Capitolo nono
Vanno da un pediatra, un consulente dell’ospedale cittadino, caldamente raccomandato da Inocencia, una delle colleghe di Inés da Modas Modernas («La mia piccola non faceva che tossire e ansimare in continuazione e nessun medico era riuscito ad aiutarla, eravamo disperati, poi l’abbiamo portata dal dottor Ribeiro, e da allora non ha avuto piú nemmeno una crisi»).
Il dottor Ribeiro si rivela un uomo di mezza età, grassoccio, e mezzo calvo. Porta occhiali dalla montatura cosí larga che la faccia sembra scomparire. Saluta distrattamente Inés e lui, Simón: è su David che si concentra.
– Tua madre mi ha detto che hai avuto un incidente durante una partita di pallone, – dice. – Puoi raccontarmi esattamente cosa è successo?
– Sono caduto. Non solo giocando a pallone. Sono caduto tante volte, solo che non l’ho detto a nessuno.
– Non lo hai detto ai tuoi genitori?
Adesso è il momento per David di ripetere che lui e Inés non sono i suoi veri genitori, che lui è un orfano solo al mondo. E invece no: guardando dritto in faccia il dottor Ribeiro dice: – Non l’ho detto ai miei genitori. Si sarebbero preoccupati.
– D’accordo. Ora raccontami delle cadute. Succede solo quando corri, o anche quando stai camminando?
– Succede sempre. Succede quando sono sdraiato a letto.
– E prima di cadere, quando stai per cadere, hai la sensazione di perdere l’equilibrio?
– Mi sembra che il mondo si inclini da una parte e io cado giú, e tutta l’aria esce fuori da me.
– Ti spaventa il mondo che si inclina?
– No. Niente mi spaventa.
– Niente ti spaventa? Gli animali selvaggi? I ladri con le pistole?
– No.
– Allora sei un ragazzino coraggioso. Quando cadi perdi coscienza? Sai cosa vuol dire perdere coscienza?
– Non perdo coscienza. Vedo tutto quello che succede.
– E come ti senti quando stai per cadere, quando cominci a cadere?
– Mi sento bene. È come essere ubriaco. Sento dei suoni.
– Che suoni senti?
– Sento cantare. Dei campanellini risuonare nel vento.
– Di’ al dottore delle tue ginocchia, – dice Inés, – del dolore che hai alle ginocchia.
Il dottor Ribeiro alza una mano in segno di avvertimento. – Alle ginocchia ci arriveremo, tra un momento. Prima voglio sentire di piú sulle cadute. Quando sei caduto la prima volta? Te lo ricordi?
– Ero a letto. Tutto si è inclinato tanto che mi sono dovuto reggere forte per non cadere giú.
– È successo molto tempo fa?
– Parecchio.
– Va bene. Adesso diamo un’occhiata a queste tue ginocchia. Spogliati e sdraiati sulla schiena. Ti aiuto io. Forse i tuoi genitori possono uscire.
Lui e Inés aspettano sulla panca in corridoio. Dopo un po’ la porta si apre e il dottor Ribeiro li fa rientrare.
– È proprio un enigma la condizione che ci presenta il giovane David, – dice il dottor Ribeiro. – Vi sarete chiesti se non si tratti di quello che un tempo veniva definito il malcaduco. Il mio primo impulso è di escluderlo; ma questo andrà confermato con ulteriori ricerche. Le articolazioni di David sono rigide e infiammate… non solo le ginocchia ma anche i fianchi e le caviglie. Non mi sorprende che gli facciano male e nemmeno che a volte cada. È una condizione che talora si incontra nei pazienti anziani. Ci sono stati cambiamenti recenti nella sua dieta che potrebbero aver causato questa reazione?
Lui e Inés si guardano. – Non ha mangiato a casa, – dice Inés. – È stato all’orfanotrofio sul fiume.
– L’orfanotrofio sul fiume. Forse mi può mettere in contatto con questo istituto, cosí potrò scoprire se ci sono stati altri casi oltre a quello di David.
– Si chiama Las Manos, – dice lui, Simón. – La persona che si occupa dell’infermeria è una certa Sister Luisa. Ci ha detto che non era in grado di curare David e ci ha chiesto di riportarlo a casa. Lei dovrebbe essere in grado di dirle quello che vuole sapere.
Il dottor Ribeiro scrive un appunto sul suo taccuino. – Vorrei che David passasse un giorno o due sotto osservazione nell’ospedale cittadino, – dice. – Vi farò la prescrizione per il ricovero. Portatelo domani mattina. Cominceremo sperimentando le sue reazioni a diversi alimenti. Sei d’accordo, David? Vogliamo fare cosí?
– Diventerò un invalido?
– Certamente no.
– E gli altri bambini prenderanno la mia malattia?
– No. Quello che hai non è contagioso, non si attacca. Ora smettila di preoccuparti, giovanotto. Ti sistemeremo noi. Presto ricomincerai a giocare a pallone.
– E a ballare, – dice lui, Simón. – David è un grande ballerino. Studia danza all’Accademia di musica.
– Davvero, – dice il dottor Ribeiro. – Dunque ti piace ballare?
Il ragazzino ignora la domanda. – Non cado per via di quello che mangio, – dice.
– Ma noi non sempre sappiamo quello che c’è negli alimenti che mangiamo, – dice il dottor Ribeiro. – Soprattutto quando si tratta di cibi in scatola o conservati.
– Nessun altro cade. Sono io l’unico che cade.
Il dottor Ribeiro guarda l’orologio. – Ci vediamo domani, David. E allora approfondiremo la nostra ricerca.
Il giorno dopo portano David all’ospedale cittadino, dove vengono informati in merito alle regole illuminate seguite nel reparto pediatrico: le visite sono permesse a ogni ora del giorno e della notte, tranne che durante il giro dei medici.
David è assegnato al letto vicino alla finestra, poi subito portato via per una prima serie di esami. Torna ore dopo con l’aria contenta. – Il dottor Ribeiro mi farà un’iniezione per farmi stare meglio, – annuncia. – L’iniezione deve arrivare da Novilla, in treno, in un frigorifero.
– Questa è una bella notizia, – dice lui, Simón. – Ma pensavo che il dottor Ribeiro dovesse farti un test per le allergie. Ha cambiato idea?
– Ho una neuropatia alle gambe. L’iniezione ucciderà la neuropatia.
Dice neuropatía con sicurezza, come se sapesse cosa significa. Ma cosa significa?
Lui, Simón, scivola via e interroga l’unico dottore che trova, quello di guardia. – Nostro figlio dice che gli è stata diagnosticata una neuropatía. Mi può dire di che si tratta?
Il medico di guardia è evasivo. – Neuropatía è una definizione generica di un disturbo neurologico, – dice. – Farà bene a parlare col dottor Ribeiro. Lui le potrà spiegare.
Entra un’infermiera. – C’è il giro dei dottori! – grida. – I parenti sono pregati di uscire!
David li saluta sbrigativamente. Devono portargli il Don Chisciotte, dice. E devono dire a Dmitri di andarlo a trovare.
– Dmitri? Che c’entra Dmitri?
– Non lo sapete? Dmitri è qui all’ospedale. I medici gli danno le scosse, cosí lui non ucciderà piú nessuno.
– Di certo non vedrai Dmitri. Se davvero Dmitri è qui, sarà in una parte dell’ospedale chiusa come una prigione, con le sbarre alle finestre. Una parte riservata alle persone pericolose.
– Dmitri non è pericoloso. Voglio che mi venga a trovare.
Inés non riesce a controllarsi. – Assolutamente no! – sbotta. – Tu sei un bambino! Non devi avere niente a che fare con quell’abominevole creatura!
Lui e Inés, in attesa che i medici abbiano finito il loro giro, fanno una passeggiata nel parco dell’ospedale e discutono di questa nuova complicazione.
– Non credo che ci sia niente da temere da Dmitri, – dice. – È rinchiuso nell’ala psichiatrica di sicurezza. Il problema è: e se davvero il trattamento avesse funzionato? Se davvero i farmaci o l’elettroshock avessero fatto di lui un uomo nuovo? In quel caso dovremmo davvero proibire a David di vederlo?
– È ora di essere severi con questo ragazzino, mettere fine a queste assurdità, a quella di Dmitri e a quella dell’orfanotrofio, – risponde Inés. – Se non ci imponiamo adesso perderemo il controllo su di lui per sempre. Io stessa mi rimprovero, e prossimamente mi prenderò piú tempo libero dal negozio. Ho lasciato le cose in mano a te e tu sei troppo permissivo, troppo indulgente. Fa quello che gli pare con te… lo vedo di continuo. Ha bisogno di disciplina. Di qualcuno che lo guidi con fermezza nella vita.
Lui potrebbe dirle tante cose in risposta, ma si trattiene.
Quello che vorrebbe dire è: Indirizzare la vita di David forse sarebbe stato possibile quando aveva sei anni; ma oggi ci vorrebbe un domatore da circo con la frusta e la pistola per tenerlo sotto controllo. Quello che vorrebbe aggiungere è: Dobbiamo affrontare l’ipotesi che io e te fossimo destinati a essere i suoi genitori solo per un breve periodo; che ora è superato il tempo in cui potevamo essergli utili; che per noi è giunto il momento di lasciarlo andare per la sua strada.