Capitolo Dodici

Sistemo Felix in fondo alla branda e faccio quel che posso per mettermi comoda. Infilo le scarpe sotto il letto e il mio cerchietto sotto il minuscolo cuscino che mi è stato dato. Mi sdraio sulla schiena, posizionando il sacco a pelo sopra di me, e fisso il soffitto, valutando la mia situazione.

Forse dovrei essere più spaventata di quello che sono, ma mi sembra di non aver prodotto adrenalina o di non aver avuto alcuna reazione alla paura. Forse il mio organismo è rotto. Per un’ora o due di fila, questa sera, sono stata praticamente spaventata a morte. È probabile che abbia già usato tutta la mia essenza della paura. Ora tutto ciò che mi è rimasto è la capacità di analisi, perciò analizzare è quello che farò.

Mi mordo un punto secco sulle labbra e medito sui fatti. Queste persone collaborano con la polizia, quindi sono i buoni. Sono dalla mia parte. Se hanno delle armi, probabilmente è solo per svolgere il loro lavoro. Sarei stata l’obiettivo perfetto, se si dilettassero a uccidere giovani donne, ma invece di spararmi, di congelare il mio cadavere e metterlo in una cippatrice, mi hanno dato da mangiare lo stufato. E non uno stufato qualunque, uno stufato straordinario.

E che dire di quello? Ozzie è una specie di cuoco straordinario? Ah, non l’avrei mai immaginato. Sorrido a tutte le cose che non hanno senso in quest’uomo. È un bestione gigante ma nessuno ha paura di lui, nemmeno quando grida. Gode del loro rispetto ma non l’ha ottenuto con la paura. Ora che ci penso, presumo che goda anche del mio. Anche se è evidente che non vuole avere niente a che fare con me, mi ha salvata. Non solo una ma due volte. E ora mi ha dato un posto dove stare, così che possa tornare a casa alla luce del giorno, senza preoccuparmi di un molestatore che mi segue con la sua macchina. I cattivi se ne stanno rintanati di giorno, vero? Sarebbe molto più rischioso per loro seguirmi quando la gente può vederli. Forse sarò ingenua, ma sono l’oscurità e la copertura che offre a farmi paura.

Caspita, magari domattina, prima di entrare, potrei far controllare casa mia a uno di questi Bourbon Street Boys per assicurarmi che sia del tutto sicura. L’idea mi fa sentire calda e a mio agio. Sicurezza. Grossi uomini muscolosi a proteggermi. Sì. Dev’essere passata la mezzanotte e la stanza è sorprendentemente comoda. Hanno un favoloso impianto di condizionamento qui, abbastanza fresco da sbarazzarsi dell’umidità ma non così freddo da non farmi addormentare come una bimba stretta tra le braccia della mamma…

Sto iniziando ad appisolarmi quando l’odore mi colpisce.

«Oh mio Dio» sussurro, inspirando per accertarmi che non sia solo un incubo. «Felix, sei stato tu?» Spalanco gli occhi di colpo.

Quando sento un profondo sospiro, il suono di qualcosa che scivola sul pavimento e un borbottio, mi rendo conto che Felix e io non siamo soli nella stanza. Giro la testa di lato e vedo la bestia gigantesca, la fidanzata di Felix, sdraiata accanto alla mia brandina.

«Porca miseria, Sahara, il tuo padrone ha delle maschere antigas qui da qualche parte? Perché dovrebbe. Cavolo.» Mi metto il sacco a pelo sul viso e cerco di respirare.

Altro che calda e a mio agio, ora sono sveglia come un grillo e sto vivendo nell’incubo del gas intestinale di un mastino dell’inferno.

«Gesù, ma che ti danno da mangiare?»

Sento un altro rumore e mi volto verso la porta. Una luce soffusa proveniente dal corridoio illumina la testa e le spalle di Ozzie.

«Posso aiutarti in qualche modo?» chiedo da sotto il sacco a pelo, che non è molto efficace come maschera antigas. Spero davvero che non pensi che l’odore provenga da me.

Lui sospira rassegnato. «Vieni nel mio letto.»

Batto le palpebre un paio di volte, sicura di non aver sentito bene. La puzza potrebbe aver influenzato il mio udito; sì, è così forte. Penso di aver sentito un invito in paradiso uscire dalle sue labbra, ma non può essere vero.

«Come, scusa?»

«Intendevo prendi il mio letto. Non posso farti dormire su quella branda.»

Immagini fugaci di quelle lenzuola di raso mi ricoprono di sudore freddo.

«Oooh, no, grazie.» Neanche per sogno. Non sono una ninfomane, ma non ci si può aspettare che resista a tanto. Essere nel suo letto, tra quelle lenzuola, con lui e quel torace e le sue braccia lì vicino. No. Proprio… no.

«Prenderò io la branda» dice, da salvatore tenace qual è.

La mia voce si alza di un tono nel tentativo di apparire indifferente. «No, non c’è problema. Amo il campeggio. Questa branda è favolosa. Sul serio. Tieniti il letto, starò bene.»

Si addentra in cucina. «Thibault mi romperà le palle se ti lascio dormire qui. Dai, prometto di non disturbarti. Prendi il letto. Le lenzuola sono state cambiate oggi.»

Deglutisco a fatica. Nella mia mente riesco a vedere con chiarezza il suo corpo nudo. Il fatto che stia indossando quella maglietta aderente non mi aiuta a cancellare le immagini. Talvolta odio essere una fotografa. Mi basta solo un contorno di muscoli e il mio cervello completa il resto.

«Dirò a Thibault che ho rifiutato. Non preoccuparti.» Aspetto che Ozzie se ne vada. In pratica gli ho stampato un invito a filarsela da qui, a questo punto.

Lui piega il capo di lato, ricordandomi un cane perplesso. «Non capisco.»

«Non capisci cosa?» Mi abbasso un po’ il sacco a pelo dalla faccia. Un esame dell’aria mi rivela che forse respirare è di nuovo sicuro, il che è un bene, perché sotto quell’affare il caldo si stava facendo soffocante.

«Ti sto offrendo un letto vero in una camera con una porta che puoi chiudere a chiave, e tu mi dici che preferisci dormire su quella branda dura qui in cucina?» Solleva il naso per aria. «C’è odore di salsicce qui.»

Sospiro, sapendo che una piccola dose di sincerità, per quanto difficile da esprimere, sarà molto efficace per mandare via quest’uomo. Ho la sensazione che Ozzie sia una persona molto rigida, ma farò un tentativo…

«Senti, Ozzie, apprezzo l’ospitalità, ma non dormirò nel tuo letto. Non sono le lenzuola sporche o il fatto che la branda sia comoda a farmi dire di no, d’accordo? È che sono di raso. E sono tue. Perciò torna nel tuo letto, va bene? E porta con te il tuo cane puzzolente, perché non è odore di salsicce quello che senti qui; ha fatto una puzza.»

Lui mi si mette davanti e mi fissa. Il calore del suo sguardo inizia a penetrarmi nelle ossa. Il tempo della sincerità è finito, finito, finito. Ora non mi resta che mentire per sbarazzarmi di lui.

«Sul serio, Ozzie, mi dai i brividi.»

«È la barba?»

Sembra così vulnerabile che non posso fare a meno di ridacchiare. Penso di aver toccato un nervo scoperto, con quell’insulto. Ops.

«No, non è la barba, va bene? La tua barba era orrenda, ma non spaventosa. Non mi avrebbe tenuta lontana dal tuo letto.»

Porca vacca. Non riesco a credere di averlo detto. Le mie orecchie sono di fuoco. Sincerità, sparisci!

«Mi dispiace di essere stato sgarbato prima.»

Grazie a Dio non ha colto l’allusione clamorosa in quell’ultimo commento. Posso respirare di nuovo in maniera normale. Quasi normale.

«Non sei stato sgarbato. Be’, d’accordo, forse un po’, ma non mi ha dato fastidio.»

«Perché no?»

Scrollo le spalle, senza sapere nemmeno il perché. «Non lo so. Ma non me l’ha dato e basta.»

Fa un’altra lunga pausa prima di parlare. «Non sei come mi aspettavo che fossi.»

«Oh, davvero?» Sbadiglio forte, gli occhi mi si chiudono da soli. È passata da un pezzo l’ora in cui di solito vado a letto e ora Ozzie sta facendo il gentile. Mi fa venire voglia di accoccolarmi nel letto e dormire. Domani avrò l’energia per battibeccare ancora un po’ con lui. «Probabilmente perché sono la piccola Bo Peep. Passo del tutto inosservata.»

La mia mente vaga al giorno in cui ho scattato le foto di quel disgustoso donnaiolo al parco e sorrido mezza addormentata. Colto in flagrante. Ho fatto più di cinquanta scatti a lui con il braccio intorno a quella ragazza con la metà dei suoi anni, mentre le baciava il collo e le dava un regalo impacchettato in una scatolina da gioielleria. Forse è lui l’uomo che ha sparato alla mia macchina questa sera. Corrugo un po’ la fronte mentre la mia mente indugia su quel potenziale incubo.

«Presumo che potresti mimetizzarti un po’» dice una voce profonda alla mia destra.

Sono troppo stanca per riconoscerla.

«Va’ a contare le tue pecorelle, piccola Bo Peep» dice la voce, rassicurante nel timbro e nell’altezza. «Ci vediamo domattina.»

Mi raffiguro un gregge di vaporose pecore bianche che saltano oltre uno steccato. Boing, boing, boing. Così rasserenanti. Così graziose. Così stancanti. Ma poi allo steccato ne arriva una nera, gigante, con corna ritorte sulla testa, e rimane lì, a guardarmi di traverso.

«Be’?» borbotto, infastidita dal fatto che mi impedisca di dormire. «Falla finita. Salta, bestia pelosa!»

Qualcuno ridacchia.

È l’ultima cosa che ricordo prima di svegliarmi nella cucina di qualcun altro, del tutto confusa, mentre fisso il messaggio di mia sorella che mi ha strappata a un sonno profondo.

Sorella: Se non mi telefoni entro dieci minuti, chiamo la polizia. Non sto scherzando. Chiamami. Subito.