Capitolo Ventisette

I bambini stanno mangiando spaghetti in cucina, con Felix sotto il tavolo, pronto per i bocconi cadenti. Si stanno comportando in maniera super tranquilla grazie alla promessa di un gelato per dessert e io mi sto versando un bicchiere dalla bottiglia che mia sorella ha già bevuto per metà.

Quando mi lascio cadere sulla poltrona accanto al divano, lei mi scruta da sopra il suo bicchiere.

Io ricambio lo sguardo mentre bevo un sorso.

«Allora? Hai intenzione di dirmi di questo nuovo lavoro o cosa?»

Prendo in considerazione l’idea di ripiegare le gambe sotto di me, ma quando ci provo mi fanno troppo male, perciò le abbasso di nuovo sul pavimento.

«Non è chissà che, in realtà. Scatterò solo delle foto per certe persone.»

«Perché ho l’impressione che ci sia ben altro oltre a fare solo delle foto? Si tratta di una specie di porno?» Getta un’occhiata alle proprie spalle in cucina, poi abbassa la voce. «Non puoi farti coinvolgere nell’industria del porno. Ti recluteranno per recitare!»

Rido. È così bello stare seduti qui nel suo soggiorno con lei. Amo mia sorella e la sua folle mente. «Sei matta. E puoi stare tranquilla, perché non ha niente a che fare con l’industria del porno. È un’agenzia di sicurezza.» Sembra molto più sicura se la descrivo in quel modo. Niente rischi. Per mia sorella è meglio così; altrimenti si trasformerà in una chioccia e mi farà dubitare di me stessa.

Jenny batte le palpebre un paio di volte mentre ci rimugina sopra.

«Ricordi quell’uomo che mi ha aiutata quando sono finita per sbaglio al Frankie’s Pub

«Quello tutto muscoli?» Sorride per la prima volta da quando sono arrivata.

«Sì, quello. Mi ha offerto un lavoro.» Cerco di non sorridere, ma è difficile.

«Quindi lavora per una ditta di sicurezza e ti ha offerto un lavoro per scattare delle foto? Di che cosa?»

Alzo le spalle, cercando un modo per minimizzare il pericolo. Jenny si è sempre attribuita il ruolo di mia protettrice. «Non lo so. Persone. Posti. Cose.»

«Il lavoro dei nomi.» Mi guarda con aria indagatrice. «Non scherzare, sorellina. Cosa non mi stai dicendo?»

Giocherello con un filo allentato dei miei nuovi pantaloncini da ginnastica. «Non molto. Solo che, in pratica, è un po’ come… un po’ come quel genere di cose che è difficile spiegare.»

Lei beve un lungo sorso di vino e quasi svuota il bicchiere.

Mi alzo di scatto per prendere la bottiglia, sperando che la distragga dal mio pessimo tentativo di minimizzare gli aspetti negativi del mio lavoro.

«Sei la peggior bugiarda che abbia mai camminato sul pianeta Terra» dice, ridendo nel bicchiere mentre lo finisce.

«Meglio che essere la miglior bugiarda, no?» Mi allungo e le riempio il calice, rabboccando il mio già che ci sono, prima di posare la bottiglia sul tavolino.

«Forse. Quindi come stanno le cose? Onestamente. Dimmelo e basta. Non mi arrabbierò.»

«Onestamente? Bene. È un lavoro di sorveglianza. Scatto foto di uomini cattivi che fanno cose cattive.»

Alza gli occhi al soffitto ed emette un lungo brontolio rabbioso. «Eeeeehhhmmm!» Poi mi guarda in cagnesco. «May, come hai potuto

«Come ho potuto fare cosa?» Recito la parte dell’innocentina. «Ottenere un lavoro per poter pagare le bollette?»

«Quante volte ti ho chiesto di trasferirti da me? Potevamo risparmiare entrambe molti soldi.» Le si inumidiscono gli occhi.

«Oh, tesoro…» Mi alzo e mi siedo accanto a lei sul divano, lasciando il mio vino sul tavolino. «Lo sai che non posso farlo. Ho bisogno dei miei spazi. E voi avete bisogno del vostro per essere una famiglia. Non voglio che i bambini si arrabbino con me perché sono sempre nervosa.»

«Non sei sempre nervosa.» Ora sta piangendo. «Sei sempre felice.»

«Perché ho una casa mia.»

«Stai dicendo che stare a casa mia o vivere con me ti renderebbe triste?»

È una domanda legittima. Più o meno l’ho ripetuto di continuo nell’ultimo anno. «No, sto dicendo che sono una ragazza giovane e single, che a volte ama girare per casa nuda e fare lunghi bagni con un bicchiere di vino, di tanto in tanto.»

Jenny sospira, appoggiando la testa alla mia. «Sembra bello, a dire il vero.»

«Ogni volta che ne hai bisogno, basta che mi chiami. O mandami un messaggio come hai fatto oggi e arriverò di corsa. Sono qui per te, lo sai.»

«Lo so.» Mi dà una pacca affettuosa sulla gamba e sorseggia altro vino. «Mi sto solo autocommiserando. Ignorami.»

«Cos’è successo? È stato Miles?» L’ex. Lo stronzo arrogante che si rifiuta di impegnarsi a essere un vero padre per questi bambini.

«Certo che è stato Miles… Chi altri potrebbe essere? L’assegno di mantenimento che mi ha dato è stato respinto, ancora una volta, così ora i diversi pagamenti che ho già fatto non andranno a buon fine.»

Mi mordo il labbro, sapendo che sto camminando su un terreno insidioso. Trasferirmi da lei potrebbe risparmiarle molti di questi problemi ma temo che, se lo facessi, Miles smetterebbe di fare quel poco che fa. Mi vedrebbe come il suo sostituto e scomparirebbe per sempre. I problemi degli assegni rifiutati non sarebbero niente; passeremmo a 365 giorni di assistenza ai bambini da parte di mia sorella, quando invece, almeno adesso, lei ha due settimane di vacanza quando lui prende con sé i figli per parte dell’estate, e il fine settimana al mese che ancora riesce a inserire tra i suoi appuntamenti.

No. Non posso andare a vivere con Jenny. Per quanto risolverebbe alcuni problemi, sono sicura che ne creerebbe di peggiori. L’ultima cosa che voglio è che qualcosa si frapponga tra noi. Voglio troppo bene a lei e ai bambini per permetterlo.

«Mi pagano bene per questo nuovo lavoro. Forse posso aiutarti con alcune bollette.»

«Non è giusto per te.» Tira su con il naso e mi sorride. «Come potresti permetterti tutti quei bagni con la schiuma?»

Le do un colpetto con il gomito. «Basta far scorrere l’acqua su una saponetta.»

Sbuffa. «Sicuro.» Si scosta un po’ da me così da potermi guardare. «Allora, dimmi di quest’uomo.»

«Quale uomo?» Sto cercando di fingere di non avere idea di cosa stia parlando, ma capisco dalla sua espressione che non se l’è bevuta.

«Figurati! Dai, sai di cosa sto parlando. Alto, bruno e con il fisico di un carro armato.»

«Chi, Ozzie?»

«Non costringermi a strangolarti. Sono così arrabbiata con Miles che potrei sfogarmi su un innocente.»

«Bene. Ozzie è l’uomo che mi ha salvato la vita, in pratica.» Tiro di nuovo il filo dei miei calzoncini. «E, come forse ricordi, ha badato a Felix e me l’ha riportato, cosa che è stata davvero gentile.» Sorseggio il vino mentre ripenso al bacio. «Comunque, non c’è niente tra noi. È solo il mio nuovo capo, tutto qui.»

«Uuu-uhm.» Jenny beve altro vino. «E il fatto che in questo momento il viso ti stia diventando tutto rosso e che tu ti stia strappando i pantaloncini è solo dovuto a… che cosa? All’influenza? Stai covando qualcosa?»

Chiudo gli occhi e appoggio la testa al divano. «Ci siamo baciati, va bene? Ci siamo baciati.»

Lei mi dà una forte pacca sulla spalla. «Quando?!» All’improvviso sembra molto contenta.

«Sabato sera. A casa mia. Quando ha portato la cena.»

«Oh mio Dio! È successo tutto questo e non mi hai detto niente?! Ora capisco perché non vuoi trasferirti.»

«Ma taci.» La guardo, tenendo sempre la testa sul divano. «Non può succedere altro. Lavoriamo insieme adesso. È il mio capo. Si è scusato.»

«Ahi.»

«Sì. Ahi. Quindi non è niente, d’accordo? Solo… lasciamo perdere.»

«È difficile lavorare con lui?»

Sospiro, pensando alla mia giornata. «Non proprio. Certo, gli sbavo addosso tutto il tempo, ma non penso che lui se ne sia accorto.»

«Oh, sicuro» risponde lei in tono canzonatorio, «sei sempre così disinvolta in quel genere di cose.»

Mi tocca sorridere. Mi conosce fin troppo bene. «Sto cercando di fare l’indifferente, d’accordo? E oggi è stato molto più semplice, quando si è occupato del mio stupido allenamento.»

«Allenamento? È una parola in codice per qualcos’altro?»

«No. Come in palestra… un allenamento. Ho sollevato pesi con ogni muscolo del mio corpo per un’ora.»

Allunga la mano e mi strizza il bicipite.

«Ahi.» Trasalisco per il dolore ma scopro che non riesco a muovermi troppo bene. Più a lungo rimango seduta sul divano, più divento rigida.

«Hai bisogno di fare dello stretching.»

«È quello che ha detto Dev.»

«Dev.»

«Un collega. Il personal trainer.»

«Hai detto che ti ha allenata Ozzie.»

«Sì. Ma la prossima volta lo farà Dev.»

«Quindi al lavoro ti copri di sudore con un mucchio di uomini. Dev è sexy come Ozzie?»

Rido. «Pervertita. Non è così.»

«Lasciami sognare. Allora, lo è?»

«Se ti piacciono gli uomini alti quasi due metri e completamente calvi, allora sì. È carino.»

«Stai scherzando.»

«No, fidati, non sto scherzando.»

«Mmh.» Strofina l’orlo del suo bicchiere. «Magari un giorno mi capiterà di conoscerlo.»

«Forse.» Mi metto a sedere dritta mentre tutti i miei muscoli protestano.

«Stai bene?» chiede Jenny, posandomi la mano sulla schiena.

«Muscoli doloranti» mormoro in preda alla sofferenza.

«Farai meglio ad andare a casa a fare uno dei tuoi bagni.»

Mi giro un po’ per guardarla. «Tu starai bene?» Getto un’occhiata alla cucina, dove sento i bambini bisbigliare. Tramano una rivolta o un colpo di stato, probabilmente.

«Sì, staremo bene. Il vino ha aiutato.»

«Ho promesso loro il gelato.»

«Ho sentito. Non preoccuparti. Ti coprirò io.» Si alza e mi tende la mano per aiutarmi a mettermi in piedi.

La prendo e mi sollevo con difficoltà.

«Grazie per essere venuta e per avermi salvata dalla follia.»

La abbraccio forte e le bacio la guancia. «Quando vuoi, dove vuoi. Ci sarò.»

«Lo stesso vale per te, lo sai.» Mi dà delle pacche affettuose sulla schiena. «Se mai avessi bisogno di me, anch’io ci sarò.»

«Lo so.» Mi stacco da lei e giro con cautela intorno ai mobili. Una mossa falsa e potrei inciampare e, se finisco per terra, probabilmente dovrò rimanere lì per tutta la notte. In corpo mi è rimasta solo l’energia sufficiente a tornare a casa.

«Chiamami domani dopo il lavoro, per raccontarmi tutti i dettagli.» Jenny mi apre la porta d’ingresso.

«Lo farò.» Alzo la testa e parlo più forte. «Ci vediamo, bambini!»

«Ciao, zia May!» mi giunge da un coro di voci sottili.

«Gascie pe il geato!» aggiunge Sammy.

«Ringraziate vostra mamma!» grido di rimando, prima di uscire.

Prendo Felix e me lo metto sottobraccio. La serata è mite, sufficientemente umida per far sì che la maglietta inizi di nuovo ad appiccicarmisi addosso.

«Questo clima di New Orleans è adorabile» dice Jenny, facendo un gesto con il bicchiere, come se stesse brindando alla notte.

«Non vorrei essere da nessun’altra parte.» Le mando un bacio, salgo in macchina mettendo Felix sul sedile del passeggero, poi ingrano con delicatezza la retromarcia e mi lascio alle spalle lei e i suoi stravaganti figli.

Sono esausta ma felice. Più felice di quanto ricordi di essere stata da molto tempo. Ho un lavoro nuovo, una favolosa famiglia, un cane adorabile e un gruppo di persone che si definiscono una squadra che mi hanno accolta tra di loro. La vita è bella.