15.

Stavolta Lucy risponde in fretta al citofono. Quando apre la porta è già vestita, di nuovo in pantaloni mimetici neri e felpa con cappuccio, ma non gli stessi dell’altra volta. E ha le scarpe ai piedi, precisamente un paio di Dr. Martens. Mi fissa senza espressione e aspetta.

– Buongiorno, – dico. – Va bene se parliamo un po’ o è troppo presto?

– Pensavo sarebbe arrivata prima –. Si volta e sale le scale.

Il soggiorno è freddo, quel freddo umido dopo una notte con il riscaldamento spento. Odora di pane tostato e caffè, e di fumo, fumo legale, stavolta. La volpe impagliata e i vecchi telefoni e la matassa di cavo non ci sono piú; al loro posto vedo un giradischi e una pila di album dalle copertine rovinate, una grossa scatola di cartone piena di ceramiche a fiori e un rotolo di tela che tocca quasi il soffitto, un po’ srotolato a mostrare una strada di campagna che scompare in lontananza. La stanza sembra carica di troppe storie, che fanno a gara per conquistarsi spazio e si spintonano negli angoli.

Stavolta Lucy si siede per prima, scegliendo il divano di spalle alla finestra e lasciando a me quello che prende tutta la luce: impara in fretta. Ha tutto l’armamentario già pronto sul tavolino: pacchetto di sigarette, accendino, posacenere, tazza di caffè. Non mi offre nulla. Resta ferma e mi osserva, lasciando a me la prima mossa.

Mi siedo sull’altro divano. – Le dirò alcune cose che ho pensato, – dico. – Non voglio che mi dica se ho torto o ragione finché non avrò finito. Non dica nulla, voglio solo che ascolti. Va bene?

– Vi ho già detto tutto ciò che avevo da dire.

– Mi ascolti, per favore.

Lei scrolla le spalle. – Come vuole –. Si accomoda meglio sul divano, gambe accavallate, tazza in grembo, con l’aria di volermi soltanto assecondare.

È un gioco a cui so giocare anch’io. Sistemo meglio i cuscini, sposto il culo sul divano bitorzoluto, trovo l’angolazione migliore per allungare le gambe. Lucy si irrigidisce, vuole sapere di che si tratta.

– Bene, – dico, quando sono sistemata e a mio agio. – Cominciamo dalla sua amicizia con Aislinn. Voi due eravate molto piú intime di quanto lei abbia ammesso. Secondo i tabulati di Aislinn, vi parlavate o vi scambiavate messaggi praticamente ogni giorno. Eravate la migliore amica l’una dell’altra.

Lucy infila la punta di un dito nel caffè, estrae dalla tazza un pezzettino di qualcosa e lo esamina. I vestiti neri contro le coperte messicane a strisce blu e ruggine, la ciocca biondo platino che le ricade sulla faccia bianca, rendono difficile vederla bene, è come un punto vuoto nel mezzo del mio campo visivo.

– Quindi deve esserci un motivo per cui lei non voleva che lo sapessimo, domenica. E il momento in cui ha cominciato a dire che lei e Aislinn non eravate poi cosí amiche è stato dopo aver menzionato l’amante segreto di Aislinn. Questo significa tre cose: A, su quest’uomo, lei sa piú di quanto abbia ammesso; B, lui le fa paura; C, se parla, pensa che lui verrà a saperlo attraverso noi.

Lucy batte le palpebre una volta sola, alla parola «paura». Si pulisce il dito sul bordo della tazza.

Continuo: – Io e il mio partner all’inizio abbiamo pensato che forse Aislinn usciva con qualche malavitoso –. Il modo in cui il viso di Lucy si chiude è un’indicazione chiara, se già non lo sapessi, di quanto sbagliata fosse quella supposizione. – Ci siamo arrivati solo la notte scorsa. L’uomo sposato di Aislinn non era un malavitoso. Era un poliziotto.

Il silenzio si protrae, ma io sono piú brava di Lucy in questo gioco: ho piú pratica. Alla fine lei si muove: – Ha finito?

– Sí. È il suo turno.

– Di fare cosa? Non ho niente da dire.

– Invece sí. Posso capire che sia spaventata, – di nuovo quel battito di ciglia, – ma se avesse voluto davvero tenere la bocca chiusa, non avrebbe detto nulla. Ci ha parlato dell’uomo segreto di Aislinn perché voleva che indagassimo. Non voleva essere coinvolta, ma sperava che, se ci avesse indicato la direzione giusta, ci saremmo arrivati da soli. E cosí è stato.

Lucy ha ancora lo sguardo fisso sulla tazza. Dice: – Allora non avete bisogno di me.

– Se cosí fosse, non sarei qui. Sono quasi certa di chi sia l’uomo segreto di Aislinn. Sono quasi certa di sapere chi l’ha uccisa. Ma non posso provarlo.

– Oppure lo dice solo perché vuole scoprire quello che so.

– Vuol sapere una cosa che non ho mai detto a nessuno? Al lavoro abbiamo degli armadietti. Un paio di mesi fa, qualcuno ha forzato il mio e ci ha pisciato dentro. Sopra la mia tuta da corsa e sopra gli appunti presi durante una mezza dozzina di colloqui.

Lucy non alza gli occhi, ma noto il battito di ciglia: sta ascoltando. – La parte importante è questa, – dico. – La Omicidi è separata dalle altre squadre, nel nostro edificio non c’è nessun altro. E la porta dello spogliatoio ha una serratura a combinazione. Quindi è stato uno della mia squadra.

A questo punto lei mi guarda. – Perché?

– Perché non mi amano. Vogliono che me ne vada. Ma il punto non è questo. È il fatto che qui non siamo in tivú, dove i poliziotti sono tutti fratelli di sangue e chiunque si fa nemico un poliziotto finisce morto in un fosso mentre tutti noi facciamo in modo di seppellire le prove. Io non ho nessuna lealtà di squadra da mantenere. Non sono qui per ripulire i casini di qualcun altro. Sto solo lavorando alla mia indagine. E se la persona che cerco è un poliziotto, non mi interessa.

– Questo dovrebbe rassicurarmi?

– Se fossi venuta qui per chiuderle la bocca, l’avrei già fatto. In un modo o nell’altro. So già che sa qualcosa, Lucy; se non volessi che venisse fuori, non mi preoccuperei dei particolari.

Per un attimo penso di averla convinta, ma di nuovo la sua espressione si chiude. Dice, in tono piatto: – Lei è piú brava di me, in questo. Lo so. Non ho modo di sapere se mi sta dicendo la verità.

Prendo il cellulare, trovo la favola di Aislinn e gliela passo attraverso il tavolino. – Legga. Penso sia stata scritta per lei.

Spero proprio che non abbia un altro crollo emotivo, perché oggi non ho il tempo di rimetterla in sesto, ma Lucy è una dura. Una volta si morde un labbro e quando alza lo sguardo ha gli occhi umidi, ma ormai ha già pianto le sue lacrime in privato.

– È la scrittura di Aislinn, vero? – dico.

– Sí.

– E quella favola è per lei.

– Sí.

– Non capisco tutto ciò che c’è scritto, ma una cosa mi è chiara: se la storia non ha un lieto fine, lei deve dirmi il resto. E credo che il modo in cui è andata si qualifichi come un finale di merda.

A queste parole Lucy fa una risata, impotente e cruda. – Carabossa e Meladina, – dice. – Quando eravamo piccole, e lei inventava storie avventurose con noi come protagoniste, questi erano i nostri nomi. Non ricordo piú da dove li aveva presi. Avrei dovuto chiederglielo.

– Se io volessi coprire tutto, – dico, – non le avrei portato questa storia da leggere. Lei ha ragione, ci sono detective che tenterebbero di insabbiare il caso. Ma non le sono toccati loro, le sono toccata io.

Lucy passa leggermente due dita sullo schermo del mio cellulare. – Posso averla? – chiede. – Può inviarmela, o stamparmela?

– In questo momento fa parte delle prove, e non posso darla a nessuno. Una volta chiuso il caso, gliene manderò una copia. Promesso.

Lucy annuisce. – Va bene. Grazie.

Tendo la mano. Lei guarda di nuovo il messaggio, poi fa un respiro tirato e drizza la schiena. – Sí, – dice, restituendomi il telefono. – L’uomo con cui Aislinn aveva una storia era un poliziotto. Un detective.

Un lampo negli occhi, per controllare la mia reazione. Le chiedo: – L’ha mai incontrato?

– Sí. La stessa sera in cui Aislinn l’ha conosciuto. Non volevo che lei…

– Un momento, – dico. – Un passo alla volta. Pensa di poterlo riconoscere?

– Sí. Al cento per cento.

Apro la cartella e trovo il foglio con il confronto fotografico per il riconoscimento di Breslin. – Ecco. Se tra questi vede l’uomo di Aislinn, me lo dica. Se non c’è o se non è sicura, me lo dica. Pronta?

Lucy annuisce e si prepara.

Le passo il foglio. Lei lo guarda, poi fa una faccia perplessa. – No. Lui non c’è.

Ma che cazzo?, penso. – Ci rifletta bene, – dico. – Ne è sicura?

– Sicurissima. Nessuno di questi gli somiglia nemmeno un po’ –. Mi restituisce il foglio con fare brusco. È di nuovo diffidente, si chiede a che gioco stia giocando. Giurerei che la sua reazione è autentica.

Mentre mi chino per rimettere il foglio nella cartella, con la mente in subbuglio, chiedendomi a questo punto che cazzo si fa e desiderando aver portato Steve con me, mi viene in mente la spiegazione.

Tiro fuori l’altro foglio di fotografie, quello relativo a McCann. – Provi con questi, – dico. – Riconosce qualcuno di loro?

Lucy ci mette mezzo secondo: scorre le foto con gli occhi, le scappa un rapido sbuffo dal naso, il corpo si irrigidisce per la tensione. – È lui, – dice, piano, con il dito puntato su McCann. – È questo qui.

– L’uomo che aveva una relazione con Aislinn.

– Sí.

– Quanto ne è sicura?

– Al cento per cento. È lui.

– Lo scriva, – dico, passandole una penna. – In fondo alla pagina. Quale numero ha riconosciuto, e dove l’aveva visto prima per poterlo riconoscere ora. Metta data e firma, piú le sue iniziali accanto alla foto che ha identificato.

Lei scrive con mano ferma; solo il rapido alzarsi e abbassarsi del petto e il rumore leggero del respiro dànno l’idea della scarica di adrenalina che attraversa il suo corpo. E anche il mio. Ecco risolto il grande mistero di come mai McCann andava in giro per Viking Gardens già varie settimane prima dell’omicidio. Il vicino di casa di Aislinn ha detto che l’uomo che ha visto scavalcare il muro di cinta gli era sembrato biondo, ma la luce gialla del lampione può benissimo aver fatto sembrare bionde le ciocche grigie di McCann. Le telefonate di sua moglie che si lamentava perché aveva saltato un’altra cena, la schiena ingobbita quando Breslin gli ha promesso che si sarebbe liberato di me, lo stato in cui è apparso negli ultimi giorni: tutto quadra.

L’unica tessera del rompicapo che ancora non trova un posto è per quale motivo Aislinn voleva McCann; e cosa cazzo Steve e io ci siamo fatti sfuggire fin dall’inizio.

Lucy mi passa il foglio. – Cosí va bene?

– Sí, – dico, leggendo in fretta. – Grazie. Ora può raccontarmi tutta la storia.

Lucy respira a fondo. – Cosa vuol sapere?

– Tutto. Dall’inizio.

– Va bene –. Si passa le mani sulle cosce, per togliere il sudore o la sensazione di aver toccato quelle foto. – Va bene, va bene. L’inizio è stato sette, otto mesi dopo la morte della madre di Ash, quindi… circa due anni e mezzo fa. Ash e io eravamo al pub, e lei disse: «Indovina cosa farò». Mi guardava da sotto in su, con la testa bassa e con un sorriso timido. Per un attimo pensai che volesse farsi un piercing su un capezzolo, o qualcosa di simile –. Lucy fa una risatina secca. – E sarebbe stato molto meglio. Invece disse: «Ho deciso di scoprire cosa è successo a mio padre». Era l’ultima cosa che mi aspettavo. Ash continuava a immaginare storie su dove si trovava suo padre, o a pensare ai modi in cui sarebbe potuto tornare. Ma non aveva mai parlato di provare a rintracciarlo.

Dico, con un’empatia che deriva dalla pratica: – Forse non si sentiva in grado di farlo mentre la madre era viva. Occuparsi di lei doveva assorbire tutta la sua energia, e non mi sorprende che non gliene restasse per trovare il padre.

Lucy annuisce vigorosamente. – È quello che pensai anch’io. Mi sembrò una buona idea. Non il fatto di ritrovarlo sul serio: c’erano troppi modi in cui poteva andare a finire male. Ma era la prima volta in assoluto che lei parlava di fare qualcosa che voleva davvero. Pensai che fosse un bene, che imparare come fare ciò che desiderava fosse una buona idea. Ha senso, vero?

– Assolutamente, – rispondo. Ne sono davvero convinta, e osservo il sollievo sul viso di Lucy. – Non avrebbe ricavato granché dalla vita, se non avesse imparato questo.

– Esatto. Perciò dissi che era una buona idea e le augurai il meglio. Aislinn disse al lavoro che aveva un appuntamento dal dentista, indossò il suo vestito migliore e si recò alla polizia, squadra Persone scomparse. All’inizio provarono a dissuaderla, ma finalmente ci fu un detective che cercò suo padre su un database della polizia e le disse che era morto. Aislinn restò… – Lucy si morde le labbra, al ricordo. – Dio, fu una rivelazione devastante. Chiamò al lavoro, disse che l’anestesia l’aveva lasciata debole e che non se la sentiva di tornare, dopodiché andò a casa e pianse tutto il giorno. Io andai da lei dopo il lavoro, e la trovai distrutta. Schiacciata come un gatto investito sull’autostrada. Non aveva dentro piú nulla. Era… persa.

Questo è il punto in cui io dovrei sentirmi in colpa, perché è stata la mia mancanza di sensibilità a spingere Aislinn sulla via della tragedia, e blablabla. Ieri, non avrei provato nulla. Come ho detto a Steve, se Aislinn voleva far dipendere tutta la sua vita da un uomo che non c’era, era un problema suo. Ma oggi non so piú cosa pensare. All’improvviso mi sembra che ci fossero cosí tante persone a spingerla, da tutte le direzioni: io, Gary, sua madre, suo padre, e tanti altri, tutti con il dito puntato, pronti a indirizzare la sua vita come piú conveniva a loro. Sento un formicolio come se avessi la pelle coperta di mosche. E alla fine qualcuno non si è accontentato di spingere: la vita di Aislinn non gli conveniva piú, e gliel’ha tolta con un pugno.

Lucy prosegue: – Temevo che riprendesse ad andare alla deriva. Quella era l’unica possibilità che aveva avuto di prendere in mano la sua vita, e ora che era stata distrutta in quel modo, non ci avrebbe piú riprovato. Allora le dissi, come una cretina: «Forse qualcuno che ha lavorato al caso può dirti almeno cosa gli è successo». Volevo solo farla sentire meglio. Volevo darle un obiettivo.

Quello sguardo supplichevole le riappare negli occhi. – Mi sembra giusto, – dico. – Io avrei detto esattamente la stessa cosa.

– Avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Ma all’epoca, ero convinta di aver fatto la cosa giusta. Aislinn smise di piangere all’improvviso e si lanciò verso il cellulare. Io dissi: «Che succede?» e lei rispose che le avevo fatto venire in mente una cosa che il detective della squadra Persone scomparse le aveva detto. Aveva menzionato i nomi dei detective incaricati del caso, quando suo padre era sparito. I detective Feeney e McCann.

Sentirle pronunciare il nome è come una goccia fredda dietro il collo.

Lucy continua: – Li cercò su Google. Trovò il necrologio di Feeney; riconobbe solo vagamente la foto, ma l’articolo diceva che Feeney aveva trascorso ventitre anni alla Persone scomparse, quindi doveva essere lui. Ed era un vicolo cieco. Ma il detective McCann… Ash ci mise un po’ a trovare qualcosa su di lui, ma alla fine trovò un video di un notiziario, dove lo si vedeva uscire dal tribunale dopo un caso di omicidio, e capí che ora McCann lavorava alla Omicidi. E lo riconobbe immediatamente. Aveva dimenticato il suo nome, ma ricordava di averlo visto spesso in casa: veniva a parlare con sua madre, tentando di calmarla. E una volta aveva fatto una carezza sulla testa anche a lei, dicendo: «Tu hai dei bellissimi ricordi di lui, e non vogliamo cambiare la situazione, no? A volte è meglio lasciare le cose come stanno». Aislinn continuava a ripetere: «Questo significa che lui sa qualcosa, no? Ne sono sicura, sa qualcosa». Io dissi che forse aveva detto cosí solo per farla sentire meglio, ma lei non mollava. Per settimane, parlò solo di quello. E alla fine io le dissi: «Cristo, basta. Va’ da lui e chiediglielo direttamente».

– E lei lo fece?

Lucy scuote la testa. – No. Disse che se non glielo aveva detto allora, perché avrebbe dovuto dirglielo adesso? E non poteva certo obbligarlo. I detective della squadra Persone scomparse le avevano spiegato che la legge sulla libertà di informazione non valeva per le indagini. Cosí Aislinn decise di usare un sistema diverso: incontrarlo «per caso», senza dirgli chi era, e provare a farlo parlare.

Io sollevo un sopracciglio. Lucy dice: – Sí, lo so. Ma Aislinn non pensava semplicemente di urtarlo per la strada e convincerlo a parlare. Quella era la sua ultima chance, e non voleva sprecarla, perciò fece un piano accurato. Scrisse in un taccuino tutto ciò che ricordava di McCann. All’epoca non gli aveva prestato molta attenzione, perché non le sembrava importante; ma se ne stava seduta al buio in fondo alle scale, mentre lui e sua madre parlavano in soggiorno, sperando di udire qualche indicazione su dove era finito suo padre. Per questo ricordava qualcosa di lui. Ricordava che veniva da Drogheda e che prendeva il tè con solo una goccia di latte, senza zucchero.

McCann lo prende ancora cosí. Per qualche motivo, quel particolare mi manda un altro brivido freddo giú per la schiena. Finalmente me ne rendo conto: quell’uomo è lo stesso McCann che mi aspettava sul portone ieri mattina, tutto barba lunga e inquietudine. Quel caso di persona scomparsa lo ha seguito dal soggiorno poco illuminato dove una bambina lo ascoltava parlare, fino alla nostra luminosa e rumorosa sala detective. Quello è il momento in cui capisco che McCann è il nostro uomo.

– Aislinn ricordava che era sposato, con due figli maschi, e sua madre continuava a chiedergli: «E lei non li abbandonerebbe mai, vero? Non lascerebbe mai soli sua moglie e i suoi bambini, è cosí?» E lui rispondeva sempre di no, che non lo avrebbe mai fatto. Aislinn ricordava il suo cappotto grigio di tweed; lui lo lasciava piegato sulla ringhiera, e lei gli toglieva dei fiocchetti di fibre mentre ascoltava e gliele infilava in tasca. Non le piaceva vedere quell’uomo in casa. Ma la cosa importante che ricordava, la cosa che scrisse sul taccuino tracciandole intorno cerchi e stelle, era che al detective piaceva sua madre.

– Gli piaceva in che senso? – chiedo. – Avevano un rapporto? O lui ci aveva provato?

– Gesú, no! – Il disgusto istantaneo sul viso di Lucy mi dice che è la verità. – Non era una tragedia greca, Ash non pensava di mettersi con un ex di sua madre. È solo che, con il senno di poi, era piuttosto sicura che McCann si fosse infatuato di Evelyn. Probabilmente era quello il motivo per cui passava tanto tempo a indagare su quel caso. Anche se era sposato con figli, anche se doveva tenersi su un piano professionale, anche se la madre di Ash stava perdendo la ragione, nel tentativo di ritrovare il marito, McCann se n’era innamorato e continuava ad andarla a trovare.

– E Aislinn pensava fosse importante.

– Sí. Sapeva che era una cosa di cui poteva servirsi. Disse: «Se è quel tipo d’uomo, il tipo che fa cose stupide per una bella donna, io posso essere quella donna. Dovrò cambiare aspetto, non voglio rischiare che mi riconosca e si insospettisca. Non che mi abbia mai guardata, all’epoca si accorgeva a malapena della mia esistenza, ma ho una sola possibilità e voglio fare le cose per bene». E diceva sul serio.

Lucy ride, senza allegria. – Dio, se diceva sul serio. Praticamente smise di mangiare, e cominciò ad andare in palestra tutti i giorni. Dimagrí in un modo soddisfacente per lei (un po’ esagerato, secondo me, ma erano affari suoi), dopodiché si rivolse a un consulente di immagine, che le mostrò quali vestiti acquistare e come truccarsi e di che colore tingersi i capelli. Alla fine sembrava un clone uscito da una fabbrica nascosta in qualche zona industriale fuori dall’autostrada. Io le dicevo: «Ma perché non ti metti semplicemente quello che ti piace?» Ma niente da fare. Ash rispondeva: «Non so che tipo di donna gli piace, a parte mia madre, e non posso cercare di somigliare a lei, sennò mi sgama subito. Perciò devo avere un look generico. Devo diventare una donna che chiunque consideri carina, cosí anche se lui non è particolarmente attratto da me, stare insieme a me sarà una bella spinta per il suo ego, e non resisterà. Dopo, avrò tutto il tempo per capire cosa piace a me». Voglio dire, – Lucy alza le mani, in un gesto frustrato. – Cosa potevo risponderle?

Una parte di me comincia a rispettare Aislinn Murray. L’idea di base è idiozia pura, ma è il modo in cui l’ha messa in pratica che merita rispetto. Non era la donna informe che avevo immaginato la prima volta che sono entrata in casa sua, e nemmeno la ragazzina spinta qua e là da tutti per cui provavo pena solo un minuto fa. Si stava allenando a dare anche lei qualche spintone, prendendosi il tempo necessario e facendo tutto ciò che serviva.

– Mi sembra una cosa un bel po’ ossessiva, – dico. – Lei non era preoccupata che Aislinn finisse per perdersi dentro le sue storie?

– Certo. Quando le avevo detto di fare ciò che voleva davvero, non pensavo a nulla del genere. Ci mise un anno e mezzo per trasformarsi in una donna che secondo lei qualsiasi uomo avrebbe voluto. Era una cosa folle.

– Glielo disse?

– Ahhh… – Lucy fa una smorfia, passandosi le mani sul viso. – Sí e no. L’ultima cosa che volevo era spingerla a fare ciò che sembrava meglio a me, capisce? Ash ci aveva messo un sacco di tempo per capire cosa voleva e fare qualcosa per ottenerlo, e non aveva bisogno che arrivassi io a dirle che aveva sbagliato tutto. Ma dopo la storia del consulente d’immagine, dovevo dire qualcosa. Non usai espressioni tipo: «Ma sei impazzita?» o simili, dissi che secondo me si stava spingendo troppo oltre, e forse la cosa migliore era andare a parlare con McCann senza sotterfugi, o lasciar perdere tutto. Aislinn si mise a ridere. «Non preoccuparti, sciocca! So quello che faccio. Ho un piano, ricordi? Devo solo risolvere questa cosa e poi finalmente sarà finita, e potrò iniziare la mia vera vita! Vuoi venire in Perú con me?» Io provai a insistere, del tipo: «Perché non andiamo in Perú subito e dimentichiamo questo tizio?»

– Ma lei non sentiva ragioni, – dico io.

– No. Disse che aveva bisogno di andare fino in fondo. Continuava a ripetere, con il suo nuovo accento: «Ti preoccupi troppo! Guardami; non ti sembro felice?» Prima aveva la parlata di Greystones, come me, ma per evitare che McCann la riconoscesse dall’accento, aveva cominciato a parlare come quell’annunciatrice televisiva che sporge le labbra in fuori, non mi ricordo come si chiama.

Il ricordo fa salire un sorriso alle labbra di Lucy. – Ed era vero; sembrava davvero felice, come non l’avevo mai vista. Un po’ frastornata, come una bambina che avesse mangiato troppi dolci, ma felice. E faceva progetti per dopo, una cosa che non aveva mai fatto. Il viaggio in Perú non era uno scherzo. Cioè, per me sí, perché non ho il grano e non potrei lasciare il lavoro per tanto tempo, ma lei voleva davvero viaggiare. Faceva ricerche su tutti i posti del mondo che voleva visitare, e sui corsi universitari che voleva seguire una volta tornata… Il suo piano la galvanizzava –. Lucy alza appena una spalla. – Difficile controbattere tutto questo.

– Il suo piano, – dico. – Qual era?

– L’idea era di flirtare con questo detective McCann per qualche settimana, uscire con lui alcune volte. Ash non intendeva andare oltre e non si preoccupava di dover respingere delle avance insistenti: era certissima che McCann non avesse mai fatto una mossa con sua madre, perciò per lei non era il tipo d’uomo che tradisce davvero la moglie. Era piú il tipo che ama ricevere attenzione da donne attraenti e se la beve anche quando non dovrebbe. Ash diceva che sarebbe fuggita a gambe levate, se lui avesse tentato di baciarla –. Di nuovo l’ombra di un sorriso sulla bocca di Lucy. – Intendeva solo dargli attenzione. Tantissima attenzione.

– Bella idea, – dico. – Aislinn era brava a capire le persone.

– Sí. Era perché non aveva mai avuto una vita sua: passava tutto il tempo a osservare gli altri, cercando di capire come funzionavano. Quello era l’unico motivo per cui pensavo che forse poteva davvero riuscire nella sua idea. Voglio dire, quell’uomo era un detective, non sarebbe certo caduto in trappola come un fesso. Ma se qualcuno poteva riuscire nell’intento, era Ash –. Il sorriso si allarga, ma sembra doloroso. – Avrebbe finto di essere una di quelle persone affascinate dalla polizia, cosí avrebbe potuto fare a McCann domande su tutti i suoi casi; aveva letto vecchi articoli di giornale su alcuni processi, per capire a quali tipi di casi aveva lavorato, e si era comprata persino dei libri su quegli argomenti, per essere in grado di fare le domande giuste. E poi, gradualmente, avrebbe portato la conversazione sul caso di suo padre… E quando avesse scoperto tutto ciò che McCann sapeva al riguardo, avrebbe smesso di vederlo. E sarebbe andata in Perú –. Lucy alza la testa di scatto e sbatte le palpebre con forza, fissando il soffitto. – La sua idea era solo questa: alcune settimane di attenzione.

Ecco spiegati anche i libri sul crimine nella libreria di Aislinn e gli omicidi di gang sulla cronologia ricerche del computer. Non era in cerca di emozioni, e nemmeno sognava di farsi amica di uno dei ragazzi di Cueball. – Cosa è cambiato? – chiedo.

– Sapevo che Aislinn non aveva pensato a tutto. Era come nelle favole: a un certo momento si salta al momento del matrimonio e poi al «vissero felici e contenti». Questo era ciò che lei stava facendo. Riusciva a pensare solo al grande momento in cui avrebbe spinto quell’uomo a parlare di suo padre. E dopo c’era solo una nebbiolina indistinta in cui tutto era perfetto. Provai a dirle che poteva anche andare a finire in modo diverso. Ci ho provato, davvero. Ma… – Allarga le mani.

– Lei non ascoltava.

Lucy si passa le mani tra i capelli, lasciandoli dritti e scompigliati. Dice: – Eravamo proprio qui. Ash sul divano dove ora è seduta lei. Era tutta avvolta in una coperta con una tazza di tè in mano. Eravamo state fuori a ballare, era tardi ed eravamo abbastanza sbronze; il momento giusto per azzardarmi a dirle ciò che pensavo. E glielo dissi: «Ash, che succede se quello che scopri non ti piace? Potrebbe essere qualcosa di brutto, di veramente brutto».

Era buio, avevamo acceso solo quella lampada lí. Vedevo soltanto il suo viso che spuntava dalla coperta. Non sembrava bella, era smunta, tutta ossa e denti, e sembrava molto piú vecchia della sua età. Mi rispose: «Lucy, davvero credi che non lo sappia? Ho pensato a ogni singola possibilità. La cosa piú probabile, secondo me, è che mio padre si sia suicidato e che la polizia non avesse abbastanza prove per esserne certa; cosí hanno preferito non dirci niente, nel caso si fossero sbagliati. O magari ha avuto un esaurimento nervoso ed è finito a fare il vagabondo per la strada, e la polizia non è riuscita a rintracciarlo e non ha voluto ammetterlo. Penso persino che un poliziotto possa averlo investito con la sua macchina e i colleghi lo abbiano aiutato a insabbiare tutto. O che uno psicopatico lo abbia ucciso seppellendo il cadavere tra le montagne, e la polizia ha un motivo per non volerlo sapere, chi lo sa, magari il caso di mio padre si è incrociato con un’indagine piú importante. E cosí non hanno mai fatto ricerche fino in fondo. Voglio solo saperlo. Cosí sarà finita. E potrò andare avanti».

– Cosí lei non ha insistito, – dico.

– Sí, non ho insistito. Ma forse avrei dovuto; no, certo che avrei dovuto. Giusto? – Lucy sputa una piccola risata furiosa. – Ma la sua faccia… Quel piano era tutto ciò che aveva, e poteva spolparlo fino all’osso e avere ancora fame… Cosí non ho fatto niente. Mi sono detta che forse tutto sarebbe andato bene: che forse questo McCann non l’avrebbe degnata di uno sguardo. O forse avrebbe scoperto il suo gioco. Voglio dire, sgamare le persone era il suo lavoro, no? E le avrebbe detto che suo padre era morto salvando un bambino biondo da un trafficante di droga, e Aislinn si sarebbe fatta un pianto e finalmente sarebbe andata avanti, proprio come desiderava.

Se solo McCann avesse avuto le palle di fare esattamente questo. – Ma non è andata cosí, – dico.

Lucy dice: – Ash lo fece suonare come un juke-box. Il grande detective duro e cinico, eh? Lei ci mise solo un mese per tirargli fuori tutto.

– In che modo?

– Cercò i posti dove vanno a bere i poliziotti; credo che lo avesse chiesto su qualche forum online, facendo sembrare che volesse portarsi a letto un tutore dell’ordine. Ottenne una lista di locali e dovemmo controllarli uno per uno.

– «Dovemmo» significa che lei l’accompagnava?

Il mento di Lucy scatta verso l’alto. – Ovviamente. Crede che l’avrei lasciata andare da sola?

– No, anch’io avrei fatto lo stesso, con la mia migliore amica; per controllare la situazione.

Lucy si calma. – Alcuni pub non erano quelli giusti, tipo il Copper Face Jacks. La polizia lo frequenta, ma sono tutti ragazzi giovani. Però c’era un pub, forse lei lo conosce. Horgan’s?

– Sí, – rispondo. Horgan’s è un posto da poliziotti: un pub vecchio stile, tutto sedili consunti di velluto rosso e lampade a muro, nascosto nella rete di vicoli intorno a Harcourt Street, dove lavorano quasi tutte le squadre e l’amministrazione. Ci andavo anch’io, a volte, prima di trasferirmi alla Omicidi. Un paio di volte ho visto Breslin e McCann. Allora li guardavo come fossero rockstar.

– È un posto dove vanno a bere molti poliziotti anziani. Perciò noi due ci tornavamo spesso. Era complicato, perché ogni tanto qualcuno provava ad abbordarci e dovevamo liberarcene, ma in modo amabile, altrimenti ci saremmo fatte la reputazione di stronze e McCann, se si fosse fatto vedere lí, non avrebbe perso tempo con noi. Ce la giocavamo… – Lucy sbuffa. – Anche quella era stata un’idea di Aislinn. Fingevamo che io stessi attraversando un brutto periodo, per la fine di una relazione o qualcosa di simile, e volessi fare delle chiacchiere solo tra donne. Cosí Ash poteva mandare via ogni uomo che tentava di attaccare discorso con lei, facendogli credere che lo faceva per me.

Incrocia il mio sguardo e dice, in tono difensivo: – Non ne ero contenta. Non è il tipo di cose che faccio. Ma… Aislinn era brava a portarti a bordo con lei. Un passo alla volta, e all’improvviso, senza sapere come, ero diventata il personaggio di una commedia che lei stava mettendo in scena.

Quel tocco freddo dietro il collo, di nuovo. McCann, come ogni detective della Omicidi, me compresa, è abituato a essere lui quello che scrive le sceneggiature. Se un giorno ha aperto gli occhi e si è trovato nella commedia di qualcun altro, non gli sarà piaciuto affatto.

– La quarta volta che tornammo da Horgan’s, – dice Lucy, – io me ne stavo seduta lí a fingermi depressa, sperando che saremmo andate via il prima possibile, e all’improvviso vidi Aislinn bloccarsi. Le uscí tutto il fiato, rovesciò il bicchiere sul tavolo, come se non avesse piú forza nei muscoli. Mi voltai a guardarla, e lei disse, cosí piano che quasi non la udii: «È lui». Era appena entrato. Lo riconobbi anch’io. I capelli erano un po’ piú grigi, ma era proprio lo stesso uomo del video. Lui dovette sentire i nostri sguardi, perché si voltò verso di noi. E Aislinn, fece cosí –. Lucy abbassa le ciglia, mi guarda da sotto in su con un rapido sorriso, e abbassa la testa sulla tazza. – Subito. Senza perdere nemmeno un secondo. Era già al lavoro.

– E funzionò, – dico.

Di nuovo quella risata cruda. – Gesú, funzionò eccome. Il detective McCann restò praticamente allibito, notando che quella bella ragazza guardava proprio lui. E lei fece una risatina, la stessa risatina idiota che aveva perfezionato con tutti gli altri che provavano ad attaccare bottone. E quando McCann andò al bancone, Aislinn finí ciò che restava nel bicchiere e andò a chiedere un altro drink. E un minuto dopo, il detective McCann ci stava offrendo da bere, portandoci i bicchieri al tavolo.

Pezzo d’idiota. – Questo quando è successo?

– A fine luglio. Finita la pinta ce ne andammo subito, io volevo uscire da lí al piú presto. Fu la conversazione piú assurda della mia vita, con Ash che alzava gli occhi a fissare quell’uomo e rideva a ogni sua battuta, e lui, tutto tronfio, che credeva di averla affascinata, mentre invece… Ma prima di andarcene, Ash diede a McCann, a «Joe», il suo numero di telefono. E lui la chiamò il giorno dopo.

– Era davvero in gamba, Aislinn, – dico.

– Già. È vero. Era proprio quello a spaventarmi. La vedevo manovrare quell’uomo con una facilità… come se l’avesse fatto per tutta la vita. E mi resi conto che era proprio cosí. In fondo, era come quando eravamo piccole e lei inventava storie per far sembrare che tutto andasse come voleva lei. Solo che stavolta la storia era reale. E non mi piaceva. Avevo la sensazione… So che sembro melodrammatica, ma avvertivo una sensazione di pericolo.

Ma non mi dire, penso. E chiedo: – Pericolo per Ash? Per Joe? Per lei?

– Aislinn non avrebbe fatto mai del male a nessuno. Lei… era una persona gentile.

Non mi convince. Gentile quando aveva cominciato, forse, ma una persona che si sottopone per un anno e mezzo a un addestramento durissimo, sarà dura anche con gli altri. Comunque lascio correre senza commenti. – Non ha risposto alla mia domanda.

– La situazione era pericolosa per Ash. Lei non si rendeva conto che stavolta era tutto reale. Non capiva la differenza.

Questo è probabilmente vero. – Quindi il detective McCann la chiamò e cosa successe? – chiedo. – Si incontrarono di nuovo?

Lucy dice: – Le dà fastidio se fumo?

– Prego.

Non mi guarda, mentre toglie le gambe dalla coperta a strisce, posa la tazza di caffè, apre il pacchetto, prende una sigaretta e fa scattare l’accendino. Ha ancora il tempo per provare a tirarsene fuori. «Non so il resto della storia, Aislinn non mi diceva nulla, una volta messe le mani su Joe, si era fatta evasiva…»

Ma non posso dire niente che non abbia già detto. Perciò aspetto e basta.

Alla fine, Lucy soffia una lunga boccata di fumo e dice: – Cominciarono a vedersi regolarmente. Almeno una volta alla settimana, di solito due o tre volte.

– Lei è mai stata presente?

– Solo la prima volta. Volevo accompagnarla, ma Ash disse che le avrei rovinato la commedia. Tutto doveva essere centrato su «Joe».

– Cosa facevano?

– Non andavano a letto insieme, all’inizio. Parlavano e basta. Lui passava a prenderla, sempre sui viali e mai a casa, per non essere visto dai vicini; andavano a fare un giro in macchina, in montagna o da qualche altra parte. Non mi piaceva affatto. Voglio dire, voi trovate spesso cadaveri tra le montagne, no? Lui carica in macchina una ragazza, facendo in modo che nessuno lo veda, la porta in mezzo al nulla… È un po’ da serial killer. O no?

– Aveva qualche motivo, per pensare che fosse un uomo pericoloso?

Lucy scuote la testa, con riluttanza. – No. Ash diceva che la trattava sempre in modo corretto. Da vero gentleman, diceva. Lui non era il suo tipo. Diceva che era troppo carico, troppo intenso, persino quando cercava di farla ridere; ma le sue storie erano interessanti ed era un brav’uomo. Prendeva sul serio il proprio lavoro, e questo la rassicurava: significava che doveva aver indagato davvero a fondo sul caso di suo padre, quindi ci sarebbe stato qualcosa da scoprire –. Esala una boccata di fumo con un suono che può somigliare a una risata secca. – E l’ha scoperto, alla fine.

Io dico: – Ma a lui andava bene parlare e basta? Non tentava di pilotare il rapporto verso il sesso?

– No. Ash aveva ragione su di lui: non era il tipo da volere un’amante. Non ci provò mai, non fece mai neppure un tentativo di baciarla. Era un romantico; le piaceva amarla da lontano. Perché innamorato lo era, eccome. Aislinn si sentiva un po’ in colpa per questo, perché era sposato…

– Domenica, lei ci ha detto che Aislinn non avrebbe avuto problemi ad andare con un uomo sposato, – dico. – Figuriamoci se si trattava solo di un giretto in auto.

Lucy non fa nemmeno finta di essere imbarazzata. – Sí, ho mentito. Volevo farvi capire che lei poteva andare con un uomo sposato, ma senza dover spiegare come mai si trattava solo di un uomo sposato in particolare.

Anche nel dolore che l’aveva appena colpita come un pugno in faccia, Lucy era rimasta lucida. Perché aveva paura. – Capisco, – dico. – Allora, Joe non tentava di scoparsi Aislinn ma era innamorato di lei.

– Oh, sí. Continuava a dirle che era fantastica, bellissima, intelligente… Significava solo che Aislinn si comportava come se ogni parola che usciva dalla bocca di McCann fosse oro puro. Lui le raccontava che non andava d’accordo con la moglie, che si erano sposati troppo giovani ed era stato uno sbaglio, perché lei non aveva l’intelligenza necessaria per capire il suo lavoro ed era troppo egoista per capirne l’importanza; vedeva solo che lui non era a casa per aiutare con i compiti dei bambini o per mangiare ciò che lei aveva cucinato –. Lucy torce la bocca intorno alla sigaretta. – E cosí Aislinn capiva come comportarsi con lui. Blaterava senza fine di come era importante il lavoro di Joe, di come era bello conoscere una persona che faceva qualcosa di cosí incredibile, e dài, raccontami un’altra storia di come hai risolto in modo fantastico un altro fantastico caso. E lui non si faceva pregare.

Ovvio. Come aveva detto Aislinn, McCann è un romantico. Voleva immaginarsi mentre galoppa giú da verdi colline, con la luce che si riflette sulla punta della lancia, in battaglia per salvare il mondo. Il lavoro che faceva non gli dava la possibilità di raccontarsela in quel modo, non dopo tanti anni. E sua moglie non lo ascoltava. Aislinn invece lo stava a sentire.

– E alla fine di agosto, – dice Lucy, – Aislinn decise che era arrivato il momento. Lei e Joe andarono a fare un picnic, e lei cominciò a chiedergli com’era stato lavorare nella squadra Persone scomparse, perché suonava cosí misterioso. Aveva pianificato tutto. Si era scritta le domande e le aveva imparate a memoria; mi aveva chiesto di fargliele ripetere, proprio come fanno gli attori. Lasciò che Joe le raccontasse un paio di storie, trattenendo il fiato nei punti giusti. Aspettò che gliene raccontasse una abbastanza brutta, che riguardava un adolescente che era morto di overdose, e disse: «Oddio, la famiglia sarà stata a pezzi!» e gli chiese come la polizia gestiva i familiari, in casi del genere. Perché lei non sarebbe mai stata capace di farlo, sarebbe andata in pezzi proprio come loro, ma era sicura che Joe era fantastico nell’aiutarli a superare quello che era certamente il momento peggiore della loro vita. Lui allora le raccontò alcune storie di quel tipo, e Ash disse che scommetteva che a volte, quando non trovavano la persona scomparsa, Joe continuava a occuparsi dei familiari anche dopo la chiusura ufficiale del caso, perché lei sapeva che non era il tipo da lasciarli soli a raccogliere i cocci. Non era cosí? E a un tratto…

Lucy schiaccia la cicca. La sua voce è cambiata, ha un tono secco, come se volesse essere certa che non le sfugga nulla che possa farle perdere il controllo di sé. Dice: – Fu facilissimo. Non avevano ancora nemmeno finito di mangiare i panini che Joe cominciò a raccontarle di quella povera donna abbandonata dal marito, con una bambina di otto o nove anni. La donna era un tipo delicato, le disse, con un’espressione nostalgica negli occhi, e non era in grado di sopportare uno shock come quello. Lui si era prodigato al massimo per poterle dare delle risposte, e finalmente aveva rintracciato il marito: era in Inghilterra, e viveva con una donna piú giovane.

– Questo deve aver fatto male a Aislinn.

– Sí. Non era esattamente ciò che sperava di sentire –. Lucy fa una piccola smorfia con la bocca, quasi un tic. – Ma poteva farcela a sopportarlo. Era preparata, non tanto come pensava, ma poteva farcela. Solo che Joe continuò a parlare. Disse che aveva telefonato a quell’uomo, gli aveva fatto la predica sul fatto che era fuggito dalle proprie responsabilità e gli aveva chiesto che cosa doveva dire alla moglie. E il tizio aveva risposto qualcosa tipo: «Le dica solo che sto bene, che mi dispiace tanto. E che la contatterò quando la situazione sarà piú stabile». Joe sapeva che non l’avrebbe fatto, disse che quelli che scappano senza lasciare nemmeno un biglietto in genere non trovano mai il momento giusto per riprendere i contatti.

– Ah, – dico. Gary mi aveva detto, e sono certa che ci credesse, che Des Murray aveva chiesto alla polizia di non dire nemmeno una parola alla moglie. – Solo che Joe non passò il messaggio alla madre di Aislinn.

– No, – conferma Lucy. – Decise che saperlo non le avrebbe fatto bene. Quella povera donna non era in grado di sopportare una simile notizia, ne sarebbe rimasta distrutta. Decise che sarebbe stato meglio per lei non sapere nulla –. Di nuovo quel tic all’angolo della bocca. – E cosí fece: non le disse nulla. Era molto orgoglioso di sé, per averle evitato di portare quel peso.

Ci scommetto. Almeno io, quando ho scaricato Aislinn su Gary, ho avuto la sincerità di non pensare che lo facevo per il suo bene. L’ho fatto perché cosí mi andava di fare e basta. – Cosa fece Aislinn, sentendoglielo dire?

– Mi raccontò che non aveva spaccato il bicchiere e non gli aveva piantato in gola il vetro tagliente, solo perché non si sentiva nelle mani la forza di farlo. Invece gli disse, tutta occhi spalancati e meraviglia, che aveva fatto proprio bene, che era stato bravo e coraggioso, che quella donna era stata cosí fortunata che le fosse capitato proprio lui, come detective incaricato del caso. Poi gli disse che le era venuto un gran mal di testa, le dispiaceva rovinare il loro picnic, ma non poteva per favore accompagnarla a casa? Aveva bisogno di dormire un po’. E McCann la portò a casa, le disse di prendere un Nurofen e si salutarono.

– E Aislinn chiamò subito lei.

– Non mi chiamò, venne direttamente qui. Era… – Lucy fa un sibilo. – Non l’avevo mai vista cosí. Non avevo mai visto nessuno cosí. Era furiosa e urlava contro i cuscini del divano. Tutta truccata e in ghingheri nel suo vestitino rosa a fiori, gridava: «Come ha osato, come ha potuto, chi cazzo si crede di essere!» Il mascara le colava sul viso insieme alle lacrime, la sua pettinatura elaborata era tutta scomposta, prendeva a pugni i cuscini, li mordeva… Non so se rendo l’idea di come era incazzata.

Mi sta fissando. – Sí, – dico. – Rende l’idea. Al cento per cento. Lui non aveva diritto di prendere quella decisione –. Sarebbe stato diverso se il padre di Aislinn fosse morto già da quando era scomparso. Allora McCann non le avrebbe tolto nulla, nascondendole la notizia. Ma suo padre allora era vivo. Lei avrebbe potuto contattarlo. Forse sua madre non avrebbe perso la ragione, se avesse saputo cosa ne era stato di lui.

– C’è anche qualcosa di piú, – dice Lucy, e aspetta di vedere se lo capisco da sola.

Lo capisco benissimo, e dico, in quella stanza che sta diventando sempre piú fredda: – Aislinn immaginava che McCann avesse tenuto la bocca chiusa per qualche motivo personale: perché suo padre era stato investito da un poliziotto, o perché rivelare di averlo ritrovato avrebbe incasinato un’indagine importante. E questo lei poteva capirlo: la gente agisce per motivi egoistici e altre persone restano prese nel fuoco incrociato. La vita è cosí. Invece ha scoperto che McCann ha fatto ciò che ha fatto per il bene suo e di sua madre, perché aveva deciso che le loro vite dovessero seguire la direzione che lui pensava fosse giusta per loro. Aislinn e sua madre non erano vittime collaterali delle sue decisioni: erano l’obiettivo principale.

Lucy annuisce. Ho passato l’esame. – Esatto. Non potevano neppure esprimere un’opinione. Lui era il poliziotto, lui aveva il diritto di decidere per loro. Non erano nemmeno persone, erano solo comparse nel suo film personale, in cui lui era l’eroe. Era questo che faceva infuriare Aislinn. Questo.

La sua voce ha ripreso volume, pulsante di rabbia in nome dell’amica morta. Ora è disposta a dirmi qualsiasi cosa.

Tutte quelle stronzate che ha detto il capo, il fatto che io non sono brava con i testimoni. Questa testimone ha tutti i motivi per tenere la bocca chiusa con me, e invece si fida al punto da dirmi tutto quello che sa. Vorrei tanto che questo mi facesse provare, almeno in parte, qualcosa che non sia pura e semplice tristezza.

– E cosí, – dico, – Aislinn cambiò i suoi piani.

Lucy fa un’altra risata secca. – Sa cosa pensai, quando Ash venne da me a piangere e a dare calci al muro? Pensai: «Almeno è finita, grazie a Dio». A Aislinn non lo dissi subito, volevo prima che si calmasse, e ci mise un sacco di tempo. Dovetti ascoltare la storia completa almeno tre o quattro volte, con tutti i particolari; lei non riusciva a smettere di raccontare. Ma alla fine riuscii a farle bere un bicchierino di whisky e una tazza di tè. Voglio dire, le sarebbe servita una dose massiccia di Valium, ma non avevo niente del genere in casa e sapevo che il tè zuccherato aiuta contro lo shock. Funzionò: lei era ancora in collera, ma si calmò abbastanza da riuscire a sedersi e a piangere in silenzio, mentre io potevo finalmente dire qualcosa. E dissi: «L’unica cosa buona, in tutto questo, è il fatto che ora finalmente sai cos’è successo. Ora puoi lasciare in pace il passato, come hai detto che avresti fatto». Ash si drizzò sul divano. Aveva le mani cosí –. Lucy fa le mani ad artiglio. – Credevo volesse saltarmi addosso, oppure piantarsi le unghie in faccia. Stavo quasi per afferrarla per impedirglielo, ma lei disse: «Credi che lascerò le cose come stanno, cazzo?» Ash non imprecava mai. «Non ho finito. Per niente. Gliela farò pagare, a quello stronzo. Credeva di avere il diritto di decidere della mia vita! No. No. No. Non abbasserò la testa in silenzio. Sí, signore, tutto quello che vuole, signore, mi picchi pure piú forte. Vaffanculo!» Ansimava dalla rabbia. Sembrava minacciosa. Ash, voglio dire, la persona meno pericolosa del mondo. Aveva la voce diversa, dopo tante lacrime, una voce dura, rauca, che non sembrava la sua. Disse: «Ora lo farò io a lui. Modellerò il resto della sua vita come voglio io». Io dissi: «Cosa?» E lei: «Lui è già mezzo innamorato di me. Lo farò innamorare del tutto, poi lo convincerò a lasciare moglie e figli per me, gli farò dire alla moglie che stiamo insieme, cosí non c’è pericolo che lei lo riprenda in casa. E poi lo lascerò».

Ed eccolo qui, il pezzo mancante che io e Steve non riuscivamo a trovare: il motivo per cui Aislinn voleva McCann. – Gesú Cristo, – dico. – Non poteva in nessun modo finire bene.

– Lo sapevo anch’io, e glielo dissi. Con queste stesse parole.

– Credevo che Aislinn fosse brava a capire gli altri.

Lucy dice: – Lo era. Ed era questo che mi spaventava di piú. Per immaginare un piano folle come quello, doveva aver perso la presa su tutto ciò che sapeva su come funzionano le persone. Era cosí ossessionata dalla storia nella sua testa, che ormai non aveva piú nessuna importanza il fatto che coinvolgesse persone reali.

Allunga la mano verso il pacchetto, non per prendere una sigaretta, ma solo per tenere qualcosa in mano. – Provai a farla ragionare, dicendo: «Credevo che Joe non fosse il tipo da avere un’amante». E lei: «Non lo è, ma lo diventerà. Non sarà difficile; non fa altro che ripetere che lui e la moglie praticamente stanno insieme solo per abitudine, e che le vuole bene ma non la ama, e blablabla, tutta la serie dei cliché. Lo fa solo per convincere tutti e due che va bene se andiamo a fare dei giri in macchina insieme, ma io posso usarlo. Gli farò pensare di essere l’eroe romantico e coraggioso che abbandona il suo matrimonio senza senso per seguire il Vero Amore. Diceva a mia madre che lui non avrebbe mai lasciato sua moglie e i suoi figli, mai, quel bigotto del cazzo. E per tutto il tempo sapeva… Gli farò lasciare la moglie entro Natale. Aspetta e vedrai».

– Per dirla senza peli sulla lingua, – dico io, – se lo voleva scopare fino a fargli perdere il senso della ragione.

Lucy sbatte le palpebre a quelle parole, ma dice, in tono piatto: – Sí, è cosí.

– Non tutti sarebbero in grado di farlo –. È un eufemismo. Ci sono molti agenti sotto copertura, professionisti addestrati, che non scopano con i loro obiettivi. Per essere una civile, Aislinn era una vera dura.

Lucy si sposta sul divano, come cercando un posto piú morbido. – Ash era strana, su alcune cose. Sesso, amore, e tutto il resto. Non faceva altro che leggere storie romantiche a lieto fine, ma per ciò che riguardava la sua vita, l’amore non esisteva. Già da quando eravamo piccole diceva che non si sarebbe mai innamorata. Aveva avuto un paio di ragazzi, ma solo come esperienza: non voleva arrivare a trent’anni vergine, senza sapere che cosa si prova a stare con un uomo. Ma appena il ragazzo in questione cominciava a volere qualcosa di serio, lei lo lasciava.

– Per via di suo padre, – dico. – E di sua madre.

– Sí. Diceva: «Guarda innamorarti cosa ti fa. Significa lasciare a un altro il controllo della tua vita. E in qualsiasi momento, cosí, – Lucy schiocca le dita, – l’altro può decidere di cambiarla. Tu forse non saprai mai nemmeno perché. E non riavrai indietro la tua vita di prima. L’altro se ne va e se la porta via con sé, e non la rivedi piú».

Lucy fissa il nulla, e la sua voce si è fatta piú sottile e rigida: è la voce di Aislinn, rapida e urgente, sotto la sua. È persa nel ricordo. Per un attimo vorrei farle un cenno d’assenso; a Aislinn, non a Lucy. Quel cenno che fai in una sala affollata a un altro poliziotto, o all’unica altra donna presente, o all’unica persona vestita con il tuo stesso stile. Quel cenno che dice: anche se magari non mi piaci, tu e io ci capiamo.

Lucy dice: – Voglio dire, a me sembrava che lei stesse facendo proprio quello: lasciare che i suoi genitori controllassero la sua vita. Voleva evitare deliberatamente di innamorarsi, a causa di ciò che loro avevano fatto. Ma Ash disse che non la capivo. Disse che quella era lei, la decisione era sua. Aveva ragione, non la capivo, ma capivo che l’idea di scopare con Joe… per lei non aveva lo stesso significato che avrebbe avuto per altre persone. Ash non si aspettava mai che il sesso fosse qualcosa di speciale, di importante; non voleva che lo fosse. Mentre l’idea di vendicarsi di Joe era la cosa piú importante della sua vita. Perciò, se il sesso poteva aiutarla a ottenerla, perché no?

– Ha detto che Aislinn non avrebbe fatto del male a una mosca. Questo piano avrebbe fatto del male, e molto, alla moglie e ai figli di Joe.

Lucy si rigira tra le dita il pacchetto di sigarette. – Lo so. E glielo dissi, quel giorno stesso. Pensavo che riflettendo su questo si sarebbe fermata.

– Come mai non successe?

Lei scuote la testa. – Non lo so. Quando ho detto che Ash non avrebbe fatto del male a nessuno, non lo dicevo per farla sembrare una santa, ora che è… morta. Aislinn era davvero cosí –. Lucy gira piú veloce il pacchetto. Si vede che quel pensiero è una cosa che non la lascia in pace. – Non lo so. Certo, era ossessionata, ma anche cosí, non riuscivo a credere… Ma Ash mi guardava come se stessi dicendo cose senza senso. Ancora non lo capisco.

Io sí. Lucy ha ragione, Aislinn era brava a coinvolgere le persone nelle sue storie, spingendole in una corrente che le trascinava sempre piú a fondo, verso il finale che lei intravedeva nella foschia sull’altra riva. Ma era diventata troppo brava, e alla fine si era intrappolata da sola. E quando Lucy aveva tentato di farle vedere cosa avrebbe fatto alla moglie e ai bambini di McCann, per Aislinn era troppo tardi: non poteva piú tirarsene fuori. La corrente creata da lei stessa era diventata troppo forte. E la trascinava con sé verso una riva che non riusciva a vedere.

Lucy dice: – Si era asciugata le lacrime con il vestito. Il vestito rosa che aveva comprato specificamente per il grande giorno, per avere un’aria sexy, adorabile, innocua, in modo da convincere Joe a vuotare il sacco. Lo aveva pagato un sacco di soldi, e poi se lo era passato sul viso come fosse un fazzoletto di carta, lasciandolo tutto sporco di mascara, fondotinta e lacrime e muco. E all’improvviso sembrò rendersene conto e disse: «Oh, mio Dio, che disastro! Devo portarlo in lavanderia. A Joe piace tanto questo vestito, ne avrò bisogno». Prese un fazzolettino e tentò di dare una ripulita ai punti peggiori, come se ci avesse rovesciato sopra del tè, o qualcosa del genere. Non era piú in collera, non piangeva, era come se tutto ciò che aveva detto e fatto prima non fosse mai successo.

– Lei cosa fece?

– La pregai di aspettare almeno qualche giorno, prima di fare qualsiasi cosa. Pensavo che, una volta superato lo shock, si sarebbe resa conto che si trattava di una pessima idea, da tutti i punti di vista. La supplicai –. Lucy stringe la mano intorno al pacchetto, alzando la voce. Poi fa uno sforzo e riprende un tono normale. – Ma Ash, giurerei che non mi abbia nemmeno sentita. Diede una sistemata ai punti piú sporchi del vestito, poi chiamò un taxi con un’app dal cellulare, si alzò e mi abbracciò, stringendomi forte. E mi disse all’orecchio: «Quando lo lascerò, gli dirò che è per il suo bene». E se ne andò.

Dico: – E non aspettò qualche giorno prima di cominciare.

– Entro una settimana, – dice Lucy, – erano già andati a letto insieme. Mi disse che era stato facile, gli aveva fatto credere che fosse stato lui ad avere l’idea e lei quella che aveva bisogno di essere convinta. E dopo si era mostrata sconvolta, non troppo, solo graziosamente in lacrime, perché temeva che ora lui la odiasse per essersi lasciato trasportare e aver fatto una cosa terribile al proprio matrimonio, e l’avrebbe lasciata e lei non lo avrebbe rivisto mai piú. Cosí McCann dovette rassicurarla, dirle che non era colpa sua, che lui non l’avrebbe stimata meno per questo e non l’avrebbe mai lasciata, e che comunque il suo matrimonio era già un disastro di per sé, eccetera. Andò tutto in modo perfetto –. Lucy pronuncia l’ultima parola con un sarcasmo selvaggio.

– E dopo? – chiedo. – Come andò la relazione, da quel punto in poi?

Lucy apre il pacchetto e prende una sigaretta, chiedendomi permesso con un’occhiata. Io annuisco. La cosa si sta facendo ancora piú difficile.

Con la sigaretta tra le labbra, mentre si china verso l’accendino, dice: – Per prima cosa smisero di andare a fare giri in macchina tra le montagne, il che da un lato era un sollievo, per me. Lui andava a casa di Ash e… restavano lí. E questo non era affatto un sollievo –. Getta l’accendino sul tavolo, aspira una boccata profonda.

– Con quale frequenza si vedevano?

– Come prima: alcune settimane una volta sola, altre anche due o tre volte. Non avevano una routine. Joe diceva di dover vivere alla giornata, per evitare che la moglie sospettasse qualcosa.

– Quindi non stava pensando di lasciarla.

– Non ancora, – dice Lucy, in tono asciutto. – Ma Aislinn lo stava spingendo in quella direzione. La seconda cosa fu che lui cominciò a farle dei regali. Piccole cose, tipo un gattino di ceramica con il fiocco a quadretti, dopo aver visto che lei aveva motivi quadrettati in cucina. Niente di costoso, perché sua moglie aveva il controllo dei soldi e notava la mancanza di ogni singola moneta, e gli sarebbe stata intorno come una vespa, se Joe avesse comprato qualche regalo importante. Ma continuava a ripetere come gli sarebbe piaciuto comprarle una collana di diamanti, e portarla a Parigi, perché Ash gli aveva detto che voleva viaggiare… E secondo Ash non lo diceva tanto per dire, era serio. Perciò lei gli dava corda. Gli diceva che aveva sempre sognato di avere una collana di diamanti, e stampava foto dei posti che avrebbero potuto visitare a Parigi.

Penso alla voce frustrata che esce spesso dal telefono di McCann, mentre i ragazzi mimano schiocchi di frusta e McCann tenta di sparire dentro sé stesso. Una ragazza che si comportava come se tutto ciò che usciva dalla sua bocca fosse la perfezione, sarebbe stato un bel cambiamento, per lui. Ricordo quel brutto gatto di porcellana, al posto d’onore sul davanzale della cucina di Aislinn.

– La terza cosa, – dice Lucy, – fu che alla fine di ottobre, cioè solo tre mesi dopo che si erano visti per la prima volta, Joe disse a Aislinn che l’amava.

Che idiota, penso. E dico: – Immagino che le abbia fatto tanto piacere.

– Era felice. Mi invitò fuori a bere champagne, per festeggiare. Io non mi sentivo affatto dell’umore giusto, ma ci andai, perché… – Lucy posa la testa sullo schienale del divano e osserva il fumo salire nell’aria. – Sentivo la sua mancanza. Ci vedevamo molto meno, ormai. Aislinn non poteva mai fare progetti, nel caso in cui Joe volesse passare da lei. Non parlavamo nemmeno piú, non come prima. Voglio dire, ci telefonavamo, ci scambiavamo messaggi, ma erano tutte stupidaggini: «Stai vedendo la tale cosa alla tele, hai sentito questa canzone…» Nulla d’importante.

Non guarda me, sta ancora osservando i riccioli di fumo che salgono nell’aria fredda. – Ci stavamo perdendo, – dice. – Lentamente, ma non c’era nulla che potessi fare per evitarlo. E sapevo che se quella storia non fosse finita presto… Ash riusciva a parlare solo di Joe, e io non volevo sentire i particolari scabrosi. Quel po’ che sentivo, non mi piaceva per niente.

– Per esempio? – chiedo.

– Per esempio, – dice Lucy, spostando la testa sullo schienale. – Lei non aveva ancora il numero di Joe, riesce a crederci? Lui è innamorato perso, vuole andare a bere vino con lei in qualche bistrot di Montmartre, ma darle il suo cellulare? Oh, Dio, no. L’aveva chiamata solo una volta, il giorno dopo che l’avevamo conosciuto in quel pub, e l’aveva fatto mantenendo il numero privato. Da allora, ogni volta che voleva vederla, le lasciava un biglietto nella cassetta delle lettere. E senta questa: quando si incontravano, si faceva restituire il biglietto per distruggerlo.

Ma Aislinn, una volta partita con il suo brillante piano, fotografava i biglietti per la sua cartella segreta, prima di consegnarglieli da brava amante ubbidiente. McCann credeva di avere il controllo di tutto, il detective della Omicidi duro e cattivo che conduce un’operazione a prova di bomba. Aveva sottovalutato Aislinn di interi anni luce.

– Meticoloso, – dico.

– Meticoloso? Io direi pazzo. Che tipo di persona si comporta cosí?

I detective pensano sempre a conservare le prove, mai a distruggerle. McCann pensava già come una persona diversa. Mi chiedo se l’avesse notato.

– A Aislinn dava fastidio? – chiedo.

– Non molto. Io le dissi che non mi piaceva, ma lei non ci fece caso. Secondo lei Joe aveva la paranoia che lei potesse andare da sua moglie, e in fondo aveva ragione. Ma io pensavo che ci fosse sotto qualcosa di piú. Joe voleva essere lui a decidere il gioco. Il modo in cui si comportava significava che Aislinn non aveva voce in capitolo: se le lasciava un biglietto con scritto «Mercoledí alle sette», lei non poteva mandargli un messaggio scrivendo qualcosa tipo «Mercoledí ho da fare, facciamo venerdí?» Poteva solo mollare qualsiasi progetto avesse per mercoledí sera, mettersi un bel vestito e aspettare in casa. E qualche volta… – Lucy drizza la testa, per guardarmi in faccia, – qualche volta non l’avvisava neppure. Si presentava alla porta aspettandosi che lei lasciasse tutto e trascorresse la serata con lui. Ash pensava fosse per via dei suoi orari imprevedibili, ma a me sembrava che la controllasse. Voleva sapere cosa faceva quando lui non c’era.

I suoi occhi scuri mi osservano, tentando di capire ciò che penso. Sappiamo entrambe cosa sta dicendo: se McCann ha deciso di controllare cosa faceva Aislinn sabato scorso, ha visto candele accese, calici da vino e lei che si era messa in ghingheri per qualcun altro.

Sto attenta a non lasciar trapelare nulla. – Cosa succedeva se lei non si faceva trovare all’orario previsto?

– Si faceva trovare sempre. Come ho detto prima, negli ultimi mesi mi ha tirato un sacco di bidoni. E il motivo era questo.

Aveva bidonato anche Rory, la prima volta che dovevano andare a cena al Pestle. «Mi dispiace tanto, per stasera ho un problema». Rory pensava che lei dovesse occuparsi della madre malata, noi che si facesse desiderare. Dico: – Aislinn ha mai fatto qualcosa che McCann non voleva che facesse?

Lucy fa una smorfia. – Credo di no. Cioè, tutto il suo piano si basava sul fingere di essere la donna dei suoi sogni.

– Mai una lite, un disaccordo?

– Gliel’ho detto, lui l’adorava. Potevano sembrare la coppia perfetta, a chi non sapesse anche il resto. L’unica volta che ebbero un problema fu verso la fine di settembre. Joe prese il cellulare di Aislinn per controllarlo e lo trovò bloccato da una password. Non ne fu niente affatto contento. Voleva sapere se nei suoi messaggi aveva parlato di lui a qualcuno.

– Di quale livello di «niente affatto contento» stiamo parlando?

Lucy torce un angolo della bocca intorno alla sigaretta. – Vuol sapere se l’ha picchiata?

– L’ha fatto?

Lucy pensa di mentire, glielo leggo in faccia, ma poi scuote la testa. – No. Da ciò che mi ha detto Aislinn, lui non l’ha mai toccata, non in quel modo. Lei non sembrava nemmeno preoccupata che potesse farlo. Se fosse successo me l’avrebbe detto. Cosa potevo fare, io? Chiamare la polizia? – Si china in avanti a scuotere la cenere. – Da ciò che mi disse Ash, Joe non era arrabbiato per la storia del telefono; piú che altro spaventato. Sempre per via della moglie: questa città è piccola, piena di pettegolezzi, non sai mai chi può dire qualcosa alla persona sbagliata… Ma secondo Aislinn lui si comportava piú come se fosse terrorizzato dall’idea di trovare una serie di messaggi in cui lei raccontava alle amiche di quel cretino di mezza età che aveva abbindolato per farsi restituire tutti i punti che le avevano tolto dalla patente. McCann non le sembrava ancora del tutto convinto che la storia tra loro fosse reale.

– McCann è un detective, – spiego. – L’istinto di sicuro gli diceva che c’era qualcosa sotto. È solo che lui non voleva ascoltarlo.

Lucy fa una risatina senza allegria. – Se solo avesse avuto il buon senso di darvi retta.

– Cosa fece Aislinn?

– Gli chiese sinceramente perdono, come se avesse investito il cane di Joe con la macchina. Lei non la mise cosí, dico solo per dire. Gli lasciò controllare ogni singolo messaggio sul telefono, e io ne fui proprio felice, quando me lo disse. C’erano cose, lí dentro… Niente di grosso, ma insomma vari messaggi su serate fuori che non avrei esattamente voluto far leggere a un poliziotto –. Mi lancia una rapida occhiata. Io resto del tutto indifferente, ed è la verità. – A Ash non venne nemmeno in mente. Le importava soltanto avvolgere sempre di piú Joe nella sua rete. E da allora tenne il telefono bloccato solo con un semplice salvaschermo su cui far scorrere il dito. Cosí lui poteva controllare ciò che voleva, quando voleva.

McCann ha avuto una bella forza di volontà, per non toccare quel cellulare sabato sera. Mi viene di nuovo in mente che lotta durissima dovremo combattere io e Steve. – Davvero non la irritava questo atteggiamento?

Lucy alza una spalla. – No. Tanto sarebbe stato per pochi mesi. E lei voleva che Joe fosse ossessionato. Ma io ero preoccupata. Un tale maniaco del controllo…

Non finisce la frase e io non la finisco al suo posto. Ha ragione, ovviamente: questo sarebbe dovuto essere un altro campanello d’allarme per Aislinn. Un uomo che non è disposto a lasciar sfuggire al suo controllo nemmeno un singolo sms o post-it, come l’avrebbe presa, quando lei lo avrebbe buttato fuori di casa a calci? La corrente che aveva creato per spingere McCann avrebbe spazzato via e sommerso anche lei. Aislinn aveva sottovalutato anche sé stessa.

– All’inizio di dicembre, – prosegue Lucy, – Aislinn disse di essere quasi arrivata al punto, con Joe. Lui le ripeteva tutto il tempo che l’amava, e blaterava di tutte le cose che avrebbe fatto per lei, se fossero stati insieme. Era a un passo dall’offrirle di lasciare la moglie per lei. E Ash… Gesú, era come ubriaca, tutto il tempo: parlava a mille all’ora e rideva forte per qualsiasi cosa e non riusciva a stare seduta nemmeno un minuto. Era come perennemente fatta di coca. Non perché la eccitasse tenere un uomo al guinzaglio, lei non era cosí. Il motivo era che il suo piano stava funzionando. Non riusciva quasi a crederci. Per lei, era come scoprire che la magia è reale e che lei la possedeva, che poteva trasformare le zucche in carrozze, i principi in rospi e di nuovo in principi… Mi capisce? Ha senso quello che dico?

– Sí, – rispondo. – Capisco perfettamente –. Mi viene in mente la mia prima mattina alla Omicidi. Con il tailleur nuovo addosso, la cartella lucente che ballonzolava al mio fianco, i tacchi che battevano un ritmo veloce sulla strada pedonale, autobus e voci in sottofondo, mentre io attraversavo tutto come una lama, diretta alla sala detective della squadra Omicidi, che finalmente, finalmente, era la mia squadra. Avrei potuto fare quella strada a balzi di tre metri. Quella mattina avrei potuto puntare un dito verso il castello e magicamente si sarebbero manifestati squilli di tromba e cascate di petali dorati.

Lucy dice, schiacciando la sigaretta: – E poi è arrivato Rory.

– Rory non era previsto nel piano, giusto?

– Il piano –. Allarga le mani in un gesto fiorito. – Avevo cominciato a pensarci come se fosse scritto in maiuscolo: IL PIANO, ta-da-da-da. No, Rory non era assolutamente previsto. Lui è stato colpa mia. Fui io a trascinare Aislinn a quella presentazione – e ci volle una bella insistenza – perché passasse una serata fuori senza restare in casa a ossessionarsi con Joe… speravo che uscire e chiacchierare e ridere di cose normali con gente della nostra età, potesse farle vedere le cose nella giusta prospettiva. Speravo capisse che situazione malata aveva messo in piedi.

– E magari incontrasse un ragazzo normale, – dico io.

– Non avrei mai creduto che succedesse. Speravo solo che trascorresse una serata fuori dalla sua follia. Ma dopo un’ora con Rory, Ash era cotta. E spaventatissima: era l’ultima cosa che desiderava, soprattutto ora che aveva portato Joe praticamente dove voleva. Non riusciva a credere di aver passato tanto tempo a parlare con Rory. Aveva una sua regola, non parlare mai a lungo con un uomo, per non fargli pensare che avesse una chance. Lei lo trovava leale, in un certo senso, perché non voleva una relazione.

– Lucy, a noi lei aveva detto che il motivo di questa regola era che voleva farli sudare un po’ prima di concedersi.

Lucy fa spallucce. – È stato il meglio che sono riuscita a pensare in quel momento. Dovevo dirvi che aveva interrotto all’improvviso la chiacchierata con Rory, perché qualcun altro poteva averlo notato; ma non potevo dirvi che evitava le relazioni, altrimenti non avreste cercato il suo uomo segreto. E non potevo neppure spiegarvi tutta la faccenda.

– Capisco, – dico. Per una donna che non ama inventare storie, ne ha inventate un bel po’, ultimamente. Si vede che era proprio brava a risucchiare le persone nel suo modo di fare. – E quindi, Aislinn non sapeva cosa fare, riguardo a Rory?

Di nuovo quel sorriso sulla bocca di Lucy, tenero e sofferto. – No, sapeva esattamente cosa fare con lui: toglierselo dai piedi. Ma non riusciva a decidersi. Lo definiva «la cosa migliore del mondo dopo il pane già affettato». L’accompagnai a casa quella notte, dopo la presentazione, e non smetteva di parlare di lui. Era tutta rossori e risatine, come una ragazzina, e continuava a ripetere: «Cosa devo fare? Oddio, Lucy, cosa devo fare?»

– E lei cosa le rispose?

Il sorriso scompare. – Ormai non avevo piú remore a suggerirle che cosa fare, perciò dissi: «Domani chiama Joe e lascialo. Digli che non potresti mai perdonarti per aver distrutto il suo matrimonio, e cose del genere» –. Lucy si passa di nuovo le mani tra i capelli. – Stavo facendo proprio come lei, inventavo balle… Volevo solo che uscisse da quella storia con Joe, prima che le esplodesse in faccia, facendola a pezzi. «E poi, quando Rory ti chiama, e lo farà, gli dirai che sí, uscire con lui ti fa tanto piacere e sei felice di accettare l’invito». Le dissi: «Questo è il modo di vendicarti di Joe. Impedendogli di farti perdere un uomo che ti piace davvero. Impedendogli di condizionare ancora la tua vita».

– Era la cosa perfetta da dire, in quel momento, – dico. – Aislinn avrebbe dovuto farsela tatuare sul braccio. Ma immagino che non la sia stata a sentire.

Lucy scuote la testa. – No, infatti. E per essere sincera, un po’ la capivo. Aveva investito cosí tanto nel suo piano… una quantità enorme di energia. La dieta ferrea, fare l’amore con un uomo che odiava, per mesi. E proprio quando tutto stava per arrivare alla conclusione, con tanto di effetti speciali, arrivo io a dirle di gettare via tutto?

Le stava dicendo di rinunciare alla magia, proprio quando lei stava per lanciare sfere di fuoco con le mani. – Era molto difficile. Sí, lo capisco.

– E naturalmente, proprio due giorni dopo, Rory le manda un messaggio chiedendole di vedersi. Se gli avesse risposto di no, lui si sarebbe tolto di mezzo, e Aislinn non voleva questo. Ma non poteva neppure dire: «Lasciami un mese o due, mentre finisco di scoparmi un tizio per convincerlo a lasciare la moglie, poi sarò tutta per te». Provò a prendere tempo, ma non voleva neppure che lui si convincesse di non piacerle e non la cercasse piú. Perciò alla fine disse di sí. E uscirono a bere una pinta, e passarono una serata fantastica, e Aislinn tornò innamorata.

– Ma ciò nonostante, non lasciò Joe.

– No. Cercò soltanto di affrettare la conclusione del piano. Gli diceva quanto le mancava quando tornava a casa e restava sola, gli diceva che voleva avere dei bambini, e non stava certo diventando piú giovane… Doveva stare molto attenta, per evitare che lui decidesse di fare il nobile cavaliere e si ritirasse in buon ordine perché lei meritava di meglio, e nemmeno che diventasse paranoico, temendo che gli bucasse i preservativi. Era… – Lucy si porta le mani al viso e ride tra le dita, una risata con un singhiozzo trattenuto. – Gesú, sarei morta dal ridere, se non fosse stata una cosa cosí folle.

– Joe come reagí?

– Io pregavo che facesse la grande rinuncia. Tentavo di mandargli messaggi telepatici in questo senso. E non sto scherzando –. Un’altra risata piangente. – Ma niente. Joe camminava obbediente verso il punto dove Aislinn lo stava guidando. Tre settimane fa, dopo capodanno, le disse che aveva deciso di lasciare la moglie.

McCann, che si vantava con la madre di Aislinn che non avrebbe mai lasciato la sua famiglia. E lei aveva sbriciolato tutto questo. – Scommetto che Aislinn ne sarà stata contenta.

– Oh, sí –. Lucy si passa di nuovo le mani sul viso. Questo racconto le sta costando molto. – Sí, era tutta felice. Solo che Joe voleva aspettare fino all’estate. Uno dei suoi figli si diploma alle superiori, quest’anno, e Joe non voleva rovinargli l’esame.

– Il che significa che Ash doveva tentare di tenere in ballo lui e Rory per altri sei mesi.

– Già. E non le piaceva affatto. Si mise a piangere, non tanto da disperarsi, solo una lacrimuccia, e disse a Joe che sapeva che dopo sarebbe venuto fuori qualcos’altro, perché gli uomini non lasciano mai le mogli. Era cosí difficile per lei vederlo tornare ogni volta da un’altra donna, eccetera eccetera. Ma Joe stavolta puntò i piedi.

– Allora lei cosa fece?

– Dio… – Lucy fa una smorfia, a occhi chiusi. – Comprendere la situazione era fuori dalla sua portata. Si trattava di una cosa reale, capisce? Venticinque anni di matrimonio, figli… Era impossibile che lei avesse un peso maggiore. Poteva solo tentare di tenere Joe sulla corda. Si comportava ancora come l’amante perfetta, ma ogni tanto gli mostrava su Facebook la foto di qualche neonato e sospirava, o diceva che un cliente al lavoro aveva flirtato con lei… Continuava a lasciar cadere allusioni al fatto che lui rischiava di perderla, se non si fosse dato una mossa.

Chiedo: – Gli parlò mai di Rory? Anche solo un’allusione?

– Intende dire, per fargli capire che aveva altre opzioni? – Lucy scuote la testa. – No. Ci avevo pensato anch’io e le dissi di non farlo, e lei rispose che non ne aveva l’intenzione. Ma… come ho detto prima, Aislinn aveva tolto la password dal cellulare. E mi chiedevo se non avesse lasciato un paio di messaggi di Rory sul telefono. Cosí, se Joe fosse andato a controllare…

E Aislinn li aveva lasciati. Gesú Cristo. Mi viene voglia di sbattere la testa sul tavolo. Quella ragazza era ingenua a livelli irreali.

– Era per questo che ero preoccupata, – dice Lucy, – quando Ash mi disse che aveva invitato Rory a cena. Avrebbero potuto vedersi da qualsiasi altra parte, capisce? E se poi avessero voluto andare a letto, potevano andare a casa di Rory. Perché vedersi da lei, dove Joe poteva arrivare in qualsiasi momento?

– Forse era proprio quello che Ash sperava.

– Già. Forse non a livello cosciente, ma di sicuro sapeva che poteva succedere. E ormai voleva che tutta questa faccenda arrivasse alla fine. Ogni volta che vedeva Rory, o che parlava con lui, era piú innamorata. Dentro di sé, voleva solo dimenticare tutto quel pasticcio con Joe e trascorrere ventiquattr’ore al giorno sbaciucchiandosi e ridendo con Rory. Ma non ce la faceva a mollare il suo piano. Forse una parte di lei sperava che Joe venisse a trovarla, vedesse Rory e scoppiasse in un pianto disperato, per poi scomparire nel tramonto. In pratica, prendendo la decisione per lei –. Lucy nota la mia espressione. Ci osserviamo a vicenda da tanto tempo che abbiamo imparato a capirci al volo. – Lo so. Crede che non lo sappia? Come ho detto, Aislinn si era messa in una situazione fuori dalla sua portata. Per questo può aver pensato seriamente che sarebbe andata cosí. Tutto chiaro e semplice.

Gesú Cristo, penso. – Magari, – dico.

– È stato lui, vero? Joe ha ucciso Aislinn.

– Lei deve mantenere il silenzio su questa conversazione. Neppure un’allusione con i suoi amici, nulla. È chiaro?

– Sicuramente. Mantengo il silenzio da mesi, non mi metterò certo a parlare ora. Voglio solo sapere.

Io non farò come McCann. Non lascerò cadere le informazioni goccia a goccia, solo quando la mia mente illuminata valuta che sia giusto farlo, per il bene delle persone coinvolte.

– Sí, – dico. – Sono abbastanza sicura che sia stato lui.

Lucy si mette un pugno in bocca e annuisce a lungo. Non è certo una sorpresa, ma sentirlo dalla mia bocca è diverso. Ci mette un po’ ad abituarsi all’idea.

Poi chiede: – È stato di proposito? Voleva davvero ucciderla, o ha avuto uno scatto d’ira e non si è reso conto…?

– Non lo so.

– Ha mai fatto una cosa del genere, prima? Voglio dire, non esattamente cosí, è ovvio, ma…

– Vuol dire se lei avrebbe potuto prevederlo?

– Sí.

– Io non l’avrei previsto, – rispondo. – E conosco McCann molto meglio di lei. Non ho mai sentito dire che abbia picchiato la moglie, e neppure che abbia preso a schiaffi un indiziato, e tutti sappiamo chi di noi lo fa, sapendo che non ci saranno conseguenze, e chi non lo fa. McCann non è un uomo violento.

– Il fatto è che io temevo che sarebbe scoppiato tutto. Dissi a Aislinn… – Riprende fiato con un respiro ansimante. – A settembre, quando mi disse che lei e Joe erano andati a letto… eravamo al Flowing Tide, ma c’era abbastanza rumore e potevamo parlare senza paura di essere ascoltate… Le chiesi: «Gli hai detto che io sono la tua migliore amica?» Aislinn rispose di no, che non parlavano mai di nulla se non di Joe e di quanto lui fosse fantastico. Dissi: «Allora non dirglielo, per favore. Digli che sono soltanto una con cui vai fuori a bere qualcosa ogni tanto». Ash era tutta: «Ma perché? Non voglio fingere che tu non sia importante per me». Io le dissi: «Quando premerai il grilletto, lui impazzirà di rabbia. Non andrà in un pub a piangere le sue lacrime fissando un bicchiere. Tu sarai in Perú o chissà dove a scoparti turisti bellissimi, e lui non potrà raggiungerti. Ma se sa che io sono la tua migliore amica, può vendicarsi di te facendo qualcosa a me».

– Qualcosa, – ripeto. – Cosa temeva che facesse?

– Non ci ho mai pensato in modo specifico. Ma… vivo sola in questo appartamento. Un poliziotto può fare quello che vuole: fabbricare prove false, o chissà che. Non volevo scoprirlo sulla mia pelle. La cosa piú sicura, per me, era stare il piú lontano possibile da tutto quel dramma –. Lucy getta indietro la testa. Di nuovo quella risata secca, diretta al soffitto. – Ma non era questo il punto principale. Il punto che volevo farle entrare in testa era che non si trattava di un gioco, e avevo paura sul serio. Sapevo che a Ash non importava correre rischi, ma se si fosse resa conto che stava mettendo a rischio anche me, forse avrebbe finalmente riflettuto.

– Ma non ci riuscí neppure in quel modo.

– No –. Una rapida alzata di spalle. Quella scoperta le fa ancora male. – Aislinn disse che avrebbe fatto il mio nome solo una volta o due, per far pensare a Joe che ero una ex compagna di scuola con la quale lei non aveva perso del tutto i contatti. Ma capii che lo faceva solo per tranquillizzarmi. Non credeva fosse importante. Ormai riusciva a sentire solo la storia che aveva in testa. Qualsiasi altra cosa era solo… – Lucy fa un gesto con la mano, come una bocca che si apre e chiude rapidamente. – Rumore di fondo. E avrei dovuto saperlo da prima.

– Aislinn ormai era persa, – dico. – Lei ha fatto del suo meglio.

Lucy scuote la testa, come se non capissi. – No. Ho sbagliato perché non ho mai pensato a una cosa simile. Sapevo che Aislinn giocava col fuoco, e sapevo che Joe era l’uomo sbagliato con cui farlo. Uno che pensa di avere il diritto di decidere se tu debba o non debba sapere dov’è finito tuo padre, come reagirà quando tu farai la stessa cosa con lui? Ma non ho mai pensato che sarebbe finita cosí. Temevo che quando Ash l’avrebbe lasciato lui potesse picchiarla, sí. Ma temevo soprattutto che potesse rovinarle la vita. Farla arrestare per qualche motivo inventato, sbatterla in cella, costringerla a passare anni e a spendere tutto ciò che aveva per difendersi da imputazioni fabbricate ad arte, e poi ricominciare da capo. È questo che ho pensato, quando avete suonato il campanello domenica mattina: Joe era andato da Aislinn, aveva visto Rory in casa e aveva trovato il modo di farla arrestare per qualcosa.

– Ha senso, – dico. – È il tipo di cosa di cui mi sarei preoccupata anch’io.

– E invece… – Lucy ha le dita intrecciate nella frangia della coperta, cosí strette che sono sbiancate. – E ora continuo a chiedermi… Se quella sera le avessi detto l’esatto contrario? Avrei potuto dirle: «Fa’ capire bene a Joe quanto siamo amiche». Cosí lui avrebbe pensato che Ash mi raccontasse tutto. E allora, pensa che avrebbe… Crede che si sarebbe fermato se…

Non avrebbe fatto nessuna differenza. La frazione di secondo in cui McCann ha deciso di tirare quel pugno non lasciava spazio per nessuna riflessione. Ma ho bisogno che Lucy si senta in colpa.

– Non c’è modo di saperlo, – dico. – E non ha senso flagellarsi adesso. Quello che può fare, ora, è aiutarmi a inchiodarlo.

Lucy alza gli occhi e mi fissa. Dice, dura: – Ha detto che gli altri detective la vogliono fuori dalla squadra. Ci sarà, quando si tratterà di inchiodare McCann?

– Non me ne è mai fregato un beneamato cazzo di cosa vogliono gli altri detective.

– Dico sul serio. Non intendo venire da voi e firmare una dichiarazione e rischiare che Joe mi rovini la vita, se poi non deve servire a niente.

– Non posso garantirle che McCann finirà in galera. Neanche con la sua testimonianza; abbiamo una probabilità del cinquanta per cento. Ma posso assicurarle che, se ripete ciò che mi ha detto in una dichiarazione ufficiale, la vita di Joe non sarà piú quella di prima. Di questo me ne occuperò di persona, e non andrò da nessuna parte finché non sarà finita. È abbastanza, per lei?

Lucy aspetta qualche secondo, poi lascia andare il fiato e libera le dita dalla frangia della coperta. – Mi sa che deve bastare.

– Ha il mio biglietto, – dico. – Dubito molto che McCann tenti di farla tacere; sarebbe troppo rischioso e non servirebbe a molto, visto che ormai lei ha parlato con me. Inoltre presto avrà parecchie altre cose per la testa. Ma se succede qualcosa che la preoccupa, se qualcuno la molesta, o se nota qualcosa di anche solo un po’ strano, mi chiami. Va bene?

Lucy annuisce, flettendo le dita per riattivare la circolazione, ma non sono sicura che mi abbia sentita. – Volevo che Ash avesse il suo lieto fine, – dice. – Davvero. Anche se sarebbe stata a un milione di chilometri da qui, sul Machu Picchu con quel bel turista. Se lo meritava. Ma lei non poteva ottenere nulla per sé, finché non avesse tolto di mezzo Joe. Non riusciva neppure a vederlo, il lieto fine, tanto era lo spazio che lui occupava nella sua mente.

– O magari lo vedeva, – dico, – e lo voleva, ma vendicarsi di Joe era piú importante –. Queste stronzate psicologiche mi fanno venire i formicolii, o forse è solo perché sono ancora qui seduta a sentire storie sul lato stupido delle persone, quando ho tante cose da fare. Mi alzo. – La contatterò quando sarà il momento di venire a rilasciare la sua dichiarazione. Fino ad allora, grazie. Sul serio.

Lucy fa un suono stanco che potrebbe essere una risata. – Eccoci qui, lei e io, che ci prepariamo a dare a Ash ciò che desiderava. È comunque un modo di ottenerlo, alla fine.

Mi accompagna alla porta e la richiude in fretta appena esco, senza accompagnarmi giú fino al portone. Lucy deve andare a farsi un bel pianto. Io invece scendo le scale, che puzzano di zuppa di verdure e fiori morti, con la storia di Lucy che mi martella in testa, mentre tento di capire come cazzo devo usarla.