In quei giorni arriva la notizia dell’arresto del comandante Neri. Qualcuno ha avuto l’idea di nominarlo vicecapo della polizia della città. La nomina lo ha messo sotto i riflettori della stampa e ben presto si becca una denuncia perché ha un figlio latitante, accusato di sequestro. Lo scandalo lo obbliga a rinunciare al suo incarico il giorno stesso. Poco dopo Neri viene seguito fino al nascondiglio di suo figlio, dove la polizia trova un dottore e la sua segretaria, sequestrati da due mesi. Vedo il suo volto familiare nei notiziari mentre dichiara alle telecamere che è tutto un complotto contro di lui e contro suo figlio per vecchie contese all’interno della polizia. I sequestrati non esistono, dice, sono parte di un complotto, e suo figlio era latitante, sì, ma perché stava fuggendo da un altro complotto architettato dai suoi stessi nemici. Quando gli chiedono il nome dei suoi nemici ha le palle di dire che il capo dei suoi nemici è niente meno che il direttore della polizia federale, la cui controversia con la polizia della città è storica. «Mio figlio era latitante per difendere me» dice Neri. «Ho accettato la nomina pensando che così facendo avrei potuto ripulire il suo nome. È andata così ed eccomi qui. Questa è la giustizia messicana. Non sanno in quali mani si stanno mettendo».

C’è convinzione e freschezza nelle sue parole, o forse solo cinismo ed eloquenza.

Antúnez non appare negli articoli. Chiamo Felo Fernández per chiedergli sue notizie. Mi dice che è scomparso. Secondo il suo ufficio, ha lasciato il paese. Gli chiedo se è latitante.

«Sarebbe la condizione perfetta, capo, perché la successiva è l’arresto».

Liliana torna da me due volte dopo il suo patto con Dorotea. Una di quelle volte, finisco in arresto cardiaco all’ospedale. L’altra, Liliana perde il dito mignolo della mano sinistra. Ometto le peripezie perché non voglio abusarne in un racconto che già ne ha a sufficienza, e perché ricordo appena i contorni precisi di quelle scorribande nella grande bruma felice in cui è sepolta la vera, abbagliante collezione dei miei ultimi giorni con Liliana Montoya, impossibile da ricordare.

Non c’è un minuto di tempo morto in quella bruma, è tutto tempo guadagnato anche se non ne ho alcun ricordo. Tutto brilla dentro me con la certezza di un impero perduto, di una civilizzazione scomparsa. Mi bastano le poche tracce rimaste, il nome di un bar, il buio di un corridoio, il sudore che scorre sulla schiena nuda di Liliana. Nel resto dei miei giorni conosciuti, piuttosto poveri, abitudinari, non c’è nulla che io possa affermare con la stessa gloriosa certezza.