11.

Aislinn sapeva proprio scegliere. I suoi ex fanno sembrare persino Rory emozionante come un giro sulle montagne russe. Il primo fa il ragioniere per una ditta di software che ha passato un brutto periodo durante la recessione, a giudicare dalla moquette consunta e dalle macchie di umidità sul soffitto, ma ora l’attività in ufficio suggerisce una ripresa. Aveva conosciuto Aislinn una volta mentre erano in coda per comprare un sandwich, quando avevano entrambi diciannove anni, ed erano usciti insieme per circa sei mesi. Tutti e due avevano chiarito fin dall’inizio che non erano in cerca di una relazione seria, e quando si erano stufati erano andati ciascuno per la propria strada, senza rancore e senza promesse di restare amici. Si ricorda di Lucy, vagamente, ma non ha mai avuto nessun problema con lei e non riesce a pensare a un motivo per cui Lucy potrebbe avercela con lui. È carino, in un modo un po’ anonimo, e sembra un ragazzo per bene. Dice che Aislinn era simpatica, che sono stati bene insieme, ma ora ha una fidanzata, sabato scorso l’ha portata fuori a cena, e non ha mai cercato Aislinn nemmeno su Facebook.

Il secondo ex è forse un pelo meno noioso. Lavora in un call center, in un imponente edificio aziendale sorto in un campo nel mezzo del nulla; o un’idea geniale per un distretto d’affari che è rimasta schiacciata dalla crisi, o una perdita accuratamente pianificata per fini fiscali. Quattro piani su cinque sono vuoti; al quinto ci sono varie decine di impiegati, intenti a chiacchierare a voce alta, tanto non rischiano di disturbare nessuno. Per parlare con me, il giovane mi conduce in un ufficio d’angolo da top manager, spoglio e con la scrivania enorme coperta di polvere. Aveva conosciuto Aislinn attraverso Lucy, cinque anni fa, durante un periodo in cui tentava di lavorare come tecnico delle luci. Si erano visti per otto mesi, e lui cominciava a pensare che fosse qualcosa di speciale, quando lei l’aveva mollato. Gli aveva detto, e lui le aveva creduto, che anche lei cominciava a pensare che la loro storia stesse diventando seria, e tra il lavoro e la madre malata, non aveva il tempo o l’energia di affrontare una relazione reale. Da allora avevano perso i contatti, e lui l’aveva rivista solo sui notiziari. Da quando aveva lasciato il teatro aveva perso di vista anche Lucy; non avevano litigato, solo che non erano mai stati particolarmente amici e non avevano avuto interesse a tenersi in contatto. Sabato sera lui era a un concerto. Controlleremo gli alibi, ma non mi aspetto sorprese. Lo shock, la tristezza, la sfumatura di nostalgia, sembrano autentici, ma lo sembra anche la distanza: Aislinn per questo ragazzo era il passato. Non le stava addosso, nel tentativo di riaccendere la fiamma, e non ha perso la testa quando l’ha vista prepararsi per un appuntamento che non era con lui.

Era esattamente ciò che mi aspettavo. I colloqui sono andati bene. Con la maschera della «donna di mondo» sono riuscita a far aprire gli ex su cose che non pensavano di rivelare. Solo che nulla di tutto ciò mi è di nessuna utilità.

Torno verso la macchina accompagnata dal sibilo del vento sull’erba alta, che arriva da lontano, da campi al di là della mia vista, mi passa sopra e continua per la sua strada. Normalmente mi sentirei a disagio, troppa natura mi innervosisce, ma alla fine ho ritrovato quella chiarezza mentale che cercavo quando sono andata a correre, stamattina. Per la prima volta da giorni, forse da mesi, riesco a pensare.

Non riesco invece a togliermi del tutto la sensazione che il motivo sia aver mandato via Steve. Senza di lui al mio fianco, che indica in ogni direzione e blatera una serie di cose che possono o meno avere senso, finalmente ho lo spazio necessario per vederci chiaro. E sotto tutti i forse e i miraggi, ci sono solo due cose che valgono la pena.

La prima: Rory Fallon, il triste smidollato. Lui è tutto ciò che c’è in questo caso; ecco perché continuano a venire fuori grossi grumi di nulla: perché non c’è nulla da trovare.

La seconda: questo è il mio ultimo caso alla Omicidi. Posso combattere e vincere contro le strategie di Breslin e McCann e Roche e tutti gli altri per un altro giorno, un’altra settimana, un altro mese. Ma prima o poi farò un passo falso e mi avranno. Mi viene in mente un pugile che schiva tutti i pugni, muovendo il busto e danzando sui piedi, sempre piú veloce, finché a un tratto, bang, c’è solo il buio.

Non aspetterò il knock out, per dare a Breslin o a Roche o a chiunque la possibilità di farsi quattro risate alle mie spalle quando mi avranno mandata via. Me ne andrò alle mie condizioni. Chiuderò questo caso e lo farò nel modo giusto, incastrando cosí bene Rory Fallon che il miglior avvocato d’Irlanda non riuscirà a trovare un buco per evitargli una condanna. Poi chiamerò il mio amico della ditta di sorveglianza e gli chiederò se l’offerta di lavoro è ancora valida. E in qualche momento, lungo il percorso, dirò a O’Kelly di andare affanculo e darò a Roche un bel cazzotto sui denti.

Per un attimo mi chiedo se, visto che ho capito tutto alla rovescia, magari ho giudicato male anche Steve. Mi chiedo, anche se ora non ha piú importanza, se lui non volesse solo distrarmi per non farmi notare che ormai sono finita. Mi chiedo se magari a quel povero bastardo ottimista piaceva davvero lavorare con me, se aveva i miei stessi stupidi sogni, quelli di catturare insieme qualche Hannibal Lecter senza nemmeno sudare, fargli scattare le manette ai polsi scambiandoci un cenno d’intesa e dirigerci verso il prossimo caso impossibile, di cui potevano occuparsi solo i migliori tra i migliori. Questo pensiero mi dà una stretta al cuore cosí forte che spero di sbagliarmi.

L’auto è gelida. Anche dopo aver chiuso la portiera sento ancora il rumore incessante del vento sopra troppa erba. Una parte di me vorrebbe allontanarsi a tutta velocità, ma non riesco a pensare a nessun posto dove abbia fretta di arrivare.

Quando rientro in sala operativa, Steve non è ancora tornato. Le reclute stanno pranzando e discutendo di un articolo di giornale che parla male dei poliziotti. Breslin è seduto con la sedia inclinata all’indietro e i piedi sulla scrivania; sta finendo un panino alla salsiccia e sfoglia il «Courier».

– Ah, – dice, portando giú le gambe della sedia e posando il giornale, appena mi vede. – Proprio la donna che aspettavo. Fatto qualcosa di interessante?

– Gli ex di Aislinn, – dico, mentre mi tolgo il cappotto. – Nulla che valesse la pena di sentire. Controlleremo i loro alibi per escluderli dalla lista –. Il titolo in prima pagina del «Courier» è: Chi doveva venire a cena? Qualcuno ha detto a Crowley dell’appuntamento di Aislinn.

Breslin toglie i piedi dalla scrivania. – Devo sgranchirmi un po’ le gambe, dopo questo, – dice, dandosi un colpetto sullo stomaco. – Andiamo a fare una passeggiata.

– Ho degli appunti da battere al computer.

– Possono attendere –. Poi a bassa voce: – Ho qualcosa che invece non può.

Forse vuole farmi delle confidenze sulla sua amante immaginaria. Non mi disturbo a pensare se ha senso dargli corda, visto che non ha piú importanza, e comunque cosí ho la scusa per uscire dalla centrale operativa. – Perché no, – dico, godendomi la sua espressione sorpresa mentre mi volto e torno verso la porta.

– Allora, ho parlato con le ex di Rory, – dice Breslin, mentre usciamo in corridoio. Mi chiedo dove andremo, per fare questa chiacchierata. Per la prima volta, questa settimana, mi sono resa conto di quanta poca privacy ci sia qui dentro. In sala mensa, in sala detective, negli spogliatoi, c’è un andirivieni continuo. Nelle sale interrogatori ci sono falsi specchi e altoparlanti. Non avevo mai capito prima quanto è importante che la squadra sia parte di te, affidabile e intima come il tuo stesso corpo, se vuoi sopravvivere in questo lavoro.

– E? – chiedo.

Breslin sogghigna. – Come ha detto lui? Che le altre sue fidanzate erano tutte un po’ «casual» comparate con Aislinn. Be’, tutte brave ragazze, per carità, ma Dio, avrei voluto mandarle tutte a uno di quei programmi televisivi su trucco e cosmetici, raccomandando agli stilisti di portare l’artiglieria pesante –. Scende le scale a passo svelto. – Hai presente quelle maglie pelose che portavano gli studenti negli anni Novanta, per dare l’idea che un giorno sarebbero andati a fare un viaggio con lo zaino a Goa? Ti giuro che l’ultima ex ne indossava una.

– Hai avuto qualche buon risultato?

– Sí e no. Tutte sostengono che Rory sia un piccolo gentleman: mai uno schiaffo, mai un urlo, niente gelosia ossessiva, o tentativi di controllarle, niente collera quando non riusciva ad averla vinta, niente di tutto questo –. Si volta e socchiude la porta della centrale operativa E, l’ex spogliatoio. È vuota. – Mettiamoci qui.

Mi tiene aperta la porta per lasciarmi passare. Ricevo il messaggio: qui, dove sarei già se non fosse per il suo aiuto. La stanza è surriscaldata e puzza ancora di sudore e di roba da palestra; la lavagna bianca è minuscola e macchiata in alcuni punti dove qualcuno ha usato un pennarello sbagliato, e le sedie sembrano appiccicose. Resto in piedi.

– Ma ecco la parte interessante, – dice Breslin, chiudendo la porta. – Due di loro, tra cui l’ultima con cui ho parlato, dicono che lo hanno lasciato perché Rory era troppo preso. Le parole esatte di una di loro sono state «un po’ fissato», mentre l’altra ha detto che voleva «andare troppo in fretta». Pensavo volesse fare la ritrosa, ma ho subito capito che non si riferiva al sesso: non ha avuto nessun problema a scopare al secondo appuntamento, che Dio la benedica. I giovani d’oggi non capiscono la fortuna che hanno.

– E quindi a cosa si riferiva?

– Dopo qualche mese che uscivano insieme, Rory sembrava pensare che si trattasse di una grande storia romantica, in cui la ragazza doveva decidere se voleva una relazione seria. Lei aveva solo ventiquattro anni. Rory le piaceva, ma in realtà voleva solo divertirsi e fare qualche conversazione intellettuale – studia Letteratura russa – con in mezzo tutto il sesso possibile. Non si sentiva pronta a reggere uno che continuava a parlare di quanto sarebbe stato bello girare il mondo insieme –. Breslin esamina la parete accanto alla porta, toglie un pezzetto di qualcosa, poi ci si appoggia contro. – Cosí l’ha lasciato. L’altra ragazza mi ha detto la stessa cosa, all’incirca. Continuo a sentire che le donne vogliono solo incontrare un uomo che non abbia paura di impegnarsi, ma sembra che Rory gravitasse verso l’estremo opposto.

Il secondo ex di Aislinn mi ha detto che quando la relazione aveva cominciato a farsi seria, lei era scappata, anche se aveva dato la colpa alla madre malata. – Perciò, quando Rory ci ha detto che tra lui e Aislinn era stato amore a prima vista, non significa che Aislinn la vedesse allo stesso modo.

– Esatto. Ricordi quello che ha detto sulla loro cena al Pestle? Ogni volta che tutto sembrava andare a gonfie vele, lei smetteva di parlare e lui doveva far ripartire la conversazione. La versione di Aislinn, se potessimo sentirla, forse sarebbe: «Era un po’ fissato, ma era un bravo ragazzo, perciò ho provato a dargli tutte le chance possibili…»

– L’unico problema, – dico, – è che non quadra con ciò che ci ha detto la migliore amica di Aislinn. Secondo lei Aislinn era innamorata cotta. E quei messaggi sul suo cellulare, dove scrive quanto era eccitata perché era la prima volta che Rory veniva a casa sua? Non c’è da nessuna parte qualcosa che indichi una sua intenzione di fare marcia indietro. Se Rory era partito a tutto vapore, a lei andava bene.

Breslin tira fuori il cellulare, che è grande come la sua testa e dentro un fodero d’acciaio inossidabile, e se lo rigira in mano. Dice: – Ho una cosa da farti vedere. È tutta la mattina che cerco di decidere se condividerla con te o no.

Ieri potrei aver abboccato. Oggi, tengo la bocca chiusa e aspetto.

Quando si rende conto che non lo supplicherò, sospira, ruotando di nuovo il telefono. La luce si riflette sul fodero di metallo in grigi lampi oleosi. – Io faccio gioco di squadra, – dice. – La gente pensa che sia una specie di fuoriclasse, ma in realtà credo moltissimo nel lavoro di squadra. Questo però vale solo se anche le altre persone della squadra la pensano allo stesso modo. Capisci cosa voglio dire, Conway?

– Sono dura di comprendonio. Abbi pazienza e spiegamelo, per favore.

Breslin finge di pensarci su. Il calore e la puzza si stanno gonfiando come qualcosa di solido che ci preme addosso. – Sei sicura di volerlo sentire?

– Sei tu ad aver detto che hai qualcosa da dirmi. E sí, voglio che tu la dica chiara, senza girarci intorno o fare allusioni.

Breslin sospira di nuovo. – Va bene, – dice, come se mi stesse facendo un favore. – Ecco qua: tu interagisci sempre trattando l’altra persona come un nemico. Ora, sappiamo tutti e due che in alcuni casi avevi dei buoni motivi per farlo, ma anche quando non c’è nessun motivo sei sempre all’attacco. Questo crea un’atmosfera in cui anche la persona piú convinta del gioco di squadra ci pensa due volte, prima di condividere qualcosa con te.

In altre parole, è colpa mia se lui mi ha nascosto qualcosa, nonostante sia io la detective incaricata del caso. Anche se ci fosse ancora un motivo per stare al gioco, non mi resta nulla con cui giocare. – Sputa il rospo, – dico. – O non sputarlo, ma almeno dimmelo, cosí posso andare a battere i miei appunti.

Lui mi fissa, ma non mi prendo nemmeno il disturbo di fissarlo a mia volta. Me lo dirà, muore dalla voglia di farlo. Sta solo cercando di capire cosa può estorcermi in cambio.

– Conway, – dice, con tutta la pazienza messa a dura prova che riesce far trapelare dalla voce. – Capisci a cosa mi riferisco? Dimmi almeno che capisci questo.

– Sí. Sono una stronza. Lo sapevo già –. Mi muovo verso la porta.

– Va bene, – dice Breslin, in fretta. – Questa settimana ho avuto l’opportunità di conoscerti meglio, e non ho dubbi a credere a tutto il resto.

– Come ti pare.

– Il nostro ragazzo, Reilly. Ricordi che aveva il compito di esaminare i video a circuito chiuso nella zona di Stoneybatter?

Resto un attimo immobile, poi faccio un passo indietro.

– Bene, – dice Breslin, con un sorriso, per mostrare che siamo di nuovo amici. – Reilly sta dimostrando di essere un ragazzo intelligente. Già che c’era, si è fatto dare i video delle ultime quattro settimane, o comunque tutto il possibile: in qualche posto i video erano già stati sovraregistrati. Ed è rimasto qui fino alle cinque del mattino, con il dito sul tasto «Avanti veloce».

Viscido bastardello. – Spero ci sia un ottimo motivo per cui lo sto sentendo da te e non da lui.

– Ecco, volevo proprio chiederti di essere buona con lui. Ho la sensazione che volesse impressionare me –. Breslin riesce quasi a trattenere il sorrisetto compiaciuto. – Niente di grave, tra qualche anno le reclute saranno ansiose di impressionare anche te.

Il messaggio è: se durerai ancora qualche anno. – E cosa ha trovato? – chiedo.

– Ne ho qui un campione. Solo una clip fatta con il telefono. C’è dell’altro, sul computer di Reilly.

Scorre il dito sul cellulare e me lo allunga. Lo prendo in mano.

Il video è sgranato, ma riconosco subito il posto, perché ci vado spesso: il Tesco di Prussia Street. E riconosco il tizio mingherlino che prende una bottiglia di Lucozade dal frigo e la porta alla cassa fai da te. Il profilo delicato, l’angolazione della testa, le spalle appena un po’ ingobbite, il modo in cui muove le mani. Ho passato ore a concentrarmi su ogni particolare della sua persona, solo due giorni fa.

– Quello è Rory Fallon, – dico.

– O il suo clone. E guarda qua.

Si china verso di me, ingrandisce la foto e zooma sull’orario della ripresa. 21.08, 14/01/2015. Due settimane fa.

Dico: – Rory ci ha detto che ha dovuto cercare il Tesco piú vicino sul cellulare, sabato sera.

– Infatti. Ci ha dato l’impressione precisa di non essere mai stato prima a Stoneybatter.

Sullo schermo, Rory prende il resto alla cassa e si guarda intorno. Per un attimo fissa direttamente la telecamera. I suoi occhi, un po’ mossi nell’inquadratura, ma aperti e attenti, sembrano quasi fissare me.

– E come ho detto, – dice Breslin, – questa è solo la punta dell’iceberg. Abbiamo altri video in cui lui compare a meno di tre minuti a piedi dalla casa di Aislinn come minimo altre tre volte, questo mese. Giovedí scorso la sua auto è passata davanti a una telecamera di Manor Street, domenica 11 gennaio ha comprato il giornale all’edicola all’angolo e il 5 ha bevuto una pinta da Hanlon.

Rory era nervoso quando abbiamo parlato della sua deviazione da Tesco. Pensavo fossero i tempi a innervosirlo, ma c’era ben di piú. Rory non aveva nessun bisogno di cercare i negozi del posto sul cellulare. Li conosceva a memoria.

– E non contiamo le volte in cui può essere sfuggito a Reilly e le volte in cui non è passato davanti a qualche telecamera, e le volte che risalgono a piú di quattro settimane fa –. Breslin si riprende il telefono. – Altro che «un po’ fissato», – dice. – Questo è stalking.

– Sembra proprio di sí.

– E non stava portando i pasti agli anziani bisognosi della zona. Se fosse stata una cosa innocente, ce ne avrebbe parlato –. Si fa scivolare il telefono in tasca. – Ora, valeva o non valeva la pena di fare un po’ di straordinari, per questo?

– Farò due chiacchiere con Reilly, – dico. – Poi voglio vedere il resto di quei video. Dopodiché faccio venire di nuovo Rory e sentirò cos’ha da dire.

– Perché non cambi quell’«io» in «noi»? Tu e io, insieme, sentiamo cos’ha da dire.

– Sono a posto da sola, grazie.

Breslin inarca le sopracciglia. – Da sola? E Moran?

– È fuori.

– Ah, – commenta Breslin. – Lo hai mandato a scuotere gli alberi per i fatti suoi? Avevo notato che stavi per perdere la pazienza.

– Moran è capacissimo di gestire le sue cose da solo. Non ha bisogno che io lo tenga per mano.

Breslin mi scruta, divertito. – Potevo dirtelo io, che tu e Moran non siete fatti l’uno per l’altra.

– Non te l’ho chiesto.

– Da’ a quel ragazzo dodici testimoni, una corrispondenza del Dna e un video che riprende l’omicidio nel momento stesso in cui accade, e lui passerà un anno ad accertarsi che l’assassino non avesse un gemello segreto e i testimoni non fossero confusi e nessuno avesse sputato sul Dna. Non dico sia sbagliato, ci sono casi che richiedono un approccio simile. Ma tu, d’altra parte, sei il tipo che vuole risultati.

– Esatto. Per questo ora vado da Reilly a sentire cos’ha da dire e a guardare quei video, invece di starmene qui a parlare della vita. Ci vediamo piú tardi.

– Gesú Cristo, Conway, puoi rilassarti un attimo? Io sto dalla tua parte, lo capisci? Continui a comportarti come se fossi un nemico. Non so da dove hai preso questa idea, ma mi piacerebbe che te ne liberassi.

– Breslin, – dico. – Ti ringrazio di avermi mostrato quelle riprese. Ma io presumo che chiunque in questa squadra sia un nemico, a meno di non avere solide prove del contrario. Sono certa che puoi capire il perché.

– Oh, sí, – dice lui. Socchiude la porta e controlla il corridoio: è deserto. – Capisco perfettamente. Anzi, lo capisco meglio di te. Vuoi sapere la storia che ho sentito, su di te?

Pensa di avere un tono tentatore. – Non puoi presumere direttamente che sia una stronzata, e ripartiamo da lí?

– Sono certo che sia una stronzata. Ma tu hai bisogno di sentirla.

– Sono arrivata a trentadue anni senza mai dare spazio alle cattiverie degli altri. Penso di poter andare avanti ancora un po’.

– Invece no. Ogni volta che entri in sala detective, e magari pensi di star solo controllando le tue e-mail e bevendo un caffè, i ragazzi pensano a questa storia, e per quanto riguarda loro, sono convinti che tu sia cosí. E come ti sta andando, nella squadra?

Vuole a tutti i costi raccontarmi la sua storia. Lui e McCann hanno lavorato duro per convincermi che lui è solo un uomo dal cuore d’oro, ma quel tipo di offerta, «dammi una parte della tua vita che te la riscrivo a modo mio», non viene mai dalla bontà di cuore. Perciò rispondo: – Quando avrò bisogno di una mano, te lo farò sapere.

– Ti farà male, non voglio mentirti –. Breslin ha indossato l’espressione empatica, ma gliel’ho già vista addosso, durante gli interrogatori. – Posso capirti se non vuoi affrontarla.

– Infatti. L’unica cosa che voglio affrontare sono i miei casi. E voglio andare a fare quella chiacchierata con Reilly.

Faccio per aprire la porta, ma Breslin mi blocca la strada con un braccio. – Hai avuto un battibecco con Roche, la tua prima settimana qui. Te lo ricordi?

– Appena. È una notizia vecchia.

– Invece no. Lo hai sottovalutato. Pochi giorni dopo, lui ha raccontato a tutti che, quando eri ancora in divisa, hai combinato un casino grosso. Dovevi tenere a bada uno spacciatore, in strada, mentre il tuo partner andava a ispezionare la casa. Invece gli hai tolto le manette perché potesse andare a pisciare dietro una siepe, e lui se l’è filata. Dopodiché tu hai detto al tuo partner – Roche non ha fatto nomi, è troppo furbo per questo – che se l’avesse scritto sul rapporto tu lo avresti denunciato per aggressione sessuale, dicendo che ti aveva tastato le tette nell’auto di pattuglia.

Breslin abbassa il braccio e fa un deliberato passo di lato, liberando l’uscita. Io non mi muovo, come lui si aspettava.

– Il tuo partner lo scrisse ugualmente, – continua, – e tu hai dato seguito alla minaccia, rivolgendoti al capo squadra. La merda è schizzata fino al soffitto, il rapporto è stato riscritto a modo tuo, il tuo partner resterà in divisa per il resto della sua vita, mentre tu hai ricevuto una licenza pagata di tre settimane per riprenderti dal trauma. Qualcosa di tutto ciò ti suona familiare?

Le tre settimane che ho trascorso a fingermi la cugina di Pulci. E prima c’era stato un indiziato, un deficiente strafatto di coca – non ricordo neppure il nome, per dire quanta importanza avevo dato a quella storia – che se l’era filata davanti a me e al mio partner. Il mio partner dell’epoca era un bravo ragazzo, di quelli che hanno scritto in fronte «in divisa per tutta la vita» già dal primo giorno. Roche ha fatto la sua ricerca, si è assicurato che la storia avesse abbastanza attinenza con la verità, in modo da poterla dar da bere a tutti.

Breslin dice: – La metà della squadra ci crede. E vogliono liberarsi di te, il piú presto possibile, prima che tu faccia un numero simile con qualcuno di loro. E sono molto, molto seri al riguardo.

Mi guarda a occhi socchiusi, in attesa di una lacrima, un tremito, un segno che voglio prendere Roche a calci nei denti. – Avevo ragione, – dico. – Potevo andare avanti benissimo senza saperlo. Grazie, comunque, lo terrò a mente.

Breslin spalanca gli occhi di scatto. – La stai prendendo molto alla leggera, Conway.

– Roche è un pezzo di merda. Non è esattamente una novità. Cosa dovrei fare? Svenire? Mettermi a piangere?

– Non è stato facile dirtelo, sai? Io sono un tipo leale, e molti nella squadra lo vedrebbero come un tradimento. E questa squadra significa molto, per me. Vorrei almeno un po’ di gratitudine per ciò che ho fatto.

Ancora un minuto e avrà la schiuma alla bocca dall’indignazione, e io dovrò ripulirla prima di poter tornare al lavoro. – Ti sono grata, – dico. – Sul serio. Solo non capisco perché tu me l’abbia detto.

– Perché qualcuno doveva farlo. Il tuo partner avrebbe dovuto farlo mesi fa. Dài, Conway, è ovvio che Moran lo sa. Credi che Roche non l’abbia preso da parte, appena arrivato, per dirgli con chi era finito a lavorare? – Breslin sta ancora aspettando una mia reazione, con occhi freddi e attenti da poliziotto, dietro l’accenno di sorriso. Vuole che questa discussione finisca con me che piango sulla sua spalla o prendo a pugni i muri o entrambe le cose. Tutta l’energia che ci mette; che spreco. – Il tuo partner deve proteggerti. Non staremmo parlando di questo, se lui avesse fatto ciò che doveva.

– Forse non ha visto nessun motivo per cui dovessi saperlo.

– Cosa? Ma certo, che dovevi saperlo. E devi saperlo ora, anzi, no, dovevi saperlo mesi fa. Ormai sei agli sgoccioli, Conway. Mi capisci? – Breslin si avvicina troppo, incombe su di me, è il sistema che usa con gli indiziati che sono lí lí per confessare. – Hai ancora una possibilità, ma è l’ultima. Se smetti di trattarmi come un nemico, avrai chiuso il caso per la fine di questa settimana. Io potrò garantire per te in sala detective, e la mia parola ha un certo peso. E se poi riesci a comportarti in modo civile con i ragazzi, sei a posto, e sarai una ricchezza per la squadra, e come ho detto, per me significa qualcosa. Ma se continui a bloccarmi perché hai il complesso della martire, il caso andrà a puttane e io non sarò piú dalla tua parte, perché non mi piace legare il mio nome a casi che sono andati a puttane. E a quel punto, per dirla come va detta, tu sarai fottuta.

Si appoggia di nuovo contro il muro, mettendosi le mani in tasca. – Sta a te decidere –. Il cavaliere nella lucente armatura, pronto a salvarmi se solo glielo lascio fare.

Io non accetto di farmi salvare. Accetto un aiuto, questo sí, come l’ho accettato da Gary e da Pulci. Il salvataggio, quando stai affondando per la terza volta, dopo aver tentato di tutto senza successo, è una cosa diversa.

Se qualcuno ti salva, ti possiede. Non perché sei in debito con lui, questo lo puoi sistemare a colpi di favori o di cassette di liquori. Il tuo salvatore ti possiede perché tu non sei piú il protagonista della tua storia. Sei solo il povero perdente / damigella indifesa / spalla impavida, che è stato salvato dal pericolo / disonore / umiliazione dal brillante e compassionevole eroe / eroina, il quale decide il ruolo che devi avere, perché tu non sei piú al volante.

Ho giudicato male Breslin, evidentemente. Non vuole affondarmi, non necessariamente. Vuole che diventi una sua proprietà.

Questo è il motivo per cui McCann ha tentato di ammorbidirmi, con il foglio della dichiarazione recuperato e la storia del cuore d’oro. Forse Breslin ha anche un problema personale con Roche, e sta mettendo su la propria squadra. Forse ha saputo che il capo ha deciso di andare in pensione – Breslin è il suo preferito, se c’è qualcuno che sa queste cose è lui – e pensa che rimettere in riga la cattiva ragazza aumenterà le sue possibilità di ottenere quel posto. O forse non ha nulla di specifico in gioco, ma mi considera una facile occasione da prendere, di cui poi servirsi in futuro.

Riderei, se ne avessi la forza. Non servirò proprio a nessuno, non in questa squadra.

Breslin si tocca la tasca dove ha messo il telefono. – Conway, – dice, in tono piú gentile. – Non ero obbligato a condividere questo con te, lo sai. Sarei potuto andare da solo a prendere Rory per interrogarlo senza di te. Te l’ho detto perché è meglio per tutti se tu e io lavoriamo insieme. È meglio per il caso, per la squadra, per te, e sí, anche per me –. Sorride, con un misto perfetto di calore paterno e rispetto professionale. – Diciamolo, Conway, tu e io siamo una buona squadra. Domenica pomeriggio abbiamo fatto un ottimo lavoro con Rory. E con questo in mano, – tocca di nuovo la tasca, – possiamo fare molto meglio.

Mi sto caricando per dirgli dove può ficcarsi il suo tentativo di salvataggio, ma a un tratto capisco che non importa. Non ho bisogno di preoccuparmi che Breslin voglia salvarmi, possedermi, o affondarmi. Qualsiasi cosa abbia in mente per me, io non sarò piú qui. Ha ragione, lavoriamo bene insieme, e all’improvviso sono libera di servirmi di lui, senza avvitarmi su me stessa pensando alle conseguenze, come una Rory Fallon qualunque. La decisione di lasciare la squadra è divertente. Avrei voluto pensarci prima.

– Va bene, – dico. – Facciamolo. Ma non parliamo dei video finché non lo dico io. Voglio tenermelo come jolly.

– Non c’è problema, decidi tu –. Breslin fa un ampio sorriso. – Sarà divertente, Conway. Quando mostreremo queste immagini a Rory, se la farà nelle sue mutandine di pizzo.

– È anche meglio di questo, – dico. Breslin solleva un sopracciglio interrogativo. – Cercavamo un movente, o almeno qualcosa che potesse aver scatenato l’aggressione. Giusto?

Breslin sbuffa da un angolo della bocca. – Be’, lo cercavi tu. A me non importa molto perché l’ha fatto, mi basta dimostrare che è stato lui.

– Rory arriva a casa di Aislinn, – dico. – Tutto eccitato per la grande serata. È un po’ in anticipo, ma non è un problema. Lei lo fa entrare, sono felici di stare insieme; e a un tratto, in qualche modo, viene fuori lo stalking. Forse Rory si lascia sfuggire qualcosa che dimostra la sua conoscenza di Stoneybatter. O forse lei gli dice di averlo visto in zona e lui non trova subito una storia di copertura adeguata.

È bello trovare una storia che funziona. Capisco perché tutti siano cosí ansiosi di riuscirci. Vedo l’intera scena davanti agli occhi come un altro videoclip, ma si tratta di un video che posso manipolare qua e là finché diventa esattamente ciò che voglio. – In un modo o nell’altro, Aislinn ci resta male. Aveva già notato che Rory è un po’ fissato, ma aveva messo a tacere i propri dubbi. Ma se c’è di mezzo lo stalking, Rory si qualifica come un vero e proprio pazzoide. A quel punto lei tenta di mandarlo via, e lui perde la testa.

Breslin ha le labbra in fuori e annuisce a tutto ciò che dico. – Mi piace, – dice. – Mi piace molto. Conway, credo tu abbia centrato il punto. Sapevo che c’era un motivo per cui avevo fiducia in te.

Io dico: – Vediamo cosa ne pensa Rory.

Breslin mi sorride, un gran sorriso caldo come se io fossi la cosa piú bella che abbia visto da mesi. – Andiamo, – dice. – Usciamo di qui, questa stanza puzza.

Infatti il corridoio sembra aria di montagna, a confronto. Breslin chiude la porta della sala operativa E con aria sprezzante, come per dire: «Non avrai piú bisogno di entrare qui dentro».

Di ritorno nella nostra sala operativa, chiamo Rory e gli chiedo, in tono casuale e amichevole, se vuol darci ancora una mano e tornare in centrale per un’altra rapida chiacchierata. Immagino che tirerà fuori un mucchio di scuse, tipo che non può lasciare il negozio, che ha un appuntamento, che non si sente bene, e sono pronta a buttarle giú l’una dopo l’altra. Ma Rory si mostra disponibilissimo a venire subito. Vuole farci vedere che è dalla nostra parte, ma io sono cosí poco abituata alle cose facili che mi sembra innaturale, quasi inquietante, come se il mondo fosse uscito leggermente dai binari e non volesse tornare nella realtà. Ho una voglia pazzesca di andare a dormire.

Steve non è rientrato. Una parte di me spera ancora nel suo ritorno prima dell’arrivo di Rory. Devo per forza iniziare l’interrogatorio con Breslin, visto che mi ha portato i video, eccetera, ma posso portare dentro Steve per la spinta finale: facciamo confessare Rory, quello scemo di Steve capisce che avevo ragione io, si scusa e andiamo a farci una pinta e tutto torna normale. In quel momento il mio cervello ricorda che le cose non torneranno normali, mai piú. La sala operativa ondeggia, le luci lampeggiano, il ronzio dei computer sale come l’urlo di una sirena.

Quando chiamo Reilly alla mia scrivania, lui non fa nemmeno finta di scusarsi, mette su un’espressione vuota e guarda oltre la mia spalla in attesa che io abbia finito. Ero pronta a dargli una bella lavata di capo e a rimandarlo alla scrivania, ma vedendo il sorrisetto sprezzante che riesce a stento a trattenere, mi viene in mente Steve. Steve, che in quel vecchio caso, anni fa, ottiene un’informazione chiave e se ne prende tutto il merito, senza informare il detective incaricato. Reilly mi dà la nausea. Non voglio piú farlo a pezzi, voglio solo che scompaia dalla mia vista. Quando gli dico di lasciare la sala e tornare nel gruppo di reclute a disposizione, il suo viso – il sorrisetto è scomparso, sostituito da rabbia e umiliazione – non mi dà neppure una goccia di soddisfazione. Le altre reclute fanno finta di concentrarsi sul loro lavoro, mentre Reilly raccoglie la sua roba ed esce, sbattendo la porta. Breslin, seduto alla sua scrivania, mi osserva con le palpebre mezze abbassate e la penna tra i denti, pronto a dirmi se ho fatto la cosa giusta oppure no. Non glielo chiedo.

I video mostrano proprio quello che aveva detto Breslin: Rory che se ne va in giro per Stoneybatter quando non avrebbe dovuto. Mando Meehan a tentare di avere tutti i video di sorveglianza di dicembre che riesce a ottenere – non ne saranno rimasti molti – e di cominciare a guardarli. Poi isolo le migliori inquadrature di Rory, con tanto di orari in fondo a destra, e le stampo.

Squilla il telefono fisso: Bernadette mi dice che Rory Fallon è al pianterreno. – È arrivato, – dico a Breslin.

– Andiamo, – dice lui, spingendo indietro la sedia. – Ci vediamo dopo, ragazzi. Vi porteremo un bello scalpo.

Le reclute alzano gli occhi e annuiscono, troppo in fretta. Temono che io possa azzannare alla gola il primo che incrocerà il mio sguardo. Sul monitor del mio computer, una strada di Stoneybatter, sgranata e in bianco e nero, procede a salti: un corridore bloccato in un angolo dello schermo, teletrasportato all’angolo opposto in un batter d’occhio; un alsaziano ripreso mentre piscia e poi scomparso. Premo stop. I computer, la lavagna bianca e le reclute ondeggiano e si curvano ai bordi come un tessuto leggero sott’acqua, che si allontana sempre di piú.