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L'incarico d'inventare il telegrafo, venne affidato, naturalmente, a Pindar Smith. Ci impiegò cinque settimane.
– Se tutto il mio compito si limitasse a inventare il maledetto telegrafo, non esisterebbero problemi rilevanti – disse. – Anche uno scolaro della Terra sarebbe in grado di farlo. La cosa più impegnativa, è che devo inventare un telegrafo lyffano. Un tipo di telegrafo che gli abitanti di questo pianeta siano poi in grado di costruire. Il fetente apparecchio deve uscire dallo sviluppo logico di qualcosa che sia a loro conosciuto. Ma non possono esserci sviluppi logici nella loro bastarda cultura contemporanea.
Naturalmente Smith stava esagerando. Il problema non stava nel fatto che mancavano le cose richieste, ma che esse esistevano sotto le forme più impensate. Per esempio:
– Rinuncio – disse a John.
John lo guardò con simpatia.
– Qual è il problema? – domandò.
– I fili di rame. Eccolo il problema. In tutta Lyffdarg non c'è una sola persona che sappia fare i fili di rame. E io non so come fare il telegrafo se mi mancano i fili. Prima d'inventare il telegrafo, dovrei mettermi a inventare i fili, e prima ancora dovrei forse inventare un modo d'impiegarli che non sia elettrico. E perderci degli anni.
– Ma non possiamo sprecare anni. Sei sicuro che nessuno sappia come costruire questi fili?
– Sicurissimo. Ho domandato alla Corporazione dei Lavoratori del Metallo, alla Corporazione dei Fabbricanti di Strumenti a fiato, e perfino alla maledetta Corporazione degli Orefici. Tutti sanno cosa sia il rame, ma nessuno ha mai sentito parlare di fili di rame. Rinuncio.
– Scusatemi – li interruppe Hurd – cosa sarebbero questi fili di rame?
Quando John Harlen e Pindar Smith, dopo essersi interrotti a vicenda una infinità di volte, ebbero spiegato di cosa si trattava, Hurd sorrise.
– Se si tratta soltanto di questo penso che la Corporazione dei Fabbricanti di Broccato possa fare i fili di rame. Se non altro, sapranno indicarvi chi è in grado di costruirli.
– Fabbricanti di Broccato? – esclamarono Harlen e Smith all'unisono.
– Certo. Per ricamare le stoffe usano fili d'oro e d'argento, vero? E chi sa fare i fili d'argento può anche costruire i fili col rame.
In seguito, il compito di Smith divenne più facile: fece la lista delle diverse cose che gli servivano e incaricò Hurd di andarle a cercare. Questo portò a un certo numero di sorprese, come, per esempio, la scoperta che le calamite potevano essere ottenute soltanto rivolgendosi alla Corporazione dei Maghi. Comunque, non furono più costretti a subire altri ritardi.
– Ehi, Tchornyo, facciamo una corsa.
– Ancora? Per il naso della Madre, Gardnyen, sono stufo di correre. È
quello che facciamo sempre.
Era una luminosa giornata di vento, e Tchornyo, dopo cinque settimane trascorse in disgrazia, quel mattino aveva ristabilito i buoni rapporti col padre. Era felice, come non lo era più stato dal giorno del maledetto incidente nel vicolo. L'Occhio della Madre splendeva benevolo nel cielo, i capelli e la barba ondeggiavano al vento, e non aveva nessuna intenzione di sprecare la giornata a correre in groppa al dalber.
– Ah! Sei stufo di correre perché non riesci mai a vincere.
Era vero, e Tchornyo si sentì toccato sul vivo.
– Cosa stai dicendo? Il mio Boustrophedon può battere il tuo Galimatias quando vuole.
L'affermazione rendeva ormai la gara inevitabile.
– Ehi! – gridò Gardnyen. – Provalo. Mettiamoci in linea.
Con la scherzosa assistenza degli altri giovani nobili sparsi per i prati che si stendevano poco lontano dai cancelli della città, Tchornyo e Gardnyen cercarono di mettere i due dalber affiancati. Ma, come al solito, le due bestie non riuscirono a capire quello che si voleva da loro.
Boustrophedon era particolarmente nervoso, e Tchornyo riuscì a controllarlo soltanto a furia di colpi di sperone e di pittoresche espressioni.
I giovani che stavano loro attorno, sollevarono risa e lazzi all'indirizzo di Tchornyo. Ormai la gara gli stava rovinando la giornata.
– Quanto scommetti? – domandò Gardnyen con un sorriso.
L'onore imponeva a Tchornyo di dimostrare la sua indifferenza per le scommesse, ma il nervosismo del dalber gli imponeva di scommettere alla svelta.
– Venticinque su Boustrophedon – disse in fretta. Era una giornata disgraziata.
– Venticinque? Cosa stiamo facendo? Un gioco da ragazzini?
Scommetto cinquanta su Galimatias. Vuoi tenerti il vantaggio?
– Oh... no. Vedo le cinquanta.
Qualcuno pronunciò le parole rituali della partenza.
– Per vostra Madre, per vostro Padre, per il Re... e... VIA!
Al gridò Galimatias partì come un pterodattilo impaurito, lanciandosi alla massima velocità lungo l'anello ovale della pista, tanto da costringere Gardnyen a tirare le briglie. Boustrophedon invece era stato completamente disorientato dal grido. Rimase fermo sulla linea di partenza, e nessuna parola di Tchornyo riuscì a decidere l'animale a lanciarsi nella corsa. Mentre Gardnyen e Galimatias procedevano lungo la pista incitati dai giovani nobili, Tchornyo, negli ultimi tentativi di far muovere l'animale, arrossò in volto, e il suo senso di umiliazione divenne profondo. La stupenda giornata stava diventando un incubo, come al solito. Per questo odiava le corse.
L'arrivo di Galimatias sulla linea del traguardo decise finalmente Boustrophedon a partire. Ma dopo mezzo giro, tra le risa della piccola folla di spettatori, il dalber di Tchornyo tornò a impuntarsi. Al giovane non rimase altro che smontare di sella e ritornarsene a piedi verso il punto di partenza. Come al solito, la sua umiliazione era stata completa. Neppure il dover pagare la scommessa e il sentire i lazzi gioiosi di Gardnyen potevano infastidirlo maggiormente. Per la mancanza assoluta di reazioni, dava l'impressione di essere un buon giocatore.
Tornando verso le stalle, Tchornyo rimase in silenzio. Aveva perso dei punti nella quotidiana battaglia per la conquista di prestigio presso i compagni. In quel momento le sue quotazioni erano scese di parecchio. E
meditava il modo di riguadagnare statura.
– Non te la prendere – gli disse uno dei suoi amici mentre si trovavano al tavolo di una taverna. – In fondo si è trattato soltanto di una corsa di dalber.
– Non è per questo – rispose Tchornyo, ed era la verità. Stava infatti pensando alla serie di sventure che si erano susseguite durante tutta la settimana. – Si tratta della cospirazione. – Era stata una felice idea il pronunciare quelle parole.
– La cospirazione? – domandò l'amico, facendosi improvvisamente tutto orecchie.
– Mi risulta – disse Tchornyo scegliendo con cura le parole – che a Lyffdarg esiste un complotto contro la nobiltà. – E, quasi all'istante, ebbe attorno diversi altri ascoltatori pieni d'interesse.
– Vuoi dire un altro complotto simile alla rivolta dei contadini di trecento anni fa? – domandò uno di loro.
Un altro afferrò una coscia di kabnon e la sollevò nell'aria come una spada.
– Li annienteremo – disse. – Non avranno neppure il tempo di trovarsi nella Collera della Madre.
Tchornyo cercò di consolidare la sua posizione.
– Non si tratta di contadini – annunciò in modo misterioso. – Le mie informazioni indicano che ci sono coinvolte forze ben maggiori. –
Cominciava a sentirsi nuovamente a suo agio. Questo, sia ringraziata la Madre, era un gioco che si poteva tranquillamente permettere. – Per ora non vi posso dire altro – concluse.
Gardnyen fece una smorfia.
– Sta ancora parlando dei due bastardi plebei che hanno ucciso Garlyn e Drebnyo il mese scorso, quando lui è fuggito.
Tchornyo gli lanciò un'occhiata fulminante, ma non volle raccogliere l'insulto. Cercò invece di consolidare la posizione conquistata.
– Quello non è stato che l'inizio – disse.
– Vuoi dire che c'è dell'altro? – domandò uno del gruppo.
– C'è di più e di peggio – rispose Tchornyo cupo. – Ricordate come ho dato la caccia agli assassini e come sono scomparsi? – Tutti fecero un cenno affermativo. – Nei giorni immediatamente successivi al delitto, per sei giorni di fila, sono rimasto a osservare tutti quelli che si recavano alle riunioni di penitenza.
I presenti fecero nuovamente un cenno di conferma.
– Bene, pensateci un attimo. Tutti i plebei di Lyffdarg sono risultati presenti. Gli elenchi compilati dai sacerdoti lo hanno confermato. Eppure gli assassini non si sono visti. Oltre a questo, nelle ore in cui tutti si trovavano raccolti nell'anfiteatro, Squadre armate hanno perlustrato la città per cercare plebei eventualmente nascosti, ma non ne hanno trovati. Pure, gli assassini si trovavano nascosti in città.
Si sentirono alcuni mormorii di sorpresa. Anche Gardnyen parve all'improvviso interessarsi.
– Come fai a sapere tutto questo?
– Be', i cancelli della città sono stati immediatamente chiusi e a nessuno, assassino o no, è stato permesso di uscire. Poi – e qui fece una pausa per dare maggiore effetto alle sue parole – io stesso ho rivisto gli assassini in città.
Tutti i presenti fecero nello stesso tempo una domanda.
– Quando? Dove? Cosa stavano facendo? Perché non li hai fatti arrestare? – Le domande continuarono a susseguirsi, e Tchornyo si preparò alla risposta.
Quando si rifece il silenzio, Tchornyo azzardò la conclusione..
– Li ho visti poche settimane fa in Lame Dalber Street, vicino al mercato. Non so cosa stessero facendo, ma nell'attimo in cui mi hanno visto si sono dati alla fuga. Ho tentato di raggiungerli, ma la loro organizzazione mi ha fermato.
– Cosa vuoi dire con organizzazione? – domandò Gardnyen. Il suo tono aveva cessato di essere cinico.
– Semplicemente questo – rispose Tchornyo. – Mentre li stavo inseguendo, qualcuno ha cercato di fermarmi lanciandomi tra i piedi una caterva di pentole di terracotta, un altro mi ha tagliato la strada facendo rotolare un'alta piramide di meloni, e alla fine mi hanno fatto travolgere da una mandria di dalber selvaggi. Se questa non la chiamate organizzazione, considerate come si è concluso il mio inseguimento. Non appena mi sono rialzato da terra una Guardia della Madre mi ha arrestato. Per fare questo, ragazzi, ci vuole un'organizzazione.
Non c'era niente da obiettare. Tutti rimasero seduti in silenzio, anche Tchornyo, che durante il suo discorso aveva finito col convincere persino se stesso.
Alla fine, uno dei giovani nobili fece la domanda che, più o meno, era sorta nella mente di tutti.
– Cosa possiamo fare?
Pienamente soddisfatto per essere passato da umile sconfitto a capo supremo, Tchornyo espose il suo pensiero.
– Questo è il mio piano...
– Questo è il mio piano – disse Smith. – Ora che abbiamo inventato il maledetto telegrafo, la prima cosa da fare è stendere fili tra Lyffdarg e una qualsiasi altra città. Poi...
– Alt.
– Che c'è, Hurd?
– Non potete stendere i fili senza prima aver ottenuto l'approvazione del Tempio.
– Come volevasi dimostrare – borbottò Ansgar Sorenstein. – Su questo bastardo pianeta non si può far niente senza l'approvazione del Tempio.
– Non è esattamente così – disse Hurd con spirito patriottico. – Bisogna soltanto ottenere l'approvazione per quelle cose che non sono mai state fatte prima d'oggi.
– Hurd, vecchio mio, noi faremo soltanto delle cose che non sono mai state fatte sul pianeta – disse John. – Come si fa a ottenere l'approvazione?
Risultò che ogni innovazione doveva rispondere a tre condizioni. Non doveva essere contaminata da eresia. Doveva essere, nel più ampio senso della parola, utile. E doveva essere di necessità e di richiesta pubblica.
– La prima cosa da fare – disse John il giorno seguente, dopo aver pensato al problema per tutta la notte – è dare una dimostrazione privata nel nostro laboratorio. Inviteremo alcuni mercanti, alcuni nobili, due o tre alti ufficiali dell'esercito, il comandante delle Guardie della Madre, e tutti i sacerdoti che vogliono venire. Non appena vedranno il telegrafo in azione, capiranno le grandi possibilità che offre. In questo modo potremo dimostrarne l'utilità, e, nello stesso tempo, ottenere la richiesta.
– Molto bene – approvò Ansgar Sorenstein. – Rimane da dimostrare l'ortodossia del nostro apparecchio. Come possiamo fare, cervellone?
– Oh, mi sembra una cosa abbastanza semplice – interruppe Hurd. –
Basta pagare uno degli avvocati del Tempio. Se il telegrafo è una cosa possibile, un buon avvocato riuscirà a provare che "Il Libro di Garth Gar-Muyen Garth" lo aveva predetto. Il che rende l'apparecchio ortodosso per definizione.
– Sapete una cosa? – concluse Pindar Smith. – È sorprendente come a volte questo pianeta riesca ad assomigliare alla Terra.
– Signor Padre. – Per quanto avesse ristabilito i buoni rapporti col padre da ormai due settimane, Tchornyo continuava a rimanere prudentemente gentile.
– Ti prego, figlio, sto cercando di leggere. – Con il grande numero di analfabeti che esistevano su Lyff, il vecchio Hiirlte trovava quell'invito scritto qualcosa di molto strano.
– Ma, padre...
– Non mi seccare, Tchornyo. Questa lettera sembra piuttosto importante.
I Gar-Terrayen affermano di poter parlare fino a grande distanza. Sai perfettamente che un trucco del genere può risultare di grande utilità. –
Una delle ragioni per cui il vecchio Hiirlte era duca, stava appunto nel fatto che riusciva a scoprire ciò che poteva tornar comodo.
– Volevo parlarti della cospirazione! – piagnucolò Tchornyo, con un tono che conteneva soltanto i peggiori timbri della sua voce.
– Tchornyo, vattene! Non mi interessano le tue stupide cospirazioni.
Quando imparerai a non disturbarmi per delle cose di nessuna importanza?
Tchornyo, disfatto, si allontanò lentamente. Aveva sperato di convincere il padre a finanziare un comitato anti-cospirazione; ora però avrebbe dovuto cercare i soldi da qualche altra parte. Ma sapeva di poterli trovare.
Aveva già ricevuto una misteriosa offerta da uno sconosciuto disposto a dare una certa somma, a patto di rimanere anonimo.
Il Gran Duca Hiirlte suonò il campanello per chiamare l'amministratore dei suoi affari. I Gar-Terrayen avevano inventato qualcosa di buono, e lui voleva entrare nell'affare.
– Smith, vieni qua. Questo maledetto apparecchio non vuole funzionare!
– gridò John Harlen dalla sedia di legno su cui stava seduto in precario equilibrio.
– Che significa? – Pindar Smith si avvicinò al tavolo e osservò la cassettina piena di bobine di rame.
– Significa che ho schiacciato il pulsante e quel maledetto campanello non ha suonato. Ecco cosa significa.
– Accidenti. – Pindar toccò a caso una bobina. – La dimostrazione deve cominciare tra mezz'ora. I nostri illustri visitatori possono ormai arrivare da un momento all'altro. Maledizione! Dovevi proprio romperti... Oh, ecco! – Smith si piegò sull'apparecchio per unire due fili. – Prova adesso.
Harlen schiacciò il pulsante, e il campanello rispose con un "clunk"!
– Clunk? – fece Harlen.
– Ho dovuto usare un risuonatore ceramico – spiegò Smith. – Togliti.
Lasciami unire saldamente i due fili.
Secondo l'uso lyffano di quel periodo, gli invitati cominciarono ad arrivare con mezz'ora di ritardo su quella indicata come inizio della dimostrazione. Nessuno aveva pensato di informare i terrestri, e quando arrivò il primo "tiro a quattro dalber" con un nobile, i nervi degli uomini che aspettavano nel laboratorio, erano più tesi dei fili di rame che univano le varie parti del telegrafo.
Nessuno aveva, inoltre, pensato di avvisare i terrestri che tutti gli invitati sarebbero arrivati con dei dalber. E Ansgar Sorenstein, il meno indispensabile alla dimostrazione, venne incaricato di custodire gli animali. Quando uscì dal laboratorio si trovò di fronte a quarantacinque mostri groncheggianti. Anche lui, come tutti gli altri della Squadra Speciale, era in preda a un certo nervosismo. Inoltre, aveva anche il timore che tutti gli invitati decidessero di partecipare alla dimostrazione. I quarantacinque dalber isterici rappresentavano le cavalcature della sola metà degli invitati.
Se la strada di fronte al laboratorio sembrava un rodeo, il laboratorio somigliava a un salone di una fiera campionaria. Se la strada non sembrava un rodeo, allora non c'erano parole per descrivere il laboratorio. Lungo una parete erano stati disposti tutti gli elementi in sezione di un sistema telegrafico a due stazioni. Sulla seconda, il momentaneo custode di dalber aveva ingegnosamente disegnato, in diversi colori, i grafici che descrivevano il funzionamento. Contro la parete di fondo, su un piccolo podio, Hurd, con la sua perfetta dizione di poeta, spiegava i vantaggi della telegrafia. Intanto Pindar Smith, accanto alla porta d'ingresso, mandava messaggi a John Harlen all'altro capo della stanza. Il primo messaggio disse: "Cos'ha elaborato la Madre?" E questo causò una certa confusione tra gli invitati.
– Come fa un messaggio a passare attraverso questi piccoli fili? –
domandò un ufficiale dell'esercito.
– Lo Spirito della Madre, reverendo Lord, abita in ogni batteria. Quando si vuole spedire un messaggio, la Madre si affretta a spingerlo – rispose Hurd.
– Che bestialità ha detto? – domandò l'ufficiale rivolgendosi a John.
– Che c'è dell'elettricità nelle batterie – rispose John rapidamente intento a decifrare la dilettantesca trasmissione di Smith.
– Non capisco – borbottò l'ufficiale. Poi alzò la voce.
– Ehi, sentite, questi qui hanno costretto la Madre stessa a lavorare per loro. La tengono rinchiusa in queste maledette scatole di terracotta.
– Non è un sacrilegio questo, Padre? – domandò uno dei presenti a un sacerdote.
– No, figlio – rispose il sacerdote con serietà. – Sono del parere che sia invece una cosa molto sagace.
Il dottor Jellfte si aggirava in fondo alla stanza, conferendo alla riunione un tono di rispettabilità.
Nessuno pensò di rivolgergli la parola; tuttavia la sua presenza era la garanzia che quella non sarebbe stata una sera sprecata.
Comunque, la dimostrazione ebbe successo. Tutti compresero l'utilità e il valore del telegrafo. Un ufficiale dell'esercito si bruciò con l'acido delle batterie, ma non fu una scottatura seria. Il sacerdote sembrava convinto non esserci niente di sacrilego nell'apparecchio; tuttavia non aveva fatto commenti, riservandosi di esporre la sua opinione dopo la discussione che avrebbe avuto luogo nel Tempio.
L'unico momento d'imbarazzo si creò quando ormai la dimostrazione era finita.
Dopo che tutti ebbero ringraziato per l'invito alla dimostrazione e, dopo essersi salutati l'un l'altro, gli invitati non si decidevano a uscire. Rimasero tutti raccolti attorno alla porta, come aspettando che qualcuno si avviasse per primo. Alla fine Spoln Gar-Tchornyen Hiirlte, un nobile molto importante, si avvicino a Pindar Smith.
– In Nome della Madre – bisbigliò – dove avete messo il vassoio?
Nessuno aveva accennato a vassoi, e Smith si limitò a mandare un messaggio a John.
"Dov'è il vassoio?
– Hurd – disse John – sai dove sia il vassoio?
– Che vassoio? – domandò Hurd.
"Che vassoio?" domandò John per telegrafo.
Smith sollevò gli occhi verso il duca.
– Che vassoio, signore?
– Come? Il vassoio per metterci i nostri biglietti di visita. In quale altro modo potremmo mai dimostrarvi il nostro interesse? Ecco perché stiamo aspettando vicino alla porta.
Smith trasmise il messaggio a John, e John riferì a Hurd.
– Per il naso della Madre – esclamò Hurd con rabbia. – Come ho fatto a dimenticarmi? – Salì di corsa al piano superiore e ritornò qualche istante dopo con un grande vassoio d'argento che mise sul tavolo vicino alla porta.
E gli invitati cominciarono a uscire.
La maggior parte lasciò il biglietto di visita nel vassoio.
Tchornyo sedette nervoso in fondo alla taverna. Non aveva mai avuto un appuntamento segreto, e sentiva tutti gli occhi degli avventori fissi su di lui. Come si sentirono i rintocchi delle tre, l'ora dell'appuntamento, un uomo piccolo e ben vestito entrò nel locale e si diresse verso il suo tavolo.
– Siete Tchornyo Gar-Spolnyen Hiirlte? – domandò lo sconosciuto.
Tchornyo si alzò.
– Sì, signore. Volete accomodarvi?
L'uomo si mise a sedere.
– Sono venuto – disse subito lo sconosciuto – per parlarvi a nome di una persona molto importante che preferisce non immischiare il suo nome in questa faccenda. A ogni modo fornirà alla vostra organizzazione, in riconoscimento della vostra opera, tutto l'aiuto finanziario occorrente.
Chiaro?
– Sì – rispose Tchornyo che del discorso aveva afferrato soltanto le parole "aiuto finanziario".
– Bene. L'operazione si svolgerà nel modo seguente. Noi vi daremo ogni mese una certa somma, a seconda del numero di persone che durante il mese si sono unite a voi. Voi, in cambio, ci darete la lista delle persone del vostro gruppo e il rapporto delle vostre attività.
– ...e c'è cascato?
– Come un Kabnon su dei chicchi di grano – rispose il piccolo sconosciuto al suo superiore. – Tutte le volte che pronunciavo la parola
"soldi" gli si accendeva lo sguardo. Non sentiva altro. Per diverse volte gli ho ripeto che più aderenti recluta, più soldi gli daremo. Sono convinto che alla fine di questo mese il suo gruppo anti-cospiratori comprenderà tutti i giovani nobili di Lyffdarg. E ci farà un magnifico rapporto.
– Bene. – L'alto nobile lyffano si stropicciò le mani soddisfatto. –
Voleva una cospirazione, vero? Che aspetti un attimo... Gliene daremo una!
Il processo al Tempio parve ai terrestri più una lezione di scuola che non un atto di tribunale. Il loro avvocato si alzò e lesse una serie di citazioni della scrittura (dal "Libro di Garth Gar-Muyen Garth"), poi il dottor Jellfte, quale più nobile membro dei Gar-Terrayen, si alzò per leggere alcuni brevi paragrafi composti da Hurd. Era una descrizione del telegrafo redatta in termini che sembravano liturgici. E, alla fine, il Sommo Sacerdote e Padre dei Padri, un altissimo nobile lyffano senza altro nome, parlò.
– L'innovazione soddisfa la Scrittura. Fino a quando non verrà provato che si tratta di una scoperta pericolosa o inutile, Noi concediamo la Nostra approvazione condizionata.
Poi, vennero innalzate preghiere; alla fine, tutti fecero ritorno a casa.