12.
L’aspetto di Rory è peggiorato rispetto a domenica. I capelli hanno ancora quell’aria appiccicosa, gli occhi sono arrossati e la pelle è di un bianco malato. Odora di vestiti lasciati troppo a lungo in lavatrice. Sorride quando ci vede, ma si tratta di un riflesso meccanico. Sarà divertente convincerlo a calmarsi fino al punto da poter essere utile.
Cominciamo portandolo nella saletta piú bella, quella che usiamo per i testimoni traumatizzati e i parenti delle vittime: colori pastello, sedie che non ti odiano, un bollitore e un cestino stile hotel con bustine di tè e di caffè istantaneo. La Mia Prima Sala Colloqui, la chiamiamo. Nonostante sia sconvolto, Rory nota la differenza; si rilassa al punto da togliersi il suo secondo miglior soprabito e appenderlo con attenzione sullo schienale della sedia. Indossa jeans e un ampio pullover beige che trasuda depressione tessuta a mano.
– Togliamo prima di mezzo le scartoffie, – dice Breslin, spingendogli davanti un modulo dove si dichiarano i suoi diritti e una penna. Poiché il ruolo del capobranco è intimidatorio, si è armato di un grosso fascicolo con dentro tutto ciò che può venire utile, piú un bel po’ di carta che serve solo da imbottitura. La donna di mondo invece sta dalla parte di Rory, perciò ho con me solo penna e taccuino.
– Mi spiace, – continua Breslin. – So che l’hai già fatto, Rory, ma ce ne serve uno nuovo ogni volta. Non sei obbligato a dire nulla se non vuoi, ma tutto ciò che dirai sarà trascritto e potrà essere usato come prova. Proprio come l’altra volta. Va bene?
Rory firma senza leggere. – Grazie, – dice Breslin, sbadigliando e stirando le braccia per mettere in mostra i pettorali. – Io ho bisogno di un vero caffè, niente schifezze solubili. Rory? Antoinette? Cosa vi porto?
Normalmente gli rificcherei in gola il suo «Antoinette», ma so cosa sta facendo. – Oh, Dio, sí, un caffè vero, – dico. – Niente latte e zucchero. E vedi se riesci a trovare due biscotti, per favore. Muoio di fame.
– Farò una razzia nella riserva segreta di O’Gorman, – dice Breslin, con un ghigno. – Lui compra solo roba buona. Rory, per te?
– Mmh, io… – batte le palpebre, tentando di analizzare le potenziali implicazioni delle varie bevande calde. – Un tè sarebbe… No, un caffè. Con un po’ di latte. Per favore.
– I tuoi desideri sono ordini, – ribatte Breslin, e si solleva dalla sedia con un gemito. – Potrei dormire per una settimana intera. È questo tempo. Datemi un po’ di sole decente e sarò un uomo nuovo.
– Già che ci sei perquisisci la scrivania di O’Gorman, – dico. – Magari ci trovi due biglietti per Barbados.
– Se li trovo, tagliamo la corda. Rory, ce l’hai il passaporto? – Rory capisce la battuta con qualche secondo di ritardo e ride. Breslin sorride a entrambi mentre esce dalla stanza.
Mi faccio indietro sulla sedia, allungando le gambe, e mentre aspettiamo mi tolgo l’elastico dai capelli, per rifarmi lo chignon. – Uffa, – dico. – Sono state giornate lunghe. Lei come sta?
– Bene. Ma non è facile, è stato un brutto colpo –. Ha la guardia alta, non ha dimenticato che sono la poliziotta cattiva che non gli ha detto che Aislinn era morta. Steve lo avrebbe messo a suo agio in un secondo.
Ma Steve non è l’unico a saper usare la cordialità. – Lo immagino, – dico. – Vuole che la metta in contatto con il Sostegno vittime? È il loro lavoro, aiutare le persone che stanno passando momenti come questi. Sono bravi.
– No, grazie.
– Sicuro?
– Sí. Andrà tutto a posto. Vorrei solo… sapere com’è successo. Ho davvero bisogno di saperlo.
– Ah, – dico, con un sorriso triste. – Ne abbiamo bisogno tutti.
Rory si arrischia a guardarmi in faccia, rapidamente. – Non… non lo sapete ancora?
Sospiro e mi massaggio la testa, mentre ho ancora i capelli sciolti. – Sinceramente, no, non lo sappiamo. Abbiamo seguito una quantità di piste, non posso rivelare i particolari ma in pratica nessuna si è rivelata utile. Per questo stiamo richiamando le persone che erano piú vicine a Aislinn: speriamo che qualcuno ci dia una nuova idea, per rimettere in moto l’indagine.
Rory dice, ancora diffidente: – Io la conoscevo solo da un paio di mesi.
– Certo, lo so. Ma un contatto come quello che c’era tra voi conta piú di anni passati a parlare di gattini su Facebook con il collega della scrivania accanto –. Il mio tono è quello giusto, non sciropposo, diretto, pulito, pratico. – Questo era evidente, l’altra volta che abbiamo parlato. In Aislinn lei non vedeva una bionda truccata, ma quello che c’era sotto. Vedeva la persona che lei era davvero.
Rory dice piano: – Era quella la mia sensazione.
– E questo ha un valore, capisce? Io non conoscerò mai Aislinn. Perciò devo appoggiarmi a persone come lei che mi mostrino chi era. Cosí potremo capire cosa le è successo –. Ho dimenticato di rifarmi lo chignon; questa conversazione è troppo importante, parlo come se fossi fuori servizio. – E direi che lei non ha pensato ad altro, negli ultimi due giorni. Giusto?
Rory si morde un labbro, poi dice: – Piú o meno. Sí.
– E nelle ultime due notti.
Lui annuisce.
– So come ci si sente, – dico, in tono gentile. – All’inizio sembra che ciò che è successo abbia inghiottito tutta la tua vita. E che non riuscirai mai a tirare di nuovo la testa fuori dall’acqua.
Rory fa un sospiro che si porta via la sua diffidenza. Le spalle cadono in avanti, infila le dita sotto gli occhiali per massaggiarsi gli occhi. – Non ho dormito. La mancanza di sonno non mi fa bene, ma… non ci riesco. Non ho fatto altro che camminare avanti e indietro nel soggiorno, ore e ore. Mi fanno male le gambe. Ieri notte sul tardi è successo qualcosa in strada, un uomo ha gridato e ho pensato mi venisse un infarto. Sul serio, ho pensato di morire lí, appoggiato contro il muro. Non sono andato ad aprire il negozio, non mi sono nemmeno azzardato a uscire, per non rischiare di svenire se qualcuno sbatte forte la portiera dell’auto –. Mi rivolge un’occhiata che dovrebbe essere di sfida. – Immagino che lei lo trovi patetico.
Infatti, ma piú che patetico lo trovo utile. – Io? – dico, sorpresa. – Dio, no. Ho visto passarci tante persone. Sentirsi cosí… fa parte del pacchetto.
– Quando mi ha chiamato… mi sono sentito sollevato, lo sa? È ridicolo, naturalmente, ma ho solo pensato che cosí non dovrò passare la giornata… – Gli trema la voce. Si preme la punta delle dita sulla bocca.
– Anche lei sta facendo un favore a me, – dico, con la giusta dose di simpatia. – Con questo tempo, sto meglio qui dentro che fuori, a fare il porta a porta.
– Io non faccio altro che pensarci. A come può essere andata. Ho immaginato decine di scenari. Per questo non riesco a dormire. Quando chiudo gli occhi, vedo solo quelle scene.
– Grazie a Dio, – dico, con sentimento. E quando Rory mi fissa, a occhi spalancati, aggiungo: – È quello che facciamo noi. Immaginiamo teorie sul modo in cui può essere successo, e poi cerchiamo di abbinarle ai fatti. Solo che stavolta i fatti non corrispondono, e devo ammettere di aver finito la scorta di teorie. Sono impazzita, nel tentativo di trovarne altre. Se lei ne ha una nuova, per l’amor di Dio me la dica.
Questo farebbe ridere Steve: io che supplico di sapere tutte le fantasie basate sui se e sui forse che Rory può immaginare. Il pensiero di Steve è come un colpo tra le costole, abbastanza forte da farmi mancare il fiato.
Rory riesce a mettere insieme un sorriso, con gli angoli della bocca all’ingiú. – Quanto tempo ha?
– Facciamo cosí. Cominci con la sua teoria migliore: quella che, dentro di sé, sa che può essere proprio ciò che è successo. Se è buona… Gesú, sarò in debito con lei. Se invece non quadra, e il mio collega non è ancora arrivato con il caffè, può passare alla prossima.
Mi guarda come temendo che lo stia prendendo in giro, solo per ridere di lui. – Sul serio?
– Certo, sul serio. Gliel’ho detto, le abbiamo telefonato perché abbiamo bisogno di tutto l’aiuto che riusciamo a trovare. Qualsiasi cosa lei abbia in mente, è sempre meglio del nostro nulla totale. Sempre che non pensi che siano stati gli alieni, o roba simile.
Stavolta il sorriso è quasi reale. – Niente alieni, – dice Rory. – Promesso –. Mi siedo dritta e prendo il taccuino, pronta ad annotarmi le sue perle di saggezza. – Bene, c’è questa che continua a tornarmi in mente. La questione, con Aislinn…
Pronunciare il nome gli fa male. Si toglie gli occhiali, li pulisce, e intanto io e la stanza diventiamo confusi, e gli è piú facile parlare. – La cosa che deve capire di lei, è che era il tipo di persona che ti faceva sognare. Quando eri con lei, cominciavi a raccontare storie –. Sta già seduto piú dritto, l’ho portato su un terreno familiare. – Pensavo che fosse perché anche lei era una sognatrice, l’avevo capito perché i simili si riconoscono, ma c’era qualcosa di piú. Era il fatto che a lei non dava fastidio entrare nel tuo sogno a occhi aperti, farsi un giro con te. Anzi, le piaceva.
Questa mi sembra una vera stronzata. A nessuno piace sentirsi un ingranaggio nella fantasia di qualcun altro. Se ciò che penso mi si legge in faccia, Rory non può vederlo, senza occhiali, ma dice, come se avessi parlato ad alta voce: – È la verità. Per darle un’idea, durante la nostra cena fuori le ho detto che mi sembrava di conoscerla da anni. E lei ha risposto che aveva la stessa sensazione. Ha detto: «Forse ci siamo davvero già incontrati, è una nazione piccola». E io ho risposto: «Forse abbiamo giocato insieme da bambini. A sei anni, in un giardino pubblico, d’autunno. Forse tu avevi portato la tua bambola…» Aislinn ha sorriso e ha detto che si portava davvero sempre la bambola ai giardini, un giocattolo rovinato che si chiamava Caramel. Allora io ho detto: «Forse hai messo Caramel su una panchina, perché potesse guardarti mentre facevi l’altalena, e io ero sull’altalena accanto alla tua. E poi è arrivata un’altra bambina, ha pensato che Caramel fosse stata abbandonata, e l’ha presa…»
Ricordare il nome della bambola sarebbe stato adorabile, nel discorso dello sposo al matrimonio; in questo contesto è inquietante. Rory sorride al ricordo di Aislinn. – Le ho raccontato tutta la storia. Noi due vediamo l’altra bambina che porta via Caramel, allora sfuggiamo alla sorveglianza dei nostri genitori e seguiamo lei e sua madre sull’autobus, fino in città, correndo loro dietro giú per O’Connell Street, dentro Clerys; una guardia prova a fermarci, ma noi la schiviamo nascondendoci dentro un enorme ombrello, e poi facciamo arrestare un borsaiolo mettendogli lo sgambetto con la punta dell’ombrello… Si scopre che il borsaiolo aveva appena rubato il portafogli alla madre della bambina, e tutte e due sono piene di gratitudine verso di noi. La bambina restituisce volentieri la bambola a Aislinn e la madre ci riaccompagna a casa in una carrozza trainata da un cavallo.
Santo Gesú. A quel punto io sarei già uscita dal ristorante per tornare a casa di corsa, e nel frattempo avrei chiamato la mia amica Lisa, ridendo al punto da farmela addosso e giurando che avrei lasciato perdere l’amore per tutta la vita. – Capisco cosa intende, eravate in perfetta sintonia, – dico, sorridendo. – Dev’essere stata una bellissima serata.
– È cosí. So che pare sciocco, ma sembrava… – Alza il mento, con uno sguardo di sfida. – Sembrava una magia. Come se tutta quella storia fosse successa davvero, ma noi l’avessimo dimenticata e in quel momento, raccontandola, l’avessimo riportata in vita. Aislinn rideva e aggiungeva dei pezzi qua e là. Diceva: «Sicuramente morivamo di fame, forse l’uomo del chiosco su O’Connell Street ci aveva regalato dei krapfen, e mentre eravamo sotto l’ombrello si avvicina un cane e gli gettiamo un pezzetto di krapfen per farlo andare via…» Come ho detto, le piaceva sentirmi inventare storie. Mi incoraggiava a farlo, faceva venire fuori quella qualità nelle persone.
Sentendolo parlare, tutta la storia sembra bella e spontanea come un sorriso; Aislinn che saltellava tra le margherite, seminando sogni felici ovunque andasse. Io non ne sono tanto sicura. La rivedo quel giorno alla Persone scomparse; mi ha bombardato con tutto ciò che poteva, per far sí che la mia mente si mettesse a fabbricare storie: mistero, lacrime, particolari su com’era suo padre, ritagli di ricordi d’infanzia. Se avessi abboccato – ed era piú che possibile, se tutta la manfrina sul paparino non mi avesse preso dal lato sbagliato – forse avrei finito per darle ciò che cercava: «E poi la geniale detective risolse il problema della povera orfana e vissero tutti per molti anni felici e contenti». Con Gary ha funzionato. Aislinn sapeva come usare le sue abilità.
Ma io non ci sono caduta. Le mostro mentalmente il dito e dico a Rory: – Sta pensando che questo abbia qualcosa a che fare con ciò che le è successo?
Rory annuisce con forza. – Sí. Sí. Il problema, con i sogni a occhi aperti, è che non durano. Basta un colpetto di realtà ed è la fine. So che devo sembrarle stralunato, ma so di cosa parlo.
Un lampo improvviso, nella voce e negli occhi; scompare in fretta, ma io ero attenta e l’ho visto. Rory non è tutto nuvole morbide e finali felici; ha un nucleo solido e spigoloso. Proprio come Aislinn. Questa combinazione li rendeva una coppia perfetta, ma poi gli si è rivoltata contro.
– Per uno come me, – dice Rory, – non è un problema. Passo la metà del tempo dentro la mia testa, sono sempre stato cosí. So bene anche questo –. Di nuovo quel bordo duro. – Perciò, quando vado a sbattere contro la realtà e la mia bolla scoppia, non è la fine del mondo. Ci sono abituato. Dentro di me, l’avevo sempre saputo.
Sembra proprio una spiegazione indiretta: «Ecco perché non posso essere stato io, sul serio, detective». Capita spesso. Di solito lo fanno gli omicidi. Continuo ad annuire, concentrandomi su tutti questi dettagli importanti.
Rory dice: – Ma tante altre persone non sono cosí. Ci ho messo del tempo a capirlo, da ragazzo: alcuni passano le loro giornate concentrati solo su ciò che succede nella realtà.
– So cosa vuol dire, – dico. E aggiungo, in tono confidenziale: – Molti poliziotti sono cosí. Privi di immaginazione.
Lui fa un mezzo sorriso automatico, ma è troppo immerso nella sua storia per prestarmi attenzione. – Perciò, se un uomo del genere avesse incontrato Aislinn, non avrebbe saputo come prepararsi al fatto che la sua bolla sarebbe scoppiata. E quando è successo…
– Capisco, – dico, concentrata, aggrottando leggermente la fronte. – Almeno credo. Mi dica cosa ha immaginato. Nei particolari.
Rory traccia delle forme sul tavolo con la punta di un dito. Dice, lentamente: – Credo sia stato qualcuno che non è apparso sul vostro radar, perché ha frequentato Aislinn per pochissimo tempo. Si sono conosciuti in un night, o forse per motivi di lavoro, e si sono messi a parlare. Lui è riuscito a farsi dare il suo numero e si sono visti per bere qualcosa, o invece non sono arrivati neppure a questo. Ma quell’uomo ha già cominciato a immaginare storie, ed è una sensazione che gli dà ebbrezza, anche perché, per lui, è del tutto nuova.
Ormai Breslin deve essere nella stanza di osservazione, mi sembra di vederlo che alza gli occhi al soffitto e borbotta che mi dia una mossa, perché il caffè si raffredda. Ma può fare qualche respiro profondo e calmarsi. Se Rory ha bisogno di tutto il giorno per parlare fino a incriminarsi, avrà tutto il giorno.
– E poi, per un motivo qualsiasi, Aislinn decide di non andare oltre, con la relazione –. Rory alza gli occhi a guardarmi, con le dita premute sul tavolo. – Se non sei abituato a queste iniezioni di realtà, è una tragedia. È come si sentirebbe, immagino, un tossicodipendente in crisi d’astinenza. Uno sconvolgimento fisico, oltre che psicologico. Corpo e mente vacillano.
– Quindi lui decide di vendicarsi? – chiedo.
Rory scuote la testa con forza. – No. Non è cosí. Un uomo capace di aggredire una donna solo perché lo lascia dopo una sera o due, è un mostro. Uno psicopatico. E Aislinn non si sarebbe mai sentita attratta da un mostro. Anche se le piaceva sognare, non significa che non vedesse la realtà. Quest’uomo dev’essere una brava persona. Ma a un tratto ha perso il controllo.
Di solito, il fidanzato innocente di una ragazza che è stata uccisa, immagina l’assassino come una bestia rabbiosa, che merita sette volte la sedia elettrica. Rory non può permetterselo. – Sí, ha senso, – dico, annuendo e prendendo appunti. – Quindi cos’ha fatto?
– Se non può avere Aislinn, ha almeno bisogno di altro materiale per i suoi sogni a occhi aperti. Qualcosa con cui nutrirli. Lei gli ha detto dove lavora, cosí lui comincia a starsene là fuori in attesa che esca. Una sera la segue a casa –. Una carica elettrica si accende sotto la voce di Rory, dandole energia, potenza. Non ho piú bisogno di esortarlo. – E quando sa dove abita, diventa una specie di droga. Non riesce a starle lontano. Ci prova, ma bastano pochi giorni e prima di rendersene conto si trova di nuovo diretto verso Stoneybatter. Cammina per le strade e pensa ai piedi di lei che toccano quegli stessi marciapiedi; compra barrette al cioccolato che non ha voglia di mangiare, solo per fare la spesa negli stessi negozi di lei. E si trova davanti casa sua, e la osserva mentre si prepara una tisana o stira i suoi vestiti.
Rory si tiene vicino alla verità, quasi toccandola. È una buona idea, dà un senso di realtà alla storia.
– Diventa un’abitudine; si ritrova sempre lí al buio, muovendo le dita dei piedi per evitare di congelare. Osserva le finestre illuminate, si immagina nell’atto di aprire quella porta, di entrare in quel calore, mentre lei viene ad accoglierlo con un bacio. Immagina di preparare da mangiare insieme a lei in quella cucina luminosa. Diventa una routine, nella quale trova una specie di equilibrio, di soddisfazione. Potrebbe vivere cosí all’infinito.
Rory è cambiato. Non è piú un timido gerbillo; ha il busto in avanti, muove le mani con gesti rapidi, precisi, sicuri. Quella carica sotto la sua voce è cresciuta, e ora vibra in tutti gli angoli della stanza. Per la prima volta riesco a capire cosa ci trovava Aislinn in lui. In quanto a me, una roba del genere è l’ultima cosa che vorrei, in un uomo, ma riconosco che ha un potere. Rory non è piú raggomitolato su sé stesso, è diventato un uomo che quando entra in una stanza ti spinge a voltarti a guardarlo. E a continuare a guardarlo.
– E poi, – dice, – sabato sera. Quest’uomo va a osservare Aislinn, come al solito, ma vede qualcosa di diverso. Lei è tutta agghindata e truccata, splende come uno scrigno di gioielli. La vede preparare una cena per due; Aislinn prende due calici da vino dalla credenza e li porta in soggiorno, canta con il cavatappi in mano come fosse un microfono, danza, scuote i capelli e ride tra sé. Lui vede quanto è felice, quanto è impaziente.
«Canta con cavatappi in mano come ragazzina», scrivo. L’odore di sangue impregna l’aria, spesso come in una macelleria. Rory ha una buona immaginazione, ma non è chiaroveggente. Sabato sera ha osservato Aislinn.
– Deve essere rimasto senza fiato. Ormai credeva cosí tanto nel suo sogno a occhi aperti, da essere certo che fosse diventato reale. Non sapeva che la vita non funziona cosí –. Su un lato della bocca di Rory si disegna una piega amara. – Deve aver pensato che Aislinn avesse indossato quel vestito per lui, che stesse preparando la cena per lui. E quando ha finalmente ripreso a respirare, è uscito dal buio e si è spazzolato via la pioggia dal cappotto e ha bussato alla porta.
Un bel finale. Rory mette giú le mani, fa un respiro profondo e mi guarda, pieno di aspettativa. Vuole concludere qui.
Mi piace un sacco questo colloquio. Non solo perché sta andando bene; lo amo perché è pulito. Niente se e forse che lampeggiano negli angoli, rendendo l’aria appiccicosa e facendomi prudere i vestiti addosso. Niente strati e strati di possibilità e ipotesi da prendere in considerazione ogni volta che apro la bocca o che ascolto una risposta. Siamo solo io, Rory e quello che sappiamo entrambi: che è stato lui. Questa consapevolezza è sul tavolo tra noi, solida e scura e lucente come un meteorite, che il vincitore si porterà a casa.
Dico: – E poi?
Rory gira il collo. Io continuo a guardarlo, con le sopracciglia alzate e un’espressione interrogativa, e alla fine dice: – Be’, ovviamente Aislinn non si stava preparando per lui, ma per me. Da mesi non pensava nemmeno piú a lui. Deve essere rimasta sbigottita, vedendoselo davanti. Deve avergli detto di andare via. E a quel punto lui ha perso il controllo.
Mantengo l’espressione interrogativa. – E?
A voce bassa, fissando il tavolo: – E le ha fatto del male –. La sua carica si sta esaurendo, gli scompare dalla voce e dal viso, lasciandolo di nuovo beige e mingherlino. La sua bella storia è andata a sbattere, proprio come ha detto, contro la dura realtà della morte di Aislinn. Quando il silenzio diventa troppo lungo, aggiunge, a voce ancora piú bassa: – L’ha uccisa.
– Ma in che modo?
Rory scuote la testa.
– Rory, mi dia una mano.
– Non lo sapete già?
– Le sto chiedendo un favore, – dico, in tono gentile, chinandomi in avanti per incrociare il suo sguardo. – Faccia finta che sia una storia del tutto inventata, come quelle che raccontava a Aislinn. E la concluda.
– Io non… tutto quello che so è che di sicuro non poteva avere un’arma con sé. Né un coltello, né altro. Non avrebbe mai pensato in anticipo di farle del male. Forse ha afferrato una lampada, o qualcos’altro che era già lí… – Si passa una mano tremante sul viso. – Non ce la faccio.
Non vuole lasciarsi sfuggire che sa com’è morta. Non c’è problema, me lo aspettavo. – Caspita, – dico, facendomi indietro sulla sedia. Mi passo una mano tra i capelli e lascio andare un lungo sospiro. – Questa storia è notevole.
– Può… – Rory fa un respiro profondo. Si rimette gli occhiali e mi guarda, cercando di rimettere tutto a fuoco. – Può essere utile? Secondo lei?
– Sí, – rispondo. – Potrebbe esserlo. Naturalmente non le dirò nei particolari ciò che sto pensando, ma c’è una possibilità che lei oggi ci abbia dato qualcosa di realmente valido. Grazie. Grazie davvero.
– Non c’è di che. Crede…
– Oooh, sono tornato! – grida allegramente Breslin, spalancando la porta con il sedere ed entrando con le tazze tra le mani. – Scusatemi per l’attesa; quegli incivili non si prendono mai il disturbo di riportare le tazze in sala mensa, e non parliamo poi di lavarle. Queste sono dovuto andare a recuperarle qua e là. La buona notizia, però, – distribuisce le tazze ed estrae dalla giacca un pacchetto di biscotti, con un gesto elaborato, – è che la riserva di O’Gorman non mi ha deluso. Signore e signori, ecco a voi degli Oreo ricoperti di cioccolato. Chi è il vostro paparino?
– Ah, sei tu, stella, – dico. – Sto morendo di fame.
– Al vostro servizio –. Breslin getta un Oreo a me e uno a Rory, il quale naturalmente sbaglia la presa, lo fa cadere sulla moquette e deve chinarsi a raccoglierlo. Poi lo fissa come se non sapesse bene cosa farne. – Mettilo in bocca, – gli suggerisce Breslin. – Prima che O’Gorman venga qui a cercarlo.
– Sta’ a sentire, – dico io, inzuppando il mio biscotto nel caffè. – Rory ha una teoria.
– Grazie a Dio, – ribatte Breslin. – Meno male che qualcuno ne ha una. Ed è buona?
– Potrebbe esserlo, – dico, a bocca piena. – Per farla breve, lui pensa che Aislinn avesse la capacità di stimolare in un uomo delle fantasie da «vissero felici e contenti», in un modo molto piú veloce del normale. Ora, c’era un uomo con cui lei si era vista per un po’, una storia cosí breve che non è mai apparsa sul nostro radar; lei lo ha mollato, lui non smetteva di pensare a lei. Ha cominciato a tenerla d’occhio, a osservarla. Quando ha visto che si preparava per la cena con Rory, si è convinto che invece stesse aspettando lui. Ha bussato alla porta, è rimasto scioccato scoprendo che lei non era affatto felice di vederlo e ha perso la testa.
– Interessante, – commenta Breslin. Si mette in bocca il suo biscotto e mastica in modo meditativo. – Mi piace. Quadra con molte delle cose che sappiamo.
Rory non sembra sentirsi incoraggiato. È raggomitolato sulla sedia e toglie fibre di moquette dal suo biscotto. Appena è entrato Breslin si è ristretto come un maglione lavato con l’acqua bollente.
– Esatto, – dico. – In questo lavoro, impari a riconoscere quando qualcosa ti dà la sensazione di essere giusta. In senso sia pratico, sia psicologico.
– Noi amiamo quella sensazione, – spiega Breslin a Rory. – Le abbiamo dato la caccia per tutta la settimana. Devo ammetterlo, figliolo: la tua teoria ci va abbastanza vicino. Metteremo delle persone al lavoro sulle conoscenze occasionali di Aislinn, nei night club, in ufficio, eccetera. Se questo tizio viene fuori, ti dovremo davvero pagare quel biglietto per Barbados.
Si spinge indietro sulla sedia e beve un lungo sorso di caffè, sfogliando il suo fascicolo. – Nel frattempo, – dice, – già che ormai siamo qui, ti andrebbe di chiarirci un paio di cosette? Cosí possiamo escluderle dalla nostra lista?
– Oh, Gesú, tu e le tue liste, – dico, alzando gli occhi al soffitto. – Rory, non gli dia retta. Quest’uomo fa la lista anche di quello che si mette in tasca, per poter controllare di non aver perso nulla. Non si faccia risucchiare, se ne vada finché è in tempo.
– Ehi, non parlar male delle mie liste, – dice Breslin, puntandomi contro un dito. – Quante volte ci hanno salvato il culo?
– Sí, sí, sí.
– Rory? Per te va bene? Ci vorrà solo qualche minuto.
Sappiamo tutti che Rory non se ne andrà: non farebbe altro che tornare a camminare avanti e indietro nel suo appartamento e nella sua mente. Dice: – Immagino…
– Visto? – dice Breslin a me. – A Rory non dispiace farmi un favore. Giusto, Rory?
– Sí. Voglio dire…
– Dispiace a me, – dico. – Se devo sopportare un’altra…
– Perfetto, – mi interrompe Breslin. – Abbozza, Conway –. Sfoglia le sue carte. Io sospiro e mi rifaccio lo chignon. Siamo tornati a lavorare.
Breslin aveva ragione, siamo bravi nei colloqui. E il messaggio arriva forte e chiaro: lavorare bene insieme vale piú di tutto il resto. Con la coda dell’occhio vedo il riflesso del falso specchio, e mi chiedo se Steve ci sta osservando.
– Ah, – dice Breslin. – Ecco la famosa lista. Domanda numero uno, Rory: sabato sera, Aislinn e una sua amica parlavano del tuo invito a cena. Sembra che lei fosse impaziente di vederti –. Gli sorride, finché Rory ricambia piú o meno il sorriso. – Carino, no? E l’amica ha detto a Aislinn… – finge di guardare i suoi appunti, – «Sta’ attenta, capito?» Perché avrebbe dovuto farlo?
Rory ci fissa, confuso. – Chi è questa persona?
– Chi potrebbe averlo detto, secondo te?
– Io non… non conosco gli amici di Aislinn. Chi…?
– Un momento, – lo interrompe Breslin. – Ci stai dicendo che, se gli amici di Aislinn avessero saputo chi eri, avrebbero avuto un motivo per consigliarle di stare attenta? Quale motivo?
– No. Non è ciò che ho detto. Non avrebbero avuto nessun…
– Ma una di loro pensava di sí.
– Non è possibile. Nessuno poteva avere nessun motivo.
– Deve essersi trattato di un malinteso, – dico io. – C’è qualcosa che l’amica può aver capito male? Quando entra in scena un nuovo compagno, gli amici diventano protettivi, vedono segnali d’allarme dappertutto…
– O diventano gelosi, – suggerisce Breslin. – Forse l’amica è una racchia, non riesce a trovarsi un uomo, è invidiosa e cerca di fare in modo di allontanare Aislinn da te. Cosa avrebbe potuto usare?
Rory si passa una mano sugli occhi e tenta di riflettere. Ha abbandonato il suo biscotto intatto. Ha capito che non stiamo piú giocando a quel gioco. Io e Breslin siamo ancora tutti sorrisi, ma l’aria nella stanza è cambiata; il ritmo è piú rapido ed è Breslin a stabilirlo, ora, non Rory.
– L’unica cosa che mi viene in mente… – Noi aspettiamo, incoraggianti. – Ve l’ho già detto l’altra volta, prendere appuntamenti con Aislinn era complicato. Ma io continuavo a provarci, anche dopo che lei ne aveva annullati vari. Immagino che questo possa avermi fatto apparire… Non lo so. Invadente? Voglio dire, so che Aislinn non lo pensava, altrimenti avrebbe chiuso con me, ma forse poteva pensarlo una sua amica.
– Piano, – dice Breslin. – Rallenta. Hai appena detto che continuavi a spingere per avere degli appuntamenti con lei, anche dopo che li aveva annullati. Ma allo stesso tempo dici che se lei ti avesse mandato al diavolo te ne saresti andato di buon grado. Quale delle due?
– Ma… No. Non è la stessa cosa. Lei non ha mai detto che non voleva vedermi piú. Se lo avesse fatto, naturalmente avrei battuto in ritirata. Dire: «Giovedí ho da fare» non è la stessa cosa, è completamente…
Rory si sta facendo indignato e difensivo. – Ehi, guardi che non deve convincere noi, – dico io. – Quella preoccupata era l’amica di Aislinn. Noi stiamo solo cercando di capire perché.
– Questa è l’unica cosa che mi viene in mente. Non c’è altro.
Breslin si alza e si mette a camminare avanti e indietro, costringendo Rory a guardare da due parti diverse. – A me sembra un po’ poco.
– Anche a me, – dico. – L’amica non è un tipo isterico. Se pensava che Aislinn avesse bisogno di stare attenta, doveva averne motivo.
– Forse… – Rory si schiarisce la voce. – Ecco, se ho ragione sul tizio che spiava Aislinn… Forse Aislinn lo aveva notato e ne aveva parlato all’amica? E l’amica temeva che lui potesse arrabbiarsi, se mi avesse visto in casa di Aislinn?
Breslin si ferma e rivolge a Rory una lunga occhiata interrogativa. Rory regge lo sguardo, pur battendo spesso le palpebre. Poi Breslin dice: – Aislinn non ti ha mai parlato di un ex che la inquietava?
Rory scuote la testa.
– Ad alta voce, per la registrazione.
– No. Non l’ha fatto.
– Guarda che le donne non parlano del loro ex al nuovo fidanzato, – gli faccio notare. – Ti fa sembrare una psicopatica stile Attrazione fatale.
Breslin fa spallucce. – Allora lo dico in un altro modo. Ha mai accennato a uno stalker?
La parola fa trasalire Rory. – No.
– Nemmeno una volta?
– No. Ma forse non voleva… non lo so, spaventarmi…
– Cosa? Pensava che saresti scappato a gambe levate solo perché uno spostato le stava intorno? Lo avresti fatto?
– Certo che no! Io…
– Lo so, lo so. E visto che Aislinn non era stupida, lo sapeva anche lei. Credi che si sarebbe messa con te, se avesse pensato che eri uno smidollato del genere? Conway, tu lo vorresti uno che si spaventa cosí in fretta?
– No, – dico. – Preferisco che di palle ne abbiano almeno una.
– Esatto. E scommetto che era cosí anche per Aislinn.
Rory sposta lo sguardo tra noi. – Va bene, forse non lo pensava, e forse non sapeva che questo tizio la teneva d’occhio.
– Forse è cosí, – dice Breslin. Si china all’improvviso verso il tavolo e Rory scatta indietro, ma Breslin vuole solo un altro sorso di caffè. – Però siamo di nuovo al punto di partenza: quando l’amica ha detto a Aislinn di stare attenta, non poteva riferirsi all’ex che si era trasformato in stalker, perché quest’uomo esiste solo nella tua testa.
Invece no. La sensazione mi disturba come un dente guasto che credevo di aver messo a posto: un ex era entrato nella testa di Lucy. E secondo ciò che ci ha detto, era proprio il motivo per cui ha inviato quel messaggio.
Breslin mette giú la tazza con un tonfo duro, preciso. – Allora, – chiede. – A cosa si riferiva l’amica?
Rory scuote la testa. È tornato a raggomitolarsi su sé stesso.
– Ad alta voce, per favore.
– Non so a cosa si riferisse.
– Peccato, – dice Breslin. – Mi sarebbe davvero piaciuto trovare una spiegazione. Ma se sei sicuro di non poterci aiutare… – Fa una piccola pausa per dare il tempo a Rory di intervenire, ma lui non ne approfitta. – Lasciamo perdere, per il momento. Andiamo avanti con la mia lista, va bene?
Abbassa la testa e scorre i suoi appunti. – Ah, già, – dice. – Ecco la seconda domanda.
Estrae un foglio dalla tasca della giacca, dispiegandolo con un fruscio secco che fa trasalire Rory. Si fa un altro giretto per la stanza leggendo il foglio con calma, mettendosi alle spalle di Rory per costringerlo a voltarsi sulla sedia.
– Dimmi che non si tratta di un’altra lista, – dico io, con un’occhiata esasperata a Rory. Ma lui non reagisce.
– Questa, – dice Breslin, dando un colpetto alla pagina, – è la cronologia di ciò che ha fatto Rory sabato sera.
Rory si irrigidisce.
– Ah, sí, – dico. – Ma non è una cosa importante come vuoi farla sembrare.
– Forse hai ragione. Cerchiamo di capirlo.
– Qual è…? – a Rory manca la voce. Se la schiarisce di nuovo e ci riprova. – Qual è il problema?
– Ah, – dice Breslin. – È un po’ complicato, Rory, perciò fermami se non riesci a seguirmi. Secondo la tua dichiarazione, sei salito sul 39A poco prima delle sette, e sei sceso a Stoneybatter quasi alle sette e mezzo. Sei andato a piedi fino a Viking Gardens per controllare l’itinerario, e questo ci porta, diciamo intorno alle sette e trentadue. Poi sei andato da Tesco a prendere i fiori: abbiamo controllato e si tratta di una camminata di sette minuti, quindi devi essere arrivato alle sette e quaranta.
Rory ha smesso di seguirlo con lo sguardo mentre cammina. È rigido, con i piedi piantati a terra e fissa davanti a sé.
– La tua dichiarazione dice che hai passato al Tesco «un paio di minuti», diciamo che sei uscito intorno alle sette e quarantatre. Altri sette, otto minuti per tornare a Viking Gardens, forse meno, visto che avevi fretta: sarai stato alla porta di Aislinn alle sette e cinquanta. Mi segui?
– Se non riesce a seguirlo, – dico a Rory, – glielo faccia scrivere. Cosí almeno si guadagna lo stipendio.
Rory dice, senza guardarmi: – Lo seguo benissimo.
– Naturalmente, – dice Breslin. – Solo che ci hai detto di essere arrivato da Aislinn appena prima delle otto. Cos’hai fatto negli otto o nove minuti che mancano?
Rory rilassa le spalle. Pensa di essersela cavata, è sollevato. – Non ne ho idea. Voglio dire, forse sono sceso dall’autobus un po’ piú tardi di quanto pensassi, o ci ho messo un po’ di piú a scegliere i fiori, o sono arrivato a casa di Aislinn qualche minuto prima di quello che credevo. O tutte queste cose insieme. Non faccio troppo caso ai tempi esatti; non sono addestrato a farlo, come voi. Non saprei dirvi, con un’approssimazione di otto minuti, neppure che ora è adesso, o da quanto tempo siamo qui.
Breslin si sfrega il naso, imbarazzato. – Be’, se la metti cosí…
– Visto? – dico, a tutti e due. – Non era importante.
– Deformazione professionale, – dice Breslin, con una risata triste. Rido anch’io e Rory emette una risatina isterica. Ridiamo tutti insieme. – Lo giuro su Dio, – continua Breslin. – A volte dimentico cosa significa essere normali. Voglio dire, una persona normale non perderebbe traccia di un tempo piú lungo, tipo un’ora, giusto? O anche mezz’ora? Di sicuro non saresti arrivato da Aislinn alle otto e mezzo pensando che fossero le otto. Una variazione di dieci minuti potrebbe essere il limite, no?
– Suppongo di sí, – dice Rory. Si ricorda del suo caffè e beve un rapido sorso, coprendosi la bocca con la mano. – Probabilmente.
– Ah, – dice Breslin, voltando il foglio. – Qui ho un’altra cronologia. Bevi un altro po’ di caffè, ne avrai bisogno.
– Ne ho bisogno anch’io, – dico, alzando la tazza e strizzando l’occhio a Rory. – Tenga duro, la lista arriverà alla fine, prima o poi.
– Sí, sí. Prima la piantate di lamentarvi, voi due, prima finiamo –. Breslin torna dalla mia parte del tavolo, in posizione di fuoco. – Quest’altra cronologia è basata sui video a circuito chiuso che abbiamo controllato. E dice questo, Rory: tu sei salito sull’autobus alle sette meno dieci, e sei sceso a Stoneybatter alle sette e un quarto. Non corrisponde a quello che ci hai detto, ma hai ragione: qualche minuto qui, qualche minuto là, per una persona normale… – Sorride a Rory, il quale è ancora abbastanza rilassato da ricambiare il sorriso. – Solo che la volta successiva che possiamo confermare la tua presenza è quando sei stato ripreso dalle telecamere di Tesco mentre pagavi i fiori, alle sette e cinquantuno.
Rory ha smesso di sorridere. Sta cominciando a capire.
La voce di Breslin si fa piú pesante, le parole rotolano sul tavolo con una serie di tonfi sordi. – Come abbiamo detto, da casa di Aislinn al Tesco è una camminata di sette minuti. Ora, se tu hai pagato i fiori alle sette e cinquantuno, devi essere andato via da Viking Gardens intorno alle sette e quaranta. Questo lascia una finestra temporale, dalle sette e un quarto, quando sei sceso dall’autobus, fino alle sette e quaranta. Venticinque minuti, Rory. Abbiamo appena convenuto che anche una persona normale non può perdere traccia di venticinque minuti. Vorresti dirmi cos’hai fatto, in quei venticinque minuti?
Rory fissa il vuoto, nello spazio tra me e Breslin. È tutto contratto, e la sua bocca si muove appena, quando dice: – Ve l’ho già detto.
– Era quello che credevo anch’io, – dico, seccata. Il pensiero di perdere la sua alleata gli fa accelerare il respiro, ma non mi guarda. – Ora invece sembra che lei ci abbia dato a bere un mucchio di stronzate. Vuole riprovarci, prima di spingerci a pensare che potrebbe avere un motivo per non volerci dire esattamente cos’ha fatto quella sera?
– Vi ho già detto cosa ho fatto. Mi dispiace se non corrisponde alla vostra cronologia.
Non è una cattiva strategia: scegli una versione, punti i piedi e non ti sposti da lí, a nessun costo. Se ti muovi noi possiamo farti perdere l’equilibrio, e spingerti un passo alla volta fin dove vogliamo farti arrivare. Perciò bisogna far muovere Rory.
Breslin avvicina la sedia al tavolo e si siede, tutto in un solo movimento. Io mi faccio indietro e lo lascio lavorare, mentre Rory si chiede se sto ancora dalla sua parte. Breslin dice: – Come sapevi che Aislinn non aveva le tende in cucina?
Il colpo va a segno: Rory sussulta e lo fissa. – Cosa?
– E il vicolo dietro la casa. Come sapevi che c’era?
– Il… Non lo sapevo. Di quale vicolo…
– Hai descritto il nostro ipotetico stalker che spiava Aislinn mentre preparava la cena e tirava fuori i calici da vino: queste cose le avrebbe fatte nella cucina, che si trova nella parte posteriore della casa. Non hai detto che lui l’ha osservata mentre apparecchiava la tavola, che è in soggiorno, nella parte anteriore. In altre parole, sapevi che lo stalker sarebbe stato in grado di osservare da dietro la casa.
Rory batte le palpebre a raffica, confuso. Breslin dice, sorridendo: – Amico, lo vedi quello specchio? Io ero là dietro, e ho sentito tutto quello che hai detto. Antoinette è una brava detective, ma… come posso dirlo, senza beccarmi un pugno?
– Attento a te, – gli dico.
– Calma, tigre, – dice Breslin allontanando il busto e alzando una mano per bloccarmi. – Diciamo solo che Antoinette è un po’ piú propensa di me a credere che tu sia dalla nostra parte, Rory. Lei è un’ottimista, capisci? Spera fin dall’inizio che questo caso si riveli un grande e affascinante mistero –. Mi guarda con la coda dell’occhio e con un lievissimo accenno di sorriso che può significare qualsiasi cosa. – In quanto a me, faccio questo lavoro da piú tempo di lei. E sono un tipo sospettoso. Un’altra deformazione professionale, se preferisci. Perciò tengo d’occhio ciò che succede. Ho sentito ogni parola che hai detto. E ora ti sto chiedendo: come sapevi che lo stalker avrebbe osservato Aislinn in cucina, a meno che quello stalker non fossi tu?
– Stavo solo facendo delle ipotesi. È… voglio dire, è semplice buon senso: se lui non voleva essere notato dai vicini, ovviamente sarebbe andato sul retro –. Rory non riesce a respirare bene. – E la cucina è il posto dove lei avrebbe preparato la cena, se io fossi venuto. Voglio dire, io stavo arrivando, il mio «se» non significa…
Sta perdendo la presa sulla sua storia sicura. Dico, con una sfumatura preoccupata, per nulla contenta della direzione che il caso sta prendendo: – C’è un’altra cosa. Ha detto che lo stalker guardava Aislinn cantare con il cavatappi in mano. Dai suoi messaggi, sappiamo che Aislinn ha fatto proprio questo, quella sera. Come faceva lei a saperlo, a meno che non l’abbia vista?
Breslin dice, prima che Rory riesca a inalare abbastanza aria per rispondere. – Fammi un favore, non dire che si trattava di un’ipotesi. A meno che tu non sia un sensitivo, è impossibile fare un’ipotesi tanto precisa. Sei un sensitivo, Rory?
– Cosa? No! Come potrei… Io non…
– Be’, è un sollievo saperlo. Allora dicci come sapevi del cavatappi.
Rory scuote la testa e ansima, senza parole.
– Allora te lo spiego io, – dico, cominciando anch’io a dargli del tu. – Quella sera hai osservato Aislinn dal vicolo dietro la casa. Ho ragione?
Dopo un lungo momento, la sua testa cade in avanti: è un sí.
– È stato cosí che hai trascorso quei venticinque minuti mancanti.
Un altro cenno d’assenso. Il falso specchio mi riflette di nuovo la luce in un occhio. Spero proprio che Steve sia là dietro. Spero che sia arrossito fino alla radice dei capelli.
– Ad alta voce, per la registrazione, – dice Breslin.
Rory trova un po’ di voce. – Volevo solo… mi stavo solo prendendo un momento. Per rendermi conto che stava succedendo davvero. Questo è tutto.
– E l’unico modo per farlo, – dice Breslin, – era spiare Aislinn dalla finestra dietro casa.
Lo fa sembrare qualcosa di sporco. Rory trasalisce. – Io non… Ero solo lí, la guardavo e mi sentivo felice. Non so come spiegarlo…
– Io credo di capire, – dico, dubbiosa. – Piú o meno. Non è che la stavi spiando mentre si faceva la doccia, no? O l’hai fatto?
– No! Anche se avessi voluto, e non volevo, sarei andato via, piuttosto che…
Breslin fa una risata nasale. Rory lo ignora, concentrandosi su di me. Dire la verità gli ha permesso di riprendere a respirare. – E comunque, la finestra del bagno ha il vetro opaco. Aislinn era in cucina. Aveva acceso la musica, c’era troppo vento per capire cosa stesse ascoltando, ma era qualcosa di vivace, lo capivo dal modo in cui ballava, cantando… sí, con il cavatappi in mano –. Mi lancia un’occhiata, troppo triste per essere di sfida. – Indossava un pullover rosa e un paio di jeans, prendeva cose dal frigo, le apriva, le metteva in casseruole e padelle e nel frattempo non smetteva di ballare. Poi è uscita dalla cucina. Io ho aspettato, e quando è tornata indossava quel vestito blu. Era come… tutta coperta di blu e oro, era come se fosse apparsa in cucina, come una di quelle visioni di santi che le persone avevano secoli fa. E non riuscivo a credere che, dopo qualche minuto, sarei stato in casa con lei. Quel sorriso sarebbe stato rivolto a me.
Il dolore è profondo, gli impregna la voce. Ma non significa nulla. – In quel momento ho pensato ai fiori e ho deciso di andare da Tesco. Se non l’avessi fatto… – Respira in fretta dal naso, come se avesse ricevuto un colpo. – Se non mi fossi ricordato di comprare quella pianta di azalea, se fossi rimasto lí a guardarla… Sarei stato presente, quando lui è arrivato. E avrei potuto…
Torce la bocca, ci preme sopra le nocche. Avverto, piú che vedere, Breslin che trattiene un sorriso sprezzante, all’idea di Rory che indossa mantello e calzamaglia e pesta a sangue il cattivo. Rory deve aver immaginato almeno duecento variazioni di quella scena.
Dice, da dietro le dita sulla bocca: – Ma non l’ho fatto. Sono corso al Tesco come un idiota, e mentre ero via è arrivato qualcuno e ha ucciso Aislinn. Forse l’ho anche visto, ma non ci ho fatto caso, perché ero tutto chiuso nella mia bolla di felicità. E quando lei non è venuta ad aprire, ho aspettato e aspettato, perché non riuscivo a credere che avesse cambiato idea; solo pochi minuti prima si comportava come se fosse felice del mio arrivo. Sono rimasto lí al freddo, cercando di capire come fosse possibile, e intanto lei era stesa a terra in casa, morta o morente. E alla fine, invece di capire che qualcosa non andava e sfondare la porta, me ne sono tornato a casa a compatirmi. Questo è ciò che è successo.
– Gesú, Rory, – dico, in tono di riprovazione. – Perché non ce l’hai detto subito?
– Perché so come mi fa sembrare! Una specie di… Non potete capire com’era davvero.
– Io sto facendo del mio meglio. Sarebbe molto piú facile se ci avessi detto la verità dall’inizio.
– Ve la sto dicendo ora.
Sotto il tavolo, tocco la caviglia di Breslin con un piede. Lui dice, senza perdere il ritmo: – Be’, parte della verità, almeno. Quella non è stata l’unica volta che hai spiato Aislinn, vero?
Rory fissa prima lui, poi me, poi un angolo della stanza. Capisce in fretta. – Invece sí, era la prima volta.
– Non credo.
Io dico: – Per questo avevi bisogno di prenderti quel momento per guardarla, da fuori. Per renderti conto che era tutto reale. Perché l’avevi già osservata tante volte, in quella cucina, sognando di essere tu quello per il quale lei cucinava. Giusto?
– Proprio come l’uomo del tuo racconto ipotetico, – dice Breslin.
– Era davvero ipotetico. Mi era stato chiesto di immaginare…
– Quel momento deve essere stato fantastico, eh? – dico io. – Dopo tutte le volte in cui a un certo punto non ti restava che voltarti e tornare a casa, al freddo…
– Sí, sí, è stato meraviglioso. Ma non perché io avessi fatto con Aislinn una specie di stalking. Non era nulla di…
Sta ricominciando a farfugliare. – Shhh, – dice Breslin.
– Cosa?
– Sta’ zitto –. Breslin prende il suo fascicolo. – Voglio mostrarti una cosa.
Si mette a sfogliare le pagine con calma, interrompendosi ogni tanto per inumidirsi il pollice. Rory lo osserva stringendo il bordo del tavolo con le mani, come se fosse pronto a scattare in piedi, ma tiene la bocca chiusa. Non ha perso del tutto l’autocontrollo.
– Ecco qua –. Breslin getta sul tavolo una manciata di foto, ingrandimenti venti per venticinque. Rory allunga una mano, sparpagliandole. Ne afferra una, la guarda ed emette una specie di guaito sorpreso.
Breslin dice: – Prendi anche le altre.
Rory non si muove. Ha la testa china sulla foto, ma gli occhi non mettono a fuoco.
– Prendile.
Rory si muove in automatico, impilandole l’una sull’altra. Gli tremano le dita.
– Guardale.
Lui fa uno sforzo e comincia a guardarle, battendo le palpebre a ogni immagine. Breslin dice alla telecamera: – Ho appena mostrato al signor Fallon delle immagini riprese da varie telecamere di sorveglianza durante l’ultimo mese.
Scende un silenzio.
– Rory, l’uomo in quelle foto sei tu. Su questo siamo d’accordo, dico bene?
Un altro silenzio. Poi Rory muove appena la testa in segno d’assenso.
– Per la registrazione.
– Sí.
Breslin si china verso di lui, facendolo sussultare, e pianta un dito sulla foto in cima alla pila, sul viso che guarda verso la telecamera del Tesco. – Questo sei tu. Il 14 di questo mese.
– Sí, stavo solo comprando qualcosa. Ero entrato per…
È alla ricerca disperata di una nuova storia. Io dico: – Ci avevi detto di non essere mai stato a Stoneybatter prima di sabato sera. E di aver dovuto cercare sul cellulare l’indirizzo del Tesco.
Rory muove la bocca e tenta di deglutire.
Il dito di Breslin è ancora schiacciato sul suo viso nella foto. – Allora, – dice, in tono cordiale, – la tua storiella sull’uomo che aveva preso la mania di spiare Aislinn era basata su fatti realmente avvenuti, come dicono in tivú. Giusto?
– Non la… no. No! Non la parte dove… – Comincia a perdere di nuovo il fiato. – Io non ho mai… mai…
Se va in iperventilazione e sviene, ci metteremo tutta la notte. Dico, calma ma ferma: – Rory. La parte sull’uomo che andava in giro per Stoneybatter per sentirsi vicino a Aislinn. Quello l’hai fatto, no?
– Sí, ma…
– Aspetta. Una cosa alla volta. La parte sull’uomo che osservava Aislinn dal vicolo. Hai fatto anche quello, no?
– Ho solo… – Rory si sfrega il dorso di una mano sulla bocca, cosí forte da lasciare dei segni rossi. – No. Io…
– Rory, – insisto. – Per favore. Vuoi davvero farci credere che sei andato in giro per settimane qua e là per Stoneybatter, senza mai avvicinarti alla casa di Aislinn, a parte la sera in cui lei è stata uccisa? Perché se è questo che stai dicendo, non mi piace affatto come suona.
– No, no –. Alza le mani in fretta. È cosí facile spingerlo un passo alla volta, fino all’angolo da cui non uscirà piú. – L’ho guardata, qualche volta. Ma…
Breslin ha preso la foto e la sta esaminando. – Ma sabato sera Aislinn ti ha beccato.
Quella voce. Tranquilla, un po’ strascicata, quasi amichevole. Ma riempie la stanza, senza lasciare spazio per nient’altro. – Com’è successo? È uscita in cortile per qualche motivo e ti ha visto affacciato al muro di cinta? O forse hai detto qualcosa sul tuo giretto da Tesco che le ha fatto capire che conoscevi bene la zona? Forse hai detto che la cucina era piú bella con il nuovo quadro, o che adori il filetto alla Wellington. E a un tratto… – Breslin alza una mano e la lascia ricadere sulla foto con un suono secco. – Il tuo segretuccio sporco non è piú un segreto.
Sul viso di Rory si è formata una sottile patina di sudore. – No. Io non sono mai, mai entrato in casa sua.
Breslin lo ignora. – Sei entrato in quella casa pensando di entrare in paradiso, e nel giro di cinque minuti tutto è andato in merda. Gesú, che botta. Arrossisco solo a pensarci –. L’accenno di sorriso sadico a un angolo della bocca rende quella frase una battuta. – Come l’ha presa Aislinn?
– Lei… no. Non l’ha presa in nessun modo, perché non è successo niente del genere. Io…
– Scommetto che ricordi esattamente la sua espressione. Scommetto che non riesci a togliertela dalla testa. Era disgustata? Spaventata? Ha detto che eri un mostro, o uno psicopatico? O un patetico fissato? Cos’ha detto, Rory?
Rory tenta di continuare a negare, ma Breslin non gliene dà la possibilità. È chino su di lui attraverso il tavolo, cosí vicino da fargli sentire l’odore del suo fiato, del suo dopobarba, il calore della sua pelle. – Cos’ha detto? Ha riso di te? Ti ha detto di andartene? Ha minacciato di chiamare noi? Cos’è stato a farti scattare? Cosa ti ha fatto perdere il controllo?
– Io non ho fatto nulla!
Viene fuori come un latrato. Breslin lo fissa. – Ma di che cazzo parli? L’hai spiata, l’hai sottoposta a un vero e proprio stalking, e lo chiami nulla?
– No…
– Secondo Aislinn non era nulla?
– Lei non lo sapeva! Io…
– Stai dicendo un mucchio di stronzate. Continui a ripetere che avevi «bisogno di un momento», ma venticinque minuti non sono un momento. Venticinque minuti sono un tempo sufficiente per prenderti il tuo momento dietro la casa, poi suonare alla porta, darti la zappa sui piedi, perdere la testa, uccidere Aislinn, ripulire le tue tracce, renderti conto della necessità di giustificare quel periodo di tempo e correre da Tesco. Ed è questo che hai fatto.
Il viso di Rory è una strana mescolanza di orrore e di qualcosa che somiglia al sollievo. Ha già visto nella sua testa questa scena almeno cento volte. Ora che sta prendendo forma nella realtà gli sembra qualcosa che conosce già, tutti gli spigoli sono già stati smussati dalla sua immaginazione. Stavolta è anche piú facile: stiamo facendo noi il lavoro al suo posto. Tutto ciò che deve fare lui è recitare le sue battute.
Dice: – Non le ho mai fatto del male.
Dopo la voce di Breslin, la sua non ha peso, è una vibrazione filiforme che galleggia nell’aria surriscaldata.
– Ma sei entrato in casa sua, – dico.
– No. Lo giuro.
La Scientifica sta analizzando i vestiti che indossavi quella sera. Cosa dirai quando troveremo le fibre della moquette di Aislinn sui tuoi pantaloni?
– Non le troverete. Non potete trovarle. Io non sono entrato in casa sua.
Breslin dice: – Non ci è entrato nessun altro.
– Ma l’uomo, lo stalker…
– Ma dài. Credi davvero di non essere stato il primo ad avere l’idea di controllare la vita sociale di Aislinn? Noi abbiamo controllato ogni uomo che le abbia anche solo fatto un sorriso. E li abbiamo dovuti escludere tutti, l’uno dopo l’altro. Hai un motivo, anche minimo, per cui io dovrei credere che questo stalker esiste?
Rory ha un sussulto improvviso, alza di nuovo le mani. – Un momento. Sí. C’era un uomo, sabato. Ho visto un uomo in strada…
Sembra un distributore automatico. Appena apre la bocca, ne esce una nuova storia. Alzo gli occhi al cielo. Breslin scoppia a ridere, una risata forte che fa accasciare Rory sulla sedia. – Certo. Solo che dopo sei stato rapito dagli alieni e loro ti hanno cancellato la memoria, che curiosamente ti sta tornando solo in questo momento.
– No…
– Allora ti è caduto in testa un pianoforte e hai avuto un’amnesia.
– Non è…
– Domenica tu ci hai detto testualmente che non ricordavi di aver visto nessuno a Stoneybatter, a parte un gruppetto di ragazzi che giocavano a pallone e alcune ragazze che uscivano per una serata fuori. Non hai parlato di nessun uomo, Rory.
Rory tenta di dire qualcosa, ma la voce di Breslin cozza contro la sua e la sbriciola. – Ci sei solo tu. Ogni tessera di questo rompicapo, quando la voltiamo, ha la tua faccia stampata sopra. Lo stalker eri tu, Rory. Lo sappiamo tutti. Ogni cosa che ci hai detto di lui sei stato tu a farla. L’unica parte che hai lasciato fuori è quando lui bussa alla porta di Aislinn e tutto va a puttane. Ma indovina? Verrà fuori che anche in quel caso si trattava di te.
– No, è impossibile. Io non sono mai entrato in casa sua. Mai.
Dà l’impressione di essere dieci volte piú piccolo di Breslin, ma è tutto mento e occhi furiosi. Ormai non è piú tanto facile spingerlo. Abbiamo trovato il punto da cui non vuole spostarsi.
Mi muovo sulla sedia. – C’è un’altra cosa importante, – dico a Breslin.
– Non abbiamo bisogno di nient’altro, Conway. Abbiamo piú che abbastanza –. Breslin allunga una mano, allontana le foto da Rory e le mette l’una sull’altra con gesti bruschi. – Arrestiamolo, andiamo a mangiare qualcosa e torniamo a occuparcene dopo.
Alla parola «arrestiamolo» Rory apre la bocca, ma ne esce solo aria. I suoi occhi, bianchi di paura, si spostano su di me. La merda che aveva immaginato è appena diventata realtà.
– Aspetta, – dico a Breslin. – Lasciami parlare.
– Sei tu il capo, – dice lui, con un sospiro. Lascia le foto e inclina la sedia all’indietro, disponendosi ad ascoltare.
– Bene, – dico. – Aislinn aveva il forno acceso in cucina, giusto? Perché stava preparando la cena per Rory.
– Sí. E allora?
– E Rory, prima di uscire, ha spento il forno.
Rory comincia a dire: – Io non… – Ma Breslin lo zittisce con un gesto. – Esatto. E perché sarebbe importante, a questo punto?
– L’unico motivo per spegnere il forno, – dico, – è perché non voleva che scoppiasse un incendio. Ora, se Rory sapeva che Aislinn era morta, o se non gli importava che sopravvivesse… Lasciami finire, – dico a Rory, che fa di nuovo per parlare, – allora lasciar bruciare la casa sarebbe stata la cosa migliore, per lui. Con un incendio, ogni prova della sua presenza lí finisce in fumo: fibre, impronte, Dna, tutto. Lo sa chiunque abbia visto un poliziesco alla tivú. Ho ragione?
– Ti sto ascoltando, – dice Breslin. Poi, rivolto a Rory, che sta quasi per saltare dalla sedia: – Faresti bene ad ascoltare con attenzione anche tu, caro mio. Sembra una cosa a tuo favore, e sinceramente non puoi permetterti di ignorarla.
Rory ricasca a sedere. Il suo petto si alza e si abbassa come se avesse corso. Breslin gli dice: – Hai intenzione di lasciar finire alla detective Conway quello che stava dicendo?
– Sí, certo –. Poi, interpretando il sopracciglio alzato di Breslin, aggiunge: – Scusate l’interruzione.
– Voglio dire solo questo, – spiego. – L’unico motivo per cui Rory poteva voler evitare un incendio, è perché pensava che Aislinn non fosse morta e non voleva che morisse. Il che significa che fin dall’inizio non aveva intenzione di ucciderla.
– Ah, sí, – dice Breslin, annuendo lentamente. – Ora capisco dove vuoi andare a parare, e hai ragione: è importante. Tutte le altre prove in nostro possesso puntano verso un omicidio tout court, e anche brutale, se vuoi la mia opinione. Ma se hai ragione sul motivo per cui è stato spento quel forno, a quel punto si tratta di omicidio colposo.
– Esatto, – confermo. – Se ho ragione.
– Se. Ci sono un bel numero di motivi per cui qualcuno può aver spento il forno. Prima di tutto, forse è stata proprio Aislinn. O forse Rory soffre di una lieve forma di disturbo ossessivo compulsivo e non può uscire da una casa senza aver spento tutto. Ma se hai ragione tu…
Tutti e due guardiamo Rory. Lui ha lo sguardo offuscato. Troppe storie si affollano nella sua mente, e sta perdendo la presa su tutte. Fino a un certo punto, a noi conviene: se l’indiziato non riesce piú a tenere traccia di cos’ha detto e quando l’ha detto, commetterà degli errori. Ma se la presa sulla realtà si fa troppo debole, comincia a dire cose senza senso. Se vogliamo tirargli fuori qualcosa di utile, il momento è adesso.
– Io ho finito, Rory, – dico. – Ora puoi parlare.
Breslin lascia che apra la bocca e lo interrompe subito: – Ma prima rifletti. Stai per dirci di non essere mai entrato in quella casa, e al tuo posto io ci penserei bene, prima di dirlo. Omicidio vuol dire automaticamente una condanna a vita, Rory. Ma se aggiungi la parola «colposo» puoi prenderti sei anni e uscire dopo quattro. E se non ci dici perché hai spento il forno in cucina, non abbiamo nulla, ma proprio nulla, per parlare di colposo, mentre un bel po’ di prove dicono che è omicidio e basta. Perciò, per il tuo bene ti consiglio di prenderti cinque minuti per riflettere, Rory, prima di dire anche una sola parola –. Rory fa per aprire la bocca e Breslin lo blocca di nuovo: – Cinque minuti, ho detto. Ti avviso quando saranno passati –. Tira indietro il polsino e guarda l’orologio. – A partire da ora.
Rory si arrende. Fissa il vuoto, ondeggiando un po’ per la stanchezza.
– Uno.
Lentamente, i lineamenti del viso di Rory si fanno piú solidi. Smette di ondeggiare. Dentro la sua testa si sta muovendo qualcosa.
Breslin ha adottato la strategia sbagliata. Spera che il peso di quel silenzio forzato e della paura riescano a spezzare Rory, ma era con il nostro fuoco di fila di parole che ci stavamo riuscendo. Costringere uno come Rory a rinchiudersi nella sua testa significa dargli il tempo di concentrarsi e trovare il modo di raddrizzare ciò che ha detto. Lo stiamo perdendo.
– Due.
– Lascia perdere, – dico, sbattendo le mani sul tavolo. – Gli abbiamo dato abbastanza tempo. Rory, guardami –. Gli schiocco le dita davanti al viso. Lui sbatte le palpebre. – Perché hai spento il forno?
Troppo tardi. Rory dice: – Non l’ho fatto. Non sono mai entrato in casa di Aislinn. Non le ho mai fatto del male, in nessun modo. E ora voglio tornare a casa.
Si alza in piedi, malfermo sulle gambe, e fa per togliere il cappotto dallo schienale della sedia, ma gli tremano le mani e perde la presa.
– Piano, piano, – dice Breslin. – Non abbiamo finito. Siediti.
– Io ho finito. Sono in arresto?
Breslin apre la bocca per dichiararlo in arresto, ma io lo precedo. – No, – dico, ignorandolo quando si volta di scatto verso di me. – Non in questo momento. Ma se vuoi che crediamo alla tua storia, uscire di qui non è la cosa giusta da fare. Hai bisogno di restare e lavorare con noi.
– No. Se non sono in arresto, vado a casa –. Riesce a togliere il cappotto dalla sedia ma lo lascia cadere.
– Facciamo cosí, – dico, chiudendo il taccuino. – Va’ a casa, a dormire un po’. Noi parleremo con i vicini di Aislinn e vediamo se qualcuno di loro ha guardato dalla finestra e ti ha visto in quel vicolo, diciamo tra le otto e trenta e le otto e quaranta. Se ti hanno visto, sei scagionato, perché non avresti avuto il tempo per tutto il resto –. Ovviamente, abbiamo già parlato con i vicini, e se loro avessero visto un tipo strano nel vicolo ce lo avrebbero detto senz’altro, ma Rory non lo sa. – Torna da noi domani per firmare la tua dichiarazione, e ne riparliamo come si deve. Cosa ne dici?
Rory si getta il cappotto sulle spalle, senza nemmeno provare a infilare le braccia nelle maniche. – Sí. Va bene.
– Veniamo noi a prenderti, – dice Breslin, con appena un accenno di minaccia nel tono. Si alza in piedi e stira le braccia. – Non pensi di andare da nessuna parte, se non a casa e alla tua libreria, dico bene?
– Non vado da nessuna parte.
– Buona idea, – gli dice Breslin. Apre la porta e lo invita a uscire con un gesto della mano e un piccolo inchino. – Dopo di te.
Steve è sulla soglia della stanza di osservazione, la giacca sul braccio, le maniche della camicia arrotolate per il caldo. Incrocia il mio sguardo per un secondo che sembra lunghissimo. Poi noi proseguiamo lungo il corridoio, Rory affrettandosi verso la corrente d’aria fresca che arriva dalla tromba delle scale, Breslin canticchiando sottovoce.
Io e Breslin seguiamo con lo sguardo Rory che si allontana sull’acciottolato. Sembra piccolo e malmesso, il vento gli fa svolazzare il soprabito e gli scompiglia i capelli, facendolo barcollare. È praticamente buio. Mi basteranno solo un paio di mesi, lavorando come guardia del corpo, per risparmiare abbastanza da farmi una vacanza in un posto caldo e pieno di colori brillanti e lontanissimo da qui.
– Illuminami, – dice Breslin, in tono cordiale. – Perché lui sta tornando a casa?
– Ci siamo quasi. Stavamo per chiudere, poi quella pausa gli ha dato la possibilità di rimettere ordine nei pensieri. Ma se siamo riusciti una volta a portarlo quasi al punto di confessare, possiamo riuscirci di nuovo. Se però lo arrestiamo, chiama un avvocato e possiamo dire addio alla nostra confessione.
– Non ci serve una confessione, Conway. Abbiamo abbastanza prove circostanziali da seppellirlo vivo.
Probabilmente è cosí, ma non m’interessa. È il mio ultimo caso di omicidio, e non mi accontento di prove circostanziali e ragionevoli inferenze. Questo caso finirà con un paletto piantato nel cuore, morto come la terra.
– Io la voglio, – dico. – Possiamo permetterci di lasciargli tempo fino a domani.
– Sempre se non si butta nel Liffey.
– Non lo farà. Pensa ancora che io potrei finire per credergli. E vuole che gli creda.
Breslin mi osserva. – E ha ragione di pensarlo?
– No –. La scarica di adrenalina si sta esaurendo; sento il down da post-interrogatorio che sta per cadermi addosso, lasciando un brutto vuoto che, se non stai attento, può sembrare una perdita. Ho bisogno di caffeina, zucchero e di un bell’hamburger farcito di tutto. – È lui il nostro uomo, ne sono convinta.
– Infatti. E spero tu sappia che l’aver spento il forno non basta a farlo diventare un omicidio colposo. Non è possibile che quel frocetto, dopo aver ammazzato una persona, abbia avuto la freddezza di pensare a evitare un incendio. Aveva il cervello in pappa. Deve aver spento il forno perché il cibo si stava bruciando e l’odore lo infastidiva. Il referto di Cooper è ancora valido: potrebbe essere omicidio colposo se Rory avesse avuto la forza di vibrare un pugno del genere, ma non se ha deliberatamente sbattuto la testa di Aislinn sul gradino mentre lei era a terra. E piú guardo quelle sue braccine sottili…
– Non è un problema mio, – dico. – Possono pensarci la giuria e gli avvocati. Io voglio solo un’accusa a prova di bomba che dimostri che l’ha uccisa lui.
– Bene, – dice Breslin, cosí cordiale che per un attimo mi aspetto una pacca sulla spalla. – Non dovrebbe essere un problema. Metteremo ogni uomo disponibile alla ricerca di prove di rinforzo, che getteremo addosso a Rory tutte insieme, e lui si piegherà come una sedia a sdraio. E se non si piega, abbiamo sempre abbastanza prove circostanziali da chiudere il caso come si deve. Giusto?
– Giusto –. Rory è scomparso dietro l’angolo che porta al cancello. Le pozze di luce gialla sui ciottoli li fanno sembrare scivolosi di pioggia, pericolosi.
Le rotelle nella mente di Breslin girano con tanta forza che mi sembra di sentirle. Tengo gli occhi fissi nel punto in cui Rory è scomparso, finché, finalmente, sento Breslin allontanarsi e chiudersi la porta alle spalle.
Telefono a Lucy dal bagno delle donne. Stavolta mi risponde, ma in un sussurro e con voce nervosa. Qualcuno in sottofondo sta dando ordini e c’è un improvviso scoppio di musica country, interrotto da uno strillo irritato. Al teatro è la serata d’apertura di un nuovo show, ci sono problemi tecnici e Lucy deve proprio andare (in sottofondo: «Luce! Novità su quelle lampade paraboliche?») Mi giura che sarà a casa tutto domani, ma non capisco se è vero o se me lo sta dicendo per liberarsi di me.
Domattina busserò alla sua porta prima che si alzi dal letto per andare a farsi passare il doposbronza da qualche altra parte. Spero che mi dica di essersi inventata l’amante segreto di Aislinn per stimolarci a effettuare un’indagine accurata. Spero, non appena uscirò dall’appartamento di Lucy, che Sophie mi chiami per dirmi che la cartella protetta nel computer di Aislinn era piena di foto del papà, scannerizzate e digitalizzate per tenerle piú a portata di mano ogni volta che lei desiderava piangerci sopra.
Sto praticamente pregando che le mie piste piú interessanti si riducano in cenere. È quasi contro natura, come se mi fosse entrato in testa un parassita che mi sta mangiando il cervello. Ma Lucy e quella cartella sono gli ultimi due capi sciolti che mi impediscono di chiudere il caso con un bel fiocco, lasciarlo sulla porta dell’ufficio di O’Kelly con sopra il mio distintivo, e andarmene per sempre.
Steve è seduto alla scrivania. Sta controllando le e-mail. Mi siedo accanto a lui e comincio a sfogliare le pile di carte che si sono materializzate mentre non c’ero. Le reclute cercano di non farsi beccare mentre mi lanciano occhiate furtive, chiedendosi quando la stronza pazza colpirà di nuovo.
La spessa coltre di silenzio tra me e Steve è tagliente come un pezzo di lamiera strappata. Dico: – Allora hai visto Rory, là dentro.
– Ne ho visto un bel po’, – risponde lui, senza alzare gli occhi. – Un buon interrogatorio.
Non sembra un complimento. – Grazie, – dico. Noto che Breslin ci guarda e mi tornano in mente le sue parole: «Tu e Moran non siete fatti l’uno per l’altra». – Dove sei stato?
– A far vedere le foto segnaletiche al barman e ai vicini di Aislinn. Nessuna corrispondenza –. Aspetta che io dica: «Te l’avevo detto», ma resto zitta, e lui continua: – Allora sono andato a fare quattro chiacchiere con alcuni ragazzi che hanno lavorato alla scomparsa di Des Murray. Non preoccuparti, l’ho fatto con discrezione.
– Non sono preoccupata.
Steve mi lancia un’occhiata di lato, cercando di capire cosa significa veramente quella frase. – In ogni modo, – riprende. Il suo tono è preciso, neutro, distante; l’ho già sentito, ma rivolto ad avvocati difensori e a giornalisti insinuanti, mai a me. – Secondo loro McCann aveva davvero una cotta per Evelyn Murray. Era lui a spingere per continuare l’indagine; era molto eloquente quando parlava di quella povera donna fragile dalla vita distrutta, e McCann non è un tipo eloquente, per questo i ragazzi se lo ricordano. McCann trovò persino qualcuno disposto ad acquistare la licenza da tassista di Des, al prezzo piú alto possibile, in modo che Aislinn e sua madre non si trovassero in ristrettezze. Ma i ragazzi sono convinti al cento per cento che la cotta non sfociò mai in una relazione. Anche allora McCann era noto come Joe il Santo: nessuna possibilità che si scopasse la moglie di qualcun altro. Hanno riso di me solo perché ho accennato a questa possibilità.
Lascia un’altra pausa per un mio eventuale «te l’avevo detto». Non ce la faccio piú a stare seduta accanto a lui, con questa cortesia fredda, sotto lo sguardo divertito di Breslin. Gli chiedo: – Hai trovato un motivo qualsiasi per pensare che questo abbia a che fare con il nostro caso?
– No.
– Bene. Allora facciamo la riunione di aggiornamento.
Mi alzo in piedi. Ancora prima che arrivi davanti alla scrivania, le reclute hanno mollato quello che stavano facendo e siedono dritte e attente, senza tuttavia incrociare mai lo sguardo con l’animale rabbioso.
– Bene, – dico. – Buone notizie. Ormai sembra definitivo che il nostro uomo sia Rory Fallon. I video dicono, e lui lo ha ammesso, che ha sottoposto Aislinn a stalking almeno per tutto il mese scorso. Ed è cosí che ha trascorso i venticinque minuti prima del loro appuntamento, o almeno parte di essi: spiandola dalle finestre.
– Piccolo pervertito, – dice Stanton, sogghignando. – Forse bisogna controllare i muri per vedere se ci sono campioni di Dna.
Seguono varie risatine. – Buona idea, – dico. Lo sperma di Rory non sarà una prova di omicidio, ma di sicuro può darci una mano al processo: le giurie odiano i segaioli. – Lui dice di essere rimasto a guardare dal vicolo dietro il cortile posteriore, perciò di’ ai tecnici di dare una bella ripassata a quel muro, e anche a quello sotto la finestra della cucina, nel caso in cui Rory abbia trovato il coraggio per un’azione a raggio ravvicinato.
Stanton annuisce; Meehan lo scrive nel registro di lavoro. Io riprendo a parlare. – La nostra nuova teoria è questa: Rory è entrato in casa di Aislinn, lei in qualche modo si è resa conto di essere stata spiata e ha tentato di mandarlo via. A quel punto, lui ha perso la testa.
– Rory non ha ancora confessato, – dice Breslin, – ma ci è andato vicino. Speriamo che domani sia il grande giorno.
– Prima di riportarlo qui, – dico, – scopriamo da quanto tempo la spiava. Voglio che due di voi mostrino la sua foto in giro per Stoneybatter, per vedere se qualcuno ricorda di averlo visto negli ultimi due mesi. Ha una libreria da gestire, quindi ci sarà andato di sera e di domenica. Provate dappertutto: case, negozi, pub, uffici i cui impiegati possono averlo incrociato uscendo dal lavoro. Per quanto riguarda sale bingo, club sportivi e comunità varie, rintracciate i membri –. Kellegher alza un dito. – Kellegher, ve ne occupate tu e Gaffney. E voglio sapere cos’ha fatto il cellulare di Rory negli ultimi due mesi: quando ha agganciato le celle intorno a Stoneybatter, e se si è inserito in qualche rete wireless della zona. Stanton, mentre fai le tue telefonate, fai anche queste.
Il caso è cambiato. Prima pescavamo a strascico, setacciando i risultati e sperando di trovare qualcosa di buono. Ora si tratta di una caccia. Abbiamo la preda nel mirino e la stiamo braccando, e tutto ciò che facciamo serve a inchiodarla contro un muro per il colpo fatale.
Questa sensazione non è solo una figura retorica del cazzo. Vive dentro di te, piú profonda, piú antica e piú reale di tutto il resto, a parte il sesso, e quando sale in superficie si appropria del tuo corpo. È un odore di sangue che avverti nel naso, è il braccio che pulsa perché vuole scoccare la freccia, è un rullo di tamburi nelle orecchie e un urlo di vittoria che sale dalla pancia. Mi godo tutto questo per l’ultima volta. Me lo bevo, ne gusto ogni secondo, ne faccio una scorta che mi durerà per il resto della vita.
– Voglio sapere dove Rory va a bere, – dico. – E cosa pensano di lui il barista e i clienti regolari; per esempio, se ha la reputazione di fissarsi su qualche ragazza, di non accettare un no, se va in collera facilmente… tutto ciò che può esserci utile –. Meehan alza la mano. – Meehan, pensaci tu. Cosí cambierai ambiente, dopo Stoneybatter. E voglio sapere che cosa pensano di Rory gli altri negozianti di Ranelagh. Se per esempio sanno di qualche volta che ha maltrattato un cliente della libreria, o se si metteva di vedetta davanti alla panetteria aspettando che la commessa carina finisse il turno.
– Questo lo faccio io, – dice Breslin. – Moran, ti va di venire con me?
Steve alza gli occhi, sorpreso, ma vede il sorriso mite di Breslin e dopo un attimo dice: – Sí, certo.
– Grande, – dice Breslin, strizzandogli l’occhio. – Buttiamo giú Rory.
Non ho voglia di illustrare i miei piani per l’indomani, perciò dico solo: – Come prima cosa, domattina, chiamo la Scientifica per vedere a che punto sono con le corrispondenze di fibre e Dna –. E con la cartella protetta di Aislinn, di cui ugualmente non voglio parlare. – Nel frattempo, qualcuno deve tenere d’occhio la casa di Rory, solo per stanotte e parte di domani, finché non saremo pronti a portarlo di nuovo qui –. Breslin mi lancia un’occhiata divertita. Io non credo che Rory si getterà nel Liffey o tenterà la fuga, o proverà a liberarsi di prove che ci sono sfuggite, ma non intendo rischiare solo per risparmiare alcune ore di sorveglianza. – Deasy, fallo tu, o se vuoi fallo fare a un paio di agenti, ma niente divise: di’ loro che devono essere in borghese e in un’auto senza insegne.
Deasy annuisce. – Bene, – dico. – Se non riusciamo a ottenere una confessione, questo è il materiale per costruire il caso in tribunale. Perciò fate del vostro meglio. Grazie e a domani.
Un secondo prima che mi volti verso Steve, per fingere che siamo ancora partner e andare con lui a fare rapporto al capo, la sala operativa mi afferra la pancia. Per quel secondo, risplende del calore di un futuro che sarebbe potuto esistere. Tutte le volte, nei prossimi vent’anni, che sarei potuta entrare qui con Steve, ridendo; ogni grido di trionfo ricevendo i tabulati o l’analisi del Dna che aspettavamo; ogni discorso di ringraziamento che avrei potuto fare alla fine di un caso importante; tutte queste cose mi invadono la mente, ora che sono irraggiungibili.
Io non faccio queste stronzate, e ho già una serie di scuse per spiegare tutto: mancanza di sonno, mancanza di cibo, stress, grossa decisione da prendere, e bla, bla, bla. Ma intanto quel sentimento contronatura mi punge la pelle come un attacco di orticaria.
– Andiamo, – dico a Steve. – Dal capo –. Esco dalla sala senza aspettarlo, per non dover camminare in corridoio di fianco a lui.
O’Kelly sta spolverando la sua pianta ragno con una di quelle pezzuole che si usano per pulire gli occhiali. – Conway. Moran, – dice, alzando a malapena gli occhi. – Ditemi che siete a buon punto.
– Sí, – rispondo. – Sembra di sí.
– Era ora. Sentiamo.
Gli faccio il riassunto. Lui ascolta, gira la pianta sotto la luce per accertarsi di averla spolverata bene. – Ah, – dice, quando ho finito. – E siete contenti cosí.
Mi lancia un’occhiata di lato, con un occhio solo. Io dico: – Domani proviamo di nuovo a ottenere una confessione. Non si preoccupi, non manderemo il fascicolo ai pubblici ministeri finché il caso non sarà chiuso come si deve.
– Non intendevo dire se siete abbastanza contenti da mandare il fascicolo. Voglio sapere se siete convinti che sia stato Fallon.
– Sí, – rispondo. Quell’occhio, arrossato e umido dove la palpebra comincia a cascare, come quella di un vecchio. Non lo capisco, e non m’importa piú tanto; non voglio nemmeno sapere se anche lui fa parte del gioco di Breslin. – È stato lui –. Sento Steve spostare il peso sui piedi, accanto a me, ma non dice nulla.
Il capo mi fissa con quell’occhio per un altro lungo momento, prima di tornare alla sua pianta. Sposta una foglia per esaminarla, dà un’altra passatina con il panno in un punto specifico. – Avevo capito che volessi aspettare fino a trovare qualcosa che non fosse circostanziale.
È quello che gli ho detto ieri sera, quando questo caso era un mezzo disastro che sparava possibilità in tutte le direzioni. Sembrano trascorsi anni. – O quello, oppure escludere tutto il resto. Ed è ciò che abbiamo fatto.
– L’avete fatto.
– Ci sono zero motivi, – dico, – per pensare che sia implicata una persona diversa da Rory Fallon.
O’Kelly testa la punta di una foglia con il polpastrello del pollice. – Va bene, – dice. – Va bene.
Sembra essersi dimenticato di noi; non capisco se siamo stati congedati o no. – Ci servirebbe un’altra recluta, – dico. – Ho rispedito Reilly nel gruppo di reclute a disposizione.
Questo attira la sua attenzione. – Perché?
– Ha trovato delle prove e, invece di portarle a me o a Moran, le ha date a Breslin.
– Non possiamo accettarlo, – dice O’Kelly. Non tenta di nascondere una lunga occhiata a Steve. – Va bene, ve ne mando un altro. Tenetemi aggiornati.
Ci dà le spalle di tre quarti e infila delicatamente le dita nella pianta, scostando le foglie per inserire la pezzuola fino alla base.
In corridoio, Steve dice: – Zero motivi per pensare che sia implicata una persona diversa da Rory Fallon.
La sua voce ha ancora quel tono remoto. – Sí, – rispondo. – Esattamente zero motivi.
– E l’uomo misterioso di cui ci ha parlato Lucy? E la cartella protetta sul computer di Aislinn?
– Vado da Lucy domani, dopo aver telefonato a Sophie. Se una di loro ci dà qualcosa di solido, rivediamo il caso –. Avverto i segnali di pericolo che mi salgono nella voce. – Ma in questo momento, zero motivi. Zero.
– Il Dna sul materasso di Aislinn.
– Non è finito lí sabato sera, altrimenti sarebbe stato anche sulle lenzuola. Non ha nulla a che fare con il nostro caso.
Steve si è fermato. Sta guardando fuori dalla finestra del corridoio, il cielo nero con strati giallastri di vapore dovuto all’inquinamento. Non guarda me.
Gli dico: – Hai visto anche tu Rory, da dietro il vetro. Non dirmi che hai ancora dei dubbi.
Lui ci mette troppo a rispondere. Lo lascio lí e me ne vado.
Mi sto infilando il cappotto quando mi rendo conto all’improvviso che Breslin è riuscito ad andare avanti per tutto il pomeriggio senza mai lasciar cadere un indizio qualsiasi che sia un poliziotto corrotto.
Dovrebbe farmi piacere, invece mi penetra come un ago sotto un’unghia. Non c’è nessun motivo per cui Breslin, nel paio d’ore che ho impiegato per parlare con gli ex di Aislinn, possa aver deciso di abbandonare all’improvviso il suo piano elaborato per tendermi una trappola. Stava facendo un buon lavoro: un altro paio di spintarelle e, se non fosse stato per Pulci, mi sarei ritrovata in posizione pronta per il colpo di grazia. E a un tratto lui lascia cadere tutto e se ne va. Ripercorro mentalmente la giornata, il mio incontro con McCann, i rapporti delle reclute, e cerco qualsiasi cosa che possa averlo indotto a cambiare direzione: qualcosa che possa avergli fatto capire che lo avevo sgamato, o qualcosa che lo abbia indotto a decidere che in fondo non valeva la pena possedermi. Non trovo nulla.
Resta una sola possibilità, che mi infastidisce non poco: Breslin sa, in qualche modo, che non ha piú importanza andare avanti con il suo piano. Le parole che dirò al capo puzzano di capelli bruciati, mi segnano la faccia con le loro ombre. Breslin mi ha guardata e ha capito, con il suo istinto da detective allenato in vent’anni di lavoro, che il colpo di grazia era già stato sparato. Ha capito che ormai non valgo piú nulla.