Identità

Stava iniziando a imbrunire. Anna attraversò con gli sci il boschetto di betulle e oltrepassò il parcheggio. Da lì proseguì lungo la strada che scendeva dalla montagna, non ancora cosparsa di sale né di ghiaia.

A un tratto intravide la stessa ragazza che aveva scorto alla malga. Sottobraccio aveva un apparecchio che emanava una luce bluastra e balzò oltre il ciglio della strada scomparendo nel boschetto. Questa volta però Anna scorse per un istante anche il suo viso. Un po’ assomigliava… a lei.

Le venne in mente che non si era vista in faccia quando aveva sognato di essere quella ragazza. Non era mai stata davanti a uno specchio.

Deviò di colpo e cominciò a risalire arrancando verso il punto dove la ragazza aveva attraversato la strada. Entrò nella radura nel bosco di betulle e notò delle impronte profonde nella neve. Ma la ragazza che stava cercando era come evaporata. Ormai era quasi buio, ma non del tutto. Non c’era traccia della luna quella sera, ma le stelle si accendevano nel cielo sempre più numerose.

Aveva letto da qualche parte che la stella più prossima al suo sole distava 4,3 anni luce. Si chiamava Alfa Centauri. Ma per raggiungere la vicina di casa del sole nell’universo alla stessa velocità di un jumbo ci sarebbero voluti cinque milioni di anni!

Così il suo pianeta diventa ancora più vicino e vulnerabile.

Ricordò qualcosa che aveva letto in uno degli articoli che teneva nelle scatole rosse. Qualcosa sull’andare fino in fondo e provare a essere più di quello che si era. L’aveva portato con sé, dentro una delle buste di plastica, ma ormai era troppo buio per leggere e non aveva una torcia. Le venne in mente la pronipote che aveva visto nello stesso boschetto con il suo apparecchio, e a quel punto Anna si tolse i guanti e ripescò il telefonino nuovo da una tasca del giaccone. Ricordava una frase ben precisa e la cercò con Google nella speranza di ritrovare l’articolo in rete. Digitò: «Quanto è ampio il nostro orizzonte etico?» Ci volle meno di un secondo prima che il pezzo che cercava comparisse sullo schermo. Lesse tra sé:

Quanto è ampio il nostro orizzonte etico? In fondo, non è che una questione di identità. Che cos’è un essere umano? E chi sono io? Se fossi solo me – il corpo qui seduto a scrivere – sarei una creatura senza speranza. Sul lungo termine, intendo. Ma la mia identità va ben oltre il mio corpo e la mia breve esistenza sulla Terra. Sono parte di qualcosa che è molto più grande e potente di me.

Se potessi scegliere se morire in questo istante, con la garanzia, però, che l’umanità esisterà per migliaia di anni, o campare in buona salute fino a cent’anni, anche se in quell’istante l’umanità dovesse spegnersi tutta contemporaneamente, non esiterei. Sceglierei di morire qui, in questo momento, e non come vittima sacrificale, ma perché quello a cui penso quando dico «io» è rappresentato dall’umanità intera. E ho paura di perdere questa parte di me. La sola idea mi atterrisce. Il fatto che l’umanità possa essere condannata tra cento o mille anni mi spaventa più dell’idea che il mio corpo tra un attimo possa cedere e accomiatarsi. Tanto un giorno succederà comunque.

Mi capita inoltre di pensare per conto del pianeta su cui vivo. Anche quello è me. Mi preoccupo del destino di questo pianeta perché ho paura di perdere il nocciolo più intimo della mia stessa identità.

L’autore del testo non era citato. Anna si soffermò a chiedersi chi potesse essere. Una donna, o magari un uomo? Sorrise. Il testo parlava proprio dell’essere qualcosa di più grande e potente di se stessi.

E forse proprio per quel motivo non era firmato!