Capitolo Quarantasei
Dopo aver indossato la tenuta da allenamento, incontro Ozzie nella palestra dell’agenzia. Anche lui porta vestiti da allenamento e devo distogliere lo sguardo dal suo cavallo che, giuro, sta diventando più grosso a ogni secondo. Non basta a calmarmi, però. Il suo torace è massiccio alla luce del giorno, e ancora ricordo la sensazione che mi dava sentirlo sotto i palmi e che aspetto aveva nudo, sospeso sopra di me.
«Oggi ti mostrerò il circuito di Dev, così potrai farlo senza di me in futuro.»
Rimango delusa. Tutti i pensieri erotici abbandonano subito la mia mente. Il circuito? A nessuno piace il circuito. Non so nemmeno cosa sia, ma non piace neanche a me.
«Che c’è?» mi chiede avvicinandosi.
Indietreggio. «Niente.» Guardo l’attrezzatura, comportandomi come se non mi ferisse il fatto che sta già cercando di rompere la promessa di allenarsi con me. «Da dove cominciamo?»
«Non cominciamo finché non mi dici che cosa ho sbagliato.» Mi osserva con un’espressione che mi dice che sta parlando di questioni di lavoro.
«Non è niente. Solo che sono una donna. Sciocchezze. Su, alleniamoci.» Devo proprio smetterla di essere così testa di cazzo. Sto iniziando a stancarmi di me stessa.
Lui rimane immobile per qualche secondo, poi si sposta alla mia destra. «Qui ci sono i famosi appunti.»
Prende un portablocco dal tavolo e lo sorregge perché io lo veda. I suoi muscoli si tendono persino con quel piccolo movimento. Slurp.
«Dev ha scritto qui una lista di esercizi che devono essere eseguiti su determinate macchine. Ciascuno va fatto per un minuto in totale, ripetendolo finché riesci a farlo senza sforzo, con una pausa di 15 secondi tra l’uno e l’altro. Non puoi riposarti più a lungo o lui si incacchia.»
«Come fa a sapere se hai seguito o no il programma?»
«Perché è un fanatico. Fidati, capisce solo guardandoti se hai imbrogliato. Non so se conti in segreto i secondi che occorrono per attraversare la stanza, ma lo sa. Imbrogliare nel circuito è imbrogliare te stessa, e imbrogliare te stessa significa imbrogliare la squadra. Quindi non imbrogliare e basta. Segui le regole sul portablocco.»
«Sembra minaccioso» commento, cercando di scherzare sul fatto che ho un generale nazista che si occupa dei miei esercizi. Non sono più tanto sicura di volermi rimettere in forma.
«No. Ti ci abituerai. Inoltre… dà dei risultati.» Mi mostra gli appunti. «Qui c’è il primo esercizio. Dev ha numerato le macchine. Il primo si fa alla numero otto. Fai delle trazioni, dietro la testa. Ci sono delle immagini su come fare l’esercizio, perciò puoi seguirle mentre ti alleni.» Indica il foglio, poi va verso la macchina. «Siediti.»
Mi siedo sulla mini panca imbottita e aspetto che Ozzie faccia la mossa successiva. Lui mette un blocco ad alcuni pesi che dovrò spostare. Davanti a me noto l’immagine che diceva, che descrive come svolgere l’esercizio. È il disegno di una persona che si porta la barra dietro al collo, proprio come ha detto lui. Annuisco. Sembra abbastanza facile.
«Afferra quella barra sopra la tua testa e tirala giù dietro il collo. Piano, con movimenti controllati; fanne più che puoi con le mani ben distanziate.» Preme un pulsante su un cronometro attaccato al macchinario con del nastro adesivo. «Il timer è impostato.» Preme un altro pulsante. «Vai.» I secondi iniziano a scalare da 60.
Tiro la barra e sorrido quando mi accorgo che il peso che ha scelto per me è gestibile. Posso farcela. Non avrò nemmeno bisogno di barare sui secondi.
Ozzie osserva la barra scendere. Poi mi guarda, concentrandosi sul mio viso.
«Non hai mangiato la tua omelette» dice a bassa voce, così che non si senta dall’altra parte del magazzino.
«Lo so.» Aspetto, mentre abbasso di nuovo la sbarra, prima di continuare. «Non volevo che tutti vedessero.» Butto fuori l’aria mentre cerco di impedire che la barra voli sopra la mia testa. D’accordo, non è così facile come pensavo.
«Ti ho messo in imbarazzo, preparandotela?»
I pesi sferragliano quando perdo accidentalmente il controllo della barra.
«Piano» mi dice.
Trattengo meglio l’attrezzo e ripeto l’esercizio. «No, non mi hai affatto messa in imbarazzo. Sono contenta che tu l’abbia fatto. Solo… non volevo che qualcuno capisse qualcosa che tu non vuoi che sappiano.»
«E che cosa sarebbe?» chiede.
Mi sforzo per far tornare su la sbarra lentamente. Penso che i pesi siano diventati più pesanti, in qualche modo, anche se vedo che Ozzie non li ha toccati.
«Lo sai.» Divento rossa in viso, in parte per la fatica, ma anche per le sue domande. «Non farmelo dire.»
«Non vuoi che si sappia che siamo stati a letto insieme.»
Lascio andare la barra. I pesi sbattono uno contro l’altro. «Non ho detto questo.» Devo strofinarmi le mani sui pantaloncini per asciugarle. Sto già sudando. Non so se sia dovuto all’allenamento o alla nostra conversazione.
«Se vuoi tenere un basso profilo, possiamo farlo.» Ozzie alza le spalle.
«Credo solo che, se gli altri lo sapessero, penserebbero male di me.»
«E allora dovranno vedersela con me» dice.
Non sono sicura che se ne renda conto, ma il petto gli si gonfia un po’ mentre lo dice.
Sorrido, vedendo spuntare di nuovo quell’istinto protettivo. È davvero una delle sue qualità più attraenti. «Posso combattere le mie battaglie da sola, se non ti dispiace.»
«Bene. Ma dimmelo se qualcuno ti fa delle storie.»
Scuoto la testa. «No, non lo farò.»
«Stai barando!» urla una voce dall’altro lato del magazzino, facendomi trasalire.
Ozzie mi agita il portablocco davanti. «Dai, il prossimo esercizio.» Si sposta verso un altro macchinario e indica il seggiolino. «Imposta il cronometro. Un minuto. Poi riposa per 15 secondi prima di cominciare.»
Premo il pulsante di questo nuovo cronometro come ha fatto Ozzie sul primo e poi mi appoggio le mani sulle gambe. In realtà sono già un po’ senza fiato. Che incapace.
«Regola i pesi a 27 chili.»
«Devo fare così su tutte le macchine?» Mi protendo in avanti e tiro fuori un piolo metallico dalla pila di pesi, infilandolo nel numero 27.
«No. Dev ci ha dato una lista di quello che dovremmo sollevare. Ecco la tua.» Ozzie indica una tabella sul primo foglio, dove sono elencati i pesi di tutti per ciascuna macchina. Quelli di Ozzie sono i numeri più alti, ovviamente. Enormi, paragonati ai miei. Su questa dovrebbe sollevare 80 chili. È mai possibile? Guardo in basso e vedo che i pesi arrivano solo a 70.
«Cavolo. È proprio un fanatico dell’allenamento o cosa?»
Ozzie mi parla vicino all’orecchio. «Diciamo solo che prende seriamente il suo lavoro.»
«Vi vedo che imbrogliate, laggiù!» urla Dev. «Il periodo di riposo è di 15 secondi! Non 15 minuti!»
Premo il pulsante del cronometro e inizio l’esercizio, ma con metà della forza necessaria, perché sto cercando a fatica di non ridere.
Ozzie deve voltarsi dall’altra parte per non ridere anche lui.
«Allora, qual è il problema di Toni?» chiedo, sentendomi più forte ora che la mia mente è concentrata su di lei, che ce l’ha con me per qualche misteriosa ragione. I pesi praticamente volano via dalla pila.
«Riguardo a cosa?»
«Riguardo a te. Siete stati a letto insieme?»
Ozzie fa una smorfia. «Toni? E io?»
«Sì.» Fingo che non mi interessi, fissando i pesi che si alzano e si abbassano al mio comando.
«No. Mai.»
«Allora perché era arrabbiata all’idea che passassi la notte con te?»
«Non lo so.» Scuote la testa. «Forse è iperprotettiva.»
«Con te?» Sbuffo. «È divertente.»
«Toni è leale. La prende sul personale quando un estraneo infastidisce la sua famiglia.»
«E io sono l’estranea.» Mi rattrista riferirmi a me stessa in quel senso. Desidero più di ogni altra cosa appartenere a questo luogo. Non ho pensato a fotografie di matrimoni da, tipo, 48 ore, quando negli ultimi sette anni era tutto ciò a cui pensavo. Libertà! Non voglio che mi venga sottratta ora che finalmente l’ho assaporata. Posso infine ammettere che odiavo quello che facevo. Ci sono voluti i Bourbon Street Boys per mostrarmelo, per farmi essere sincera con me stessa.
«Non direi che sei propriamente un’estranea. Nella sua testa sei solo in prova. Non preoccuparti, però. Alla fine ti accetterà.»
«Se mi dimostrerò all’altezza.»
«Lo farai.»
Spingo le manopole davanti a me per la decima volta mentre il segnale acustico scatta sul cronometro. Grugnisco, spingendo i pesi che ora mi sembrano quattro volte più pesanti di quando ho iniziato. «Aaarrrgh!»
«Vai, ragazza!» grida Dev dall’altro lato della stanza.
Rido e lascio andare le manopole prima che la ripetizione sia finita.
Ozzie mi appoggia la mano sulla spalla. «15 secondi. Riposati. Ne hai proprio bisogno.»
Alzo gli occhi su di lui, il sudore che mi cola sul viso. «Il prossimo è difficile?»
Lui sorride e abbassa la voce fino a un sussurro. «No, ma ho dei piani per te per questa sera.»
Per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordare nessuno degli esercizi che ho fatto durante l’allenamento. Ero troppo distratta, mi domandavo che cosa avesse intenzione di fare con me e quanti orgasmi avrebbe compreso.