la sua voce è già ruggito soffocato, commovente. Il lamento di un animale ferito, diciamo un maiale accoltellato.
Così vanno le cose fino al 14 dicembre, giorno in cui Liliana si sveglia nuda accanto a me. Si è tolta i vestiti ed è bagnata. Mi cerca come non mi ha cercato dall’ultima notte che ricordo: la sequela mortale dei nostri giorni di Huitzilac, mille anni fa.
La mattina è fredda ma il riscaldamento a gas mantiene calda la nostra stanza. I riti sono riti. Liliana dà le spalle all’inverno delle finestre e mi invita. I vetri appannati e il grigiore invernale della luce esteriore fanno un effetto voluttuoso. È nuda per la prima volta davanti a me dai giorni di agonia di Huitzilac. La sua nudità mi provoca una conflagrazione priapica, la maggiore dei nostri anni nudi. I nostri anni nudi non sono molti né offrono grandi imprese erculee, nessuna giornata particolarmente segnata da prodezze della carne salvo quella che sta per compiersi quella mattina in cui Liliana si sveglia trasformata. Non so se ho detto che tra i suoi capelli neri si iniziano a vedere delle venature grigie. Il suo pube mostra quelle stesse sfumature.
«Ho smesso di prendere le pillole e mi è venuta voglia di te, Serrano. Ho fatto male?»
Il medico ha detto che le pillole non possono mancare. Capisco che se ci saranno pillole ci sarà tedio e senza pillole ci sarà intensità. L’intensità porterà intemperie, le intemperie l’ospedale. È questo che temo di Liliana, l’ho temuto sempre. Ma non questa volta. Alla fine mi chiede: «È andata male?»
Se questo è il male, le dico, che male sia.