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Una Notte in Italia
IVANO FOSSATI
Il posto si chiamava Belsedere.
Nome adattissimo sia a Viola sia a Daniele. Un podere in mezzo alle crete senesi, meraviglia d’Italia scoperta da Viola qualche Pasqua prima. Lo gestiva una famiglia di appassionati, i Galluzzi. Producevano chianti, olio spremuto a freddo, pecorino. Salumi. Avevano solo otto camere, quasi sempre prenotate dall’Europa del Nord. Viola era stata fortunata a rimpiazzare un forfait dell’ultimo minuto. D’altronde, la dea bendata si concede sempre agli innamorati. Daniele era esterrefatto da tanta bellezza: la loro camera dava su un campo di ulivi non meno suggestivo del Getsemani. Le zolle di terra e il verde dei pascoli sembravano usciti dalla mano di Van Gogh. Per non parlare dei cipressi. Alberi malati di tristezza, ma che hanno ancora voglia di raccontare una storia. Puntellavano le curve sterrate fino all’orizzonte, disegnando alternative per la nuova copertina di “Meridiani”. Daniele cercava di ascoltarli, dal terrazzo in pietra della sua camera. Viola gli stava seduta in braccio, la mano zitta sui capelli, più dolce che mai.
– Quello che più mi piace qui è ascoltare il rumore del silenzio.
– Allora perché parli?
– Stronzo.
Viola diede una manata sulla nuca di Daniele, che ricambiò con un morso.
– Dàaai. Anche a me piace molto. E poi quest’odore di terra bagnata, non so, mi emoziona. Hai voglia di fare due passi? Arriviamo fino in cima a quella piccola collinetta e torniamo indietro.
Viola si alzò, ma non ne era totalmente convinta. I tacchi, doveva togliere i tacchi e non voleva dirlo.
– Vado a prendere il piumino. Qui quando cala il sole sembra di essere in Siberia.
– Vuoi che ti scaldi, bambola?
– Voglio che mi dici se vuoi anche tu il piumino.
– Sì, bambola.
Daniele si mise in posizione serenata, con busto all’indietro e mano sul cuore, vivere più che puoi, come ti viene in mente, senza nessuna strategia, o timore. Viola era sempre più irritata.
– Quanto sei cretino.
– Sei più bella quando t’incazzi per niente.
– Vado.
La collinetta era più alta di quanto sembrasse. Così si persero per strada il tramonto dell’ultimo giorno dell’anno. Tornarono indietro rinfacciandosi a vicenda la responsabilità del ritardo. Ma fu più una scusa per occupare il tempo che una vera lite.
Fecero merenda in compagnia dei padroni di casa: bruschetta all’olio, prosciutto crudo e vino novello. Parlarono delle stagioni, della vendemmia appena passata. Della differenza – incomprensibile, inspiegabile – tra olive verdi e olive nere. Viola e Daniele sembravano ascoltare la verità su Babbo Natale. Poi chiesero di cenare un po’ prima, lontano dalla tavolata di colonizzatori austro-ungarici in arrivo. Viola voleva passare la mezzanotte a mollo, nelle pozze d’acqua calda che aveva scoperto l’ultima volta. Il vento gelido provò a dissuadere Daniele, ma nulla poté contro il suo vigore latino: sei maschio, non sei vulnerabile. Prepararono in fretta un borsone con due accappatoi e una bottiglia di brachetto, si fecero ripetere la strada dal signor Galluzzi almeno tre volte e partirono in direzione San Filippo. Tentennarono a un paio di bivi, ma alla fine le stelle li portarono dritti dritti in pentola.
La luna era un piccolo sopracciglio di luce. Per fortuna l’auto aziendale di Daniele era attrezzata di pile e ogni strumento in caso di emergenza.
Si inoltrarono in un viottolo, facendosi guidare soprattutto dai suoni.
Alla vista della prima pozza, Viola emise un grido stridulo, cui fece eco Daniele: iniziava il gioco. Nessuno aveva però il coraggio di spogliarsi. Il freddo rendeva tutto poco invitante.
Fu Viola a rompere il ghiaccio e ad accatastare sciarpa, calzettoni e metà del suo guardaroba invernale. Appena fu nuda si accovacciò nell’acqua come una chioccia – posizione pipì – cominciando a sfottere Daniele.
– Fai tanto il duro, poi basta che la temperatura scenda e ti mancano le palle.
Din don.
Le parole fecero subito effetto. In un attimo era già sotto le coperte d’acqua. Non gli sembrava vero che potesse esistere una vasca naturale sempre calda per lui. L’unica nota stonata era l’odore di zolfo: un misto di uovo sodo e pattumiera dimenticata, con quel tocco agreste che fa tantoDe rerum natura.
– Lo sai che più su c’è una piccola cascata? Da qui non si vede ancora. Bisogna arrampicarsi su quella parete di roccia bianca. Te la senti?
Daniele non avrebbe potuto udire parole peggiori. Non posso dire no, non posso, non posso.
– Adesso?
– Sì, adesso. A mezzanotte sparirà.
Brooke Shields diLaguna Blu quasi non teneva al confronto. L’agilità di Viola era assolutamente istintiva. Saliva accelerando il passo, sulle sue gambe di fenicottero rosa. Daniele le urlava a distanza di aspettarlo.
Quando videro l’idromassaggio in pietra, ebbero un momento di soggezione. Il posto era troppo bello per essere vero. Una conchiglia lontana dal mare, animata da uno scroscio d’acqua opaca e fumante. Viola fu la prima a entrare in vasca, entusiasmo senza controllo, felicità di correre nuda, il settimo cielo. Daniele le andò dietro. Si sedettero uno attaccato all’altra e cominciarono a urlare. Le frasi più stupide, i nomi, i soprannomi, i punti deboli, i difetti, le canzoni, tutto ciò che passava loro per la testa veniva confidato alla valle, che lo ripeteva a eco. All’improvviso il getto d’acqua calò bruscamente, rendendo il benessere termale ancora più lieve. L’acqua calda ovattava la realtà nel tepore. Daniele e Viola smisero di parlare. Stettero lì, imbambolati, prigionieri di un incantamento, cullati dal suono della sorgente e dai rumori di quella notte agreste, l’ultima notte dell’anno.
Quando Daniele guardò la sua ragazza, la trovò con gli occhi chiusi. Piangeva. Non ne era totalmente sicuro. Ma la conosceva troppo bene per sapere che non erano gocce, quelle, ma lacrime. Lacrime di gioia e dispiacere, di rabbia e follia, di infantile rancore. Lacrime di vita piena e intensa, tortuosa, giunta a un bivio, forse. L’uomo che le stava accanto la teneva sull’orlo di un precipizio e le era venuta una paura terribile di cadere, se cado adesso muoio, non lasciarmi andare giù, ti prego.
Daniele la strinse a sé, abbracciandole i seni. Le asciugò le lacrime con le sue mani forti, le accarezzò il viso con baci sussurrati. Le palpebre di Viola si schiusero per un attimo, ma Daniele le riabbassò dolcemente. Continuò a trasmetterle energia massaggiandole il corpo, fino a concentrarsi sui piedi. Era la cosa che più lo attirava di Viola. La conclusione del discorso, diceva, la parte più bella e sexy e indimenticabile di una donna. Il dessert. Sospesi nell’aria gelida, i piedi di Viola rimasero ad aspettare che succedesse qualcosa. Nell’attesa si agitavano come quelli di un neonato che non vuole essere vestito. Vennero presto bloccati – dove credete di scappare, voi? – travolti da un’ondata di foga incontenibile. Il pianto si era fermato di colpo, espulso da quella momentanea sospensione del tempo. Daniele prese a fare versi strani, lupo affamato, Viola lo seguì. Sempre più forte, sempre più su, avanti tutta – dobbiamo morire insieme – fino a urlare ancora. La valle sentì nuovamente tutto ciò che avevano provato, ma non lo avrebbe confessato a nessuno. Fu la loro più bella notte d’amore. Una tequila bum bum bevuta tre volte di fila. La mezzanotte celebrata prima, dopo e durante. La mezzanotte dimenticata. Finite le feste, si resero conto di aver lasciato i vestiti vicino alla pozza più in basso. Il cavaliere smascherato si armò di coraggio e corse giù a prendere le borse di asciugamani. Viola tornò a respirare. Uscì dall’acqua prima che lui tornasse, per il caldo eccessivo. Le mani si erano raggrinzite e i suoi piedi – i piedi – s’intonavano perfettamente al suo nome.
Daniele l’avvolse in un grande accappatoio e la strofinò con forza. Dopo essersi asciugati, si rivestirono senza eccessiva cura e bevvero insieme la bottiglia di brachetto.
Tornò di nuovo il silenzio, e l’incantamento. Non tornarono più le lacrime. Per tutto il viaggio, Daniele non fece altro che starnutire.