscì.
– Be’, l’ultima volta tra una basetta e l’altra c’erano almeno due centimetri di differenza.
– Esagerato. Adesso solo perché sei tornato dal Canadà non è che puoi dire tutto quello che ti passa per la testa. Va bene l’acqua?
– Perfetta. Però sono stato in California, non in Canada.
Il massaggio alla testa – il vero, autentico motivo per cui Daniele andava periodicamente dal barbiere – venne interrotto all’istante.
– Ma chi ha detto Canada? Vedi, fai di nuovo lo stesso errore. Tu ti stai montando la testa, ragazzo... Da quando sei diventato account survivor.
– Vorrai dire supervisor.
– Sì, supervisor. Cosa ne dice la tua fidanzata?
– Cosa deve dire? È contenta: l’affitto lo pago tutto io e possiamo andare a cena fuori più spesso.
– Capirai che guadagno, se deve sopportare uno così borioso. Qualche anno fa non eri così.
– Alfredo?
– Dimmi.
– Non è neanche un anno che vengo qui.
Daniele si affezionava in fretta alle persone. Era un ragazzo privilegiato. Baciato dalla bellezza, guardava il mondo in positivo. Fin da piccolo aveva capito che la vita gli avrebbe sorriso spesso. Da quando la Shirley Temple della sua scuola elementare gli aveva regalato una margherita. Da lì, era stata tutta discesa. Successo con insegnanti, compagni e amici. Le difficoltà tendeva a crearsele da solo, per non annoiarsi. Una vita prevedibile? Non ne valeva la pena, diceva, e tutti gli davano ragione, ai belli si dà quasi sempre ragione, chissà perché. Ogni tanto aveva ceduto ai cazzotti per difendere i ragazzi del suo quartiere. Se lo ricordava ancora il suo sopracciglio destro, immortalato da una cicatrice cattiva, figlia di chissà quale impavido pugno, che per nulla aveva alterato il suo sguardo, anzi, gli aveva aggiunto una punta di dannato e imperfetto, di cui andava molto fiero. Eccelleva in molte discipline sportive – calcio e nuoto, soprattutto – anche se la sua preferita sarebbe rimasta il tennis. Cupido stava ovviamente dalla sua parte, lavoro facile per lui con elementi del genere. Insomma, Daniele incarnava esattamente lo stereotipo dell’amante perfetto. L’uomo che mette d’accordo mamme e figlie, senza provocare traumi nelle amiche. Da due anni aveva l’amore di Viola. Da otto mesi rispondeva alle domande di Alfredo.
– Ma la basetta la vuoi dritta come al solito, o proviamo a farla obliqua, come si usa adesso?
– Da quanto tempo non fai un corso di aggiornamento?
– Tu non ti preoccupare che io mi aggiorno tenendo gli occhi bene aperti. E poi sfoglio le riviste, leggo.
Daniele voltò la testa – testa che desiderava ancora il massaggio di quelle mani esperte – a guardare un tavolino basso traboccante di oscenità.
– Cosa c’è da leggere su “Penthouse”?
– Hanno degli ottimi tagli di capelli.
– Immagino. Comunque fammele dritte, però lunghe uguali.
– Certo che sei proprio all’antica. Quando ti metti in testa una cosa, non te la togli più.
– Smetti di parlare che poi ti distrai.
Il taglio era di nuovo un po’ approssimativo ma a Daniele andava bene lo stesso, purché ci fosse un secondo, tiepido risciacquo. In quella bottega lui non aveva mai incontrato nessuno della sua età. Solo uomini pelati che vogliono provare l’ebbrezza delle forbici ai lati della testa. Lui preferiva così. La sua faccia ellenica poteva permettersi anche un taglio non perfetto, tanto una vita prevedibile non valeva troppo la pena, diceva.
L’unica a dissentire, ovviamente, era Viola.
– Ma come ti ha conciato, stavolta? Guarda qui, questa chiazza... sembra quasi che tu stia perdendo i capelli. Non l’avrai mica pagato, vero?
– La smetti di lamentarti e mi dai un bacio?
– Prima dimmi quanto gli hai dato.
– Quindici...
Smack
– euro...
Smack
– e sessantacinque...
Smack
– centesimi.
– Un furto.
– Però così sono arrivato a casa prima.
– Allora diciamo un regalo.
Non erano sempre così mielosi, Viola e Daniele. Ma sapevano esserlo nei momenti inattesi. Vivevano una vita senza anniversari, facendosi regali lontano dai compleanni – la vita prevedibile – e dalle ricorrenze. Delle feste comandate, rispettavano soltanto il Natale. Vivevano molto in due. Ma se li osservavi in compagnia di altre persone non ti accorgevi quasi che stessero insieme, così poco bisogno avevano di affermare gli spazi, dire coi gesti che sì, c’è qualcosa fra noi. Erano una coppia rilassata. Uguali e diversi, unici e complementari. Adamo ed Eva nell’Eden metropolitano.
– Sai che la prossima settimana devo andare a Verona?
– Nooooo, e quando torni?
– Starò via almeno tre giorni. Dobbiamo discutere la nuova campagna natalizia con il cliente.
– Sarà la solita menata barbosa.
Daniele s’irrigidì. Le sue fossette – i buchi, come li chiamava Viola – aderivano perfettamente alle guance di una faccia senza sorriso.
– Sbagli. Quest’anno vogliono lanciare un nuovo dolce natalizio, che in Italia è ancora poco diffuso.
– E cioè?
– Il mitico cheesecake.
– Ma non è un dolce natalizio. È un dolce.
– E chissenefrega. Noi vogliamo posizionarlo come dolce natalizio. Si chiamerà Sweetie.
Viola aveva voglia di una piccola lite.
– Come il film di Jane Campion?
– Come il nuovo cheesecake italiano.
– Cosa pensa Roxanne?
– È esaltata. Il merito di questo progetto è soprattutto suo. Ora sta spingendo perché facciano una grande campagna televisiva, e per questo vuole anche me. Dobbiamo rimbambirli di parole per fargli stanziare tutto il budget.
– Quando parli così, mi chiedo cosa ci sto a fare io, con un avvocato che ha scelto di fare il commerciale.
Daniele fu molto fiero di sentire quella critica. Sorrise, disarmante.
– Anch’io me lo chiedo, cosa faccio con una filologa ingrata.
– È semplice: ti piaccio.
– Ti amo.
– Ti che?
Viola avvicinò i suoi occhi – l’odore del mare – a quelli di Daniele, per ascoltarli meglio. Li guardava così da vicino che non riusciva a metterli a fuoco. Vedeva solo la cicatrice, solco distorto e confuso, figlia di chissà quale impavido pugno.
– Ti amo. Non te l’ha mai detto nessuno?
– No, oggi no.
Daniele sorrise e se la spupazzò come una bambina. Poi ritornò il felino affamato di sempre.
– Bene. Adesso me la merito la cena?
– Sì. Peccato che non abbia preparato niente. Hai voglia di fare tu qualcosa? Io devo finire di leggere un paragrafo.
– Stai scherzando?
– No, ti giuro. È il prezzo da pagare se vuoi l’amore di una studentessa diligente.
– Vieni qui che ti ammazzo...
Finirono subito al tappeto, a fare la guerra dei cuscini. Della cena non videro nemmeno l’ombra. Lui si limitò a cracker con formaggio, lei esagerò di biscotti e nutella. Non avevano ancora assorbito totalmente il fuso orario, per cui si sentivano legittimati al disordine alimentare. La fame più irrequieta era quella di Viola. Come una poppante alle prime armi, si svegliava nel mezzo della notte e andava dritta al frigo. Mangiava le prime cose che trovava, facendo miscugli imbarazzanti per qualsiasi dietologo. Per fortuna, il suo stomaco le perdonava tutto.