Capitolo tredicesimo
Trova il dottor Ribeiro nel suo studio. – Ha un minuto? – chiede. – È da un po’ che non ci dice niente di come sta David.
– Si sieda, – dice il dottor Ribeiro. – Il caso di suo figlio si sta dimostrando difficile: non risponde al trattamento come vorremmo, e questo ci preoccupa. Ho discusso il suo caso con il collega di Novilla specializzato in malattie reumatiche, e abbiamo deciso di fare una nuova serie di esami. Senza entrare nei dettagli, mi diceva che David ha cominciato a seguire lezioni di danza intensive molto presto e poi di recente ha praticato altri sport, calcio, eccetera. Di conseguenza stiamo esplorando l’ipotesi che le articolazioni, ginocchia e caviglie in particolare, siano divenute il bersaglio di una reazione.
– Una reazione a cosa?
– A uno stress eccessivo, in età precoce. Abbiamo inviato i campioni di fluido prelevato in laboratorio. Aspetto i risultati in giornata o al piú tardi domani.
– Ah, ecco. È comune che i bambini fisicamente attivi reagiscano in questo modo?
– No. Non è comune, ma è possibile. Dobbiamo investigare tutte le possibilità.
– David soffre per il dolore la maggior parte del tempo. Ha perso peso. Ha una brutta cera e poi è spaventato. Qualcuno, non so chi, gli ha detto che sta per morire.
– Questo è assurdo. Noi prendiamo sul serio le preoccupazioni dei nostri pazienti, señor Simón. Non sarebbe professionale se non lo facessimo, ma non è assolutamente vero che David è in pericolo. È un caso difficile, come ho detto, ci può anche essere un elemento di idiopatia in questo, ma noi ci stiamo dedicando alla cosa. Risolveremo il mistero. E lui tornerà al suo calcio e alla sua danza, prima o poi. Glielo dica questo da parte mia.
– E le cadute? I suoi problemi non sono cominciati con il dolore alle articolazioni, come sa. Sono cominciati quando è caduto durante una partita di pallone.
– Le cadute sono un discorso a parte. Di questo sono abbastanza sicuro. La caduta ha una semplice causa neurologica. Saremo in grado di affrontare gli spasmi che portano alla caduta quando starà meglio fisicamente, una volta rientrata l’infiammazione e finito il dolore. Ci sono varie possibilità diagnostiche che possiamo esplorare: una sorta di disturbo vestibolare che si manifesta come vertigine, per esempio, o una patologia rara nota come corea. Tutto questo richiede tempo. Non possiamo mettere fretta al corpo che si ripara. Una volta che il corpo è guarito, possiamo cominciare con una serie di esercizi per rafforzare i muscoli. Adesso mi scusi, ma…
Lui ciondola svogliatamente per il parco dell’ospedale, in attesa che finisca la lezione con la señora Devito per poter stare solo con David.
– Com’era la lezione? – gli chiede.
Il ragazzino ignora la domanda. – Inés mi massaggia le gambe, – dice. – Me le puoi massaggiare anche tu?
– Certo! Ti fa passare un po’ il dolore il massaggio alle gambe?
– Un poco.
Cautamente il bambino si stende e tira giú i pantaloni. Con la crema dell’armadietto gli massaggia cosce e polpacci, attento a non premere sulle ginocchia gonfie.
– Inés vuole essere buona con me, vuole essere mia madre, ma non è possibile, vero? – dice.
– Certo che è possibile. Ha per te una devozione di cui è capace solo una madre.
– Mi piace, anche se non può essere mia madre. Anche tu mi piaci, Simón. Tutti e due mi piacete.
– Meno male. Inés e io ti vogliamo bene e ti proteggeremo sempre.
– Ma non potete impedirmi di morire, vero?
– Sí che possiamo. Vedrai. Inés e io saremo vecchietti quando verrà il tuo tempo di fiorire. Tu allora sarai un famoso danzatore, o un famoso calciatore, o un famoso matematico, quello che vuoi, forse tutte e tre le cose. Noi saremo fieri di te, puoi starne certo.
– Quando ero piccolo volevo essere come Don Chisciotte e salvare la gente. Ti ricordi?
– Certo che mi ricordo. Salvare la gente è un nobile ideale da perseguire. Anche se non ne fai la tua professione, come Don Chisciotte, puoi salvarla nel tempo libero, quando non fai matematica o non giochi a calcio.
– Stai scherzando, Simón?
– Sí.
– La matematica è la stessa cosa dei numeri?
– In un certo senso. Non ci sarebbe matematica se non ci fossero i numeri.
– Mi sa che farò solo i numeri, non la matematica.
– Raccontami della tua lezione con la señora Devito.
– Le ho detto come si balla il Sette e come si balla il Nove. Ma lei dice che la danza non è importante. Dice che non ti prepara per la vita. Dice che devo imparare la matematica perché tutto viene dalla matematica. Lei dice che se sei molto intelligente non hai bisogno di pensare con le parole, puoi pensare con la matematica. Lei è amica di Dmitri. Pensi che Dmitri la ucciderà?
– No di certo. Non lo avrebbero mai fatto uscire dal reparto chiuso dell’ospedale se avessero pensato che avrebbe ucciso ancora. No, Dmitri è cambiato. Curato e cambiato. I medici hanno fatto un bel lavoro con lui, e faranno un bel lavoro anche con te. Vedrai. Devi essere paziente.
– Dmitri dice che i medici non sanno di cosa parlano.
– Dmitri non sa nulla di medicina, è solo un inserviente. Un uomo delle pulizie. Non dare retta a quello che dice.
– Dice che se muoio lui si uccide cosí mi può seguire. Dice che io sono il suo re.
– Dmitri è sempre stato un po’ svitato, un po’ matto. Parlerò con il dottor Ribeiro per chiedere se è possibile che spostino Dmitri a un altro piano. Queste chiacchiere macabre non ti fanno bene.
– Dice che quando muoiono porta le persone nel seminterrato e le mette nel freezer. Dice che è il suo lavoro. Pensi che sia vero? Le mette davvero nel freezer?
– Ora basta, David. Basta con questi discorsi macabri. Ti ha fatto bene il massaggio?
– Un poco.
– Bene, tirati su i pantaloni. Io starò qui vicino a te e ti terrò la mano. E tu ti farai un sonnellino. Cosí quando arrivano i tuoi amici ti sentirai meglio, piú riposato.
E di fatto nelle due ore successive il bambino dorme, anche se a tratti. Quando arrivano gli amici ha un aspetto migliore, gli occhi piú vivi.
Sono meno di quelli del giorno prima, ma il piccolo Artemio c’è, come anche María Prudencia e il ragazzo alto dell’orfanotrofio. María ha portato un mazzolino di fiori di campo e lo deposita senza cerimonie sul letto.
María comincia a piacergli.
– Che cosa volete sentire? – chiede David. – Volete che continui con Don Chisciotte?
– Sí! Don Chisciotte! Don Chisciotte!
– Don Chisciotte cavalcò nella tempesta. Il cielo si era oscurato e c’erano mulinelli di sabbia. Un lampo rivelò le mura di un castello. Fermandosi davanti ai bastioni gridò: «Ecco, l’audace Don Chisciotte è arrivato! Spalancate le porte!»
Tre volte dovette gridare: «Don Chisciotte è arrivato!» prima che le porte si aprissero cigolando. A cavallo di Ombra, il suo destriero, Don Chisciotte entrò nel castello.
Ma era appena entrato che le porte gli si chiusero alle spalle e una voce risuonò: «Benvenuto, audace Don Chisciotte, al Castello dei Perduti. Io sono il Principe delle Terre Deserte e da oggi in poi tu sarai mio schiavo!»
Allora i servi, armati di randelli e di bastoni, piombarono su Don Chisciotte. Anche se si difese valorosamente fu trascinato giú dal cavallo, spogliato dell’armatura, e gettato in una segreta dove si trovò in compagnia di decine di altri sfortunati viandanti catturati e ridotti in schiavitú dal Principe delle Terre Deserte.
«Siete voi il famoso Don Chisciotte?», chiese il capo degli schiavi.
«Ebbene sí», disse Don Chisciotte.
«Il Don Chisciotte di cui si dice, Non c’è catena che lo possa legare, né prigione che lo possa rinchiudere?»
«Ebbene sí, proprio cosí», disse Don Chisciotte.
«Allora liberateci, Don Chisciotte! – implorò il capo degli schiavi. – Liberateci dal nostro terribile fato!»
«Liberateci! Liberateci!», si alzò un coro di grida degli altri schiavi.
«Non dubitate che vi libererò, – disse Don Chisciotte. – Ma abbiate pazienza. Il momento e il modo della vostra liberazione ancora non mi è chiaro».
«Liberateci adesso! – gridarono in coro. – Abbiamo pazientato abbastanza! Se davvero siete Don Chisciotte, liberateci! Fate che cadano le nostre catene! E che le mura delle nostre prigioni si tramutino in polvere!»
Allora Don Chisciotte si adirò. «Il mio è il destino del cavaliere errante, – disse. – Vago nel mondo intero riparando ai torti. Non faccio stregonerie. Mi chiedete miracoli ma non mi offrite da mangiare né da bere. Vergogna!»
Allora gli schiavi, confusi, gli portarono da mangiare e da bere e chiesero a Don Chisciotte di perdonare la loro villania. «Qualunque cosa ci comanderete faremo, Don Chisciotte, – dissero. – Liberateci dalla prigionia e vi seguiremo anche in capo al mondo».
David si ferma. In silenzio i bambini aspettano la parola successiva.
– Ora sono stanco, – dice. – Adesso basta.
– Non ci puoi dire almeno cosa succede subito dopo? – chiede il ragazzo alto. – Libera i prigionieri? Riesce a fuggire dal castello?
– Sono stanco. È tutto buio –. Stringendosi le ginocchia al petto, David scivola sotto le coperte. Il volto prende un’espressione assente.
Dmitri fa un passo avanti con un dito sulle labbra. – È ora di andare, miei cari ragazzi. La giornata del nostro maestro è stata lunga e ora deve riposare. Ma che c’è qui? – Si fruga nelle tasche e tira fuori manciate di caramelle che distribuisce a destra e a manca.
– Ma David starà meglio? – chiede il piccolo Artemio.
– Certo che starà meglio! Pensate che una banda di pigmei in camice bianco possa sgominare il valoroso David? No: nemmeno tutti i dottori del mondo potrebbero. Lui è un leone, un vero leone, il nostro David. Tornate domani e vedrete –. E spinge i bambini giú per il corridoio.
Lui, Simón, lo segue. – Dmitri! Possiamo parlare? Quello che hai detto dei medici… non credi sia irresponsabile disprezzarli cosí davanti a David? Se non stai dalla loro parte, da che parte stai?
– Da quella di David, naturalmente. Dalla parte della verità. Conosco questi dottori, Simón, con la loro cosiddetta scienza medica. Non credi che s’imparino un paio di cose sui dottori pulendo il merdaio che si lasciano dietro? Questi non hanno idea di cosa abbia tuo figlio, nemmeno una pallida idea. Costruiscono una storia man mano… la inventano e sperano che gli vada bene. Ma non ti preoccupare. David guarirà da solo. Non mi credi? Vieni e lo sentirai dalle sue labbra.
David li guarda impassibili quando rientrano.
– Di’ a Simón quello che hai detto a me, giovane David. Hai fiducia in questi dottori? Credi che riusciranno a salvarti?
– Sí, – sussurra il bambino.
– Questo è molto generoso da parte tua, – dice Dmitri. – Però non è quello che hai detto a me. Ma sei sempre stato un’anima generosa. Generosa, gentile e profonda. Simón era preoccupato per te, pensava che stessi peggiorando. Ma gli ho detto di non temere. Gli ho detto che guarirai da solo, nonostante i tuoi dottori. Guarirai, non è vero? Proprio come ho fatto io cacciando via il male da me.
– Voglio vedere Jeremiah, – dice il bambino.
– Jeremiah? – chiede lui, Simón.
– Parla dell’agnello, Jeremiah, – dice Dmitri. – L’agnello che tengono nel piccolo zoo dietro l’Accademia. Jeremiah è cresciuto, ragazzo mio, non è piú un agnello, è diventato una pecora. Mi sa che ti sei mangiato un po’ del cosciotto di Jeremiah ieri sera a cena.
– Non è cresciuto. È ancora lí. Simón, mi puoi portare Jeremiah?
– Te lo porto, sí. Vado in Accademia e se Jeremiah è ancora lí te lo porto. Ma se dovessi scoprire che Jeremiah non c’è, ti piacerebbe che ti portassi un altro animale?
– Jeremiah è lí. Io lo so.
Le crisi cominciano quella stessa notte, mentre con lui c’è Inés. Iniziano come semplici tremori: il ragazzino si irrigidisce, stringe i pugni, digrigna i denti e fa delle smorfie; poi i muscoli si rilassano e lui torna quello di prima. Ma dopo poco i tremori riprendono, piú intensi, e si susseguono a ondate. Dalla gola gli esce un mugolio – «come se dentro gli si strappasse qualcosa», riferisce Inés. Rovescia gli occhi nelle orbite, gli si inarca la schiena e comincia una vera e propria crisi, la prima di una serie.
Il medico di guardia, giovane e inesperto, gli somministra un antispastico, ma senza successo. Le crisi vengono sempre piú frequenti, una dopo l’altra, quasi senza sosta.
Quando dà il cambio a Inés, la tempesta è finita. Il ragazzino è privo di sensi o dorme, e di tanto in tanto è scosso da un lieve tremore.
– Almeno sappiamo cos’è, – dice.
Inés lo guarda senza capire.
– Almeno sappiamo cosa genera il problema.
– Sarebbe a dire?
– Sappiamo la causa delle cadute. La causa delle assenze, di quando sembra sia altrove. Anche se non si può curare, almeno sappiamo cos’è. Che è meglio di niente. Meglio che non sapere. Vai a casa, Inés. Dormi un po’ e lascia perdere il negozio. Il negozio si arrangerà.
Libera la mano di lei da quella del bambino. Lei lascia fare. Poi lui fa qualcosa che fino a quel momento non ha avuto il coraggio di fare: allunga una mano, le tocca il viso, la bacia sulla fronte. Lei scoppia in singhiozzi; lui la tiene stretta, lasciando che pianga, lasciando che sfoghi il suo dolore.