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Evviva! L’intera Sala Medici aveva applaudito quando una raggiante Alison aveva rivelato la notizia durante il turno.
Aveva superato tutti i suoi dubbi. Una camminata veloce sulla spiaggia alle prime luci dell’alba e un discorso severo fatto a se stessa avevano trasformato le cose nella sua testa. Poi, alle nove aveva chiamato l’agente immobiliare, alle nove e quaranta era stata in banca, alle nove e cinquantacinque aveva consegnato il deposito e firmato una montagna di carte, e ora, a mezzogiorno, aveva quasi ottenuto un mutuo.
«Complimenti.»
Alla prima occasione, più tardi, Nick la prese da parte per congratularsi.
Era stato un pomeriggio impegnativo e Alison aveva lavorato in Pediatria mentre lui aveva prestato servizio in Rianimazione. E quando Alison si fermò per la sua pausa caffè, Nick stava terminando la propria.
«Grazie! È piuttosto eccitante.»
«Che ne dici di festeggiare con una cena?»
Alison ebbe un momento di esitazione. Avrebbe voluto buttargli le braccia al collo e gridare di sì. Invece rispose: «Perché? Perché mai dovremmo uscire a cena? Non mi interessa…». La sua voce la tradì e quelle parole aleggiarono nell’aria. Parole false, perché lei avrebbe voluto, eccome. Il problema era che ciò che le sembrava assolutamente fuori luogo in sua assenza, diventava giusto e inevitabile quando Nick era vicino a lei. Lui era divertente, sexy e l’attrazione fra loro era innegabile.
«Non sono sicura che sia una buona idea.» Alison cambiò tattica, cercando di non esporsi troppo. «Per il lavoro e tutto il resto.»
Nick a quel punto avrebbe dovuto dirle che in fondo si trattava solo di una cena. Che i colleghi si vedevano anche al di fuori delle mura del Pronto Soccorso. Ma non era solo una cena, e lui non voleva vedere nessuno al di fuori delle mura del Pronto Soccorso eccetto lei. Non pretendeva nulla di eterno, non voleva ferirla, ma solo rivedere più spesso quel sorriso che ogni tanto illuminava il suo volto, vedere più spesso la donna che stava imparando a conoscere.
«Dai, facciamo qualcosa di tranquillo» insistette.
«Suona bene.» E quelle furono le parole più coraggiose che Alison avesse mai pronunciato.
«Facciamo alle dieci?»
Il sorriso di Alison scomparve dal suo viso quando si rese conto che lui intendeva uscire proprio quella sera. Il suo mondo impulsivo e spericolato stava invadendo il suo.
«Dieci e mezza? Conosco un localino delizioso. Ti passo a prendere io.»
Alison pensò a sua madre e cercò di scacciare quell’immagine. «Alle dieci e mezza va benissimo. Ci vediamo lì.»
Per fortuna il resto della giornata fu abbastanza impegnativo da permettere ad Alison di non pensare. Soprattutto quando si presentò una neomamma ansiosa con una bimba irrequieta.
«Non si preoccupi, sta crescendo regolarmente.» Lucia, la tirocinante pediatrica, stava facendo del suo meglio per rassicurare Shelly, la madre di una neonata di otto settimane. «So che il reflusso nei bambini può essere duro da affrontare, ma lei sta facendo tutto nel modo giusto.»
«Non riesco a calmarla!» protestò Shelly. «Va avanti a piangere anche per due ore di fila.»
«Non si preoccupi, la bambina sta bene.» Lucia tentava in ogni modo di rassicurarla, di farle capire che non c’era alcun motivo per ricoverare la piccola Casey, ma Shelly non voleva sentire ragioni. Alla fine si arrese ma Alison sapeva che non era per niente tranquilla. E le sue preoccupazioni a questo punto erano più rivolte alla madre che alla bambina. Aveva notato che, nonostante Casey piangesse disperata, Shelly non aveva fatto niente per consolarla; semplicemente l’aveva sistemata nell’ovetto con gesti meccanici, senza una carezza. Era una mamma sull’orlo del baratro.
Quando Nick arrivò, lei gli sottopose la cartella di Casey e gli espresse le sue perplessità
«Amy ha visitato la bambina e l’ha assegnata a Pediatria. Loro hanno deciso che non c’era motivo di trattenerla, ma io sono preoccupata per la madre. Temo che sia depressa. D’altronde lo sarei anch’io. Ho provato in altre occasioni a dare da mangiare alla piccola e devo dire che è veramente faticoso.»
Nick lesse la cartella clinica molto attentamente e volle parlare con la madre prima che se ne andasse.
La raggiunse, si presentò, prese la bambina dall’ovetto e cominciò a visitarla.
«Dunque Shelly, quand’è che la piccola Casey è più esigente coi pasti?»
«Lei è sempre esigente. Non finisce mai un biberon, si attacca con voracità per i primi trenta secondi e poi inizia a piangere disperatamente. So che è solo un problema di reflusso, che prima o poi andrà meglio, ma io non ce la faccio più» si sfogò, prendendosi la testa fra le mani.
«Ho capito.»
A quel punto Alison si aspettava che Nick chiedesse alla madre di poter assistere a un pasto, per capire dove fosse il problema. Invece non lo fece. Semplicemente sorrise e disse a Shelly che sarebbe tornato subito.
«Che succede?» le chiese quest’ultima preoccupata.
«Non lo so. Ma visto che la bambina è ancora agitata, potrei farle fare un giretto e intanto raggiungere il dottore per capire cosa ha intenzione di fare.»
«D’accordo.»
Casey, distratta dal movimento e dalle luci, si calmò.
Intanto Alison raggiunse Nick. «Che sta succedendo?»
«La ricoveriamo. Ho appena fatto chiamare il Pediatra di ruolo.»
«Ma da Pediatria l’hanno dimessa!»
«Io non sono d’accordo. Quella mamma ha bisogno di riposarsi e di dormire, ha bisogno di aiuto, altrimenti le conseguenze potrebbero essere molto gravi. Il nostro compito è fornire assistenza ed è quello che faremo. Quindi sarà ricoverata.»
Ripeté le stesse identiche cose al Pediatra quando lo raggiunse al telefono. Fu educato e professionale, ma insolitamente assertivo e irremovibile. In quel momento vide un altro Nick, un uomo affascinante, divertente e sexy, ma anche un dottore che prendeva seriamente il suo lavoro.
«Non è un’opzione. Non mi interessa se non ci sono letti, se è necessario la trasferiamo in un’altra struttura, ma questa bambina non torna a casa.» Quando terminò la telefonata, Nick si rivolse ad Alison. «Vado a parlare con la madre.»
Le spiegò che avrebbero tenuto Casey in osservazione e rispose sinceramente alle domande ansiose di Shelly. «Dobbiamo essere sicuri di non aver trascurato assolutamente niente e che tu abbia tutto il sostegno di cui hai bisogno con tua figlia.»
Quando Alison accompagnò Shelly in reparto su una sedia a rotelle, quest’ultima commentò: «Il dottor Roberts è davvero meraviglioso».
«Sì, lo è» replicò lei con voce sussurrata.
Poi si ricordò che, proprio quella sera, avrebbe cenato con quel meraviglioso dottore.
Prendere l’autobus non era un’opzione.
Aveva finito tardi quella sera e non voleva avere l’aspetto di una che si era cambiata al volo. Voleva avere il tempo per prepararsi. E per rispondere all’interrogatorio di sua mamma.
«Esci anche stasera?», le chiese Rose indispettita.
«Sì, perché voglio festeggiare l’acquisto dell’appartamento.»
«E con chi vai?»
«Con dei colleghi.»
Non era una bugia. Era solo una piccola esagerazione. D’altra parte parlare di colleghi era molto più rassicurante che dover ammettere che usciva con un collega alto biondo divertente e terribilmente sexy. Un uomo che si sarebbe fermato poco tempo, e che quel tempo lo avrebbe usato per divertirsi.
Prepararsi per Nick fu un’impresa titanica.
Alison si era fatta una lista mentale di tutto quello che doveva fare: lavarsi i denti, pulirsi le orecchie, depilarsi, indossare un completo intimo molto, molto carino. Certo, Nick non l’avrebbe visto di sicuro, ma era meglio non correre rischi.
In fondo era solo un’uscita tra colleghi.
Questo si continuava a ripetere Alison mentre svuotava tutto il suo guardaroba sopra il letto, chiedendosi come mai non avesse niente da indossare quando l’intero letto era sommerso dai vestiti.
Alla fine optò per dei pantaloni grigi attillati e un grazioso top che aveva comprato la settimana prima. Indossò braccialetti colorati, diede la buonanotte a sua mamma, scese le scale e si precipitò in strada. Dove Nick la stava già aspettando…
«Non voglio che tu giri da sola di notte.»
«Che problema c’è? Lo faccio sempre.»
«Sei molto carina.»
«Grazie» replicò Alison con un tono noncurante che non avrebbe ingannato proprio nessuno.
Siamo solo amici, siamo solo amici, siamo solo amici.
Alison non faceva che ripetersi questo quando Nick si chinò per baciarle la guancia. Ma invece della guancia incontrò le sue labbra, e non fu un errore, fu un bacio desiderato e agognato troppo a lungo. Voleva essere una conferma a ciò che lui già sapeva, e cioè che, nonostante i dubbi, le resistenze, la negazione, Alison lo desiderava.
Nick sussurrò contro le sue labbra: «Ti prego, non passiamo questa notte soltanto a desiderarlo». Poi si allontanò da lei, nonostante fosse la cosa più difficile che avesse mai fatto.
Alison sorrise, perché anche lei adesso era consapevole che non poteva fare a meno di lui. Non più.
Così lo baciò a sua volta, e fu come aprire il vaso di Pandora, tutti i sentimenti, le emozioni, la passione che erano rimasti sopiti esplosero in un attimo, poteva sentire la consistenza dei suoi capelli sulle proprie dita, le sue labbra e la sua bocca che la cercavano e bevevano la sua essenza, assaggiavano il suo sapore e cercavano di rubare il suo respiro.
E quando Nick si fermò e disse con voce roca: «Andiamo a mangiare», Alison pensò che non desiderava affatto muoversi, che voleva restare così per godere di quel momento perché, come aveva appena scoperto, un bacio poteva cambiare ogni cosa.
Il ristorante che avevano scelto era italiano, e l’atmosfera molto rilassata.
Non fu un appuntamento come tutti gli altri: non c’era alcun imbarazzo tra loro, anzi la conversazione era facile e spontanea.
Quando Nick chiese il conto al cameriere che era venuto a ritirare i loro piatti, questi domandò preoccupato: «Va tutto bene?».
Sì va tutto bene, anzi a meraviglia!, pensò Alison. «Mangeremo di più la prossima volta» disse, ed era sicura che ci sarebbe stata una prossima volta.
Quando uscirono dal locale tutto era perfetto: la vista mozzafiato dell’oceano, la notte calda, le stelle luminose. Era tardi, ma troppo presto per interrompere quella magica serata.
«Ti va di prendere un caffè da me?» le chiese Nick spezzando il silenzio. «E intendo proprio un caffè.»
Alison era sicura che un caffè, o qualsiasi altra cosa lui le avesse offerto, sarebbe stata un’esperienza indimenticabile. Ma non poteva.
«Devo proprio tornare a casa. Ho un sacco di lavoro da sbrigare domani.»
Invece si sedettero sulla sabbia a rimirare le stelle. Ce n’erano tantissime e più Alison le guardava più le sembrava di scorgerne. «Un giorno studierò astronomia.»
«A me non sono mai interessate prima di venire qui in Australia» replicò Nick. «Non ho mai visto delle stelle come queste.»
Si sdraiarono sulla schiena, gli occhi puntati al cielo. Alison sarebbe rimasta così per sempre, ma doveva davvero tornare e glielo comunicò, dicendogli una piccolissima bugia e cioè che sua madre si sarebbe preoccupata.
«Perché non la chiami per rassicurarla?» In effetti la soluzione di Nick era piuttosto logica per una ragazza di ventiquattro anni.
«E per dirle cosa?» Alison decise di aprirgli il suo cuore e di mettersi in gioco. «Che sto guardando le stelle con un ragazzo fantastico e che mi terrorizza l’idea che mi baci di nuovo perché non so se sarei in grado di fermarlo?»
«Questo è il mio stesso problema» rispose lui in un soffio.
E il cuore di Alison smise per un secondo di battere quando le sue labbra incontrarono il suo collo e poi passarono a stuzzicarle l’orecchio
«Hai mai avuto delle visioni su quella che sarebbe potuta essere la tua vita, su qualcosa che sarebbe potuto succedere ma non è successo?» Alison cercava di mantenersi concentrata sulle parole, per non perdere totalmente il controllo.
«No.»
«Mai? Nemmeno una volta?» Adesso poteva sentire le sue abili dita giocare con i suoi capezzoli, sotto la maglietta, in una dolce tortura. E avrebbe voluto che lui osasse di più, mentre lei continuava a parlare, quando avrebbe desiderato soltanto baciare, assaggiare, toccare.
Nick la zittì con un bacio dolce ed esigente, uno di quei baci di cui Alison non ne avrebbe mai avuto abbastanza, perché per la prima volta nella sua vita si sentiva viva come non era mai stata.
«Devo proprio andare, Nick.»
Un bacio pericoloso, che avrebbe dovuto interrompere, perché, se avesse fosse andato avanti, le avrebbe fatto scordare ogni cosa.
«Già, è meglio che tu vada» rispose lui aiutandola ad alzarsi. Poi fece una delle cose più erotiche che Alison avesse mai sperimentato. Con la scusa di toglierle la sabbia, la accarezzò lentamente su tutto il corpo.
A quel punto lei avrebbe voluto mandare tutto all’aria, correre a casa sua e lasciar perdere anche il caffè. Invece avvicinò le labbra al suo orecchio e gli sussurrò: «Ora tocca a te». Iniziò con lentezza a togliergli la sabbia dai jeans ma lui le bloccò la mano.
«Non farlo. Potrebbe essere pericoloso.»
Aveva ragione. Si misero quindi in cammino verso casa, in silenzio perché sapevano che era giunto il momento di salutarsi.
Nick insistette per accompagnarla fino alla porta.
«Siamo entrambi liberi nel fine settimana.» Nick la stava guardando negli occhi. «Stavo pensando di prendere la moto e andare a fare un giro in montagna…» Percepì la sua riluttanza e capì che forse aveva frainteso. «Naturalmente prenoterei due stanze.»
«Non lo so, Nick.»
Avrebbe voluto con tutta se stessa andare con lui, ma non era solo la sistemazione per la notte a preoccuparla, era anche il giro in moto, l’incoscienza che lui manifestava in ogni suo gesto, tutto.
«In realtà, ho alcune cose da fare e poi ho una settimana di turni di notte…»
Ecco, la serata era finita. Alison gli diede solo un leggero bacio sulla guancia e si allontanò, perché sapeva che sua madre stava guardando dalla finestra. Come sapeva che Nick la stava osservando mentre si dirigeva verso la porta.
Ed era così. Lui la stava guardando.
E stava avendo una di quelle visioni di cui lei gli aveva parlato poco prima.
Una visione di Alison libera e senza freni.
A quel pensiero Nick sorrise, stupito dal fatto che desiderasse al più presto condividere quella visione con lei.
«Oh, sei tornata.» Rose era in piedi vicino al bollitore, come se non fosse mai stata alla finestra. «Stavo facendo una tazza di tè da portare a letto. Ne vuoi?»
«No, grazie, mamma.»
«Una bella serata.»
«Già. Veramente bella.»
«Come è andata col tuo amico?»
«Alla grande.» Alison aveva notato il singolare, stava quasi per andarsene a letto, ma poi cedette. «Abbiamo solo mangiato qualcosa e poi siamo andati a fare un giro.»
«Sei piena di sabbia.»
«Infatti abbiamo camminato sulla spiaggia.»
Perché si doveva sentire in colpa quando non aveva fatto assolutamente nulla di sbagliato?
«Posso chiedere il suo nome?»
Alison esitò. Era tutto troppo nuovo ed era troppo presto per parlare dei propri sentimenti, e di Nick. Ma il tono di sua madre non ammetteva repliche.
«Nick» rivelò Alison. «È solo un collega.»
«Certo. Ah dimenticavo!» Rose cambiò improvvisamente discorso. «Tuo zio Ken ci ha invitato a un barbecue per il fine settimana, quindi non prendere impegni: sono impazienti di vederti.»
«Che giorno?»
«Non sono sicura, lo chiamo domani.»
Sì, certo, per organizzare un barbecue improvvisato, pensò Alison.
Dopo averle augurato la buonanotte salì nella sua camera e si mise a pensare che, la prossima volta che avesse incontrato Nick, avrebbe già avuto un appartamento tutto suo.
Sapeva però che sarebbe stato difficile. Il modo in cui aveva reagito quella notte ai suoi baci lasciava presupporre che, la prossima volta, non sarebbe riuscita a rimanere così controllata.
Non era da lei reagire così di fronte a un uomo. Avrebbe voluto alzare il telefono e chiamarlo per dirgli che non si era mai comportata così con nessun altro. Ma forse non gli avrebbe fatto piacere saperlo. In fondo lui era lì per divertirsi e lei avrebbe dovuto fare altrettanto.
Ma cosa sarebbe successo al suo cuore una volta che Nick fosse andato via?