Capitolo Diciotto
Un messaggio fa squillare il mio telefono. Sono in piedi davanti al pannello di allarme accanto alla porta d’ingresso e cerco di ricordare le istruzioni che Thibault mi ha dato un’ora fa. Se qualcuno entra e mi costringe a spegnere l’allarme, così da potermi derubare o uccidere, quali quattro cifre dovrei digitare?
Ozzie: Ti dispiace se passo verso le 7?
Presumo abbia in programma di farmi quell’offerta che non posso rifiutare. Ma io ho già deciso. Non lavorerò con loro. Non sono un agente segreto, sono solo una fotografa con la predisposizione a cogliere l’attimo su pellicola. In più, non sono così impaziente di mettermi in pericolo. Essere inseguita per una notte e dormire in un magazzino è stato sufficiente.
Io: Se vuoi. Non voglio farti perdere tempo però.
Ozzie: Ci vediamo alle 7.
Non coglie l’accenno. Uff. Mi guardo intorno e decido che, se deve passare, tanto vale che raccolga un paio di cose. Come i calzini che ho lasciato per terra accanto alla scrivania, per dirne una. Probabilmente dovrei anche procurarmi una bottiglia di vino. Non che berremo vino o ceneremo o altro, ma sarebbe scortese non avere qualcosa da offrire, giusto? Vado rapida alla porta, infilo i piedi nei sandali e afferro la borsa dal pavimento dell’ingresso.
La porta emette un bip, ricordandomi che devo inserire l’allarme. La chiudo di nuovo e fisso il tastierino. Thibault ha usato la data del suo compleanno come codice, così non avrei dimenticato nessuno dei due. Manca solo una settimana, ha detto.
Premo le quattro cifre che penso di ricordare e lascio la casa, chiudendo la porta dietro di me. Aspetto qualche secondo, non sento niente, quindi presumo che possa andarmene.
Il negozio all’angolo non ha la miglior scelta di vini del mondo, ma devo accontentarmi. In quello più grande c’è sempre troppa confusione per pensare di poter entrare e uscire in meno di 15 minuti.
Inizio con una bottiglia di merlot e poi decido che dovrei comprarne due, non si sa mai. Non si sa mai cosa? Non ne ho idea. Nel caso porti un amico, forse. Non che mi aspetti che rimanga per due bottiglie. Indicherebbe che sto pensando di alzare un po’ il gomito e magari anche di allungare un po’ le mani. E ovviamente non lo farò. Neanche per sogno. Solo l’idea mi fa sentire tutta agitata.
Metto la macchina nel garage ed entro in casa dalla porta interna. Il segnale acustico inizia a suonare subito. So che ho pochi secondi per spegnerlo, ma ciò mi impedisce di andare nel panico? No. Mi sento come se fossi entrata in casa mia con scasso.
«Cos’era quel codice?» mormoro fissando il tastierino. Il forte segnale mi distrae troppo. Non riesco a ricordarlo! Tiro fuori il telefono dalla borsa, poi tocco l’icona del calendario. «Quand’è il tuo compleanno, Thibault?» Fisso i giorni della settimana, ma non ricordo se sia sabato o domenica. Tiro a indovinare e schiaccio i numeri.
Scatta l’allarme.
«Cazzo!»
Felix arriva svoltando l’angolo di corsa e abbaiando come un matto. Meglio tardi che mai, presumo.
Una voce proviene da un qualche altoparlante. «BSB Security. Si prega di inserire il vostro codice di accesso.»
«Non mi ricordo il mio codice di accesso!» strillo.
Mi suona il telefono.
«Pronto!» urlo per farmi sentire sopra la sirena.
«Pronto, sono Amy dall’Home Monitoring Service della Bourbon Street Boys Security. Con chi sto parlando?»
«Con May. Sono May. La proprietaria della casa.» Premo qualche altro pulsante sul tastierino, provando l’altra data, ma non succede nulla. Mi fanno male i timpani per la sirena e Felix sta dando di matto.
«Sta bene?»
«Sto bene! Solo non riesco a ricordare lo stupido codice che ho inserito in questa cosa, maledizione!»
«Si ricorda la password segreta da dirmi al telefono?»
Penso in fretta. Thibault mi ha suggerito di non usare il nome del cane. Troppo facile da indovinare, ha detto. Il nome di un precedente animale andava bene, o anche quello di un amico. Un personaggio Disney era una scelta comune. Quale ho scelto? Ho pensato a tante opzioni mentre lui era qui, ma non riesco a ricordare quale ho stabilito alla fine…
«Sahara!» grido. «Sahara è il codice segreto!»
«Benissimo. Spegnerò l’allarme e annullerò la chiamata alle forze dell’ordine che è già partita.»
La sirena si zittisce e io mi appoggio al muro per sostenermi.
«Le serve altro?» domanda Amy.
«Sì. Un bicchierino di tequila.»
Lei ride. «Forse un po’ di tè sarebbe la scelta migliore.»
«Se lo dice lei. Grazie.»
«Non c’è di che. Le auguro una buona serata.»
«Anche a lei. Arrivederci.»
Riattacco e mi infilo il telefono in borsa prima di piegarmi per prendere Felix e calmarlo. Sta tremando forte.
Baciargli la testa lo spinge a voltarsi e a provare a leccarmi. «Tranquillo, piccolo. Va tutto bene. Niente cattivi che entrano in casa oggi.»
Ora che ho visto il sistema d’allarme in azione, sono un po’ impressionata. Non che creda davvero che un killer mi stia ancora cercando, tuttavia… prevenire è meglio che curare, giusto? Come minimo, quella sirena l’avrebbe assordato.
Suona il campanello, che suscita in Felix un accesso di collera. Lo metto giù, così può correre all’ingresso e spaventare a morte chiunque ci sia. Controllo l’orologio. Probabilmente è Ozzie, anche se mancano ancora dieci minuti alle sette.
Poso le bottiglie di vino sul bancone e vado alla porta. Lo spioncino conferma che il mio ospite è in anticipo. Giro la chiave e apro.
«Ciao.»
«Ciao» dice lui, le braccia avvolte intorno a due sacchetti di carta.
Sahara ci supera entrambi e va in soggiorno, la coda che scodinzola. Felix inizia il suo balletto da “benvenuta nel mio appartamentino da scapolo”, mentre lei descrive dei piccoli cerchi cercando di annusargli il sedere.
«Hai portato dei regali» noto, cercando di sbirciare nel sacchetto più vicino.
«Ho portato la cena. Spero tu abbia fame.»
Tengo la porta aperta finché non è passato e poi la chiudo. Lui prosegue attraverso il soggiorno fino in cucina, come se fosse casa sua.
Uhm. Non so cosa pensare di questa cena improvvisata. L’aveva accennato nel messaggio? Constato che non l’ha fatto.
«Come va il sistema di allarme?» chiede, svuotando le borse di carta. Ne escono contenitori bianchi di varie misure che vengono accatastati sul bancone.
Entrambi i cani sono ai nostri piedi, speranzosi che cada qualcosa.
«Alla grande. Mi è già capitato il primo incidente.»
Si ferma per guardarmi. «Incidente? È entrato qualcuno?»
Rido, un po’ imbarazzata. «No, a meno che come effrazione non conti anche io che cerco di entrare in casa mia dimenticandomi il codice.»
La sua espressione si fa un po’ cupa. «Dovevi scegliere un codice che fosse semplice da ricordare.»
«Era facile. Più o meno.»
«Che cos’era?»
«Il compleanno di Thibault.»
Ozzie sospira disgustato. «C’era da immaginarselo.» Continua a tirar fuori contenitori. A un certo punto rivolge un’occhiataccia a Sahara e le indica un angolo della stanza. «Va’ a sdraiarti.»
Lei obbedisce subito al suo ordine. Felix la segue e si accoccola accanto a lei.
Sono alquanto stupita, non solo di quanto sia bravo a controllare i nostri cani, ma anche di quanto cibo abbia portato. Il resto della squadra si unirà a noi o cosa?
«Scegli quattro cifre che puoi ricordare e le programmerò per te questa sera.»
Mi sento un pochino sfrontata quando rispondo con: «E cosa ti fa pensare che voglia che tu conosca il mio codice segreto?».
Lui continua a spostare contenitori, senza nemmeno battere ciglio. «Non sono una minaccia per te.»
«Sì, come no.» Mi esce di bocca prima che possa fermarmi. Stavo immaginando la sua mano che toccava il mio corpo, e come perderei completamente il controllo se succedesse, ma grazie a Dio lui non lo sa.
Tira fuori l’ultimo contenitore e schiaccia il sacchetto. «E questo che cosa dovrebbe significare?»
Scrollo le spalle. «Niente.» In realtà volevo dire che è una potenziale minaccia al mio buon senso, ma se vuole interpretarlo come se avessi paura di lui, non gli toglierò quell’illusione. Forse gli darà una bella iniezione di fiducia in se stesso. In più, non ammetterò neanche morta che ho una cotta per lui, dal momento che lui non prova nessun interesse di quel tipo per me.
Mi fronteggia e sembra avere dei problemi a scegliere le parole giuste. La sua bocca si apre, ma non ne esce niente. Si guarda un po’ intorno e riprova.
«Io… ehm… ehm… volevo dire che… Oh…»
Afferro una bottiglia dal ripiano e la tengo alta tra di noi. «Vuoi del vino?»
«Sì, certo. Un bicchiere.» Sembra sollevato.
Ora chi è il supereroe? Sorrido mentre apro la bottiglia, tiro fuori due bicchieri e li riempio a metà.
«Non ti garantisco che sia buono, ma dentro c’è dell’alcol.» Gliene porgo uno e prendo l’altro per me.
Lui esita, fissandomi. Poi solleva il suo bicchiere e sfiora il mio con il suo. «Cin cin.»
Non mi viene in mente niente di più banale da dire, quindi faccio ciò che ci si aspetta da me. «Cin cin.» Bevo un gran sorso, scolandomi mezzo bicchiere tutto d’un fiato. Mi giro, così non vedrà gli occhi che mi escono dalle orbite mentre soffro per l’alcol che mi brucia in gola.
«Piatti?» chiede.
Apro un armadietto e ne tiro fuori due. Poi mi blocco, prima di chiudere l’antina. «Quanti si uniranno a noi?»
«Nessuno. Siamo solo noi due.» La sua voce suona burbera.
Il mio cuore rallenta di qualche battito. Non so come riesco a tirare fuori la quantità corretta di posate e tovaglioli, la mia mente è altrove. Apparecchio la tavola nella mia minuscola cucina con il pilota automatico.
Perché ha portato la cena? È un appuntamento o mi sta solo lisciando perché accetti il lavoro? Non lo accetterò, per quanto mi lusinghi.
«Spero ti piaccia l’aragosta» dice.
«Oh, cacchio.» Lascio cadere l’ultima posata sul tavolo con un rumore metallico.
La sua mano si blocca su uno dei contenitori. «Sei allergica?»
«No, non sono allergica. Sono incavolata.»
Lui si scosta di un passo dal cibo, le braccia lungo i fianchi. Riesco proprio a immaginarmelo in uniforme militare, pronto a fare il saluto. «Sei arrabbiata.»
Metto un po’ il broncio. L’aragosta mi chiama con tutta la sua bontà ricca e burrosa. «No, non arrabbiata. Frustrata. Mi hai dato scacco.»
«Scacco?»
«Sì. Scacco. Come nel gioco degli scacchi. Mi hai aggirata.»
La sua maschera di facciata cede un po’. «Ti piace l’aragosta, capito.»
«Non mi piace l’aragosta, stupido… Adoro l’aragosta. Mangerei aragosta tutti i giorni se potessi permettermelo.» Crollo sulla sedia. «Non lavorerò per te, però. Non importa quanto burro chiarificato tu abbia in quei piccoli contenitori.»
Ce ne sono diversi. Maledizione. Ma che cavolo? Si aspetta che lavori per lui solo perché mi ha comprato l’aragosta? Potrebbe essere un lavoro pericoloso. È a questo che servono i sistemi di sicurezza, giusto?
Sposta i contenitori sul tavolo e inizia ad aprirli. «Ho anche del limone fresco.»
«Ovvio. Idiota.»
Lui ridacchia. «Penso che sia la prima volta che faccio arrabbiare una donna comprandole l’aragosta.» Sta mescolando del riso pilaf prima di servirne due porzioni con un cucchiaio, una per piatto.
«Non so perché ciò ti renda così felice» borbotto.
«Neanch’io.»
Spunta un’enorme aragosta che scivola sul mio piatto. E il suo guscio rosso fuoco è ancora luccicante del vapore in cui è stata cotta. Felix abbandona la sua posizione accanto a Sahara e si sistema ai miei piedi. La bestiola mi conosce bene; finirà per avere un assaggio di qualunque cosa ci sia nel mio piatto, ma non perché gliene dia dei bocconi di proposito. Ho la tendenza a far cadere le cose.
«Dove ti sei procurato questi mostri?» chiedo quando appare la seconda e atterra sul suo piatto.
«Me le faccio spedire ogni tanto dal Maine. Ho un amico lassù.»
«Wow. Buon amico.» Prendo un’altra lunga sorsata di vino dal mio bicchiere. È quasi vuoto, quindi me ne verso ancora un po’.
«È in debito con me.»
Mi domando che cosa mi chiederebbe se gli dovessi un favore. Solo l’idea mi mette di nuovo in agitazione. So cosa mi piacerebbe offrirgli.
Ehi! Rallenta, ninfomane! È appena entrato dalla porta. Gesù!
Ozzie si siede e tira avanti la sedia. «Bon appétit.» Strappa via una chela prima che io possa sollevare la forchetta.