L’eredità del mondo

Anna lesse diversi quotidiani online, ma non c’erano novità sul rapimento in Somalia. Guardò un breve notiziario: era stato trasmesso quella mattina su un canale televisivo; fu uno scherzo scaricarlo da Internet. Pian piano si stava impratichendo con il nuovo smartphone. In un attimo andò sul sito dell’emittente nazionale NRK e scaricò il podcast di un documentario radiofonico che aveva sentito qualche giorno prima. Parlava un uomo:

L’uomo moderno è fondamentalmente il prodotto dei nostri presupposti storico-culturali, della stessa civiltà che ci ha generati. Si dice che amministriamo un’eredità culturale. Ma non solo: l’uomo è anche il prodotto della storia biologica di questo pianeta. Dunque, amministriamo anche un’eredità genetica.

Ci sono voluti miliardi di anni perché fossimo creati. Proprio così, ci sono voluti miliardi di anni per creare un essere umano! Ma la domanda è: sopravvivremo al terzo millennio?

Che cos’è il tempo? C’è innanzitutto un orizzonte individuale; seguono quello famigliare, culturale e storico; poi, però, c’è anche quello che chiamiamo «tempo geologico». L’uomo discende da alcuni tetrapodi che strisciarono fuori dal mare più di 350 milioni di anni fa. L’ultimo asse temporale al quale dobbiamo rapportarci è quello cosmico. Viviamo in un universo che ha circa 13,7 miliardi di anni.

Questi segmenti temporali, però, non sono in realtà così distanti tra loro come potrebbe sembrare a una prima occhiata. Abbiamo ogni ragione di sentirci a casa nell’universo. Si è calcolato che il pianeta sul quale viviamo ha un’età corrispondente a circa un terzo di quella dell’universo, e il phylum al quale apparteniamo, quello dei vertebrati, esiste da un periodo pari a un decimo dell’esistenza della Terra e di questo sistema solare. E l’universo finisce qui. O, se vogliamo vederla dalla prospettiva opposta: le nostre radici nel suolo universale e la nostra parentela con l’universo sono profondissime.

Forse l’uomo è l’unico essere vivente nell’universo a possedere una coscienza cosmica – una percezione travolgente di questo imponente e misterioso cosmo di cui costituiamo una parte essenziale. E allora non è più soltanto una responsabilità globale preservare le basi della vita su questo pianeta. È una responsabilità cosmica.

«Abbiamo ogni ragione di sentirci a casa nell’universo»! Era questa la frase che Anna si era annotata la prima volta che aveva sentito il programma. Che ci fosse vita là fuori oppure no, la vita sulla Terra rappresentava l’universo intero e, con la sua coscienza, l’uomo occupava una posizione privilegiata. Ma l’essere umano non avrebbe potuto esistere senza altre forme di vita. Tra i presupposti fondamentali per l’esistenza umana vi erano per esempio creature minuscole e insignificanti, come certi batteri. Anche loro, quindi, avevano un’importanza cosmica, perché anche loro contribuivano a risvegliare la consapevolezza dell’uomo nei confronti del pianeta Terra e dell’universo intero. Tanto di cappello! Difficile che se ne rendessero conto loro stessi, ma anche quei microorganismi avevano un peso nel cosmo!

Anna si mise a ridere. Non riusciva a trattenersi al pensiero che anche un microscopico batterio concorresse a dare significato all’universo.

Sbirciò verso la stazione di servizio e osservò la radiosa giornata invernale. Adesso doveva proprio chiamare Jonas! Ma lui la precedette.

Jonas abitava a Lo, nella stessa valle, ma a qualche decina di chilometri da lì. Non si erano mai incontrati prima di quell’autunno, quando lei aveva iniziato le superiori. La scuola accoglieva alunni di metà regione, che a volte abitavano anche a molti chilometri di distanza gli uni dagli altri. Era una delle ragioni per cui era così difficile organizzare un qualche tipo di attività serale.

Quell’anno si era potuto iniziare a sciare a metà novembre, e ultimamente Anna e Jonas si erano spesso incontrati in montagna. La famiglia di Anna possedeva una malga da tempi immemorabili e ci arrivavano ognuno dal proprio villaggio sugli sci. Fu proprio questo che Jonas propose: disse che quella era la sua ultima occasione di stare con una quindicenne.

Non era la cosa più intelligente da dire, visto che ad Anna tornò in mente la misteriosa lettera che Olla aveva scritto alla pronipote. Doveva tassativamente essere scritta prima della data limite del 12.12.12. Altrimenti non sarebbe arrivata a destinazione. Altrimenti Nova non avrebbe potuto trovarla dopo aver impostato i criteri di ricerca sul terminale. Ecco il punto. Era quella la logica. Disse: «In realtà sono un po’ presa. Con certe faccende…»

«Di portata cosmica?»

«Sì, Jonas. Ma c’è anche dell’altro. Hai sentito le notizie oggi?»

«Sì. Visto che non ti facevi sentire, ho avuto tutto il tempo di leggiucchiare qualche quotidiano online. Perché?»

«Ester Antonsen.»

«La donna rapita in Somalia?»

«Già…»

«Roba da non crederci… Aveva appena lasciato l’aeroporto di Mogadiscio…»

«Ester Antonsen è la figlia di Benjamin. L’ho appena sentito al telefono.»

«Hai sentito il dottor Benjamin?»

«Si chiama dottor Antonsen, Jonas. Benjamin Antonsen.»

«Ah, ecco.»

«Colpa mia, ho fatto un pasticcio con il nome.»

«Ma ti ha telefonato così, solo per dirti che hanno rapito sua figlia?»

«No, l’ho chiamato io.»

«Perché…?»

«Non ha importanza. Volevo chiedergli una valutazione psichiatrica dell’uomo inteso come specie. Il nostro disprezzo per le altre vite, la nostra mancanza di rispetto per i nostri discendenti. Ma forse gli ho telefonato proprio oggi perché avevo visto una foto di Ester Antonsen su Internet. Deve avermi ricordato una fotografia che ho visto nel suo ufficio, che però ritraeva sua moglie da giovane, quindi madre e figlia devono assomigliarsi molto…»

«Anna… possiamo continuare a parlarne alla malga. E naturalmente possiamo seguire le notizie. Vieni?»

Lei decise di farsi desiderare.

«A una condizione», propose.

«E cioè?»

«Tanto devi sciare per otto chilometri. Ti offro qualcosa a cui pensare.»

«Sì?»

«È una faccenda per cui mi serve il tuo aiuto.»

«Dimmi. Farei di tutto per te.»

«Come possiamo salvare 1001 specie di animali e piante?»

«Eh? C’entra con l’associazione ambientalista?»

«Non proprio. Ma sto cercando di mettere un po’ di ordine in certe cose… che ho sognato, Jonas. Un sogno che ho fatto stanotte.»

«Non cambi mai. Ma perché proprio 1001?»

Anna rise.

«È una cifra tonda, in un certo senso. Come nelle Mille e una notte. I bambini dicono ’mille’ quando intendono dire ’tantissimi’, e io dico mille e uno.»

«Tu sei matta…»

«Chissà, alle volte lo temo anch’io. Ma Benjamin ha detto che sono sana.»

«E allora ci fidiamo di lui.»

«Quando ci vediamo, dovrai aver escogitato una soluzione convincente per salvare 1001 specie di animali e piante dall’estinzione. Se ce la fai, ti amo. Altrimenti, ti lascio!»

«Allora ce la farò. Non mi puoi lasciare.»

«Non credo che ce la farei comunque, Jonas. Ti voglio troppo bene.»

«Questo mi rincuora. Ci vediamo alla malga tra un paio d’ore, allora.»

«Aspetta!»

«Sì?»

«Credi che esistano realtà parallele?»

«Anna!»

«Ma ho di nuovo la sensazione di vivere in due mondi diversi. O perlomeno di essere legata in qualche modo a un’altra dimensione. Che ci sia qualcosa dall’altra parte… e che mi venga donato qualcosa.»

«Non è la prima volta che ne parliamo.»

«No.»

«E io ho paura quando dici queste cose.»

«Paura che esista un’altra dimensione? O di quello che c’è dall’altra parte?»

«Ho paura che nella tua testa possano coesistere realtà diverse.»

«Non devi aver paura, Jonas. Ci vediamo presto.»

«Buona sciata, allora! Che ne dici di provare a concentrarti sulla realtà che condividi con me?»

«Ci proverò. A dopo!»

«Ciao!»

Anna rimase ferma dov’era a riflettere, ed ecco che accadde di nuovo: le tornò in mente un nuovo, piccolo frammento di quello che viveva come un’eternità a sé stante, una scena quotidiana da un’altra vita, una frazione millesimale di un altro universo…