L’ultima traccia di Liliana si perde in un hotel di Los Cabos, dove qualcuno l’ha vista cantare. Non sanno nulla di lei né Felo Fernández, né il Pato Vértiz, né il resto della generazione del defunto Olivares, a cui Liliana deve la propria leggenda e la propria rovina. Chiamo rovina il posto che Liliana occupa adesso nella memoria di quella generazione. O meglio: quello che non occupa. La sua sparizione è sintomatica. Per me vale come una fuga, la fuga come una pena, la pena come un’espiazione.

Gli amici del defunto Olivares hanno molte storie da raccontare su Liliana Montoya. Le raccontano senza affetto né censura. In modo altisonante, un po’ pettegolo. Rispettano così la regola originaria secondo cui la fama pubblica equivale a essere sulla bocca di tutti, per malizia o ammirazione. Le storie su Liliana sono moneta corrente per questa generazione. Circolano senza perdere valore e con l’uso acquisiscono una rara brillantezza. La brillantezza della piccola leggenda. Raccolgo quelle monete man mano che arrivano sul tavolo da gioco sul quale sto scrivendo questa storia. Non voglio insinuare che questi aneddoti siano veri né che suggeriscano un ordine segreto delle cose. Semplicemente raccontano qualcosa di indipendente dalle mie ossessioni o dai miei ricordi su quella donna che non sono riuscito ad allontanare né a tenere con me.

Nella generazione del defunto Olivares, Liliana è famosa soprattutto perché ha fatto impazzire il Pato Vértiz, questa è la loro storia preferita. Apprezzano molto che Liliana, che era solo una ragazzina, abbia fatto perdere la testa al Pato Vértiz. La donna che ha fatto impazzire il Pato Vértiz è da ammirare tra coloro che conoscono il Pato e si reputano suoi amici. È difficile considerarsi amico del Pato, ma nella generazione del defunto Olivares tutti dicono di essere amici suoi. La ragione è chiara per me: tutti hanno ricevuto dal Pato un favore immeritato e il Pato conosce tutti i magheggi che hanno fatto con lui o per lui.

Le storie del Pato e Liliana circolano in quel circolo alle spalle del Pato stesso. Per esempio questa:

La moglie del Pato Vértiz ha cercato di suicidarsi bevendosi un intero calamaio di inchiostro nero marca Pelikan, la preferita in quegli anni per ricaricare la stilografica. La suicida lascia un biglietto in cui espone non molto cripticamente le proprie ragioni. Scrive il nome completo di Liliana, con i suoi due cognomi: Montoya Giner. Poi, a mo’ di firma, scrive l’indirizzo esatto dell’appartamento che il Pato ha regalato a Liliana e dove dorme diversi giorni a settimana. È l’appartamento che ho descritto altrove, vicino al viadotto Río Piedad di Città del Messico, in uno dei pochi edifici della città che ha quattro lati e si innalza solitario su un quartiere di case basse. Trionfante, il palazzo di Liliana guarda tutti i punti cardinali dai suoi grandi finestroni di vetro.

Il tentato suicidio della moglie provoca nel Pato un tentativo di rottura con Liliana. Il Pato dice che non può continuare a vederla perché quando è tornata dall’aldilà, con le labbra ancora macchiate dai residui dell’inchiostro ingerito, la moglie del Pato gli ha chiesto di tornare a casa sua e di non dormire più altrove, con quella poco di buono, quella Maritornes. La moglie del Pato è dottoranda di letteratura medievale e ha scritto varie recensioni sul Chisciotte e i suoi modelli, cosa che le permette di dire la parola Maritornes con l’autorità del caso. Il Pato annuncia ai suoi amici e subalterni della generazione del defunto Olivares che farà quello che sua moglie gli chiede, pagando un prezzo molto caro, perché tutti sono al corrente del suo amore per Liliana. La notizia successiva che amici e subalterni del Pato hanno sul suo conto è che festeggerà il suo compleanno nell’appartamento che condivide con Liliana, dove Liliana, molto prima che la festa sia finita, dice al Pato, davanti a tutti, che può pure andarsene, che vada a vedere come sta sua moglie dopo tutto l’inchiostro che si è bevuta, e che non si preoccupi per lei perché alla festa ci sono polli a sufficienza con cui passare la notte. Detto questo si siede sulle gambe del defunto Olivares che ha bevuto troppo, ma non tanto da non rendersi conto che Liliana lo sta usando per provocare il Pato e, quando lo capisce, il defunto Olivares, allora segretario del Pato, si alza scusandosi con il suo capo e amico, dichiarandosi suo sostenitore e ignorando le intenzioni di Liliana; al che il Pato risponde chiedendo a Liliana di andare in camera e parlare a quattr’occhi con lui; al che Liliana risponde dirigendosi verso il bar per servirsi un bicchiere, come se non avesse sentito. Gli amici della generazione del defunto Olivares presenti alla festa testimoniano che quella sera, dopo quell’affronto, il Pato non solo non torna a casa sua, ma passa il resto della festa a parlare delle cose più strane, comportandosi come se non fosse successo nulla e tutto procedesse come prima. Eppure nulla procede più come prima dopo quella festa, tranne per il fatto che il Pato si ferma con Liliana fino all’alba. La settimana successiva il Pato lascia la casa della moglie suicida, non per trasferirsi nell’appartamento di Liliana, ma per poter continuare ad andarci quando Liliana acconsente. Qualcosa di importante è cambiato in quella relazione, perché fino a quel momento i giorni su cui accordarsi dipendevano dal Pato, e dopo il tentato suicidio della moglie del Pato sono, e saranno fino alla fine, quelli che decide Liliana. Liliana allora ha venticinque anni, il Pato, quarantacinque.

La storia della festa e del suicidio della moglie del Pato Vértiz è sempre a fior di labbra tra quelli della generazione del defunto Olivares. Così come quest’altra:

Liliana balla con un rettore un tango in cui è lei a condurre. Per parte del ballo tiene il rettore stretto tra le braccia a pochi centimetri dalle sue labbra. Il rettore ansima come un cucciolo. Liliana non lo bacia. Quando subito dopo inizia a girare la voce che se la faccia con il rettore, Liliana si difende con il ricordo di quell’ansimare: «Se è andata così per un tango, a letto muore. E non è ancora morto, quindi non me la faccio con lui». La frase perde petulanza con il tempo, poiché con il tempo si scopre che una notte il Pato ha avuto un infarto in compagnia di Liliana, ed esiste almeno un aneddoto di un uomo morto nel confuso corso di una notte di bagordi con Liliana. Ho sempre pensato che il protagonista precursore di quell’aneddoto potrei essere io, e che forse lo sono, nel vortice sempre impreciso della fabulazione collettiva, perché una volta mi hanno ricoverato moribondo all’ospedale in seguito a una delle mie fughe con Liliana, e un’altra volta mi ci ha mandato suo fratello Rubén quando ha scoperto che ero andato a letto con la sorella. Posso dire per esperienza che la bellezza di Liliana ha l’attrazione del rischio. E la specialità della zuffa.

A colonia San Rafael, dove vive per molti anni la famiglia Montoya, si conserva questo ricordo, che circolava altrettanto frequentemente anche tra gli amici del defunto Olivares:

Liliana ha dodici anni ed è seduta sulla panchina del quartiere a guardare dei bambini che giocano a calcio per strada. Uno fa gol, prende il pallone e corre a metterlo ai piedi di Liliana come tributo. Un bambino della squadra avversaria va a riprendere il pallone per continuare a giocare, ma quello che l’ha messo di fronte a Liliana gli mette le braccia al collo e lo spinge a terra. L’intruso cade boccheggiando, steso dal colpo. La sua squadra corre a vendicarlo e si getta sull’adoratore di Liliana. Il che scatena una campale battaglia di quartiere che i vicini ancora ricordano. Divisi in bande, i ragazzi continuano a litigare per anni nelle strade di colonia San Rafael, in un’iliade di quartiere le cui origini sono impossibili da rintracciare per chi non ricorda il giorno della partitella al comprensorio Tamarindo, chissà se si chiama ancora così.

La generazione di Olivares ricorda a questo proposito la zuffa tra due squadre di football americano che il Pato pascola all’università e delle quali il Pato vuole che Liliana sia la madrina. Il capitano di una delle squadre prende Liliana per mano, il capitano dell’altra gli dice di lasciarla. Quella che segue è una battaglia campale tra le due squadre che il Pato riuscirà a sopire solo diversi giorni dopo.

È famosa anche la rissa in una balera dell’epoca chiamata Jacarandas, perché Liliana torna dal bagno dicendo che un vecchio ha provato a toccarla. Il Pato non è ancora arrivato quando succede, c’è solo il defunto Olivares a cena, con altre ragazze della facoltà che ha rimorchiato. Liliana racconta quello che è successo al defunto Olivares, ma il defunto Olivares esercita quel suo dono che lo farà trionfare nella vita, che è non fare nulla, evitare il conflitto. Quando il Pato arriva e lo scopre, viene fuori che il vecchio del bagno è seduto al tavolo accanto e continua a lanciare occhiate e a fare gesti invitanti a Liliana, ragione o non ragione per cui il Pato si alza dal suo tavolo, ribalta il tavolo accanto addosso al vecchio e finiscono entrambi al commissariato, dove però il Pato sa che gli basta una telefonata perché qualcuno intervenga.

Si ricorda anche la battaglia del Pato Vértiz al Buca Bar di avenida Bucareli. Affronta da solo un tavolo di delinquenti della vicina colonia Guerrero, che fanno incursione al Buca Bar come se visitassero per la prima volta la Costa Azzurra. Lì vedono Liliana che balla con il Pato e uno di loro gli chiede di prestargliela e la tira a sé, mentre un altro blocca il Pato Vértiz e un altro ancora si serve con le mani del corpo di Liliana, al che il Pato reagisce prendendo da un tavolo una bottiglia che rompe sulla testa del tizio che ha Liliana tra le braccia e si gira verso gli altri con il collo della bottiglia ancora tra le mani, e il collo della bottiglia ora è un tridente di vetro affilato, quindi quelli reagiscono sfoderando i loro pugnali. Il Pato balla con loro una danza di minacce fino a quando i camerieri arrivano in truppa a mettere tovaglie e grida di pace tra i riottosi. Devo confessare che ogni volta che sento questa storia ammetto che il Pato si è giocato la vita in un momento in cui io forse me la sarei risparmiata.

A mia discolpa, dopo quest’ultima affermazione, racconto del giorno in cui Liliana e io stavamo cenando a La Cava, vicino alla Città Universitaria, nel sud della città. È fidanzata con il Pato solo da qualche mese e ha già carte di credito e banconote di grosso taglio nuove di zecca in un portafoglio altrettanto nuovo. Paga ostentandole e mi dice che prima o poi torneremo lì con i suoi soldi. Dopo mangiato va in bagno. Un ubriacone si alza e le si para davanti. Pretende un bacio per farla passare. Salto sull’intruso con una sedia in mano. Lo lascio lì a terra con la sedia rotta addosso come un animale morto per il salto mortale di un altro. Gli amici dell’insediato saltano addosso a me, anche i camerieri intervengono. Finiamo in questura a lanciarci offese che si risolvono perché sono un giornalista e il mio caporedattore sta lottando al telefono per la mia immunità.

A proposito di questa scena, so anche che si racconta alle mie spalle, per scherzo, la leggenda di un fantomatico scrittore amico di famiglia con cui Liliana fa quello che vuole. Le specialità che questo scrittore sfoggia con Liliana sono l’alcol e la gelosia del fratello di Liliana, Rubén, che picchia lo scrittore con rancore, fino a mandarlo all’ospedale, il giorno in cui lo scopre nudo con la sorella nel bagno della casa di famiglia. Quello stesso giorno, la leggenda narra che Liliana sia tornata dalla sua prima festa con la generazione del defunto Olivares, festa dove balla e canta per gli stessi fanfaroni che poi ricordano e raccontano, moltiplicandola, la scena in cui Liliana sale su un tavolo e inizia a togliersi i vestiti finché il Pato se la porta via barcollando solo per poi tornare, mano nella mano con Liliana, e permetterle di risalire sul tavolo a concludere quello che aveva interrotto. L’aneddoto si racconta quando si vuole sottolineare che Liliana Montoya non ne ha mai abbastanza.

Un maestro di teoria dello Stato che sbava per Liliana conclude, in modo memorabile, che Liliana contribuisce a diffondere l’«effetto Hobbes». Si riferisce al fatto che Liliana risveglia negli uomini l’animo predatore che è in loro, naturalmente, a partire dal quale la vita amorosa torna a essere precaria e violenta, come vuole Hobbes, ma anche intensa, piena di rischi ma anche di gloria per la cattura della donna desiderata contro ogni regola, prima delle regole.

Liliana ha una voglia all’altezza della vita, lo sguardo attento, la figura da bambina, il ventre appena ondulato. Ha la pelle liscia, il collo lungo, le mani piccole, si mangia le unghie. Se li lascia crescere, i capelli le cadono lisci sulle spalle. Ha gli occhi un po’ da orientale, le labbra sottili, i denti bianchi che le spuntano dalla bocca quando dà ordini, per esempio a un cameriere, come se si muovessero volontariamente in avanti con lei.

Niente di tutto questo ha a che vedere con la bellezza irresistibile, salvo che è irresistibile per molti e, ovviamente, lo è per me. È l’unica persona in presenza della quale posso interrogarmi sui destini ambigui della bellezza che tocca a ognuno di noi. Il modo in cui la bellezza trasforma chi la possiede in un beneficiario certo, ma anche in un trofeo ambito, e in un confuso boia di sé stesso. Penso, ho pensato in questi anni, alla natura dell’amore schiavo che il Pato Vértiz prova per Liliana, che ha vent’anni meno di lui. Oltre a trovarla ripugnante, mi ha sempre intrigato la natura di quell’amore da vecchio, quell’amore indigente e subordinato, capace di servire come fossero ordini le folli esigenze della sua giovane amante: Trovami un pistolero per vendicare la mia sorellina, gli dice. E il Pato trova il pistolero. La terza volta che mi ha raccontato quella storia, Liliana mi ha detto: «Da allora, ho smesso per sempre di rispettarlo, perché non si è preso cura di me: doveva impedirmi di uccidere».

La differenza tra me e il Pato è solo una: lui è entrato nell’abisso di Liliana e ne ha pagato il prezzo. Io no, ma non ho avuto Liliana.