Capitolo Cinquantatré

Mi sto chinando per prendere Felix dal tappeto del salotto quando la voce mi raggiunge.

«Bene, bene, bene… Se questa non è Le Petit Rouge…» dice l’uomo con un accento creolo.

Il mio cervello fa una rapida traduzione.

Petit Rouge. Piccolo rosso.

Poi capisco.

Cappuccetto Rosso! Sono io! Sono io Cappuccetto Rosso!

Poi mi colpisce un secondo particolare.

In casa mia c’è un maledetto assassino e ha intenzione di uccidermi!

Poi mi balza agli occhi un terzo e ultimo dettaglio.

Cos’è questa mania di affibbiarmi i nomi dei personaggi di tutte le stramaledette favole, eh?

Gli faccio un cenno, uso il linguaggio corporeo per esprimere una freddezza che non possiedo, se non in maniera superficiale. «David.» Tengo il coltello all’altezza della spalla, che trema perché tutto il mio corpo sembra essere scosso da un terremoto. Non sono pronta a morire. Ho tantissime questioni irrisolte di cui occuparmi! Che cosa farà Jenny senza di me? E i bambini? E Ozzie? E Fee?

Se lo stronzo osa fare anche un solo passo verso di me, gli pianterò questo coltello nel punto più vicino del suo corpo. Ha una pistola in mano, però, e così capisco che è improbabile che mi venga abbastanza vicino perché possa usare la mia arma. Avrei dovuto chiedere a Ozzie di mostrarmi come funziona una pistola. Cazzo. Ora è troppo tardi. È troppo tardi per tutto. Non ho mai voluto che la mia vita finisse con tutti questi rimpianti.

«E sai anche il mio nome» dice lui. «Che bello.» L’espressione sul suo viso è tutt’altro che contenta.

«Perché sei qui?» chiedo, sperando che, se continuo a farlo parlare, magari arriverà qualcuno, mi troverà e mi salverà prima che lui faccia la sua mossa.

«Pensavo fosse ovvio. Ti aspettavo, in realtà. Dove sei stata tutto il giorno, mi domando?»

Faccio spallucce. «Sono una fotografa. Vado in giro.»

Lui mi squadra a lungo.

Devo spostare il peso sull’altro piede. Per la tensione mi si sta intorpidendo la gamba. Non ho quasi più forze in nessuna parte del corpo, grazie all’allenamento di oggi. Odio dover affrontare quest’uomo con la potenza di una bambina di tre anni. Sammy potrebbe battermi in qualunque sfida di wrestling.

«E che ci faceva una fotografa al Frankie’s con Harley, mi chiedo?»

«Harley?» Cerco di sembrare il più confusa possibile. «Non ho idea di chi sia Harley. Ero lì per incontrare mia sorella.»

Probabilmente morirò qui questa sera, ma se posso lasciare questo mondo ripristinando la copertura di Ozzie, forse lui potrà andare a fondo della faccenda, capire cosa stanno combinando e metterli tutti in galera. Non è un granché come vendetta, ma è meglio di niente. Magari nel corridoio della Bourbon Street Boys metteranno una targa commemorativa con la mia foto, accanto alla lettera del capo della polizia.

Cerco di sorridere. «Il barista mi ha rivelato il tuo nome quando gli ho detto che eri carino.» Il mio sorriso crolla per la bugia vergognosa. Non mi crederà mai. Non può non rendersi conto della sua bruttezza, o forse no?

L’uomo mi sorride, alzando le sopracciglia due o tre volte con aria allusiva, tanto per essere chiaro.

Bleah, ma chi sto prendendo in giro? Probabilmente pensa di essere un dono di Dio alle donne, con quella sua bitorzoluta testa pelata.

«Quindi cercavi tua sorella, eh? E chi sarebbe? Magari la conosco.»

«Non è affar tuo chi sia mia sorella.» Certo. Come se fossi disposta a rivelare quell’informazione a un assassino. Deve pensare che sia ingenua come Bo Peep o qualcosa del genere.

Perde il suo sorriso e avanza piano verso di me. Io mi muovo in tondo verso destra, cercando di avvicinarmi alla porta d’ingresso. La borsa, il Taser e il mio bastone sono lì che mi aspettano. A soli tre metri di distanza…

«Mi hai visto al bar» dice, la mano che si sposta dietro la schiena per prendere la pistola. «Non dovevi essere lì. Frankie’s non è il tuo genere di posto, ho ragione? Avevo un sacco di amici lì quella sera, ma tu non eri una di loro.»

«Era difficile non vederti, considerando che mi hai sparato una pallottola in faccia.»

«Eri con Harley. Non cercare di mentirmi dicendomi che non è così. Ho visto il modo in cui ti guardava. Ti mandava messaggi. Io però sparavo a lui, non a te.»

Assumo un’espressione disgustata. «Per l’ultima volta, non ero lì con questo Harley. Mi trovavo lì per incontrare mia sorella. Un grosso Wookiee peloso mi ha afferrata e ha cercato di aggredirmi mentre mi trovavo nella sala sul retro. Pensavo fosse amico tuo.»

Inarca le sopracciglia.

«Gli ho dato una scarica con il Taser nel vicolo, quando mi ha inseguita.»

«C’ero anch’io nel vicolo. Non ti ho vista farlo.»

«Non era il vicolo accanto al bar, era quello qualche isolato più avanti. E so per certo che eravamo da soli. Quell’idiota mi è corso dietro, che tu ci creda o no. Coglione.» Fingo una risata soddisfatta. «Probabilmente pensava che sarei rimasta senza fiato e che sarebbe riuscito ad acchiapparmi e farmi quello che voleva, ma io gliel’ho fatta vedere. Gli ho folgorato il culo. È caduto come un grosso masso peloso, dritto sulla sua grassa, stupida faccia.»

Forse sono ancora arrabbiata con Ozzie per avermi mentito. Questo potrebbe spiegare perché le mie capacità recitative sono migliorate all’improvviso.

«Ci scommetto» commenta David con aria assente, fissandomi intensamente. Tira fuori le mani da dietro la schiena, senza la pistola.

È strano, ma ora sono ancora più spaventata di quando teneva l’arma dove potevo vederla. Perché l’ha messa via? Mi sta lasciando andare? Crede alla mia storia penosa?

Fa un passo verso di me. «Sembri così innocente.» La sua voce si è addolcita. «Così… graziosa con quella magliettina rosa.»

Abbasso lo sguardo sul mio petto. Indosso una polo che ho comprato l’anno scorso per il mio compleanno. All’epoca mi aveva ricordato la glassa di una torta.

«Oh, grazie» rispondo, facendo un altro passo a destra. «Credo.»

«Perché non metti giù quel coltello e… parliamo e basta?» Tende la mano come se fosse innocente. «Io ho messo via la pistola, hai visto? Nessuno si farà del male.» Mi sta sorridendo come se fossi davvero Cappuccetto Rosso e mi sta spaventando a morte. Che denti grandi che hai, nonno. Ha dei canini appuntiti come un vampiro. Posso quasi credere che quei mostri siano reali, con lui davanti in jeans neri. Ma in questa storia sarebbero demoni, perché non c’è niente di sexy in questo vampiro con la pistola nella cintura. Puah.

«Sì, d’accordo.» Getto uno sguardo alla porta e alle mensole accanto all’entrata. «Penso che potrei mettere il coltello su uno degli scaffali laggiù.» Gli faccio un sorriso di scuse. «Li ho pagati un sacco di soldi, quindi se per te va bene preferirei non metterlo a terra.»

Lui indica la libreria. «Va’ pure. Fa’ come se fossi a casa tua.» Mi rivolge un altro sorriso, questa volta più grande.

Cambio posizione assumendone una che sembri meno guardinga e vado piano verso le mensole, comportandomi come se non lo stessi osservando con la coda dell’occhio. Tu tieni gli occhi sulla maglietta rosa, psicopatico. Maglietta rooosa

Lui drizza la schiena e si sposta dietro di me. È a pochi passi di distanza quando scorgo Felix sdraiato in corridoio, dove si è trascinato. È disteso sul fianco e ansima, la testa piegata per guardarmi. Geme quando vede che lo fisso.

«Felix!» strillo, posando il coltello sulla mensola e correndo poi a chinarmi su di lui. Certo, sono preoccupata per la vita del mio cucciolo, ma sto anche cercando di avvicinarmi alle mie armi, così da servire una bella porzione abbondante della mia vendetta all’uomo che ha ferito il mio piccolo.

«Sta bene. Sono solo inciampato su di lui mentre camminavo in corridoio.»

Serro i denti per impedirmi di rispondergli come vorrei. Tocco con cautela la testolina di Felix, calcolando quanto in fretta posso saltare di lato e afferrare una delle mie armi prima che David capisca quello che sto facendo e tiri fuori la pistola per spararmi.

Taser o bastone? Bastone o calcio nei testicoli? Decisioni, decisioni…

«Alzati.» David è solo a mezzo metro da me, il suo tono mi dice che ha un piano. Sono del tutto sicura di non voler sapere quale sia.

«Il mio cane è ferito» dico, cedendo al panico. Non arriverò alla borsa in tempo. Rimane il bastone, ma non può competere con una pistola!

«Starà bene. Alzati.»

Indico la borsa. «Ti dispiace se faccio una rapidissima chiamata al veterinario? Il mio telefono è in borsetta.»

Lui ride. «E anche il tuo spray al peperoncino, ne sono sicuro. Alzati. Questa è l’ultima volta che te lo dico.»

Mi rimetto piano in piedi, poi muovo un passo verso la porta d’ingresso, zoppicando un po’ e piegandomi per toccarmi il ginocchio. «Ahi, accidenti. Un crampo.»

Fingo di avere delle difficoltà a caricare il peso sulla gamba. Faccio due passi di lato, sempre mezzo zoppicando. Il bastone mi chiama a sé.

«Oh, merda, questo crampo.»

Sorride alle mie parole. Imbecille. Pensa davvero che io sia la piccola Bo Peep con la maglietta rosa. Questo mi fa arrabbiare di più della stupida pistola che ha nei pantaloni. Non sono una ragazza svampita che sta in un campo con niente di meglio da fare che badare a un gregge di pecore che brucano l’erba, maledizione!

«Sai, se ti avessi incontrata in un posto diverso, in un momento diverso… penso che saremmo potuti andare d’accordo.» Si afferra il cavallo dei pantaloni, stringendolo.

È a questo punto che mi rendo conto che è eccitato.

Oddio. Sto per vomitare. Ha intenzione di violentarmi, vero?

Ricambio il sorriso, cercando con tutta me stessa di trattenere la paura e il disgusto che provo. «Davvero? Che carino.»

No! Tutt’altro! Sei proprio, proprio orribile, stronzo!

Spalanco gli occhi ed emetto un lamento strozzato con tutta la drammaticità che mi riesce. «Oh! La mia gamba!» Cado sul pavimento e atterro sul bastone. La Disney mi avrebbe assunta per uno dei loro spettacoli per bambini se avessero potuto vedermi adesso. Non sono per niente credibile.

Lui borbotta rabbioso e mi afferra. «Basta stronzate! Vieni qui!» Mi ha presa per la gamba dei pantaloni e mi sta trascinando verso di lui.

Il bastone in mano mi dà una sensazione fantastica, come se fossi nata per brandirlo. Lo alzo da terra di colpo e lo porto dall’altro lato con tutta la forza che mi è rimasta.

«Eeeaaah!» urlo, assaporando il forte sbam che sento quando entra in contatto con la sua gamba.

Lui grida di dolore quando il ginocchio gli cede.

Continua a muoverti, continua a muoverti, continua a muoverti. Le istruzioni di Dev mi ritornano alla mente.

Alzo il bastone e glielo sbatto sulla testa quando lui si piega per riacciuffarmi.

«Aaargh!» Cade in avanti e mi finisce in grembo.

Sottolineo ogni parola che mi esce di bocca con un altro colpo di bastone, picchiandoglielo in testa, sulle spalle, sulla schiena e sulle braccia.

«Allontanati!» Colpo!

«Da!» Colpo!

«Me!» Colpo!

«Brutto!» Colpo!

«Stronzo!» Colpo!

Alla fine smette di muoversi e io interrompo gli insulti per liberarmi del suo peso sopra di me.

Mi metto in ginocchio a fatica e striscio fino al sistema di allarme, usando la maniglia della porta per alzarmi in piedi. Tutte le luci sul tastierino sono spente.

«Ovvio!» urlo, guardando David in cagnesco. «Hai distrutto il mio sistema d’allarme, pezzo di merda!»

È ancora immobile.

«Oh, Signore, fa’ che non sia morto.» Mi avvicino di soppiatto e gli prendo la pistola dalla cintura. È molto più pesante di quanto mi aspettassi. Apro la porta anteriore e la lancio fuori sul prato.

Proprio mentre sto per chiudere la porta, il furgone di Ozzie entra nel mio vialetto. Faccio un passo verso di lui ma poi crollo, le gambe che mi cedono, questa volta per davvero. Atterro nella veranda in un lago di lacrime.

«Ozzie!» strillo tendendogli una mano. Di nuovo parecchio drammatica, ma molto più credibile, quindi ovviamente la Disney adesso non mi vorrebbe più.

Lui apre la portiera, balza giù e scatta verso di me, il volto rosso fuoco e il corpo che sembra due volte più grosso del normale. Sahara è proprio dietro di lui, che ringhia, abbaia e sbava come un mastino dell’inferno impazzito.

I miei eroi.

Piango di sollievo. Sono venuti a salvare Fee e me. Non sono mai stata così felice di vedere qualcuno in tutta la mia vita. Non mi importa se ama Toni. Ora gli perdonerò qualunque cosa.