Capitolo Cinquantaquattro

Salta fuori che non c’è niente da perdonare. Che sciocca che sono.

«Te lo sto raccontando solo perché non voglio che pensi che ti ho mentito» dice Ozzie abbracciandomi nel suo letto. Siamo tutti vestiti, appena tornati dal caos della stazione di polizia, dove siamo stati interrogati per ore su quel che è successo e dopo essere stati dal veterinario, dove Felix ha subito un intervento per sistemare la sua zampa rotta. Tornerà a casa tra un paio di giorni, quando saranno sicuri che riuscirà a camminare sull’arto immobilizzato.

«Se vuoi mentirmi, puoi» gli dico, dandogli delle pacche affettuose sul torace massiccio. «Oggi mi hai salvata.» Guardo l’orologio. «O ieri, tecnicamente.»

«Innanzitutto, non voglio mentirti. Mai.» Mi prende le dita e le bacia. «Le bugie non sono una buona base per una relazione solida.»

Sorrido come lo Stregatto, ma non dico niente. Sta andando a gonfie vele e non voglio interromperlo. Una relazione! Yuppiiie!

«Secondo, ho chiesto a Toni se potevo parlarti di qualcosa che la riguarda e lei mi ha dato il permesso.»

«Quindi non hai una relazione con lei?»

«Non il tipo di relazione che pensi, no. Ero il datore di lavoro che garantiva per lei mentre era in libertà sulla parola. Ha terminato il periodo di libertà vigilata qualche mese fa. Ora è autonoma.»

«In libertà sulla parola?» A quell’affermazione quasi scatto a sedere, ma le forti braccia di Ozzie mi trattengono.

«Sì, sulla parola. È una pregiudicata.»

«Cavolo.» Forse sarebbe stato meglio se l’avessi saputo, prima di inimicarmela tanto. «Che cosa ha fatto?»

«Ha ucciso una persona. Un uomo.»

«Io… ehm…» Trovo difficile esprimere quello che sto pensando. «Non ce la vedo a farlo. Voglio dire, è dura e tosta, ma non mi ha mai dato l’impressione di essere tanto spietata.»

«Non lo è. Era vittima di violenze domestiche davvero gravi, iniziate quando aveva 15 anni. Ha ucciso il suo aggressore durante uno degli attacchi. È stata autodifesa, ma è stata condannata per omicidio.»

«Perché?»

«Perché… be’… nell’ucciderlo ha fatto davvero un buon lavoro, mettiamola così.»

«Wow.» Naturalmente sono tremendamente curiosa di conoscere tutti i dettagli, ma non insisterò. Innanzitutto, so che grosso sacrificio dev’essere stato per Toni farmi sapere della sua storia. E poi non importa. La rispetto per essersi difesa da sola. Sono contenta che l’abbia ucciso per bene.

Allo stesso tempo, però, sono felice di non aver ucciso David Doucet. Avergli procurato una commozione cerebrale è già abbastanza grave. Non penso che potrei mettere fine alla vita di una persona senza esserne tormentata per il resto della mia esistenza. Forse è per questo che Toni sembra sempre così in collera. Forse anche lei ha delle difficoltà ad accettarlo. Rinnovo il mio voto a diventare sua amica, ora che so che rimarrò definitivamente qui alla Bourbon Street Boys e che lei non è andata a letto con il mio ragazzo.

«Sei il mio ragazzo, Ozzie?» Mi sento sciocca a chiederlo, ma devo saperlo.

«Vuoi che lo sia?»

«Sì. Ma non conta solo quello che voglio io. Dobbiamo essere favorevoli entrambi.»

Lui ridacchia. «Sono favorevole.»

«Ma non voglio che gli altri al lavoro lo sappiano.»

«Mi sta bene. In ogni senso.»

«Perché non sarebbe professionale.»

«Che cosa non sarebbe professionale?» chiede, mettendosi sopra di me.

«Essere intimi. Al lavoro.» Non riesco a smettere di sorridere al suo bel viso.

Lui si abbassa e mi bacia sulle labbra con estrema delicatezza. «Sono d’accordo al 100%.»

Faccio scorrere le mani sulla sua schiena e mi godo tutti i muscoli che sento. «Allora forse dovresti smettere di baciarmi.»

Lui mi bacia di nuovo sulla bocca. «Qui non siamo al lavoro. Questa è casa mia.»

Lancio un’occhiata alla porta. «Sono quasi sicura che fuori da quella porta ci siano Dev e Thibault.»

«Sono in cucina, che si trova a nove metri da quella porta. E non gli è permesso andare oltre quella stanza.»

«È quello il confine?» chiedo scherzosa.

«È proprio così. Nessuno a parte te va oltre la cucina.»

«Nemmeno Toni?» Mi sento sciocca a chiederlo, ma lo faccio comunque. Sono ancora alle superiori, a quanto pare.

«Nemmeno Toni.»

Lo stringo forte, attirandolo a me. «Ti amo, Oswald.»

«Che ne dici se mi lascio ricrescere la barba?»

Faccio una smorfia mentre cerco di trattenere una risatina. «Non mettere alla prova il mio amore così presto, d’accordo?»

Lui borbotta e nasconde il viso nel mio collo. «Ora sei nei guai, signorina.»

Rido, mentre cerco di sfuggirgli. «No! I graffi della ricrescita no!»

Lui mi strofina la guancia addosso mentre io inizio a urlare.

«Sssh, o gli altri penseranno che siamo intimi al lavoro» sussurra.

Gli prendo entrambi i lati della testa e cerco di guardarlo in cagnesco. «Mi stai prendendo in giro. Smettila.» Lo sguardo torvo sparisce e invece sorrido. Amo che sia così giocoso, ma solo con me. Tutti gli altri lo vedono come il grosso soldato cattivo che non scherza mai, ma io so chi è davvero: un grande orsacchiotto che farebbe qualunque cosa per proteggere coloro che ama.

«Mi ami?» gli chiedo guardandolo dritto negli occhi.

«Tu cosa pensi?» Mi sorride, abbassandosi per baciarmi di nuovo.

Giro la testa di lato, così che non possa raggiungermi. «Penso che faresti meglio a dirmelo se non vuoi che questa sera vada a casa mia.»

Lui ride davvero forte e si gira sulla schiena, trascinandomi con sé. Ora gli sto sopra a cavalcioni.

«Ti amo, piccola Bo Peep. Spero tu possa sopportarlo.»

Gli premo un dito sulla fossetta del mento. «Smettila di chiamarmi con quello stupido nome.» Non posso essere davvero arrabbiata con lui. Ha appena confessato di amarmi. Un amore di cui ho sospettato l’esistenza mentre lo vedevo correre lungo il mio vialetto per salvarmi la vita.

«Che ne dici di Cappuccetto Rosso?» chiede. «Quello ti piace?»

Gli afferro uno dei capezzoli, pronta a torcerglielo. «Tu che ne pensi?»

Lui alza le mani ai lati della testa. «Pietà! Invoco pietà! Ti chiamerò come dici tu, solo non torcermi i capezzoli.»

Mollo la presa e mi siedo all’indietro, soddisfatta. «Penso che mi piacerebbe essere chiamata…»

Lui si tira su a sedere e poi mi rovescia di nuovo sulla schiena. Mentre mi sovrasta, i suoi occhi assumono quello sguardo sensuale che ricordo dall’altra sera. Scariche elettriche mi serpeggiano nel corpo mentre aspetto le sue parole successive.

«Ti chiamerò mia. May “Mia” Wexler.»

«Non penso che sarà accolto tanto bene dalla squadra.»

«Peggio per loro. Tu sei mia e io ottengo sempre quello che voglio.»

Gli rivolgo a mia volta uno sguardo sornione. «E che cosa vuoi, capo?»

Lui si sposta da me e si sdraia sul fianco, puntellandosi la testa con la mano. «Voglio… toglierti tutti i vestiti.»

«E se fossi troppo indolenzita per fare sesso?»

«Sarei gentile.»

«E se fossi troppo spaventata?»

«Ti tranquillizzerei.»

«E se fossi troppo preoccupata all’idea che mi spezzerai il cuore?»

«Ti mostrerei che sei folle a pensarlo.» Mi posa la mano sulla guancia. «Non dico a tutte che le amo, sai.»

«No?»

«No. Solo alle ragazze con cui voglio stare. Ora scendi da questo letto e togliti i vestiti prima che succeda qualcosa di brutto.»

Devo mordermi il labbro per impedirmi di sorridere troppo. «Qualcosa di brutto? Tipo che cosa?»

Ringhia e mi salta addosso. Io scoppio in una risata che mi sgorga dal profondo e gli avvolgo le braccia intorno al corpo. Mi lascerò travolgere da qualunque cosa mi stia offrendo questa sera e domani mi sveglierò nel suo abbraccio. Ho preso la mia decisione. Sarà anche arrivato a me grazie a un numero sbagliato, ma è decisamente l’uomo giusto.