Capitolo quattordicesimo
Le prime parole del bambino quando riapre gli occhi sono: – Hai portato Jeremiah?
– Ti racconto di Jeremiah tra poco. Prima voglio sapere come ti senti.
– Ho in bocca il sapore delle pesche marce e mi brucia la gola. Mi hanno dato il gelato ma il sapore cattivo è tornato. Dicono che mi toglieranno il sangue vecchio e mi inietteranno quello nuovo nelle vene, poi sarò guarito. Dov’è Jeremiah?
– Mi dispiace dirti che Jeremiah è ancora all’Accademia mentre Alëša cerca una gabbia grande abbastanza per lui. Se non la trova, ne costruirà una nuova. Poi porterà Jeremiah in autobus. Lo ha promesso. Ma intanto – guarda! – ti ho portato due nuovi amici.
– Che sono?
– Passeri. Dopo aver parlato con Alëša mi sono fermato al negozio degli animali e te ne ho comprati due. Ti piacciono? Si chiamano Rinci e Dinci. Rinci è maschio e Dinci è femmina.
– Non li voglio. Voglio Jeremiah.
– Jeremiah sta per arrivare. Ma penso che dovresti essere piú gentile con i tuoi due nuovi amici. È tutta la mattina che aspettano di incontrarti. Senti come cinguettano? Cosa dicono?
– Non dicono niente. Sono uccelli.
– Il famoso David! Il famoso David! È questo che dicono e ripetono nella loro lingua. E adesso dimmi cos’è questa storia del sangue nuovo…
– Mandano il nuovo sangue col treno. Il dottor Ribeiro me lo inietterà.
– Bene. Questo è promettente. Cosa vuoi che faccia con Rinci e Dinci?
– Liberali.
– Sei sicuro? Sono uccelli da negozio di animali. Non sono abituati a difendersi. E se un falco li prende e se li mangia?
– Liberali dentro, dove non ci sono falchi.
– Lo farò, ma poi ti dovrai ricordare di dargli da mangiare. Ti porterò il mangime domani. Intanto gli puoi dare le briciole del pane.
Ci vuole un po’ per persuadere le due bestiole a lasciare la loro gabbia. Una volta liberi svolazzano per la stanza sbattendo sugli oggetti, poi alla fine si mettono uno vicino all’altro sul bastone di una tenda, con l’aria infelice.
La storia del sangue nuovo si dimostra vera, o in parte vera, come lui scopre dallo stesso dottor Ribeiro. È il protocollo dell’ospedale avere a disposizione sangue per ogni paziente ricoverato, in caso ne avesse bisogno. Poiché quello di David è di un tipo raro, lo hanno dovuto richiedere a Novilla.
– Pensa di fare una trasfusione di sangue a David? Per via delle crisi?
– No, no, non ha capito. Quello del sangue è un altro discorso. Il sangue ci deve essere, per precauzione, in caso di emergenza. Questa è la nostra prassi abituale.
– E il sangue sta arrivando?
– Sarà spedito non appena la banca del sangue di Novilla troverà un donatore. E ci può volere un po’ di tempo. Come le ho detto, il sangue di David è di un tipo raro. Molto raro. Quanto alle crisi, abbiamo iniziato una nuova terapia per controllarle. Vedremo come va.
I nuovi farmaci non solo danno sonnolenza a David, ma apparentemente lo deprimono pure. La lezione del mattino con la señora Devito viene cancellata. Quando arrivano le visite dal caseggiato, lui, Simón, li prega di tacere e lasciarlo dormire. Ma ben presto c’è una novità: Alëša, il giovane insegnante dell’Accademia al quale il bambino si sentiva piú vicino, arriva insieme ad alcuni compagni di classe di David. Alëša porta – con aria trionfante – una gabbia di fil di ferro contenente l’agnello Jeremiah, o almeno l’ultimo della serie di agnelli, tutti di nome Jeremiah.
Quando Jeremiah viene liberato non c’è piú modo di controllare i bambini, che corrono qua e là gridando e ridendo cercando di acchiapparlo mentre quello scappa e scivola con i piccoli zoccoli sul pavimento liscio.
Lui, Simón, tiene gli occhi aperti sul cane nella sua tana sotto il letto. E tuttavia reagisce tardi quando Bolívar esce fuori e piomba sull’agnello ignaro. Fa in tempo a buttarsi sul cane, prenderlo per il collo e lottarci fino a immobilizzarlo.
La grossa bestia si divincola per liberarsi. – Non riesco a tenerlo! – grida ad Alëša ansimando. – Porta via l’agnello!
Alëša chiude in un angolo l’agnello belante e lo solleva.
Ora lui lascia Bolívar, che comincia a girare intorno ad Alëša, in attesa di spiccare un salto, non appena l’altro si stanca.
– Bolívar! – È la voce di David. Seduto sul letto col braccio alzato, indica col dito. – Vieni!
Con un semplice balzo il cane salta sul letto e rimane lí, a fissare David. Nella stanza cala il silenzio.
– Dammi Jeremiah!
Alëša mette giú l’agnello e lo depone tra le braccia di David, e quello smette di scalciare e divincolarsi.
Per un bel pezzo si fissano: il ragazzino con l’agnello tra le braccia e il cane leggermente ansimante che ancora aspetta il suo momento.
L’arrivo di Dmitri spezza l’incanto. – Ciao, bambini! Che succede? Ciao, Alëša, come va?
Alëša fa segno con durezza a Dmitri di tacere. Tra i due non c’è mai stata troppa simpatia.
– E tu, David, – dice Dmitri, – che fai?
– Insegno a Bolívar a essere buono.
– Il cane è cugino del lupo, ragazzo mio. Non lo sapevi? Non potrai mai insegnare a Bolívar a essere buono con gli agnellini. È nella sua natura cacciarli, azzannarli alla gola e sbranarli.
– Bolívar mi darà retta –. E protende l’agnello verso il cane. L’agnello si divincola dalla sua presa. Bolívar non si muove, ma continua a fissare il bambino negli occhi.
All’improvviso il ragazzino si stanca e si lascia cadere giú sul letto. – Prendilo, Alëša, – dice.
Alëša gli prende l’agnello. – Venite, bambini. Salutate adesso. Per David è ora di riposare. Ciao, David. Torniamo domani, con Jeremiah.
– Lascialo qui, Jeremiah, – ordina il ragazzino.
– Non è una buona idea, non con Bolívar in giro. Lo riportiamo domani, giuro.
– No. Voglio che resti.
E cosí si chiude la discussione: prevale la volontà di David. Jeremiah viene lasciato lí nella sua gabbia di fil di ferro, con uno strato di giornali per assorbirne l’urina e un mazzo di spinaci dalla cucina per nutrirlo.
Quando Inés arriva per il suo turno l’agnello è beatamente addormentato. Anche lei si addormenta. Quando si sveglia, alle prime luci dell’alba, la gabbia è riversa su un lato e dell’agnello non è rimasto niente tranne la testa e un mucchio insanguinato di pelle e di resti sul pavimento che prima era pulito.
Lei guarda sotto il letto e incontra lo sguardo impassibile del cane. In punta di piedi esce dalla camera e torna con un secchio e uno straccio, e pulisce come può il macello.