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Belgrave Square, Londra

Luglio 1848

Rhys Forester, Duca di Claremont, sei un uomo fortunato.

Così si disse Rhys mentre una lama, emettendo un bagliore metallico, fendeva l’aria a un soffio di distanza dalla sua guancia. Una sensazione di calore gli fece fremere la pelle e il cuore mancò un battito prima che il coltello si infilasse nella tavola di legno dietro la sua schiena.

Gli ospiti che affollavano la sfarzosa stanza riservata del Lyon’s Gentlemen’s Club emisero un sospiro di sollievo. Rhys fece scorrere lo sguardo sul gruppo di nobiluomini e sulle loro amanti, imponendosi di sorridere. Un giovane gentiluomo posò un braccio sulle spalle della sua dama, quando lei si lasciò sfuggire una risatina civettuola.

Rhys capiva le preoccupazioni di quell’uomo.

Lui aveva impiegato degli anni per costruirsi una reputazione scandalosa e aveva avuto un esempio eccellente da seguire. Il defunto Duca di Claremont era noto per i suoi gusti dissoluti e gli scarsi principi morali. Rhys non era stato particolarmente legato al padre, ma si era abituato a essere criticato quanto lui per il proprio comportamento.

Una serie di relazioni sentimentali sconsiderate gli aveva procurato continue menzioni sui giornali scandalistici e almeno due violazioni di promesse matrimoniali. A causa della sua fortuna sfacciata al tavolo da gioco, era stato accusato di barare. Ma soprattutto era noto per i bagordi notturni che organizzava, feste turbolente in cui si erano verificati degli incidenti e delle risse tra ubriachi che erano finite a scazzottate e, un paio di volte, in duelli illegali.

Per anni si era nutrito di disonore. Aveva amato quelle feste interminabili. L’attenzione di donne bellissime. L’invidia degli uomini. Le risate che riempivano l’aria perché aveva organizzato i ricevimenti migliori a cui i suoi ospiti avessero mai partecipato. Non eccelleva in molti campi, ma nel divertimento sì. In quello e nel dare piacere. Offrire alle persone una scusa per spassarsela. Riempire le notti di frivolezza per scacciare il pensiero dei doveri che avrebbe dovuto affrontare quando fosse spuntato il giorno.

Negli ultimi tempi le responsabilità erano talmente aumentate che niente riusciva a tenerle a bada. Comunque lui era deciso a provarci. Dopo avere ereditato un ducato, era costretto a organizzare feste sempre più grandiose.

Era sempre stato caparbio e ribelle, eppure non poteva più negare quanto quella vita lo stancasse.

Quella era la quarta festa dopo molte notti in cui aveva dormito assai poco. Aveva gli occhi secchi, gli bruciava la gola e mancavano troppe ore alla fine della serata. Il tema del circo era stato un successo, ma gli invitati erano ubriachi e non vedevano l’ora di assistere ad altre prodezze degli artisti che aveva ingaggiato.

«Lanciatene un altro!» gridò per la seconda volta un signorotto brillo dal fondo della sala.

I muscoli delle braccia e del collo di Rhys erano contratti per la tensione. Quando si mosse, la giovane che lanciava il coltello scosse la testa.

«Restate fermo, tesoro.» Jess gli strizzò l’occhio. «Non vorrei rovinare il vostro bel viso.»

«Non osereste, vi piace troppo.»

«Siete un bell’uomo, non posso negarlo.» Jess gli elargì un sorriso d’intesa, pieno di promesse che Rhys intendeva mantenere più tardi quella sera.

Gli invitati risero allo scambio di battute e si avvicinarono per guardare il lancio successivo. Organizzare una festa in una stanza riservata del Lyon’s Gentlemen’s Club gli era parso un buon modo per celebrare il successo del suo ultimo investimento. Il Duke’s Den gli aveva offerto l’opportunità di accrescere il patrimonio ereditato dal padre grazie a degli investimenti con gli imprenditori più intelligenti d’Inghilterra. In quel momento però, con gli occhi stanchi e annebbiati, dover restare attaccato a una tavola di legno sperando che la mira di Jess fosse buona come lei sosteneva gli stava facendo perdere la pazienza.

«Sopra la testa!» gridò un gentiluomo.

«In mezzo alle gambe» suggerì con un sorriso malizioso la sua graziosa amica dai capelli rossi.

«Lancerò il coltello accanto all’altro orecchio.» Jess strinse gli occhi a fessura e preparò il braccio per il lancio.

L’amante formosa di un gentiluomo spalancò la bocca.

Immobile, Rhys continuava a ripetere tra sé che la fortuna era sempre dalla sua parte.

Jess lanciò il coltello a una velocità tale che lui udì solo il colpo quando colpì la tavola. Subito dopo sentì una fitta di dolore alla testa. Trasalì e vide Jess che si copriva la bocca con una mano, spalancando gli occhi.

Rhys alzò una mano e sentì un rivolo di sangue sul padiglione dell’orecchio.

«È solo un graffio» la rassicurò. Poi alzò la voce per parlare agli ospiti che si avvicinavano, sussurrando preoccupati. «Una piccola abrasione, niente di grave.»

«Che fortuna!» esclamò un uomo.

«Nessuno è fortunato quanto il Duca di Claremont» osservò una donna bruna con gli occhi sgranati.

«Un altro lancio!» gridò Lord Southwell. «Vediamo se la fortuna continua ad assisterlo.»

Con aria insicura e mano tremante Jess estrasse l’ultimo coltello dalla cintura. Poi, invece di prendere la mira e lanciarlo, guardò Rhys negli occhi e scosse appena il capo.

«Forza» la esortò un altro invitato.

Rhys era sul punto di sospendere il gioco. La bocca di Jess tremava, la sua sicurezza vacillava.

«Claremont, possiamo scambiare due parole prima che questa fanciulla ti infilzi?»

Rhys riconobbe la voce. Aveva invitato il suo amico Aidan Iverson alla festa, ma ormai pensava che non sarebbe più arrivato. Era felice di vederlo, se non altro perché lo liberava dall’ingrato compito di fare da bersaglio.

Iverson però non aveva un’aria gioiosa. E non era da solo. Era accompagnato da Nick, Duca di Tremayne. I due soci di Rhys, proprietari insieme a lui del Lyon’s, si erano fermati sulla soglia della stanza affollata e i loro visi cupi contrastavano in maniera netta con l’atmosfera allegra della serata.

«Prego, continuate pure.» Rhys indicò il quartetto di violinisti in un angolo della stanza, mentre scendeva dalla predella. «È tempo di musica e balli.»

Detto ciò, lanciò un’occhiata a Tremayne e Iverson. Sicuramente non avrebbero danzato. I loro sguardi seri gli fecero temere ciò che stavano per comunicargli.

«Un’esibizione di grande effetto, Vostra Grazia.»

Rhys si guardò da sopra una spalla. La bruna che poco prima lo aveva definito fortunato lo stava esaminando da capo a piedi. Era lì con un amico, un visconte che da anni era membro del Lyon’s. Anche se non se la sarebbe potuta portare a letto, Rhys riconosceva che era di una bellezza straordinaria.

«Lo dicono tutti.»

Un giornale scandalistico aveva scritto che Rhys possedeva tutte le qualità di un nobiluomo gaudente: fascino, ricchezza, un insaziabile appetito per il piacere. Era conosciuto in tutta Londra come l’anima di qualsiasi festa, il cui sorriso riusciva ad attraversare una sala da ballo affollata per affascinare una donna. L’investitore più coraggioso del Duke’s Den.

Rhys tendeva a credere a quello che gli altri dicevano di lui. Tendeva.

Un buon sarto lo aiutava a presentarsi al mondo con un aspetto piacevole. Un valletto esperto era un dono del cielo. Essendo un uomo fortunato, li aveva entrambi.

La ricchezza era arrivata senza difficoltà. In quanto primogenito del Duca di Claremont, aveva ricevuto un’ottima istruzione. Dei precettori eccellenti, uomini infinitamente tolleranti che erano rimasti al loro posto malgrado la difficoltà di insegnare al figlio di un duca che non riusciva a leggere o a imparare a memoria i numeri come gli altri bambini. L’università era stata un incubo, ma in quel periodo aveva cominciato a ricevere un assegno dal padre, denaro che aveva usato per giocare d’azzardo e mettere insieme un gruzzolo.

Poi, a tutti quei vantaggi, si era aggiunto il titolo del genitore. Un ducato non poteva che esaltare i meriti di un uomo.

Era il più privilegiato degli uomini.

Motivo per cui non aveva confidato a nessuno di sentirsi schiacciato dal peso delle responsabilità che gli erano state scaricate sulle spalle nelle ultime settimane.

Rhys fissò la donna bruna, notò le lunghe ciocche ricce che le sfioravano sinuosamente la vita esile e i fianchi armoniosi, il sorriso malizioso che le incurvava le labbra carnose. Le rispose con una strizzata d’occhio, scacciando l’ondata di stanchezza che gli mise una gran voglia di abbassare le palpebre e di appoggiarsi alla parete più vicina per schiacciare un sonnellino. Da quanto tempo non gustava quel piacere per cui era noto a tutti?

No. Poteva farcela. Avrebbe ascoltato quello che i due soci volevano dirgli, poi sarebbe tornato dai suoi ospiti.

I bagordi erano la sua specialità. I bagordi e l’istinto di capire quando un investimento sarebbe andato bene trasformandosi in un profitto. A differenza di Iverson e Tremayne, lui non si affidava ai fatti e ai rapporti, non calcolava attentamente il rendimento degli investimenti. Seguiva l’istinto quando prendeva una decisione e applicava lo stesso principio al tavolo da gioco e a ogni svago che la vita gli offrisse.

Tutti campi in cui eccelleva, quando non era dannatamente stanco come in quel momento. La stanchezza che lo opprimeva come una zavorra era cominciata un mese prima, quando aveva ricevuto la notizia della morte del padre. Una proprietà, degli affittuari, un seggio in parlamento, un drappello di domestici. Da un giorno all’altro tutto era stato scaricato sulle sue spalle, insieme a una montagna di debiti.

Rhys non avrebbe mai ammesso che i suoi nervi erano tesi come le corde di un violino.

«Che cosa succede?» chiese mentre si avvicinava agli amici, cercando di tenere a bada l’ondata di panico che lo aveva travolto.

«Dobbiamo parlare.» Tremayne si guardò intorno. «Non qui, andiamo sulla balconata.»

Rhys li seguì, ma a ogni gradino sentiva aumentare il proprio disagio. Quando raggiunsero lo spazio privato che si affacciava sui tavoli da gioco del Lyon’s, Iverson indicò un gruppo di comode poltrone. «Vogliamo sederci?»

Rhys lo ignorò e si avvicinò al carrello delle bevande. «Non dovete coccolarmi. Lasciatemi bere un goccio di whisky, poi dite quello che dovete il più in fretta possibile. L’espressione seria dei vostri volti non mi fa sperare che siano buone notizie.»

Iverson si portò vicino al carrello, con i piedi piantati per terra e le braccia incrociate.

Il nervosismo che faceva tremare le mani di Rhys quando portò il bicchiere alle labbra trapelava anche da Tremayne, Iverson invece era tranquillo. Era sempre stato il più calmo dei tre.

«Quando hai visto tua sorella l’ultima volta?»

Rhys alzò il capo e guardò Iverson negli occhi. «Non sta bene?»

«No.» Iverson alzò la mano per rassicurarlo. «Niente del genere.» Si lanciò un’occhiata sopra la spalla verso Tremayne. «Però non l’hai accompagnata a Londra o riportata nella vostra proprietà nell’Essex, non è vero?»

Due tamburi cominciarono a suonare nella testa di Rhys, dietro le tempie. «Mia sorella è in una scuola privata nell’Hampshire.»

«La scuola è finita» osservò Tremayne in tono asciutto. «Lady Margaret mi ha scritto una lettera perché non ha avuto tue notizie. Si è diplomata due settimane fa e aspettava una carrozza che la riportasse a casa.»

«Cristo.» Rhys si insinuò una mano nei capelli. Aveva vissuto così intensamente da perdere il conto dei giorni. Al punto da dimenticare quella data e la sua unica sorella. «Mando subito qualcuno.»

«Già fatto» disse Nick con il tono di voce di solito riservato ai nobiluomini che andavano a lamentarsi di avere perso troppo al tavolo da gioco. «Dovrebbe arrivare a Edgecombe domani.»

«Grazie.» Rhys tirò un sospiro di sollievo, ma la tensione del suo corpo non si allentò.

Meg aveva ereditato il temperamento gentile della madre, ma anche l’impazienza del padre. Rhys immaginò le parole che gli avrebbe rivolto quando fosse tornata a casa. Se le meritava tutte.

«È preoccupata per te» aggiunse Nick in tono più gentile, «come noi.»

Rhys alzò lo sguardo. Era giusto che il vecchio amico fosse deluso per la sua irresponsabilità. Tremayne abbassò la testa e fissò il tappeto. Non riusciva a guardarlo negli occhi.

«C’è dell’altro. Non risparmiatemi, parlate.»

Iverson si dondolò sui talloni. «Ti ricordi Mr. Carthorpe?»

«Sì, naturalmente.» Rhys non aveva la mente matematica di Tremayne né il senso degli affari di Iverson, però di rado la memoria lo tradiva. «Il tizio della carrozza senza cavalli.»

Rhys si ricordava un uomo giovane e nervoso. Eppure la sua invenzione era un’idea molto interessante e tutti i membri del Duke’s Den erano stati entusiasti di investire nel suo progetto.

«Non ditemi che è fuggito con il nostro denaro.»

Nick si schiarì la voce e si accarezzò la mascella. Era un tic che Rhys aveva notato molte volte nel suo socio quando doveva annunciare a un inventore che non avrebbero sostenuto la sua idea.

«Sputa il rospo» sbraitò Rhys, troppo stanco per essere gentile.

«Carthorpe non ha ricevuto tutta la somma» si intromise Iverson con voce ferma. Quando fece una pausa e si schiarì la voce, Rhys ebbe l’impressione di vedere le parole incastrate nella gola.

Iverson abbassò la testa e scostò i lembi della giacca per posarsi le mani sui fianchi. Quando alzò lo sguardo, a Rhys parve di scorgere un’ombra di rimpianto nei suoi occhi.

«La tua banca sostiene che la cifra che hai promesso non è coperta.»

«Non è possibile» sbuffò Rhys.

Quell’affermazione era assurda.

Lui non era in contatto quotidiano con il suo banchiere e non aveva idea del denaro disponibile nei suoi conti. Ma quello era il punto. Le sue finanze erano sempre state sane, tanto che lui non si era mai preoccupato quando doveva pagare una fattura o investire del denaro in un’invenzione con la speranza di ricavarne dei profitti.

«La tua banca non ti ha contattato per questa faccenda?» domandò Tremayne.

«Non che io sappia.» Rhys guardava Nick, ma alla sua mente si affacciò l’immagine di una pila di lettere mai aperte che lui spostava con un gomito ogni volta che si sedeva alla scrivania. «La posta si è accumulata nelle ultime settimane.» Lettere, inviti, biglietti di condoglianze erano arrivati in gran quantità dopo la morte del padre. Dopo averne letti un paio, lui aveva lasciato che si ammonticchiassero.

«Non leggi la posta. Hai dimenticato il diploma di tua sorella. Non sai a quanto ammontano le tue finanze.» Il tono di voce di Iverson, di solito calmo, si stava facendo preoccupato. «Qualcosa non va, Claremont?»

Tutto, a quanto pareva. Dannazione.

«Come è possibile?» Rhys si sforzò di ridere e si strinse nelle spalle, augurandosi di allentare la tensione. «Ho ereditato un ducato.»

«Eppure sei rimasto a Londra» gli fece notare Iverson. «Sei mai tornato nell’Essex dopo il funerale di tuo padre?»

L’accenno al funerale del genitore fece venire voglia a Rhys di un altro dito di whisky, ma Iverson, simile a una quercia enorme con le chiome rosse, gli bloccava la strada al carrello.

Il funerale era stato il più squallido degli eventi a cui Rhys avesse partecipato. Negli ultimi anni suo padre si era isolato e chi aveva assistito alla cerimonia funebre l’aveva fatto per dovere più che per affetto. Rhys era sopraffatto dal senso di colpa. Lui era tra quelli che si erano sentiti obbligati a dare l’ultimo saluto al defunto, non tra coloro che gli avevano voluto bene. Solo Meg aveva versato lacrime sincere per il padre.

Non era sempre stato così. Un tempo Rhys aveva ammirato Tarquin, Duca di Claremont. Lo aveva idolatrato. Si ricordava le sue visite nella stanza dei giochi, quando era bambino, le pacche affettuose sul capo e i libri che gli regalava per Natale.

Tutto era andato a rotoli quando i suoi problemi di apprendimento erano diventati evidenti. Suo padre aveva perso interesse per lui. Il figlio di un duca che non sapeva leggere bene? Era impensabile.

«Enderley era in rovina quando l’ho ereditata» ammise Nick con un tono più affettuoso che compassionevole. «In che condizioni è Edgecombe?»

Rhys detestava ammettere che non lo sapeva. Senza la madre e la sorella a rallegrare le stanze, la vecchia proprietà aveva il fascino di un mausoleo. L’unica volta che vi si era recato, aveva dormito nella stanza degli ospiti ed era ripartito il più in fretta possibile.

Tuttavia, ripensando alle conversazioni con i dipendenti, aveva formulato una teoria. «La proprietà era gravata da debiti.» Rhys si insinuò una mano nei capelli prima di guardare a turno i suoi amici. Era fortunato, quello sì, ma conosceva i propri limiti. Ogni tanto li ammetteva. A se stesso, se non altro. Aveva la tendenza a essere un irresponsabile e si rifiutava di essere diverso dal nobile inetto che gli altri pensavano che fosse. Il che rendeva difficile essere l’uomo che avrebbe voluto.

Deludere gli amici che erano rimasti al suo fianco quando la buona società l’aveva definito un buono a nulla, un mascalzone? Avrebbe davvero toccato il fondo.

«Ho chiesto al mio amministratore di scrivere alla banca e di provvedere a soddisfare gli obblighi finanziari che mio padre non aveva ottemperato.»

Nick inarcò le sopracciglia scure. «A quanto ammontavano i debiti?»

Rhys si girò verso l’amico per rivolgergli uno dei suoi sorrisi affascinanti. Il suo tipico modo noncurante di dimostrare che era tutto sotto controllo. Tuttavia i muscoli del viso si rifiutarono di obbedirgli.

Travolto da un’ondata di stanchezza, decise che essere onesto era l’unico gesto che non richiedeva sforzi. «A quanto pare sono altissimi.»

Nick emise un profondo sospiro.

«C’è dell’altro?» Rhys conosceva i due uomini abbastanza per sapere che non gli avevano ancora detto molte cose.

«Hai accettato di prestare del denaro ad altri due inventori dopo Carthorpe» gli ricordò Nick. «Non hanno ancora ricevuto niente, tuttavia Iverson e io possiamo pagare la tua quota.»

Rhys cercò delle scuse plausibili per giustificare il fatto che i suoi conti erano stati prosciugati e che lui era stato troppo occupato per accorgersene. Peccato che gli amici conoscessero la sua reputazione. Dopo l’ultima festa la sua dimora di città era stata messa sottosopra, tanto da costringerlo a organizzare quella successiva al Lyon’s.

Nick e Aidan si meritavano più di una giustificazione.

«Mi dispiace» udì la propria voce dire. Erano parole a lui poco familiari, che stonavano sulla sua bocca.

Rhys alzò la testa. Non poteva nascondersi dietro una semplice scusa. Tutti sapevano che per tutta la vita aveva preferito lo svago al dovere, ma forse era giunto il momento di assumersi le responsabilità che aveva imparato a evitare.

Mentre lanciava un’occhiata a Tremayne, Rhys colse la propria immagine riflessa nello specchio dorato appeso alla parete. Aveva dei segni scuri sotto gli occhi e i capelli, di solito spettinati ad arte, erano decisamente arruffati. Il colletto candido della camicia era macchiato di sangue.

Iverson si avvicinò e lo stupì posandogli una mano su una spalla. «Vogliamo aiutarti, qualunque cosa ti preoccupi.»

Era allettante confessare la verità. Tuttavia se c’era una cosa che suo padre gli aveva insegnato era che non bisognava mai ammettere le proprie debolezze.

Rhys, che sentiva su di sé gli sguardi dei due amici, decise di adottare la solita tattica: farsi beffe di qualsiasi sfida gli venisse lanciata.

«Tu sei un esempio» disse rivolgendosi a Tremayne, «di come un uomo possa diventare un bravo duca in un paio di settimane.»

Lentamente, per gradi, un sorriso addolcì l’espressione severa di Nick. «Sono diventato duca come te. Inaspettatamente e prima di essere pronto ad assumermi una tale responsabilità. Adempiere il mio dovere non è stato facile. Il merito della mia rispettabilità va a mia moglie.»

«Conoscendoti molto prima che tu la incontrassi» scherzò Iverson, «posso confermare.» Detto ciò, lanciò un’occhiata beffarda a Rhys. «Immagino che anche tu abbia bisogno di una moglie. C’è qualche candidata in campagna?»

Un’immagine si affacciò alla mente di Rhys, un ricordo così vivido che gli procurò una fitta di dolore al petto.

Riccioli castani dai riflessi ramati, occhi verdi, una risata contagiosa e un sorriso riservato perlopiù a lui. L’avrebbe trovata nell’Essex al suo ritorno, tuttavia Miss Arabella Prescott non gli avrebbe più concesso i suoi sorrisi.

Rhys scacciò quel pensiero, come faceva ormai da cinque anni.

«Datemi il tempo di abituarmi» chiese, facendo un gesto vago con le mani mentre ispirava a fondo. «Devo andare a Edgecombe. Tocca a me sistemare qualsiasi cosa vi troverò. Vi rimborserò, i debiti non possono avere prosciugato i miei conti. Ne ho degli altri. Forse sarò uno scellerato che cerca solo il piacere, però so che un uomo non deve tenere tutto il suo denaro in un’unica borsa.»

Iverson lo fissò per un istante, si girò e riempì un bicchiere. Poi altri due, uno per ciascuno.

«Buon viaggio, Claremont» gli augurò mentre gli porgeva il whisky.

«Ho una vaga idea di ciò che ti aspetta.» Nick avanzò di un passo per prendere un bicchiere, che alzò per un brindisi. «Buona fortuna, amico mio.»

Rhys tracannò il whisky, gustando il calore del liquore che scendeva nella gola. Aveva bisogno di un po’ di fuoco nel ventre. Negli ultimi anni era stato spronato solo dall’egoismo. La stanchezza lo attanagliava ancora, le preoccupazioni gli incurvavano le spalle, ma riuscì a sorridere.

«Dicono che io sia un uomo molto fortunato.»