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Manic Monday

THE BANGLES

La settimana dopo arrivò il giorno del giudizio.

L’aula magna dell’università era gremita per la prova scritta di Retorica generale. Gruppetti di studenti facevano l’ultimo ripasso. Viola era defilata. Preferiva non prendere mai parte a quel genere di discussione. C’era sempre qualcuno che la metteva in allarme sulla parte facoltativa. Cosa che lei, ovviamente, si era limitata a sfogliare.

Aveva incontrato questo genere di studenti prima di ogni esame. Pensava addirittura che portassero sfiga. Quindi se ne stava tutta sola, immersa nel brusio generale.

All’ingresso del professor Cesaroni calò il silenzio. Tutti presero i loro foglietti e si misero a sedere. Le assistenti del professore sembravano hostess della Colgate: distribuivano i test come se fossero regali di Natale. Viola diede una rapida scorsa ai tre fogli fotocopiati. Le domande erano tante ma fattibili. L’unico problema, il tempo: un’ora spaccata. Il professore diede il via. Viola emise un sospiro e cominciò a dimenare la penna sul foglio, l’altra mano in costante contatto con i capelli. Era molto più preparata di quanto pensasse: dopo quaranta minuti aveva già finito. Per non cadere in qualche svarione ortografico, lesse e rilesse il tutto un paio di volte. Consegnò il test e uscì nell’atrio principale. Le gambe stavano per cederle per il calo di tensione, i tacchi inadatti a sorreggerla. La pin-up aveva bisogno di zuccheri. Così andò al bar e ordinò zabaione con panna e torta di nocciole. La colazione più calorica che avesse mai fatto. Ritrovò subito le forze. Prima di tornare a casa, fece un’improvvisata alla Dentelli&Associati.

Rocco deglutì all’annuncio della segretaria e rimediò subito una sala riunioni libera. Il dottor Manzoni avrebbe potuto cercarlo. Non se la sentiva di rischiare con il solito croissant-break.

– Allora, com’è andata?

– Lo saprò solo più tardi. A naso direi bene, perché ho risposto a tutto quasi senza pensarci. In automatico. Però non vorrei gufarmi da sola. E tu, hai parlato con Daniele?

Rocco le fece cenno di sedere. In un attimo spazzò via dalla mente tutti i baci implicati.

– Non ho ancora avuto tempo. Senti, quand’è che hai l’orale?

– Se lo scritto è andato bene, domattina.

– Perfetto. Così possiamo uscire insieme una di queste sere.

Per la prima volta, Viola non sembrò contenta. Sentiva che il giocattolo si era rotto e non sapeva perché, né come.

– Forse dobbiamo rimandare alla prossima settimana. Perché vorrei andare a trovare mia sorella a Nizza. Ho bisogno di cambiare aria.

– Mi sembra una buona idea.

Rocco guardò l’orologio. Viola capì – un gesto inequivocabile, quasi sgarbato – si alzò e si diresse verso la porta. L’ex corteggiatore l’accompagnò all’uscita pieno di apprensione. Era sempre più scombussolato. Da un lato, gli dispiaceva vedere Viola preoccupata. Dall’altro non era ancora riuscito a chiamare Daniele. Malgrado le parole di zia Irvana, aveva continuato a rimandare. Appena rientrato in ufficio, si sbloccò.

– Ciao, sono Rocco.

– E io sono un cafone. Non ho scuse. Avrai pensato che fossi arrabbiato o roba del genere. Niente. Sono solo un cafone.

– Questo l’hai già detto.

– Per farmi perdonare, ti propongo una partita domani sera. Che ne dici? Se Viola va a Nizza, possiamo anche mangiarci qualcosa dopo. Adesso non ho proprio tempo.

– Direi che è perfetto, allora.

– Bene, ci vediamo domani.

Rocco e Daniele sembravano di nuovo sereni. Avevano fatto bene a prendersi una pausa di riflessione, il passato diventa un conto sospeso, che nessuno ricorderà più di farti pagare. Il piacere di quella chiamata cadde a pioggia su tutti i colleghi che li circondavano.

Lo scritto di Viola era andato bene: 29/30. Solo due studenti erano stati altrettanto bravi. Per festeggiare e festeggiarsi, preparò la Sacher Torte di Madame Germaine. Ci mise un po’ solo per trovare la marmellata di albicocche firmata Bonne Maman. Dopo una lunga ricerca scoprì che ce l’aveva il droghiere sotto casa. Quando Daniele vide la torta, ci rimase come il portiere che si butta dalla parte sbagliata. Però non disse niente. Non era né il caso né il momento. Le fece complimenti standard, chiese il bis – dammene un’altra fetta, avrai meno dubbi su di me – e la portò di forza a dormire. La mattina dopo c’era l’orale.

Fu un trenta e lode senza discussioni. Prima di prendere il treno per Nizza, Viola passò da Madame Germaine. Voleva ringraziarla per la ricetta, ma soprattutto voleva farsi leggere i tarocchi. Quel tratto di vita aveva bisogno di interpretazioni che lei non era in grado di dare. Trovò Madame Germaine nella stessa cucinamade in Japan. Stava aspettando uno studente, così lo definì, e non aveva troppo tempo. Si rifugiarono nella stanza rossa, quella che sapeva d’incenso. Madame Germaine fece sedere Viola su un pouf arancione e cominciò a mescolare le carte.

– Sa, è la prima volta. Mi dica solo le cose belle.

Madame Germaine annuì con la testa, la sapeva lunga lei, fece alzare il mazzo a Viola e cominciò a osservare le prime carte.

– Vedo un uomo qui, accanto a te. Un uomo forte e sicuro. Giusto?

Viola fece cenno di sì. Madame Germaine continuò a girare le carte in cerca di nuovi elementi. Viola la guardava curiosa, anche se ancora un po’ scettica. In effetti, Madame Germaine sapeva perfettamente che Viola aveva un ragazzo.

– Vedo però che c’è un’altra persona, accanto a voi.

– Un uomo o una donna?

– Non si capisce.

Viola cercò d’indovinare la realtà – io, solo io, sono padrona del mio futuro – chiedendosi a chi potesse assomigliare quella specie di papessa.

– Non riesce a dire di più?

– Per ora no. È molto strano. Sembra una persona più vicina a te, però non ne sono totalmente convinta.

Un velo di preoccupazione calò su Madame Germaine, la sapeva lunga, ma durò solo un attimo.

– Comunque non è nulla di grave. Potrebbe essere un’avventura, ma non riesco a vederlo con chiarezza. Probabilmente è ancora troppo presto per dirlo. Ora però vai, altrimenti perdi il treno.

Viola si alzò. Cominciava a essere inquieta. Madame Germaine le diede una pacca sulla spalla, quasi a consolarla per qualcosa che non era stata in grado di dirle. Tornata ai rumori del traffico, Viola confermò la sua vecchia opinione sulle chiromanti. Ciarlatane. Per di più approssimative.

Era già alla stazione quando chiamò Rocco per dirgli dell’esame. Sfrecciando a duemila parole al minuto – la paura accelera il passo – lui le anticipò l’imminente partita con Daniele. Viola ripensò un attimo alle carte, ma non ci diede peso. Lo liquidò senza fare troppe moine. Ora voleva soltanto godersi la luce della Costa Azzurra e la compagnia di sua sorella.

Calò la sera. La partita cominciò con il solito ritardo, ma finì prima del gong: 6-2 6-2 in meno di un’ora. Daniele non aveva sbagliato un colpo. Rocco aveva commesso quindici doppi falli. Si era addirittura dimenticato che il punto debole del suo avversario fosse il rovescio.

Per la consueta fretta di giocare, i convenevoli e i saluti erano stati ridotti al minimo. Avevano cominciato subito a palleggiare, per poi lasciare il campo a un unico giocatore. L’arrivo dei due manager dell’ora successiva venne vissuto da Rocco come una liberazione. Benedisse la doccia e il suo shampoo rivitalizzante.

– Allora, dove andiamo a mangiare?

– Possiamo farci una pasta da me. Viola mi ha lasciato un sugo fantastico. Il vino c’è. Dovrei avere anche del gelato in freezer. Che mi dici? Va bene, sì?

– Sì, va benissimo.

Del bacio e i suoi tabù, nessuna traccia. Non lo dire e non lo sarà mai stato, non lo pensare più e non lo dovrai dimenticare. Sembrava che non fosse neppure esistito. Anzi. Fecero una piccola lotta per chi poteva asciugarsi prima i capelli. Vinse Daniele. In macchina, continuarono a scherzare come due idioti.

La mansarda fece a Rocco uno strano effetto: se la ricordava con i commenti di Marina e CarloG. Se la ricordava con Viola – i tacchi sul parquet – e i suoi ospiti.

Daniele mise su una compilation anni Settanta e l’acqua per la pasta, stappò una bottiglia di chianti classico e riempì due bicchieri.

– Al mio amico che ce l’ha messa tutta ma non ce l’ha fatta.

– Al mio amico stronzo.

Bevvero tutto d’un fiato. Daniele riempì di nuovo i bicchieri, bevi, bevi e tutto sarà più facile. Arrivati alle penne erano già alticci. Ridevano per qualsiasi cosa. L’unica assente dalla conversazione era Viola, che cercava in ogni modo di attirare la loro attenzione: ci aveva provato con il sugo ai funghi, con un messaggio in segreteria telefonica e con la sua foto supervamp nella bacheca della cucina. Inutile. Argomento censurato, non lo dire e non lo sarà mai stato. Rocco era così lanciato che dopo cena accettò anche un whisky on the rocks.

Finito di mangiare, e soprattutto di bere, si misero comodi in salotto. Passarono un’ora a commentare libri eCD che invadevano la più classica delle librerie Ikea. Poi si sedettero per terra. Non sentivano più il bisogno di dirsi niente, ma neppure di fare niente. Stavano lì, a digerire il vino e la pasta, dimentichi del mondo intero. Una strana pace aleggiava nell’aria, e tornarono i fantasmi.

– Che c’è, Rocco?

– Pensavo all’altra sera. A quello che è successo.

– E cosa pensavi?

– Che non è stato così male.

Un silenzio lungo una vita.

– Mi stai chiedendo di rifarlo?

– Non so.

Ma la risposta era arrivata troppo tardi. Fu un bacio lungo, alleggerito dai respiri. Le mani stettero ferme al proprio posto, troppo timide per provare a sfiorare un corpo altrui. Il bacio era e sarebbe rimasto un gioco – la vita dei bambini, il rifugio degli adulti – o uno scherzo fortemente alcolico.Again. Questo nelle teste di entrambi i partecipanti. Peccato che sembrasse non finire mai. Quando Rocco si mosse per tornare a casa, era già notte fonda.

Si salutarono con la banalità di un “ci-sentiamo” qualsiasi.

Il giorno dopo sembravano due zombi.