17.
– Mac, – dice Breslin. – Ti vogliono in sala detective.
McCann alza gli occhi. I loro sguardi si incrociano, e in quell’attimo io e Steve siamo del tutto tagliati fuori.
– Va’, – dice Breslin. – Ti raggiungo tra qualche minuto.
McCann si tira su dalla sedia, un’articolazione dopo l’altra, e si dirige alla porta. Breslin gli dà una rapida pacca sulla spalla mentre passa. McCann annuisce, automaticamente.
– Colloquio terminato alle 15.24, – dice Breslin, avvicinandosi alla telecamera e spegnendola. Poi si volta verso il distributore d’acqua. – Bene, bene, bene. Guarda chi è di nuovo culo e camicia. Che bello.
Dico: – Vorrei sapere cosa ti ha fatto pensare che non fossimo piú culo e camicia.
– Perdonatemi se in questo momento non me ne frega un cazzo dei vostri rapporti. Avete avuto la faccia tosta di accusare il mio partner…
– Parleremo di questo quando lo dirò io. Adesso voglio sapere quale delle reclute è corsa a riferirti, ieri mattina, che Moran e io avevamo avuto una lite.
– Reilly, – dice Steve. – Non è cosí? Appena abbiamo cominciato a discutere, ha smesso di battere sulla tastiera.
Me lo ricordo, il silenzio improvviso e pesante al posto di quel ticchettare insulso che mi entrava nel cervello. – Come ho detto, Reilly è un ragazzo intelligente, – dice Breslin. – Al contrario di me. Ho passato venti minuti seduto al Top House, prima di riuscire a capire. I miei complimenti, Conway: hai finto una voce da testa vuota di Dublino Sud molto convincente. Non immaginavo che ne fossi capace –. Alza il bicchiere d’acqua verso di me. – Ma ho avuto fortuna con il traffico. Sono tornato in tempo per ascoltare la parte interessante dello show.
Evidentemente nota un lampo di sorpresa negli occhi di uno di noi, perché ride. – Pensavate che appena tornato dal mio giro in macchina fossi subito corso qui, per salvare Mac dai due tremendi vendicatori? Ero nella stanza dietro lo specchio. Perché Mac non ha bisogno di essere salvato, visto che non ha fatto nulla. A parte infilare l’uccello nel buco sbagliato, che però non è un reato. Ma siamo tutti d’accordo che sta passando delle giornate difficili, perciò, quando ho visto che vi eravate lanciati su di lui premendo l’acceleratore per farlo crollare, ho pensato che fosse il momento di dire stop.
Si avvicina al tavolo, prende la foto della famiglia Murray e la guarda a lungo. – Ah. Nessuna meraviglia che Mac non l’abbia riconosciuta –. Getta la foto sul tavolo, manca il bersaglio e la fa cadere a terra, ma non la raccoglie. – Quindi, – prosegue, – tutto il tempo in cui pensavo che stessimo lavorando insieme. Tutto il tempo in cui mi sentivo soddisfatto degli interrogatori che avevamo fatto con Rory… era questo che voi avevate in testa. Ditemi: quando vi siete guardati allo specchio, stamattina, non avete sentito almeno un po’ un sapore nauseante in gola?
Breslin fa ciò che sa fare meglio. E, come se avessi perso qualcosa, mi sembra strano non sentire il minimo desiderio di tirargli un pugno in faccia. – E tutto il tempo in cui io pensavo che lavorassimo insieme, – dico, – tutto il tempo in cui facevamo quei begli interrogatori, tu ti stavi tenendo per te tutto ciò che sapevi. Vuoi lanciare la prima pietra?
Lui spalanca gli occhi di scatto e mi punta contro un dito. – No, no, no, Conway. Non girare la frittata. Mi hai appena dato la prova che ho avuto perfettamente ragione a non dirti nulla. Questo interrogatorio… – Torce la bocca per il disgusto e beve un sorso d’acqua per mandarlo via. – Dimmi, cosa pensi di aver concluso, con questo interrogatorio?
– Abbiamo abbastanza per chiedere un mandato e perquisire la casa di McCann.
Breslin ci pensa su e annuisce. – Un mandato. Certo. E cosa pensate di trovare?
– Hai presente quei guanti di pelle marrone che McCann indossa per tutto l’inverno? Questa settimana non glieli ho visti nemmeno una volta. O ci troveremo sopra il sangue di Aislinn o non troveremo quei guanti.
– Caspita, – dice Breslin, alzando le sopracciglia. – Impressionante. Mac se la farebbe addosso, se ti sentisse. Volete risparmiarvi il disturbo e sapere cosa è successo davvero?
– Mi piacerebbe proprio saperlo, – dico. – Ma da McCann.
Breslin schiocca la lingua. – Non succederà. Mac non è cosí scemo da dirlo davanti a un registratore. Per essere sinceri, non credo che vorrà mai piú parlare con nessuno di voi due, in modo ufficiale o non ufficiale. Ma credo che conoscere i fatti vi semplificherebbe la vita.
– E sarà una storia non registrata, non verificabile, un sentito dire inammissibile in tribunale.
– Questo è l’accordo. Volete sentirla o no?
In realtà, non vorrei. Quando McCann è uscito da questa stanza si è portato dietro una sorta di carica elettrica che sfrigolava nell’aria. Senza lui al centro, la stanza è piatta, nauseabonda e inutile. Vorrei solo uscire e camminare, andare in un posto qualsiasi che mi aiuti a non pensare a che cosa succederà dopo e a non vedere la faccia ipocrita di Breslin. Mi tiro indietro sulla sedia e mi passo le mani sul viso, tentando di ritrovare un po’ di quella carica.
– Va bene, – dice Steve. – Sentiamo.
– Guardate che non mi state facendo un favore.
– Vogliamo saperlo.
– Conway?
– Perché no, – dico. Sposto le mani dal viso ma non ho l’energia per sedermi con la schiena dritta.
Breslin non si siede al tavolo con noi. Getta il bicchiere di plastica nel cestino, infila le mani in tasca e si mette a camminare con calma avanti e indietro. È il professore che tiene la sua lezione davanti agli studenti ipnotizzati. – Sabato sera, – dice, – Mac ha cenato a casa con la famiglia, poi ha deciso di passare da Aislinn. È arrivato alle otto meno un quarto, grosso modo, non ha guardato l’orologio. Ha scavalcato il muro ed è entrato dalla porta della cucina, come al solito. Dentro c’erano le luci accese e ha visto che Aislinn stava preparando la cena. Ma non era in cucina e quando l’ha chiamata non ha risposto. Mac è andato in soggiorno e l’ha trovata stesa a terra, con la testa sul gradino del caminetto.
– Dev’essere stato uno shock, – dice Steve. Breslin gli lancia un’occhiataccia, ma Steve fa finta di nulla.
– Lo è stato, eccome. Ovviamente.
– La maggior parte delle persone sarebbero crollate.
– La maggior parte della gente comune, sí. Mac era distrutto, ma non ha perso la calma. Questo non lo rende un assassino, ma un poliziotto.
– Ha anche trovato la tavola apparecchiata per una cena romantica, – dico io. – Anche quello dev’essere stato uno shock. Cos’ha pensato?
Breslin dice, in un tono destinato a farmi capire che la sua pazienza non è infinita: – Non ha pensato nulla, Conway. Se anche ha diretto un pensiero alla tavola apparecchiata, con il corpo della sua ragazza steso sul pavimento davanti a sé, avrà dato per scontato che quella cena era per lui, nel caso avesse deciso di passare. Perché a volte lo faceva. Ha pensato che qualcuno si fosse introdotto in casa, forse un pervertito, o piú probabilmente un tossico, quella zona non è delle migliori, e Aislinn avesse avuto la peggio. Solo in seguito gli è venuto in mente che Aislinn potesse avere un appuntamento con un altro e che qualcosa fosse andato storto, ma al momento non gli è neppure passato per la testa. Come ha detto Moran, era sotto shock.
Steve chiede: – Aislinn era viva?
Breslin scuote la testa. – Mac ha subito controllato le pulsazioni e il respiro, quindi sí, probabilmente si è sporcato di sangue i guanti e poi forse li ha gettati via. Aislinn era morta.
Minuti o anche ore, ha detto Cooper; un trauma che probabilmente è progredito in modo rapido. È plausibile, anche se non è vero, e una giuria potrebbe crederci.
Dico: – Quindi ha subito chiamato la polizia per far arrivare una squadra di detective sulla scena.
Lui mi fissa, con quegli occhi chiari un po’ sporgenti, senza un battito di ciglia. – Non fare la furba, Conway. Non è il momento. Forse credi davvero che al suo posto tu ti saresti comportata cosí, ma sono stronzate. Se Mac avesse fatto la telefonata, si sarebbe trovato al centro di un’indagine per omicidio; cioè sarebbe rimasto confinato alla sua scrivania fino alla conclusione, se mai fosse arrivata. Se il caso non fosse stato risolto, la sua carriera come detective della Omicidi sarebbe finita: non è possibile essere un buon investigatore se ti trovi tu stesso nella condizione di indiziato. Avrebbe perso la moglie e i figli. Forse avrebbe dovuto affrontare un processo, con la possibilità di finire in galera. A vita. E per cosa? Per un delitto che non aveva commesso. Non aveva alcuna informazione utile a far progredire l’indagine. Sarebbe stato solo un suicidio, professionale e anche personale, per niente. Se credi davvero di essere una santa del genere, sono felice per te, Conway. Ma non ne sono convinto.
Non ho nessuna intenzione di dirgli che non ho la minima idea di che cosa avrei fatto io. Posso immaginarmi la scena, chiara come un incubo: in piedi in mezzo al sangue versato da qualcun altro, sentendo che mi avviluppa le caviglie, i polpacci, sale fino alle ginocchia, e penso: «No!»
Fisso Breslin. – Cosa avrei fatto io non importa. Cos’ha fatto McCann?
– Ha ispezionato la casa, perché l’aggressore poteva essere ancora dentro, ma non ha trovato nessuno. Dopodiché ha ripulito tutto per cancellare le sue vecchie impronte digitali. Fammi un favore, Conway, togliti quell’espressione di disapprovazione dalla faccia, non posso concentrarmi se la guardo.
Io non ho nessuna espressione. Breslin vuole solo farmi sentire in torto. – Se non ti piace la mia faccia, – dico, – guarda quella di Moran. O chiudi gli occhi, per quello che me ne frega.
Breslin sospira, scuote la testa e si volta verso Steve con ostentazione. – Allora, McCann ha ripulito le impronte. Ha dato un’occhiata nella stanza da letto di Aislinn per vedere se avesse conservato qualcuno dei suoi biglietti, e non ne ha trovati. Ha pensato di restare un po’, nel caso l’aggressore fosse tornato, ma ha deciso che il rischio era troppo grande, per un’eventualità cosí improbabile.
Steve dice, tutto perplessità e sopracciglia aggrottate: – Perché ha spento il forno? È una cosa che non mi quadra fin dall’inizio.
– Per evitare di distruggere tutte le prove –. Io faccio una risata secca e lui aggiunge: – Le impronte digitali non sono tutto, Conway. McCann sapeva che l’assassino poteva aver lasciato tracce di Dna, capelli, fibre, tutta roba importante; e non voleva rovinare ogni cosa. Non voleva nemmeno che bruciasse la casa e Aislinn morisse, se c’era una minima possibilità che si fosse sbagliato e lei fosse ancora viva. E… – Breslin fa un sorrisetto triste. – Questo non me l’ha detto, perché Mac non vuole sembrare sdolcinato, proprio come voi e me, ma sono certo che non sopportasse l’idea del corpo di Aislinn carbonizzato. Le voleva bene, capite?
– Ah-ah, – dico io. Quasi mi aspetto che Steve mi lanci qualche segnale di non esagerare, ma non lo fa. Ormai ha superato l’idea di voler fare l’amico di Breslin.
– Conway. Smettila. So che detesti questa squadra e tutti i suoi membri, ma pensa come una detective per un secondo, cazzo, invece che come l’adolescente emarginata che finalmente si è presa una rivincita sulle ragazze fighe della scuola. Se Mac avesse ucciso Aislinn, avrebbe spento il forno? Al contrario, lo avrebbe messo al massimo, sperando che la casa bruciasse fino alle fondamenta.
– Cos’ha fatto dopo? – chiedo.
Breslin sospira, a denti stretti. – È uscito dalla porta posteriore, chiudendola a chiave, ed è tornato a casa. Non disturbarti a cercare le sue immagini nelle telecamere di sorveglianza, perché non le troverai. Né sabato sera, né mai. È abbastanza facile scoprire dove sono le telecamere e pianificare un itinerario che le eviti. Se fosse arrivato al divorzio, Mac non voleva dare a sua moglie nulla che un detective privato avrebbe potuto trovare e usare contro di lui.
Funziona; certo che funziona. Proprio come la storia di McCann, e quella di Lucy. Funzionano tutte. Ronzano come calabroni enormi che svolazzano pigramente agli angoli del soffitto, raccogliendo le forze. Vorrei estrarre la pistola e farli esplodere uno alla volta, trasformarli in grumi di polvere nera che si dissolve nell’aria.
Chiedo: – Quando ti ha detto tutto questo?
– Mi ha telefonato appena sua moglie è andata a dormire. Rifletti, Conway, non è che poteva parlarmi di una cosa del genere mentre attraversava la città a piedi, di sabato sera. O sul divano mentre la moglie guardava la televisione accanto a lui. Ha colto la prima occasione che ha avuto.
– E tu gli hai creduto.
Breslin si volta di scatto a guardarmi negli occhi. – Sí, Conway. Sí. Gli credo. In parte per quel sentimento chiamato lealtà, di cui tu sembri ignorare l’esistenza. Lui è il mio partner; se lo becco con un cadavere ai piedi e una pistola fumante in mano, il mio compito è pensare subito che l’abbiano incastrato. Ma gli credo soprattutto perché lo conosco. Da molto, molto tempo. E non c’è nessuna cazzo di possibilità che sia stato lui.
I miei occhi incrociano per un secondo quelli di Steve. Non so se Breslin crede davvero a tutto ciò che ha detto, o se si è convinto a crederci perché ha bisogno di essere quel tipo d’uomo, il nobile cavaliere che resta al fianco del partner nella buona e nella cattiva sorte. Probabilmente la seconda, il che significa che non lo smuoveremo. Puoi abbattere una convinzione genuina, se le getti sopra abbastanza fatti che la contraddicono; ma nulla può far crollare una convinzione costruita sull’immagine di sé che una persona desidera trasmettere. Potremmo mostrare a Breslin un video in cui McCann spacca a pugni la faccia a Aislinn, e il nobile cavaliere troverebbe il modo di girarci intorno.
– Vi è chiaro, questo? Sta entrando nelle vostre teste?
– Sí, – rispondo. – E tu hai chiamato la stazione di Stoneybatter.
– Esatto. E inoltre McCann sapeva che l’avrei fatto ed è stato d’accordo. Appena passato lo shock iniziale ha ripreso a pensare da poliziotto. Perché questo è ciò che è. Non un assassino. Un poliziotto.
– Ah. E perché hai aspettato fino alle cinque del mattino? Se McCann ti ha telefonato appena la moglie è andata a dormire, stiamo parlando al massimo di mezzanotte. Perché attendere cinque ore?
Breslin sospira e alza le mani. – Va bene, mi hai beccato. Brava. Volevo assicurarmi di essere qui, quando il caso fosse arrivato a noi. Ovviamente, McCann non poteva avvicinarsi all’indagine nemmeno con le pinze, o sarebbe crollato tutto…
– Molto onorevole, – dico. – Sono impressionata.
Breslin mi lancia un’occhiata cattiva, ma non si prende il fastidio di rispondere e continua: – Abbiamo deciso che io avrei dovuto tenere d’occhio il caso. Per vedere se c’era un momento in cui Mac avesse avuto la necessità di farsi avanti, per… Conway, perché stai qui ad ascoltare, se non fai altro che sorrisetti sprezzanti a ogni parola che dico? Non è che preferiresti aspettare fuori, mentre io parlo con Moran?
– Volevi esserci per trovare il momento in cui mandare i detective incaricati del caso a caccia di farfalle, di’ la verità. Dev’essere stato un gran divertimento, per te, guardare Moran e me girare a vuoto per tutta la settimana…
Breslin attraversa la stanza cosí in fretta che per poco non scatto indietro. – Di cosa mi stai accusando? No, – aggiunge, puntandomi un dito in faccia quando provo a rispondere. – Sta’ attenta. Sta’ molto attenta, cazzo.
Io ho finito di stare-molto-attenta-cazzo. Tolgo il suo dito dalla mia faccia con uno schiaffo e vedo il lampo negli occhi di Breslin quando pensa di colpirmi, ma purtroppo rimane solo un pensiero. Steve fa per alzarsi, ma ha il buon senso di non intervenire. – Tu hai ostacolato la mia indagine. Non è un’accusa, è un fatto. Hai giocato al poliziotto corrotto, cosí se io e Moran avessimo trovato qualcosa che collegava McCann a Aislinn, avremmo avuto una bella falsa pista da seguire, finché Rory Fallon non fosse stato pronto per essere infornato. Agitando banconote da cinquanta, togliendoti Gaffney dai piedi, inventando telefonate sospette… È stato Reilly a darti una mano anche in quello? È corso da te a dirti che stavamo cercando dei malavitosi…
Breslin mi ride in faccia, una risata forte. – Credi che avessi bisogno di Reilly, per saperlo? Me l’avete detto voi due. Prima chiedi chi ha fatto una ricerca su Aislinn nei database. Poi domenica pomeriggio, Moran, quando il capo vi ha chiamato a rapporto, sai cos’hai lasciato aperto sul tuo computer? Una ricerca su uomini residenti a Dublino, età dai venti ai cinquanta, con precedenti legati al crimine organizzato. E lunedí mattina, Conway, sei arrivata piena di false preoccupazioni sui miei problemi finanziari. Credi sul serio che io sia cosí scemo da non fare due piú due?
Con la coda dell’occhio, vedo il rossore di Steve, che probabilmente è intenso come il mio. Ho dato la caccia alle ombre, tentando di portare alla luce un nido di spie che volevano fregarmi, e semplicemente non sono stata furba come credevo, e Steve ha dimenticato di schiacciare «Esci».
Breslin fa un passo indietro e allarga le braccia. – Se pensi che io abbia ostacolato la tua indagine, prego, inoltra un reclamo. Cosa ci scriverai? Breslin ha pagato il suo sandwich nel modo sbagliato? Breslin non voleva Gaffney tra i piedi? – Ha sul viso un ghigno cattivo. – Se avete notato qualcosa di losco, ragazzini, era tutto nella vostra mente. Se siete andati a caccia di fantasmi, è un problema vostro, non mio.
Nessuno di noi due risponde. Ho ancora nel naso l’odore del suo dopobarba.
– Se non avete abbastanza da inoltrare un reclamo, – dice Breslin, – allora mi dovete delle scuse.
Io dico: – Ora ti raccontiamo la nostra storia, che è molto migliore della tua.
Breslin fa una smorfia di totale incredulità. – Ma di cosa parli? Qui non si tratta di chi ha la storia migliore, Conway. Si tratta di ciò che è successo davvero sabato sera. E vi ho già detto com’è andata.
– Seguimi. E non preoccuparti, la nostra è piú breve della tua.
Breslin fa un sospiro lungo e rumoroso, spinge via le tazze con ostentazione, per appoggiare il culo contro la credenza dove c’è la caffettiera. – E va bene, – dice, incrociando le braccia. – Accomodati. Fammi sognare.
– Sabato sera, – dico. – McCann ha cenato a casa e ha deciso di passare da Aislinn. Non l’aveva avvisata, ma non importava: lei doveva sempre tenersi pronta, in qualsiasi momento lui la volesse. È arrivato intorno alle sette e quaranta, quando Rory aveva lasciato il suo posto di osservazione nel vicolo per andare al Tesco. McCann ha scavalcato il muro ed è entrato dalla porta sul retro, come al solito.
Breslin annuisce, fissandomi come se non credesse alle sue orecchie: non è la stessa storia che ci ha raccontato lui? – Aspetta, – dico. – Qui arriva il bello. Ha trovato Aislinn in cucina, vestita elegante e intenta a preparare la cena e non ha ricevuto l’accoglienza entusiasta che si aspettava. Lei ovviamente non lo voleva lí. McCann è andato in soggiorno a vedere cosa stava succedendo, e ha trovato la tavola apparecchiata per una cena romantica; e sapeva benissimo di non essere lui l’ospite atteso.
– A quel punto, – interviene Steve, – la sua intera vita era incentrata su Aislinn Murray. Si stava preparando a lasciare moglie e figli…
– Mi sa che Breslin lo sapeva già, – dico, mentre Breslin alza gli occhi al soffitto.
– McCann ormai aveva gettato via la sua vita di prima, – dice Steve, – e l’aveva riscritta intorno a Aislinn.
– Facendosi prendere per il culo, – commento, e noto il lampo di rabbia negli occhi di Breslin.
Steve continua: – E lei l’ha gettata nella spazzatura.
– Mi chiedo quanto gli abbia rivelato, in quel momento, – dico.
– Non tutta la storia, comunque. Non la parte relativa a suo padre. Lo shock di McCann quando gliel’abbiamo detto era autentico.
– Ah, sí. Non è arrivata a dirglielo. Ma sono sicura che gli ha chiarito che la loro relazione era finita e che lui doveva andarsene fuori dai piedi subito, e lasciarla a godersi in pace il suo nuovo uomo.
– Ahia, – dice Steve, con una smorfia di dolore. – Nessuna meraviglia che McCann abbia perso la testa.
– Sarebbe successo a chiunque. A chiunque.
– Molti avrebbero fatto anche di peggio. Un secondo di rabbia, un solo pugno? Non è praticamente nulla. Lui non poteva immaginare che sarebbe finita cosí.
Breslin, ancora a braccia conserte, ci osserva con un sorrisetto all’angolo della bocca. – Che bella storia. Quindi è stato solo un omicidio colposo, niente di che. Mac dovrebbe prendersene la responsabilità e accettare uno schiaffetto sulla mano, da bravo ragazzo. È cosí?
– Cosa dovrebbe fare, secondo te? – gli chiedo io. – Tenere la bocca chiusa e tornare dalla moglie e nella squadra come se non fosse successo nulla?
– Esatto. Perché la vostra storiella crolla non appena io comincio a guardarla come un vero detective. Psicologicamente non ha senso, e mentre a me di solito non frega un cazzo delle stronzate psicologiche, qui non avete letteralmente nient’altro, perciò vale la pena di perderci un po’ di tempo. Primo –. Alza un dito. – Perché Rory dovrebbe essere stato un cosí grande shock per Mac? Tanto forte da spingerlo a dare un pugno in faccia a una donna? Mac non era innamorato di lei. Se non ci credete, ricordatevi che aveva lasciato Aislinn libera di vedere altri uomini. E lo dimostra l’invito a Rory in casa, dove sapeva che Mac avrebbe potuto presentarsi in qualunque momento. Se non credete a questo, avete la testimonianza di Lucy secondo cui Mac aveva accesso al cellulare di Aislinn, specificamente perché voleva controllare i suoi messaggi. Quel telefono è pieno di messaggi tra Aislinn e Rory, tra cui quelli in cui si mettevano d’accordo per l’invito a cena. E voi vorreste dirmi che, venendo a sapere di Rory, Mac avrebbe perso la testa?
– Quando Rory è entrato in scena, – dico, – McCann non leggeva piú i messaggi di Aislinn. Lo imbarazzava troppo, e comunque non aveva mai trovato nulla che valesse la pena di leggere.
– Sí, vi ho visti umiliarlo su quel punto. Lo avete cucinato per bene, devo darvene atto –. Batte le mani due o tre volte, lentamente. – Ma se a Mac fosse interessato tanto scoprire se Aislinn aveva un altro, sono certo che avrebbe superato l’imbarazzo e controllato i suoi messaggi. Indipendentemente da ciò che ha detto a voi.
Steve interviene: – A meno che Aislinn lo avesse fregato cosí bene che non gli fosse mai venuto in mente di controllare se aveva qualcun altro.
– Certo. Il che significa che non è un tipo geloso e quindi è improbabile che abbia perso la testa quando l’ha scoperto. Siamo di nuovo daccapo: dal punto di vista psicologico non ha senso. Poi c’è il secondo problema –. Breslin solleva un altro dito. – Rory può aver spento il forno perché lo disturbava l’odore, o perché la mamma gli ha insegnato a non lasciare mai gli elettrodomestici accesi. Mac no. Lui non è un frocetto qualsiasi che crolla e agisce senza un buon motivo. Anche sotto stress, è in grado di pensare. Abbastanza da ricordarsi di pulire le sue impronte in tutta la casa. Non avrebbe toccato nulla senza un motivo valido. Se avesse ucciso Aislinn, se sapeva che la Scientifica avrebbe potuto trovare prove a suo carico e far scoppiare un incendio lo avrebbe aiutato a evitare di essere incriminato, perché diavolo doveva spegnere il forno?
– Perché cosí non sarebbe scattato l’allarme antifumo, – dico io. – McCann era in grado di pensare, su questo sono d’accordo. Aveva bisogno di tempo per ripulire la casa dalle sue impronte e inoltre si è reso conto che l’altro uomo di Aislinn poteva venirgli utile. Un boyfriend sulla scena del crimine, solo e senza nessuno che potesse confermare le sue azioni, proprio intorno all’ora dell’aggressione: be’, è il sogno di ogni assassino.
Breslin scuote la testa alle mie parole, con un sorrisetto disgustato. Non mi lascio sviare. – L’unico problema era che, – continuo, – non avendo letto i messaggi di Aislinn, non sapeva a che ora l’altro uomo sarebbe arrivato. Anche se avesse guardato il cellulare e visto l’ora dell’appuntamento – cosa che voleva evitare, perché i tecnici avrebbero scoperto che l’aveva fatto e a che ora precisa – non aveva nessuna garanzia che questo boyfriend non arrivasse in ritardo. Perciò, se avesse lasciato il forno acceso, l’allarme antifumo sarebbe potuto scattare, e far trovare il corpo di Aislinn prima che l’altro uomo arrivasse; e magari mentre costui aveva un alibi. Anche se McCann avesse disabilitato l’allarme, un vicino di casa, o lo stesso boyfriend misterioso, forse avrebbero notato il fumo e chiamato la polizia, e cosí il boyfriend sarebbe stato escluso dalla lista dei sospetti. Per questo, il forno in cucina andava spento.
Breslin fa spallucce. – Sí, in qualche modo può reggere. Come ho detto, è una bella storia. Ma sotto non c’è niente di solido. Potete provare che McCann aveva una relazione con Aislinn. Buon per voi. Ma riguardo a sabato sera, non potete provare un cazzo. Avete un’identificazione da parte del primo sospettato, che ha ottimi motivi per voler tirare dentro qualcun altro. Avete una storia bizzarra che avete sentito da una donna che forse era la migliore amica della vittima e forse era innamorata di lei, e forse provava rancore e gelosia nei confronti dell’uomo fortunato che se la scopava. E se davvero chiederete un mandato per perquisire la casa di McCann – ma non riesco proprio a credere che siate cosí stupidi – probabilmente riuscirete a provare che lui ha perso i suoi guanti marrone. E questo è tutto. Non avete altro.
Silenzio.
– Cosa pensate di farvene?
Ancora silenzio.
– Esatto. È ciò che pensavo –. Breslin si versa un altro bicchiere d’acqua e sentiamo il rumore delle bolle che risalgono lungo il distributore. Beve un sorso volutamente lungo poi dice: – Spero che vi rendiate conto di ciò che avete fatto a questo caso.
Noi non abbocchiamo.
– Lo avete completamente fottuto. Lo capite? Non riuscirete mai ad accusare McCann, perché a) non avete prove, e b) non è stato lui, ma Fallon. Se tentate davvero di andare avanti su Mac, il magistrato getterà il fascicolo nella spazzatura con una risata. Ma anche se doveste riuscire in qualche modo ad arrivare a un processo, la difesa di McCann tirerà dentro Rory Fallon e la montagna di vere prove che esistono contro di lui, e la giuria ci metterà un secondo ad assolvere McCann. Non lo fareste anche voi? Siate sinceri. Se faceste parte della giuria, e le prove a carico dell’imputato fossero quelle che avete appena detto a me, votereste per una condanna?
Io e Steve non rispondiamo.
– Ovviamente no. Non lo farebbe nessuno, in questo Paese, eccetto forse qualcuno che odia la polizia per principio e quindi crederebbe anche che Mac sia Jack lo Squartatore. Ma ora che avete tirato fuori tutta questa merda, non potete piú avere Fallon. Al processo, la difesa tirerebbe dentro McCann, sfasciando il suo matrimonio e la sua carriera, ma tanto non è mica un problema vostro, dico bene? E comunque bang, ragionevole dubbio e addio Rory, goditi la vita. Ci rivediamo quando la tua prossima ragazza ti farà incazzare.
Alza il bicchiere verso un immaginario Rory.
– Avete chiuso, ragazzi. Vi resta solo da impacchettare il fascicolo e inviarlo nel seminterrato, e ovviamente spiegare al capo e ai media come mai l’indagine è andata a sbattere contro un muro e la povera Aislinn non riceverà giustizia. Siete orgogliosi di voi? Vi sembra di aver lavorato bene, questa settimana?
Continuiamo a restare in silenzio. Non vale la pena dire nulla.
Breslin sospira e si avvicina alla videocamera. – L’unica cosa che possiamo fare, con tutto questo casino, è evitare che la vita di McCann vada in frantumi. Francamente, dopo quello che gli avete fatto passare senza nessun motivo, è il minimo che gli dovete.
Alza un braccio verso la videocamera, schiaccia il tasto di espulsione e fa uscire la cassetta. – Ho ragione a dire che avete avuto il buon senso di non registrare questo colloquio?
Steve annuisce.
– Quando avete chiesto a McCann di venire con voi, siete riusciti a non farvi notare?
Altro cenno d’assenso.
– Non avete chiesto a Lucy Riordan una dichiarazione ufficiale?
Io scuoto la testa.
– Ringraziamo Dio per la sua misericordia, – dice Breslin. Si fa cadere la cassetta in mano con un tonfo piatto. – Allora: dimentichiamo ciò che è successo nell’ultima ora. Voi distruggete i vostri confronti fotografici e vi fate rilasciare da Lucy una dichiarazione come si deve. Sono certo che troverete il modo di farlo. Io spiegherò al capo che avete fatto un ottimo lavoro, ma non abbiamo abbastanza per un’imputazione solida, perciò abbiamo deciso per il momento di tenere in caldo Rory Fallon e continuare a lavorare sulle prove scientifiche e sui dati elettronici, sperando che prima o poi venga fuori qualcosa di buono.
O, piú probabilmente, spiegherà al capo che ha tenuto me e Steve sotto controllo, come aveva promesso di fare. Riesco a fatica a sopportare la sua vista, mentre continua. – Il capo terrà a bada i media finché non troveranno qualche altro osso da spolpare. Intanto sorveglieremo Rory per assicurarci che questa storia lo abbia spaventato abbastanza da tenerlo sulla retta via. E vivremo tutti felici e contenti –. Breslin tocca di nuovo la cassetta nel palmo della mano. – Vi sembra un buon piano?
Dopo un momento io dico: – Sí.
– Moran?
Steve respira a fondo. – Sí.
– Non ci sarà nessun intoppo lungo la strada, dico bene?
– Nessun intoppo, – confermo.
– Bene –. Breslin infila la cassetta nella giacca e va alla porta. Con la mano sulla maniglia, si volta per recitare la battuta di uscita.
– Ci metterete un po’ a capirlo, ma voi due siete in debito con me. Sono certo che ora non lo pensate, ma tra qualche anno, quando Rory Fallon lo rifarà con la sua nuova ragazza e voi sarete ancora qui per poterlo arrestare, vi renderete conto che io sono la cosa migliore che vi sia mai capitata. Allora accetterò i vostri ringraziamenti. E se saranno accompagnati da una bella bottiglia di bourbon, non mi dispiacerà.
Prima che uno di noi due possa tirare fuori una risposta sensata a quel mucchio di merda, ci fa un segno di saluto e scompare, sbattendo la porta. I suoi passi risuonano decisi in corridoio. Sta andando a dire a McCann che andrà tutto bene.
Passa qualche secondo, poi Steve si china a raccogliere la foto della famiglia Murray. – Credevo che l’avessimo in mano, a quel punto, – dice. – McCann. Quando abbiamo giocato questa carta. Credevo proprio…
– Sí, anch’io. Era un’ottima mossa. Avrebbe dovuto funzionare –. Mi regalo cinque secondi per ricordare come è stato ben condotto l’interrogatorio, come siamo stati bravi, insieme, io e Steve. Come sembrava che ci leggessimo nel pensiero a vicenda. Mi prendo quei cinque secondi per capire che cosa ho perso.
– «Non ho niente da dire», – dice Steve. Rimette la foto nella tasca della giacca, come se potesse di nuovo tornare utile, prima o poi.
– Avremmo dovuto capirlo.
All’inizio del caso, quando Lucy era evasiva sull’uomo segreto di Aislinn, avremmo dovuto capirlo. Siamo andati in giro a caccia di gangster immaginari, di poliziotti corrotti altrettanto immaginari, ci siamo eccitati a vicenda con sospetti complicati, quando la risposta ovvia saltellava davanti ai nostri occhi, agitando le braccia per attirare l’attenzione.
– Sono un idiota per aver lasciato quella ricerca sul mio computer, – dice Steve. – Non avevo dormito, il capo ci ha chiamati, mi sono agitato…
– Non preoccuparti. Non è peggio di quello che ho fatto io, tentando di far parlare Breslin e ottenendo solo di fargli capire che cosa stavamo pensando.
– Se non avessi cominciato io con la storia della malavita…
– Anche se non l’avessi fatto, – gli dico, – dubito che avremmo capito la risposta.
Steve lo ha detto diversi giorni fa: Breslin è abituato a essere dalla parte del bene, ogni storia che trova spazio nella sua testa deve partire da quell’inizio. E non solo Breslin. Tutti noi detective pensiamo di essere i buoni contro i cattivi. Senza quel sostegno, non è possibile superare le parti infernali di questo lavoro. Breslin corrotto, Mc Cann corrotto, quello potevamo immaginarlo. I poliziotti corrotti ci sono sempre stati. È un rischio del mestiere. Ma un poliziotto omicida, uno di noi che si trasforma in ciò che passiamo la vita a combattere, è un altro paio di maniche. È qualcosa che rivolta il mondo come un calzino. Persino io, che ho anni di ragioni per sapere che i poliziotti non sono sempre i buoni, quando mi sono trovata davanti agli occhi una possibilità del genere, non sono riuscita a vederla.
Breslin e McCann che parlottavano in cima alle scale, di come questo caso andava chiuso con urgenza: lo avrebbe capito anche un bambino. A me invece non è mai passato per la testa.
Forse Breslin ha davvero creduto a McCann, quando gli ha telefonato nel cuore della notte con una storia vagamente plausibile. E non solo perché gli piace pensarsi come un nobile cavaliere. Gli ha creduto perché quando gli è balenata l’altra possibilità, la sua mente l’ha sputata e se n’è allontanata con un salto.
– Forse no –. Steve fissa il posto in cui era Breslin. – Anche se l’avessimo capita, probabilmente non avrebbe fatto nessuna differenza. Non esistevano altre prove su cui potevamo mettere le mani. Saremmo stati fregati ugualmente, senza speranza.
O magari sarebbe andata in maniera diversa. Tutti i modi che avrebbero potuto fare la differenza mi si affollano in testa, fino a diventare un’unica cortina spessa e scura. Non riesco a trovare le parole per dirlo: quello che ora forse abbiamo perso per sempre, quello che questi pochi giorni avrebbero potuto cambiare, se solo avessimo visto.
– Io non ho ancora finito, – dico. Prendo il cellulare e comincio a scorrere la rubrica dei contatti.
Gli occhi di Steve si spostano su di me, scuri e dubbiosi. – Non riusciremo a mettere le mani su McCann. Quello che ha detto Breslin mi fa schifo, ma ha ragione.
– Lo so.
Lui apre la bocca per aggiungere qualcosa, ma lo fermo alzando un dito: il telefono sta squillando. – Louis Crowley, – risponde il Bieco Crowley, in tono diffidente. Dal rumore di fondo, sembra che sia in un pub.
– Come va? – dico io. – Sono Antoinette Conway, della squadra Omicidi. Ho bisogno di parlare con te. Ora. Dove sei?
Metto nel tono una manciata di disperazione appena trattenuta, per farlo sbavare, e funziona. – Mmh, – risponde. – Non so se ho tempo.
– Per favore. Non te ne pentirai.
Quello stronzetto crede di sapere esattamente cosa sta succedendo, e vuole estrarne fino all’ultima goccia. – Be’, – dice con un sospiro, godendosela da matti. – Immagino che… Sono da Grogan’s. E ci resterò per un’altra mezz’ora. Se riesci ad arrivare in tempo, penso di poterti dedicare qualche minuto.
– Grande, – dico, lasciando trapelare la gratitudine. – Io… perfetto, ci sarò. – E riattacco.
– Era Crowley? – chiede Steve, perplesso.
– Devo chiudergli la bocca, ricordi? E mi è venuta un’idea –. Metto il telefono in tasca, mi alzo e mi liscio il tailleur. – Verresti con me? Una mano mi farebbe comodo.
A un tratto c’è un accenno di sorriso all’angolo della bocca di Steve. – Questa idea si può definire come un «intoppo» nel piano di Breslin?
– Spero proprio di sí. Vieni o no?
Steve spinge indietro la sedia e si alza. – Non me lo perderei mai.
Nei corridoi non c’è anima viva. Quando prendiamo i cappotti, idem, e nemmeno nello spogliatoio. Suoni familiari escono da dietro la porta della sala detective: tastiere, telefonate, battibecchi, la stampante; in mezzo a tutto questo, la voce bella e potente di Breslin pronuncia la battuta finale di una barzelletta che ottiene una gran risata. Su nella sala operativa C le reclute lavorano, api operose che accumulano pile di carte destinate a finire direttamente nel seminterrato. Anche la reception è deserta; Bernadette è in pausa o in bagno. Usciamo dall’edificio e nessuno se ne accorge.
Da Grogan’s, Crowley è solo, a un tavolo d’angolo. Sorseggia una pinta di Smithwick’s e legge un libro rovinato con «Sartre» scritto a grandi lettere sulla copertina, per comunicare a tutti il suo livello culturale. Finge di non vederci finché non siamo praticamente al suo tavolo. – Crowley, – dico.
Fa un tentativo mal riuscito di mostrarsi sorpreso e posa il libro. Non si aspettava Steve, ma non se ne preoccupa. Gli tende la mano con un sorriso, ignorando me, per mettermi al mio posto. – Detective Moran.
– Come va? – dice Steve, senza stringergli la mano. Si siede su uno sgabello, gambe lunghe che vanno dappertutto, tira fuori il telefono e si concentra sullo schermo.
Crowley sta cercando di capirci qualcosa. Io mi siedo davanti a lui, poso i gomiti sul tavolo e il mento sulle dita intrecciate e gli sorrido. – Buonasera.
– Sí, – risponde lui, con un misto di fastidio e diffidenza: non trova in me la disperazione a cui intendeva abbeverarsi. – Buonasera.
– Begli articoli hai scritto. Non ero mai stata in prima pagina. Mi sembra di essere Kim Kardashian.
– Non direi proprio, – ribatte lui, fissandomi negli occhi. – Ti è piaciuta la foto?
– Crowley, – dico, – stai per commettere un grave errore.
Il colloquio non sta andando come si aspettava, ma tiene botta. Dopotutto, è lui ad avere in mano le carte migliori. – Oh, non credo. Se non vuoi fare la figura della prepotente agli occhi della nazione… – Steve sul telefono si mette a giocare a qualcosa che è un misto di bip e forti esplosioni; Crowley ha un piccolo soprassalto, ma non perde la sua espressione oltraggiata. – Non usare la prevaricazione contro gli esponenti della libertà di parola. È semplice, in realtà.
– No, no, no. Non sono qui per la foto. Il mio problema è un tizio che ha visto quella foto. Ti ha telefonato per avere il mio indirizzo e tu glielo hai dato.
– Non so di cosa parli, – ribatte lui. Intreccia le mani piccole e grassocce sul tavolo e sorride. – A proposito, come sta tuo padre?
Mentre gli rivolgo un’espressione perplessa, Steve tira su la testa e ride. – Non può essere. Ha detto questo?
Gli occhi di Crowley si spostano tra noi due. È per questo che volevo Steve: se il mio scopo fosse stato quello di supplicare Crowley di non rivelare i miei segreti familiari, non mi sarei portata compagnia. – Chi ha detto cosa? – gli chiedo. Poi, a Crowley. – E tu, come conosci mio padre?
– L’uomo che ti ha telefonato, – dice Steve a Crowley, – non può essersi spacciato per il padre di Conway. O sí?
– Ma porca puttana, – dico io. – Sul serio?
Steve scoppia in una risata. Crowley gli lancia uno sguardo velenoso. – È quello che ha detto. Ha detto che aveva perso i contatti con te molto tempo fa e voleva riprenderli.
– E tu ci sei cascato? – chiedo. – Come un idiota?
– Mi sembrava sincero. Non ho trovato un motivo valido per dubitare di lui.
– Credevo fossi un giornalista, – dice Steve, ancora con il sorriso in faccia. – Il dubbio dovrebbe essere il tuo mestiere.
– Gesú, Crowley, – lo incalzo. – Non mi piaci, eppure arrossisco per te.
– Sei stato giocato, amico, – dice Steve, scuotendo la testa e tornando a guardare il suo telefono. – Giocato come una carta a poker.
– Crowley, – dico io. – Sei un lobotomizzato del cazzo. L’uomo che ti ha telefonato non è mio padre –. Steve ride di nuovo. – È un criminale dell’Irlanda del Nord che ha passato vari anni in galera grazie anche al mio contributo. Quando ha visto quella foto, gli è venuto in mente che poteva prendersi la sua vendetta. E tu gli hai dato l’indirizzo di casa mia.
Crowley si sgonfia all’istante.
– Da allora tiene sotto sorveglianza la casa, – dico, – e ieri sera me lo sono ritrovato in soggiorno. Credi fosse venuto per fare due chiacchiere?
– «Cooonway», – dice Steve, con voce profonda. – «Sono tuo paaadre».
– Per fortuna di tutti, – dico, – ho risolto la situazione. Quell’uomo non si farà piú vedere. L’unico problema che mi resta sei tu. Io e il mio partner stiamo cercando di decidere di che cosa accusarti.
– Complicità per ingresso con scasso in abitazione privata, – suggerisce Steve, senza smettere di schiacciare tasti sul telefono. – E complicità in aggressione. Questo dopo aver stabilito se quell’uomo pensava solo di lasciare un semifreddo al cioccolato nel frigo di Conway, o invece progettava di farle del male. O anche favoreggiamento. O magari potremmo accusarlo di tutto il pacchetto e vedere cosa gli resta attaccato addosso.
Crowley è ancora piú pallido e sudato del solito. Dice: – Voglio parlare con il mio avvocato.
– Sei nella merda fino al collo, – dico. – Ma per tua fortuna puoi essermi utile.
– Dico sul serio. Voglio parlare con il mio avvocato adesso.
– Ehi, genio, – dice Steve, sparando a qualcosa che esplode con un rumore da bomba nucleare. – Ti sembra una sala interrogatori, questa?
– No. Perché non sono in arresto. Conosco i miei diritti…
– Certo che li conosci, – lo interrompe Steve. – E visto che non sei in arresto, non hai diritto a un avvocato. Hai il diritto di alzarti e andartene in qualsiasi momento, questo sí –. Io sposto il mio sgabello, lasciandogli lo spazio per uscire. – Non te lo consiglio, ma se vuoi farlo porteremo questa storia dal tuo capo, e a quel punto sarai arrestato e potrai avere tutti gli avvocati che vuoi.
Crowley fa per alzarsi. Noi lo osserviamo senza tentare di fermarlo; allora cambia idea e si risiede.
– Oppure, – dico, – puoi farmi un favore e ci dimentichiamo di tutto. Ti darò anche un piccolo scoop, per dimostrarti che non ti serbo rancore.
– Io sceglierei questa opzione, – gli consiglia Steve. – Se fossi al tuo posto, intendo.
– Il favore, – dice Crowley. Buona parte della presunzione è sparita dalla sua voce.
– Ultimamente sei comparso su un po’ troppe scene del crimine dei miei casi, – dico. – Chi ti dà l’imbeccata?
Crowley per poco non cade dalla panca per il sollievo. Tenta di coprirlo stringendo le labbra e fingendo di avere degli scrupoli. Io e Steve aspettiamo.
– Io non sono il tipo che crea casini… – Steve ridacchia a questa battuta, e Crowley precisa: – A meno che non sia moralmente necessario.
– Lo è, in questo caso, – dice Steve. – Tu vuoti il sacco, Conway sistema il problema con i ragazzi, tutti tornano a concentrarsi sulla caccia ai criminali e la giustizia è servita. In piú, non dovrai passare il tuo tempo a difenderti dalle imputazioni che dicevamo prima; potrai impiegarlo per combattere la tua battaglia per la libertà d’informazione. Moralmente, mi sembra a prova di bomba.
– È ovvio che non dirò che sei stato tu a fare nomi, – puntualizzo. – Potrai mantenere i rapporti con tutti i tuoi amichetti nella polizia. Voglio solo sapere chi è che sta cercando di mettermelo in culo.
Crowley fa una smorfia, sentendo quel linguaggio da una donna, ma è abbastanza furbo da tenere la bocca chiusa. Si batte un dito su un labbro e aspetta ancora qualche secondo, per farci capire bene che tipo pieno di scrupoli sia. Poi sospira. – Il detective Roche mi fa sapere quando pensa che potrebbe interessarmi uno dei tuoi casi.
Nessuna sorpresa, qui. – Roche e chi altri?
Dopo un attimo risponde, riluttante, perché detesta mettere in pericolo la sua nuova amicizia: – Il detective Breslin mi ha chiamato domenica mattina. Ha menzionato il caso di Aislinn Murray.
– Sí, questo lo sapevamo già. È stato lui a darti il mio indirizzo di casa, o Roche?
– L’ho avuto da un mio contatto.
– Che tipo di contatto?
– Non potete costringermi a rivelare le mie fonti. So che vi piacerebbe tanto trasformare questo Paese in un regime totalitario…
Steve alza in aria il pugno e grida: – Sí! – rivolto al telefono. – Scusa, – dice poi. – Stavi dicendo? Ho sentito la parola totalitario.
– Questa non è una fonte giornalistica, idiota, – dico io a Crowley. – Si tratta di qualcuno che ti ha aiutato a fornire a un criminale il modo di introdursi in casa mia. Credi si tratti di informazioni protette?
– Forse sí, non sapete le altre cose che mi ha detto.
– Crowley, vuoi che lo chieda direttamente a lui?
Crowley scrolla le spalle, come un adolescente che tiene il muso. – E va bene. È stato Breslin.
Quel bastardo. Avrei dovuto dargli un pugno in faccia, quando ne ho avuto la possibilità. – Come l’hai costretto a dirtelo?
– Oh, per favore. Non ho dovuto torturarlo. Quando mi ha chiamato per dirmi del caso di Aislinn Murray, mi ha detto che tu hai una forte tendenza a tergiversare. Sto solo citando le sue parole, – dice, alzando le mani con un sorriso sarcastico. – Che potevi metterci mesi per chiudere il caso piú ovvio del mondo. Di solito questo è un problema tuo, mi ha detto Breslin, ma stavolta lui era stato incaricato di occuparsi del caso con te, e aveva bisogno che qualcuno ti mettesse sotto pressione per convincerti a fare il tuo lavoro. Testuali parole, di nuovo, Conway. E cosí ho provato a metterti un po’ sotto pressione.
– Nessuno avrebbe potuto farlo meglio, – dice Steve, fissando il cellulare. – Non riuscivamo nemmeno a pensare, tanta era la pressione che ci sentivamo addosso. Non è vero, Conway?
Crowley gli scocca un’occhiata diffidente. – E poi, quando quell’uomo che sosteneva di essere tuo padre mi ha telefonato…
– Ecco perché eri cosí disposto a credere che fosse mio padre, – dico. – Io pensavo solo che ti eccitasse l’idea di ficcare le tue dita sudate nella mia vita privata. Ma hai pensato che, se quell’uomo era chi diceva di essere, scatenarmelo addosso avrebbe aumentato la pressione su di me. E avresti ricevuto una carezza e un biscotto dal tuo addestratore. Dico bene?
Crowley stringe le labbra. – Questo tono deliberatamente provocatorio non mi piace per niente. Non ho nessun obbligo di…
– Il mio tono ficcatelo nel culo. Hai chiamato Breslin, raccontandogli tutto contento che avevi un altro modo per incasinare cosí tanto la mia vita privata da farmi firmare qualsiasi cosa pur di chiudere il caso. Tutto ciò che ti serviva era il mio indirizzo. E lui te l’ha dato immediatamente. Ho omesso qualcosa?
Crowley ha incrociato le braccia e si rifiuta di guardarmi, per farmi capire che il mio comportamento è inaccettabile. – Se sai già tutto, perché lo chiedi a me?
– Oh, ma non so tutto, non ancora. Roche ti ha sguinzagliato sui miei casi, e Breslin l’ha fatto solo stavolta. Chi altri?
Lui scuote la testa. – Non c’è nessun altro.
– Crowley, – dico, in tono di avvertimento, – non te la cavi gettandomi in pasto due nomi. Vuota il sacco o l’accordo salta.
Lui tenta di darsi un’aria da nobiltà ferita, ma gli viene come se avesse fatto indigestione. – Io so bene quando la trasparenza è importante, detective Conway, mentre ci sono parecchi poliziotti che non possono dire altrettanto. Altri detective invece ogni tanto mi contattano, perché tra voi ci sono anche quelli a cui importa del diritto del pubblico a essere informato. Ma non riguardo ai tuoi casi.
Non capisco cosa mi faccia salire la rabbia all’improvviso: la possibilità che stia mentendo o quella che dica la verità? Mi sporgo verso di lui sul tavolo, a pochi centimetri dalla sua faccia: – Non prendermi per il culo. Il nome che non mi hai detto lo scoprirò lo stesso, capisci? E tu passerai il resto della vita a guardarti le spalle, desiderando di aver scelto una carriera come pulitore di cessi al Supermac’s.
– Ti ho detto tutto! Il detective Roche e il detective Breslin. Non c’è altro –. È la paura sulla sua faccia a convincermi. Crowley aggiunge, con cattiveria: – Forse ti credi cosí importante da meritare un complotto di massa, ma sembra che non tutti la pensino cosí.
Ho una sensazione strana, come se la mia testa fosse senza peso. Per tutto questo tempo ho pensato che l’intera squadra volesse il mio sangue, che la sala detective fosse come una tenda dietro la quale si nascondeva un esercito di nemici, mentre io ero la guerriera solitaria che solleva la spada pur sapendo che verrà abbattuta. Ma ogni volta che sollevo la tenda, trovo sempre lo stesso stronzetto del cazzo.
I ragazzi che facevano battute volgari su di me: ho dato per scontato che avessero i bordi affilati e cosparsi di veleno apposta, per indebolirmi finché non fossi caduta. Non mi è mai venuto in mente che le battute erano solo battute, un po’ piú cattive del normale solo perché io non vado d’accordo quasi con nessuno, e anche perché da dopo quella pacca sul culo che mi ha dato Roche, che molti di loro hanno visto senza dire una parola, non ci ho piú nemmeno provato, ad andare d’accordo. Quando Pulci ha sondato il terreno per capire se avevo voglia di tornare a lavorare sotto copertura, ho subito immaginato che fosse perché sapeva che alla Omicidi stavo affondando. Non mi è neppure venuto in mente che forse l’ha detto perché lavoravamo bene insieme e sente la mia mancanza. Steve che tesseva i suoi «se» e «forse», esaminandoli da tutti gli angoli: ho pensato, e per qualche ora ci ho davvero creduto, che lo facesse per spingermi oltre il bordo del precipizio e guardarmi facendo ciao con la manina mentre mi spiaccicavo in basso. Sono felice che il colore della mia pelle impedisca a lui e a Crowley di vedere il mio rossore.
In pratica ho fatto proprio come Aislinn: mi sono persa nella storia che avevo in testa, senza piú riuscire a vedere il mondo fuori dalle mura che avevo costruito. Ora quei muri sussultano con un rombo che mi scuote fino alle ossa. La mia faccia è esposta all’aria fredda che filtra dalle crepe. Un lungo e intenso brivido mi risale lungo la schiena.
Crowley e Steve mi osservano, tutti e due vogliono capire se ho intenzione di lasciare in pace Crowley. Il gioco sul telefono di Steve manda rumori che implorano attenzione.
– Va bene, – dico. Vorrei alzarmi e uscire, ma non ho ancora finito. Spingo ogni altra cosa in un angolo della mente. – Va bene. La prendo per buona.
Crowley dice: – Hai detto che avevi un piccolo scoop per me –. La paura è scomparsa, è di nuovo in modalità iena.
– Ah, sí, – dico, di nuovo concentrata: questo sarà divertente. – Ce l’ho, infatti. E ti piacerà.
Crowley tira fuori il registratore ma io scuoto la testa. – Niente da fare. L’informazione non è attribuibile. L’hai ricevuta da fonti vicine all’indagine. Capito?
«Fonti vicine all’indagine» significa poliziotti. Non voglio che Breslin e McCann pensino che sia stata Lucy a parlare.
Lui mette il muso, ma io non parlo e osservo Steve che tempesta di ditate lo schermo del cellulare. Alla fine Crowley sospira e mette via il registratore. – Va bene.
– Bravo ragazzo, – dico. – Sta’ a sentire: riguarda Aislinn Murray –. Crowley annuisce, pronto a sbavare; spera che gli riveli che prima di essere uccisa è stata violentata in modi creativi. – Aveva una relazione. Con un uomo sposato.
Crowley è deliziato. Scuote la testa, da uomo di mondo. – Sapevo che quella lí sembrava troppo a posto, per essere vera. Lo sapevo. Le ragazze che sanno di essere belle credono di poterla avere vinta sempre. Ma a volte non va cosí.
Sta già riscrivendo la storia nella sua mente, scegliendo i migliori eufemismi per definirla in pratica «una ninfomane rovinafamiglie che ha avuto ciò che si meritava». Steve dice: – La storia diventa ancora piú interessante. Indovina che fa di lavoro quell’uomo.
– Mmh –. Crowley si pizzica il naso e pensa. – Be’, di sicuro a una ragazza come quella piacevano i soldi. Ma la butto lí, secondo me era ancora piú attratta dal potere. Ho ragione?
Io e Steve siamo impressionati. – Come mai non fai il nostro lavoro? – vuol sapere Steve. – La tua intelligenza ci farebbe comodo, nella squadra.
– Ah, be’, non potrei lavorare agli ordini di chiunque. Torniamo al nostro uomo, detective Moran. Secondo me è un politico. Vediamo… – Unisce le punte delle dita davanti alla bocca. Ha già la storia in testa, pronta per l’inchiostro. – Il lavoro di Aislinn non la portava a frequentare quegli ambienti, perciò devono essersi incontrati in qualche locale, il che significa che l’uomo è abbastanza giovane da avere una vita sociale…
– È ancora meglio di ciò che pensi, – dico. Mi guardo intorno nel pub, mi chino sul tavolo e gli faccio cenno con un dito. Quando si avvicina tanto da soffocarmi con la puzza di patchouli, sussurro: – È un poliziotto.
– Meglio ancora, – aggiunge Steve, lasciando il telefono e chinandosi accanto a me. – È un detective.
– Meglio ancora, – incalzo io. – È un detective della Omicidi.
– Non si tratta di me, eh? – precisa Steve. – Io sono single, grazie a Dio.
Torniamo a farci indietro e guardiamo Crowley con grandi sorrisi.
Lui ci fissa, la mente che cerca di capire se vogliamo fregarlo o cosa abbiamo da guadagnarci. – Non posso scrivere questa storia, – dice.
– La scriverai, – dico io.
– Non posso. Verrò querelato. Io e anche il «Courier».
– Non se eviterai di fare nomi, – lo rassicura Steve. – In squadra siamo piú di venti, tutti uomini a parte Conway, e quasi tutti sposati. Si tratta di sedici o diciassette persone tra cui scegliere. Sei in una botte di ferro.
– I miei contatti saranno furiosi. Non intendo rovinarmi la carriera.
– Alla Omicidi ti odiano già tutti, amico, – gli fa notare Steve, tornando al suo gioco. – Eccetto Roche e Breslin, e non si tratta di nessuno dei due, mettiti il cuore in pace. Perciò, tranquillo, non brucerai i tuoi ponti.
– Sarai un eroe, – dico io. – Il giornalista investigativo piú coraggioso d’Irlanda, che osa affrontare il Potere, in nome di verità e trasparenza. Sarà fantastico.
– Pensa quanta fica ti troverai tra le mani, – dice Steve. Crowley gli lancia un’occhiata sdegnata.
– L’articolo esce domani, – dico io. – Un detective sposato, non coinvolto nell’indagine su Aislinn Murray ma in una posizione molto vicina all’indagine, aveva una relazione con lei. Se poi avremo bisogno che tu metta altra carne al fuoco, te lo faremo sapere.
E i capi non avranno scelta: ci sarà un’indagine interna. Non verrà fuori abbastanza per un’imputazione, ma almeno McCann non tornerà al suo matrimonio e al suo posto a vita alla Omicidi come se non fosse successo nulla. Aislinn avrà ottenuto il suo scopo, alla fine. Mi chiedo se dentro di sé intuisse, nelle lunghe notti in cui non dormiva per progettare il suo piano, che questo era l’unico modo in cui poteva avere successo.
Chiedo: – Tutto chiaro?
Crowley scuote la testa, ma solo per mostrare la sua disapprovazione per i nostri modi rozzi e per la nostra inferiorità come esseri umani; sappiamo che scriverà l’articolo. – Grande, – dico. Spingo indietro lo sgabello e mi alzo; Steve spegne il suo videogame. – Ci vediamo –. E lasciamo Crowley e il suo Sartre a lavorare al nuovo scoop.
Fuori, l’aria è abbastanza dolce da convincerti a voltare la faccia verso il vento in cerca di calore. Sono soltanto le cinque del pomeriggio, ma è già buio e le strade si preparano alla vita serale: gruppi di fumatori che ridono fuori dai pub, ragazze che corrono a casa con la spesa, ansiose di prepararsi per uscire. – Voglio chiederti una cosa, – dico a Steve. – Sai chi ha pisciato nel mio armadietto, quella volta?
Non gliene ho mai parlato, ma lui non finge di non saperlo. Mi guarda in faccia, le mani nelle tasche del cappotto. – Non con certezza. Nessuno parla di queste cose in mia presenza.
– Breslin ha detto… – Breslin ha detto che ovviamente Steve ha sentito le storie e che ovviamente mi avrebbe riferito qualcosa, se fosse stato dalla mia parte. Breslin ha detto un sacco di cazzate. Chiudo la bocca.
Steve capisce il resto della frase. Spiega, in tono pratico: – Tutti sanno che sono entrato in squadra perché tu ci hai messo una buona parola. Ci vedono lavorare insieme. E nessuno prova a mettersi in mezzo. Non sono scemi.
Quelle parole mi provocano un calore che fa quasi male. – Sí, – dico. – Non lo sono.
Steve prosegue: – Ma da quello che ho capito, ascoltando una parola qua e là, è stato Roche.
– E il poster della donna con la fica aperta e la mia testa attaccata sopra con Photoshop?
– Roche.
– Capisco –. Ruoto su me stessa, guardando le luci della città che dipingono le nuvole di un grigio dorato. – E il resto? Non le cazzate, le stronzate grosse.
– Come ho detto, non lo so per certo. Ma non ho mai sentito nulla che mi facesse pensare che ci fosse di mezzo qualcun altro.
– Non mi hai mai detto niente.
Un sorriso gli solleva un angolo della bocca. – Perché mi avresti ascoltato, vero?
Steve, attaccato alla sua preziosa storia di criminalità organizzata come a un salvagente, costruendola sempre piú grande e fantasiosa e convoluta, agitando le braccia per convincermi a guardarla. Io pensavo che volesse tirarmi su il morale, cosí non avrei fatto finire anche lui sul libro nero dei ragazzi. E invece sperava solo, se fosse riuscito a trovare una buona alternativa, di tirarmi fuori dalla mia convinzione granitica che tutto il caso, tutta la squadra, facessero parte di un unico grande complotto per liberarsi di me. Non riesco a decidere chi dei due sia il piú scemo.
– Ah, – dico. L’aria è profumata e inquieta, con tutti quei locali dove passare la serata, tutte le cose che possono accadere lí dentro, le porte aperte e ammiccanti. – Ma guarda.
– Cosa?
– Vorrei solo esserci arrivata prima.
Steve aspetta.
– Dobbiamo parlare con il capo, – dico.