Capitolo sesto

È ora di cena ma David non si vede. Lui, Simón, sta per andare in cerca della pecorella smarrita quando la pecorella smarrita si presenta. Scarpe e vestiti sporchi di fango, camicia strappata.

– Che ti è successo? – chiede Inés. – Stavamo in pena.

– Mi si è rotta la bicicletta, – dice il ragazzino. – Ho dovuto camminare.

– Allora adesso fatti il bagno e mettiti il pigiama, mentre scaldo in forno la tua cena.

Durante il pasto cercano di tirargli fuori qualcosa di piú. Ma lui divora il cibo rifiutandosi di parlare, poi si rifugia nella sua stanza sbattendo la porta.

– Che gli sarà successo che è cosí arrabbiato? – mormora lui a Inés.

Lei alza le spalle.

All’alba lui va nel capanno per controllare la bicicletta rotta ma non c’è nessuna bicicletta. Bussa alla porta di Inés. – La bicicletta di David è scomparsa, – dice.

– I suoi vestiti sanno di fumo di sigaretta, – dice Inés. – Dieci anni e fuma. Questa storia non mi piace per niente. Ora devo andare. Quando si sveglia gli devi parlare.

Pian piano lui apre la porta della stanza del ragazzino, che è disteso sul letto in un sonno profondo. Tra i capelli ha scaglie di fango, sotto le unghie terra. Gli stringe una spalla e lo scuote dolcemente. – È ora di alzarsi, – gli sussurra. Il bambino emette un gemito e si gira dall’altra parte.

Lui va in bagno ad annusare i vestiti che si è tolto. Inés ha ragione: puzzano di fumo.

Sono le dieci passate quando il ragazzino emerge, strofinandosi gli occhi.

– Mi puoi spiegare che è successo ieri sera? – dice lui, Simón. – Comincia col dire dov’è la tua bicicletta.

– Si è storta la ruota e non potevo pedalare.

– E dov’è?

– All’orfanotrofio.

Cosí, un passo per volta, si delinea la storia. David è andato all’orfanotrofio per giocare a pallone. All’orfanotrofio uno dei ragazzi piú grandi si era impadronito della bicicletta ed era finito nel canale, distruggendo la ruota anteriore. David aveva abbandonato lí la bicicletta ed era tornato a casa a piedi nel buio.

– Sei andato a giocare a calcio, qualcuno ti ha preso la bicicletta e l’ha rotta e tu sei tornato a casa a piedi. È tutta qui la storia? Mi hai detto tutto? David, tu non ci hai mai mentito. Per favore non cominciare adesso. Hai fumato: io e Inés abbiamo sentito la puzza di fumo sui tuoi vestiti.

Altri elementi della storia cominciano a venire a galla. Dopo la partita i ragazzi dell’orfanotrofio avevano fatto un fuoco e arrostito le rane e i pesci del fiume. I piú grandi, maschi e femmine, avevano fumato e bevuto. Lui, David, non aveva fumato né bevuto. Il vino non gli piaceva.

– Pensi sia una buona idea per un bambino di dieci anni unirsi a un gruppo di ragazzi e ragazze molto piú grandi, che fumano e bevono e Dio sa cos’altro fanno?

– Che altro fanno?

– Non importa. I tuoi amici del caseggiato non vanno piú bene per te? Che bisogno hai di andare all’orfanotrofio?

Fino a quel punto David ha risposto abbastanza docilmente alle sue domande. Ma adesso si risente. – Tu odi gli orfani! Pensi che siano cattivi! Tu vuoi che io sia quello che tu pensi che io sia, non vuoi che io sia quello che io penso di essere.

– E chi pensi di essere?

– Io sono quello che sono!

– Sei quello che sei fino a che uno piú grosso di te non ti porta via la bicicletta. Allora sei solo un bambino inerme di dieci anni. Non ho mai detto che i bambini dell’orfanotrofio sono cattivi. Non esistono bambini cattivi. I bambini sono tutti uguali, piú o meno, tranne che per l’età. Un ragazzino di dieci anni non è uguale a uno di sedici di un orfanotrofio dove le regole sono cosí permissive che si può fumare e bere impunemente.

– Che vuol dire impunemente?

– Senza essere puniti. Senza essere puniti dal dottor Julio.

– Tu odi il dottor Julio.

– Non lo odio ma nemmeno mi piace. Lo trovo arrogante e vanesio. E non lo ritengo un buon educatore. Penso che abbia i suoi motivi per volerti nel suo orfanotrofio, motivi che non vedi perché non hai abbastanza esperienza del mondo.

– A te non piaceva Dmitri e ora non ti piace il dottor Julio! A te non piacciono quelli che hanno un cuore grande!

Dmitri! Pensava che il bambino avesse dimenticato Dmitri, il mostro che aveva strangolato la señora Arroyo, che era stato dichiarato pazzo ed era stato rinchiuso da quel momento in poi.

– Dmitri non aveva un cuore grande, David, tutt’altro. Dmitri era una persona malvagia fino al midollo, il piú nero dei cuori. Quanto al dottor Julio, le ragioni che ti spingono a seguirlo sono un mistero assoluto per me.

– Io non ho ragioni e non seguo il dottor Julio. Non ho ragioni per nessuna cosa. Sei tu quello che le ha.

Lui si alza dalla tavola. Già troppe volte hanno avuto questa discussione, lui e il ragazzino. Non ne può piú. – Io e tua madre abbiamo deciso che devi smettere di andare all’orfanotrofio del dottor Fabricante. Fine della storia.

Quando Inés rientra lui le fa il suo rapporto. – Ho parlato con David. Dice che è stato con ragazzi piú grandi che fumavano. Ma lui non ha fumato. Io gli credo. Però gli ho detto che le visite all’orfanotrofio sono finite.

Inés scuote il capo, lontana. – Avrebbe dovuto frequentare una scuola normale fin dall’inizio, e allora ci saremmo risparmiati tutta questa storia dell’orfanotrofio.

La scuola normale che David avrebbe dovuto frequentare: è un’altra delle discussioni infinite. Lui e Inés sono insieme da quasi cinque anni, abbastanza da essere annoiati uno dall’altra. Inés non è il tipo di donna che lui avrebbe scelto se fosse stato libero di scegliere, e lui non è il tipo di uomo che lei avrebbe scelto se fosse stata interessata agli uomini. Ma lei è la madre del bambino, in un certo senso, e lui è il padre del bambino, in un certo senso, perciò in un certo senso non si possono separare.

Quanto al ragazzino: è giovane e inquieto. Non sorprende la sua impazienza per la routine della vita del caseggiato, e nemmeno tanto che possa essersi sentito pronto ad abbandonare la casa e i genitori per tuffarsi nella vita nuova ed esotica dell’orfano.

Come dovrebbero reagire lui e Inés: proibire ogni contatto con l’orfanotrofio o dare al ragazzo la libertà di volare via verso la sua avventura, nella speranza che prima o poi ritorni deluso al nido? Lui sarebbe portato alla seconda ipotesi; ma sarà possibile persuadere Inés a lasciar andare suo figlio?

Si sveglia sentendo bussare alla porta. Sono le sei e mezzo, il sole non è ancora sorto.

È l’uomo con la tuta blu, l’autista dell’orfanotrofio. – Buongiorno, sono venuto a prendere il ragazzo.

– David? È venuto a prendere David?

Si sente un pesticciare sulle scale e compare David, zainetto in spalla, che si trascina dietro una delle grandi borse di Inés.

– Che succede? – dice lui, Simón.

– Vado all’orfanotrofio.

Emerge Inés in vestaglia, i capelli arruffati. – Che ci fa qui quest’uomo? – chiede.

– Vado all’orfanotrofio, – ripete il bambino.

– Non farai niente del genere!

Cerca di strappargli la borsa dalle mani, ma lui la tira indietro. – Lasciami in pace, non mi toccare! – grida. – Non sei mia madre!

Lui, Simón, si rivolge all’autista. – Vada pure, c’è stato un equivoco. David non andrà all’orfanotrofio.

– Sí che ci andrò! – grida il bambino. – Tu non sei mio padre! Non mi puoi dire cosa devo fare!

– Vada! – ripete lui all’autista. – Sistemeremo la cosa tra di noi.

Con un’alzata di spalle, l’autista se ne va.

– Adesso andiamo su e parliamo di questa cosa con calma, – dice lui.

Il bambino lascia che prendano la borsa con una faccia inespressiva. I tre salgono su fino all’appartamento di Inés, dove lui si ritira nella sua stanza, sbattendo la porta.

Inés svuota la borsa a terra: abiti, scarpe, il Don Chisciotte, due pacchetti di cracker, un barattolo di pesche in scatola e un apriscatole.

– Che dobbiamo fare? – dice lui. – Non lo possiamo tenere prigioniero.

– Da che parte stai? – chiede Inés.

– Sto dalla parte tua. Siamo insieme in questa cosa.

– Allora trova una soluzione.

Non lo possiamo tenere prigioniero. E tuttavia quando Inés esce per andare al lavoro lui si siede sul divano, per stare di guardia.

Chiude gli occhi. Quando li riapre la porta della camera del ragazzino è aperta e lui se n’è andato.

Telefona a Inés. – Mi sono addormentato e David è scappato, – dice. – Mi dispiace.

– L’hai lasciato scappare e adesso ti dispiace? Tu sei sempre dispiaciuto. L’uomo del dispiacere. Non basta essere dispiaciuti, Simón. Va’ a riprenderlo.

– No, questo non lo farò, Inés. È inutile. Lui ha deciso. Lascia che assaggi la vita all’orfanotrofio. Quando avrà appreso la lezione, tornerà.

Segue un lungo silenzio.

– È tutta colpa tua dal principio alla fine, – conclude Inés. – Sei tu che hai portato quell’uomo, Fabricante, a casa nostra. Sei tu quello troppo debole per tenere testa al bambino, sei tu che cedi sempre e gli lasci fare quello che vuole. Se ti rifiuti di andarlo a prendere, e lo fai fare a me, tra noi due è finita. Hai capito?

– Capisco quello che dici. Capisco che sei inquieta. Ma non sono d’accordo su David. Io credo che in questo caso dovremmo lasciarlo andare.

– Allora te ne assumi la responsabilità.