Capitolo Venticinque

Va a finire che tenere le mani lontane da Ozzie mentre ci alleniamo insieme non è una prova poi così difficile per la mia forza di volontà. Nell’istante in cui inizia a farmi faticare e a gemere per premere macchinari con le gambe e sollevare per aria stupidi manubri, tutte le sue attraenti qualità si scambiano di posto con la sua repellente praticità militare. Sono sorpresa che nel togliersi la barba non si sia tenuto due piccoli baffetti squadrati.

«Fanne un altro!» urla. «Dai! Spingi!»

«Arrrrgh!» Ora conosco qualcuno che non sarà invitato ad assistere alla nascita del mio primo figlio. Spingi un paio di palle!

«Ancora uno. Su, puoi farcela. Spingi!»

«Ne ho già fatto un altro!» Ansimo e sbuffo mentre i pesi mi pendono dalle braccia inerti. Mi brucia tutto. Tutto. Persino i muscoli dei glutei sono in fiamme.

«Non sei completamente spompata. Dai… ne vedo un altro nei tuoi occhi. Su.»

«Quella che vedi nei miei occhi è una minaccia di morte.» Cerco di sollevare comunque i pesi. Soprattutto perché la porta in cima alle scale si è appena aperta e Dev sta scendendo. Temo che se in me vedrà anche solo un briciolo di debolezza, mi perseguiterà con il doppio della foga una volta che si sarà rimesso; gira voce che avverrà domani. Ha un passo davvero scattante, ora.

«Dai, su!» mi grida Ozzie in faccia.

«Stammi lontano!» farfuglio a voce alta mentre le mie braccia iniziano ad alzarsi. Gli darei un calcio, se potessi, ma devo concentrare tutta la mia energia sui bicipiti. Il mio corpo si sta piegando piano all’indietro, cercando di compensare la mancanza di forza nelle braccia.

«Brutta posizione! Sta’ dritta!»

Altre gocce di sudore mi sgorgano dal viso mentre smetto di piegarmi e cerco di usare solo le braccia per far superare l’ombelico ai pesi da nove chili.

«Non riesco… non riesco…»

Lui mette un solo dito sotto ciascun manubrio. «Ecco, ti aiuto.»

Voglio urlare per la sua ridicola offerta di aiuto, ma non posso. Non mi sono rimaste energie per fare altro. Ho paura che mi scappi un peto; ho le natiche strette così forte che mi rimane pochissima forza per sollevare quei pesi da nove chili per la dodicesima volta.

«Aaaaah!»

«Benissimo!» urla lui. «Ce la fai!»

Dev si ferma appena ha raggiunto Ozzie e approva con un cenno. «Ce la fai. Ce la fai.»

I muscoli chiedono pietà, supplicandomi di smettere, ma io li costringo a spingersi fino al limite perché, se non lo faccio, me ne dovrò andare di qui con la testa china per la vergogna. So che tutti alla BSB danno il massimo in questo allenamento e io non posso essere Bo Peep per sempre. Mi tremano le braccia per lo sforzo. Ti prego, non farmi scorreggiare. Ti prego, non farmi scorreggiare.

I pesi finalmente obbediscono al mio comando e raggiungo il culmine del sollevamento. Ozzie li afferra e me li toglie di mano come se fossero fatti di piume, liberandomi dalla tortura di questo esercizio. Mi sembra che le braccia siano in procinto di fluttuare nell’aria ora che tutto il peso è sparito. Poi, quando le lascio ricadere lungo i fianchi, è come se avessi dei pesi da venti chili legati intorno ai polsi.

«Sei stata brava, per il tuo primo giorno» osserva sistemando i manubri su una rastrelliera, insieme ad altri pesi di varie misure.

Grazie a Dio, ora che la minaccia di un peto accidentale è passata, posso finalmente allentare le natiche. Mi piego e appoggio le mani alle ginocchia. Il sudore obbedisce alla legge di gravità, mi risale lungo il volto e mi finisce negli occhi. Cavolo, brucia. Mi alzo e cerco di scacciare il dolore battendo le palpebre. Sono sicura che sembri che io stia piangendo, ma sono troppo stanca per detergerlo con la mano.

«Allenamento tosto?» domanda Dev. A quanto pare sta trattenendo a stento una risata.

«Parecchio tosto.» Faccio spallucce, notando quanta fatica occorra per alzare le spalle prive di forza. Getto un rapido sguardo alla macchina, chiedendomi se sarò in grado di guidare. Il cambio manuale sarà un problema. Magari potrei chiamare un taxi senza che nessuno se ne accorga. Vorrei non aver comprato un’auto di un colore così brillante. Lo noteranno senz’altro se la lascerò per la notte nell’angolo del loro magazzino.

Ozzie mi dà una pacca sulla spalla. «Ti daremo un giorno libero e poi mercoledì ricominceremo.»

Mi allontano del sudore dalla tempia con un dito tremante. «Non c’è bisogno di aspettare. Posso rifarlo domani.» Tutta questa faccenda della dura mi sta salendo dalle profondità del mio io più primordiale. Sono sicura di avere una secchiata di adrenalina che mi scorre nelle vene, liberata dalla sensazione che mi dominava solo pochi minuti fa, ovvero che sarei morta sollevando pesi.

«Vedremo come ti sentirai domani.» Dev mi dà una pacca sulla spalla e poi scosta la mano disgustato, quando si rende conto di quanto sia bagnata.

Ozzie è di nuovo tutto professionale. «Domani ho bisogno che tu vada nel furgone con Toni e Thibault, per vedere che cosa puoi fare per installarci laggiù.»

«Operazione Barba Orrida?» chiedo.

Dev ride e poi si blocca immediatamente quando Ozzie lo guarda in cagnesco.

«Harley» precisa Ozzie. «È Harley, non Barba Orrida.»

Mentre prendo l’asciugamano sudato mormoro sottovoce: «Poteva anche essere».

«Oh cavolo.» Dev sorride, strofinandosi le mani. «Non vedo l’ora che arrivi il nostro prossimo allenamento.»

La sua allegria è contagiosa. «Oh, davvero?» Mi asciugo il viso e il collo con l’asciugamano, cercando di non fare una smorfia per quanto è ruvido. Odora di metallo. «Come mai?»

«Perché sei piuttosto vivace. Penso che mi divertirò a piegarti.»

Sbuffo. «Sì, certo. Come vuoi.» Mi sto atteggiando a dura, ma in realtà sono sull’orlo del pianto. Perché mi sono messa a sfidare il personal trainer della squadra? Non ho mai amato le punizioni, ma ora inizio a domandarmi se mi conosco davvero. O questo posto ha rivelato il mio vero io o mi ha trasformata in qualcos’altro. In un giorno. E che cavolo.

Il mio telefono suona e lo prendo dalla panca dei pesi per vedere chi è. Jenny. Mi ha mandato un messaggio che non posso ignorare.

Sorella: Per favore, chiamami appena puoi. Sammy è malato e io sono bloccata.

“Bloccata” potrebbe significare qualunque cosa con lei; potrebbe essere senza babysitter o chiusa dentro il bagno, per come la conosco.

«Qui ho finito o c’è altro che vuoi che faccia?» chiedo a Ozzie.

«No, sei a posto. Torna domani per le sette, se puoi. Ti servirà del tempo per esaminare l’attrezzatura prima che partiate per l’incarico.»

Annuisco sperando che, se arriverò così presto, potrò anche andarmene presto. Non che me ne lamenterei, se non potessi. Questo posto non assomiglia a nessun altro lavoro che abbia mai avuto in passato. È troppo… diverso. Informale. In un certo senso, è come trascorrere del tempo con una famiglia pazza. Una famiglia che ama gli allenamenti e i combattimenti corpo a corpo. Gente matta. Quasi quasi mi piacciono i matti.

«Posso parlarti per un minuto?» mi chiede Dev mentre ci avviamo tutti verso le scale.

«Certo, che c’è?»

Lui si ferma e aspetta che Ozzie vada avanti. Quando si volta verso di me, abbassa il tono di voce. «Senti, so che oggi hai dato tutta te stessa, perciò, se per qualche giorno vuoi evitare di allenarti, devi solo dirlo. Non perderai il nostro rispetto. Vediamo quanto ti stai impegnando.»

Corrugo la fronte, domandandomi se sia un tranello. «D’accordo.»

«Domani sarai tutta dolorante. Assicurati di fare un po’ di stretching adesso, un altro po’ stasera e anche domani mattina. Fai mai yoga?»

Scuoto la testa. «È roba per mia sorella, non per me.»

«Dovresti iniziare. Ti aiuterebbe con la flessibilità. Magari lei può mostrarti qualche posizione.»

«Okay, ricevuto. Stretching e yoga.»

Dev si ferma al tavolo di legno e sistema alcune delle armi che ci sono sopra. Non mi preoccupa nemmeno che possa decidere di usarne una contro di me. Se dovesse farlo, vorrebbe dire che mi schiaccerei un bel sonnellino a terra e gliene sarei grata. Solo restare in piedi mi sta privando dell’ultimo briciolo di energia che mi è rimasta.

Non sono mai stata un tipo da palestra, perciò avere qualcuno che mi ci costringe probabilmente è un bene. Suppongo che non mi dispiacerebbe essere un po’ più flessibile. Presto avrò trent’anni e mia sorella mi ha già detto all’incirca un centinaio di volte che a trent’anni il suo corpo ha iniziato ad andare a pezzi.

Pensare a lei mi ricorda il suo messaggio. Digito in fretta una risposta.

Io: Sono per strada.

«Ci vediamo domani?» chiede Dev sollevando una mano.

Gli batto un cinque deciso. Niente pugni per averlo mancato, questa volta. «Sì. Domani.»

«Benvenuta nella squadra» dice portandosi davanti alla scala, poi afferra il corrimano e sale di slancio i primi tre gradini.

«Grazie. È bello essere qui.»

Dev varca la porta di sopra e Ozzie esce. Raggiungo piano la mia auto, nel caso in cui voglia salutarmi. Mi siedo all’interno, fingendo di dover sistemare il vano portaoggetti, quando sento la sua voce accanto al finestrino.

Si sporge un po’ in avanti e sorride. «È andata bene la prima giornata?»

Sorrido anch’io, d’un tratto nervosa. Il coglione militare è sparito e al suo posto c’è l’Ozzie affascinante, a pochi centimetri di distanza dal mio corpo sudato. L’uomo che mi ha salvato la vita e che mi ha offerto un lavoro fichissimo. Il mio cuore si scalda al ricordo degli eventi che mi hanno condotta qui. Forse farmi sparare non è stata la peggior cosa che mi sia mai capitata.

«Non hai intenzione di licenziarti, vero?»

«Stai scherzando? Proprio ora che le cose si stanno facendo interessanti?» Non volevo che le mie parole avessero un doppio senso, ma il lieve guizzo del suo sopracciglio destro mi fa capire che l’avevano.

«Hai programmi per questa sera?» chiede in un tono indifferente che non rivela nulla.

«Penso di sì, in realtà.» Guardo il telefono, dispiaciuta che mia sorella abbia una crisi. Magari Ozzie aveva intenzione di chiedermi di uscire.

«Buon per te. Resta al sicuro.» Dà due colpi con la mano al bordo del finestrino e indietreggia.

Lo guardo allontanarsi, domandandomi se dovrei dirgli quali sono i miei programmi. Sembrerebbe troppo disperato? “Ozzie, non preoccuparti! Non ho dei programmi con un uomo!” Oh mio Dio, sì. Del tutto disperato. Forse è meglio lasciargli pensare quello che vuole. È meglio farsi desiderare, giusto? E da quando in qua è importante? Lui è il mio capo! Non andrò a letto con lui, maledizione!

Ficco la chiave nell’accensione con più forza di quanta intendessi metterne, rompendomi un’unghia. Me la succhio per un paio di secondi, poi ingrano la prima. Odio essere così schiava della mia libido.

Ozzie mi osserva come un falco mentre mi giro all’interno del grande capannone e punto la macchina verso il portone aperto.

«Ci vediamo domani» dico mentre gli scivolo accanto, il più disinvolta possibile.

«Ci vediamo domani.» Si porta di fianco all’auto in movimento e mi porge il Taser. «Parcheggia la macchina in garage questa sera.»

Metto il Taser in borsa e lo saluto con la mano mentre esco. L’auto sobbalza e strappa quando per sbaglio lascio andare troppo in fretta la frizione. Premo di nuovo il pedale e afferro il cambio, cercando di metterlo in seconda. Le cose vanno via lisce un paio di secondi dopo, ma non prima di aver fatto la figura dell’idiota totale davanti all’unica persona che voglio mi consideri una tosta. Tipico. Non so nemmeno perché mi sia presa la briga di provarci.

Faccio un lungo sospiro mentre gratto un’altra marcia superando il portone che conduce all’esterno. Arrivederci, Bourbon Street Boys e ciao, notte di New Orleans.