9.
Breslin rientra poco dopo. Spalancando la porta della sala e dicendo al mondo: – Gesú Cristo, che gente gli amici dell’indiziato! Tutti professori di Storia. Qualcuno vuole parlare della curva del tasso di omicidi dalla fondazione dello Stato libero?
È come quando sei adolescente e vedi la persona che ti piace: quella scarica elettrica attraverso lo sterno, fino al cuore. – Ehi, – dico.
Le reclute regalano a Breslin la risata che cercava, ma lui finge di non farci caso; i suoi occhi sono fissi su me e Steve. – Qualche aggiornamento?
– Ha chiamato Cooper, – dico.
– E?
– Due possibilità. O un culturista forzuto le ha dato un pugno della madonna, lei è caduta all’indietro e ha battuto la testa; oppure qualcuno che non deve essere per forza un culturista le ha dato una spinta, lei è caduta sul gradino del caminetto senza farsi troppo male, e lui le ha dato un pugno mentre era a terra.
Breslin si blocca di colpo e la sua faccia perde ogni espressione. Ma la sua mente va a mille. Proprio come me e Steve, fatica a immaginare Rory in quella veste spietata, e non è contento.
Ma si riprende in fretta. – Culturista, – dice, con una risata secca. – Con tutto il rispetto per Cooper, ma è proprio un’idea da topo di laboratorio. Se avesse passato un po’ di tempo in trincea, saprebbe che anche un mingherlino come Rory può venirsene fuori con un gran pugno, se è abbastanza incazzato.
È la stessa cosa che ho pensato io, ma venendo da lui mi sembra di doverla contrastare. – Forse, – dico.
Breslin si fa strada tra le scrivanie verso di noi, dando una pacca sulla spalla a Stanton mentre passa. – Dobbiamo chiederlo a Rory, dico bene? Ci divertiremo, la prossima volta che lo faremo venire.
– Non saprà neppure cosa l’ha colpito, – dice Steve, annuendo. La cartellina blu è scomparsa tra le altre carte sulla scrivania.
– Proprio come Aislinn, – è l’inevitabile battuta di Breslin, ma detta senza partecipazione. – Ho sentito che avete ricevuto qualcosa. Niente che volete condividere con il gruppo?
Io e Steve ci guardiamo, perplessi. Steve dice: – Parli dei tabulati telefonici della vittima?
– Non credo, a meno che passasse la vita al telefono. McCann dice che si trattava di una grossa scatola, cosí speciale che il ragazzo che l’ha portata non voleva mollarla –. Tocca con una scarpa lucida l’angolo della scatola che sporge da sotto la scrivania. – Può essere questa?
Ha gli occhi fissi su di me, con un’aria fin troppo casuale. Non ha senso tentare di depistarlo, a meno che non voglia strapparlo fisicamente dalla scatola con un placcaggio da rugby; e comunque all’improvviso ne ho abbastanza di muovermi in punta di piedi intorno al grande Breslin, nascondendogli la mia indagine come una ragazzina nasconde la sigaretta mentre passa il professore. – Ah, quella? Il padre di Aislinn è scomparso quando lei era piccola, – dico, osservando il suo viso. – Moran pensava che forse c’era un collegamento. Tipo qualcosa collegato a una gang, o un ritorno improvviso del padre che è andato per il verso sbagliato.
Breslin spalanca gli occhi. – Una gang? Moran. Conway. Parlate sul serio? Pensate che una gang abbia rapito il padre di Aislinn e poi abbia deciso di uccidere lei, vent’anni dopo? Mi piace. Ditemi di piú.
Trattiene a stento una risata. Steve china la testa e arrossisce. – Ah, no, non è che pensavamo davvero… Voglio dire, me lo ero solo chiesto –. È di nuovo in modalità nuovo arrivato un po’ tonto, ma il rossore è reale.
Una parte di me è d’accordo con Breslin su questo, ma ho altre cose in mente. La sua faccia quando gli ho detto cosa c’era nella scatola: per un decimo di secondo ho visto la sua bocca rilassarsi dal sollievo. Quale che sia la cosa da cui vuole farci stare lontani, non si tratta del padre di Aislinn.
– Allora, non tenetemi in sospeso, – dice. – Chi è stato? Boss della droga? Contrabbandieri di armi? La mafia?
– Il padre ha tagliato la corda, – dico. – È andato in Inghilterra a vivere con una donna giovane. E niente ritorno in famiglia: tra i dati elettronici di Aislinn non c’è nessun contatto inspiegato.
Mi sembra di vedere di nuovo quella minuscola esplosione di sollievo sul viso di Breslin, ma prima di poterne essere sicura è già scomparsa, sotto un’espressione carica di finto stupore. – No! – indietreggia, con una mano sul petto. – Mi prendete in giro. Chi l’avrebbe immaginato?
Sta calcando la mano, ed è troppo furbo per farlo senza motivo. Vuole metterci in imbarazzo per distoglierci dall’idea della gang.
– Lo so, – dice Steve, annuendo e scrollando le spalle allo stesso tempo. – Lo so, sul serio. È solo che non volevo lasciare nulla di intentato, capisci?
– Scuotere gli alberi per vedere se cade qualcosa, – dice Breslin, asciutto. Il sorriso è sparito. – Non è cosí che si dice? Non credo sia il modo in cui i contribuenti vorrebbero vedere speso il loro denaro, ma non sono io che decido, qui. Continuate pure a scuotere, e fatemi sapere se cade qualcosa.
– Ma certo, – dice Steve. – Io speravo… – Si passa una mano tra i capelli, con una faccia da cane bastonato.
Breslin si sfila il soprabito e lo getta sullo schienale della sedia; ha scelto una scrivania molto vicina alla nostra, il che mi fa sentire speciale. – C’è una linea sottile tra la speranza e la disperazione, e bisogna sapere quando è il momento di mollare, come dice la canzone.
– Già mollato, – dico. – McCann vuole dare un’occhiata al fascicolo, prima che lo rispediamo alla Persone scomparse?
Breslin mi fissa. – McCann stava solo cercando di darti una mano, Conway. Si chiama gentilezza. Potresti imparare ad accettarla senza farti venire i tremori.
Steve avvicina la sedia alla mia, inviando onde di pace nel mio cervello. – Gli manderò un biglietto di ringraziamento, – dico. – Come se l’è cavata Gaffney, ieri sera?
– Bene. Non è la luce piú splendente sull’albero di Natale, ma ci arriverà, un po’ alla volta.
– Allora come mai l’hai mandato via, oggi?
Breslin sta dando una spazzolata con le mani al soprabito, per evitare spiegazzature e per far notare l’etichetta Armani, ma alza la testa e mi fissa. – Cosa?
– Lui doveva essere la tua ombra. Ma ha detto che non avevi bisogno di lui per i colloqui con i conoscenti di Rory.
– È cosí. Sono in grado di scrivere e ascoltare allo stesso tempo, Conway. Si chiama multitasking, non è piú una cosa solo per signore.
– Buono a sapersi. Gaffney comunque aveva bisogno di te. È per questo che gli ho detto di starti attaccato; non voglio che una recluta combini un casino perché nessuno gli ha spiegato bene il lavoro. Perché non te lo sei portato dietro?
Mi aspetto lo stesso finto cameratismo di stamattina. È anche per questo che lo sto provocando: voglio che Steve lo veda di persona. Ma Breslin si china verso di me con aria complice, mentre un accenno di sorriso gli solleva un angolo della bocca. – Conway, dammi tregua, eh? Ogni tanto un uomo ha un appuntamento a cui deve andare da solo. Capisci cosa intendo? – E mi fa una strizzatina d’occhio.
Vuol dire che si è fermato lungo la strada per infilare l’uccello dove non dovrebbe. Il che spiega non soltanto l’aver abbandonato Gaffney, ma anche la persona che stamattina non avrebbe dovuto chiamarlo a quel numero.
Non la bevo. In una squadra dove tradire le mogli ha la stessa rilevanza di una chiacchierata in pausa caffè, Breslin e McCann sono soprannominati «i monaci». Secondo le voci, nessuno dei due ha mai lanciato neppure un’occhiata a un’agente carina, o tentato di attaccare discorso con la donna della Scientifica che tutti tentano di abbordare. Breslin probabilmente pensa che io e Steve siamo troppo lontani dai pettegolezzi della squadra per saperlo. Dimentica che non siamo sempre stati dei reietti, e che i giovani che desiderano entrare in squadra assorbono come spugne ogni diceria riguardante le creature alte e splendenti che anche loro un giorno potrebbero diventare.
– Non dire altro, – dice in fretta Steve, alzando le mani. Ha un sorriso a metà tra imbarazzato e impressionato, ma sono certa che sia sulla mia stessa linea di pensiero. – Un gentleman non rivela mai queste cose.
– No, infatti, Moran. Ti ringrazio.
– Va bene, – dico, con un sorriso come quello di Steve. – Alla fine Gaffney non può aver fatto molti danni, giocando con le carte qui dentro. Com’è andata con i conoscenti di Rory?
– Oh, benissimo –. Breslin si accomoda sulla sedia, accende il computer e stira le braccia. – Sono un mucchio di merde secche, i classici tipi che ti correggono la grammatica mentre parli e pensano che uscire a bere tre bicchieri sia una nottata da urlo. Ma direi che sono troppo spaventati da noi per mentire. Dicono tutti le stesse cose su Rory: è una mammoletta, non farebbe male a una mosca… Uno di loro mi ha detto che non guarda neppure gli incontri di boxe, perché li trova troppo stressanti. Che sfigato.
Corrisponde: Rory non ama vedersi davanti la realtà. – Anche gli sfigati possono perdere la testa, – dico.
Breslin schiocca le dita. – Esatto, Conway. Proprio cosí. Stavo per dirlo io. E tutti i conoscenti concordano che Rory era innamorato cotto di Aislinn: da quando si erano conosciuti parlava solo di lei. Lo dicono come se fosse una buona cosa, tipo: «Era cosí affascinato che non le avrebbe mai fatto del male!» Non credo abbiano mai riflettuto che il confine tra affascinato e ossessionato è molto sottile –. Alza lo sguardo, mentre tira fuori di tasca il taccuino. – È bello sentire almeno uno di voi due ammettere che il fidanzatino ossessionato presente sulla scena del crimine potrebbe davvero essere un indiziato. Detective Conway, ho ragione se dico che scuotere gli alberi ti sta un po’ stancando?
– No, è un buon esercizio, – rispondo. – Ma come hai detto, a meno che non cada giú qualcosa di veramente grosso, Rory è ciò che abbiamo. Ci basta qualche prova un po’ piú solida e siamo pronti a incriminarlo. Hai fatto ascoltare le voci al poliziotto di Stoneybatter che ha risposto alla chiamata?
– Già, a proposito, Conway, una parola all’orecchio… – Lancia un’occhiata alle reclute e abbassa la voce. – Dovresti imparare a distribuire meglio le risorse. So che sembrano stronzate manageriali, ma ora dirigi un’indagine, e che ti piaccia o no sei una manager. E non ci vuole un detective della Omicidi con vent’anni di esperienza per schiacciare «Play» una mezza dozzina di volte.
L’ego di Breslin farebbe fatica a entrare dalla porta della stazione di Stoneybatter. Steve fa un movimento. – Capito, – dico, docile. – Ci mandiamo Gaffney? Tanto per fargli capire che non è sul tuo libro nero?
– Ora sí che pensi nel modo giusto. Sí, facciamo cosí. Diglielo tu, cosí lui capisce chi è il capo, qui; che te ne pare? – Breslin mi fa il suo sorriso da maestro saggio, gentile e con le rughe intorno agli occhi; mi scalderebbe l’anima, se fossi piú stupida di un pallone gonfiato.
– Grazie, – dico, con gratitudine. – Sarebbe perfetto –. Ruoto la sedia, senza guardare Steve per non mettermi a ridere, e dico, ad alta voce: – Gaffney. Vieni, c’è un lavoro per te.
Gaffney per poco non cade dalla sedia, per la fretta di venire da noi. – Prendi questo, – gli dice Breslin, lanciandogli un registratore. – Sono campioni vocali di Rory Fallon, dei suoi fratelli e di tutti i suoi amici maschi –. Solleva un sopracciglio verso di me e indica Gaffney con il mento, per chiarire che mi sta dando l’imbeccata.
Io dico: – Portalo alla stazione di polizia di Stoneybatter e vedi se una di queste voci suona familiare al poliziotto che ha preso la telefonata. Se lui dovesse avere dei dubbi, organizza un confronto vocale all’americana. Te la senti?
Gaffney stringe al petto il registratore come un oggetto prezioso. – Me la sento, certo. Senza problemi. Sí. Ci penso io –. È cosí preso a spostare lo sguardo tra me e Breslin, nel tentativo di capire chi comanda, che fatica a mettere insieme le frasi.
– Grazie, – dice Breslin, tirando fuori di nuovo il sorriso. – Fammi un favore: quando torni prendimi un sandwich. Pane integrale, con prosciutto, formaggio e insalata, senza cipolla. Ho saltato il pranzo e muoio di fame –. Fa un’altra strizzata d’occhio a me e a Steve, tirando fuori i soldi per Gaffney. – Mi spiace, non ho spiccioli.
È una banconota da cinquanta, e io sono abbastanza vicina da vedere che nel taschino della camicia da dove l’ha presa ce n’è un fascio, in una busta bianca spiegazzata.
Il messaggio che ho lasciato a Gary in segreteria era la cosa giusta da fare: cinque minuti piú tardi lo schermo del cellulare si illumina e appare il suo nome. Non penso di rispondere con Breslin a meno di due metri da me, e non voglio andare a rispondere fuori, attirando la sua attenzione. Borbotto tra me: – Cristo, mamma, sono al lavoro, – passo il dito su «Rifiuta» e mi ficco il telefono in tasca con un gesto seccato. Mi guardo intorno, imbarazzata, per vedere se Breslin ha sentito; ha gli occhi fissi sulla dichiarazione che sta battendo al computer, ma le labbra accennano a un sorriso.
Aspetto quindici minuti, prima di uscire dalla sala operativa. Vorrei aspettare di piú, ma sono le cinque e alle cinque e mezzo abbiamo la riunione sul caso. Lascio dentro borsa e cappotto. Con un po’ di fortuna, Breslin penserà che sono uscita per richiamare la mamma. Non guardo Steve, sperando che abbia capito.
Fuori è buio: la luce biancastra dei riflettori e il freddo compatto e qualche funzionario pubblico che si avvia verso casa con il bavero alzato fanno sembrare l’enorme cortile una specie di paesaggio futuribile nel quale sono finita per sbaglio, senza poter capire come uscirne. Trovo un angolo riparato, mi stringo addosso la giacca del tailleur e guardo l’orario sul telefono. Quattro minuti dopo, la porta si apre e ne esce Steve; tenta di tenere sotto controllo la bracciata di carte che ha in mano e di chiudere allo stesso tempo la porta alle sue spalle senza lasciarla sbattere.
– Era ora, – dico, afferrando al volo una pagina che stava per volare via.
– Muoviamoci. Ho detto che andavo a fotocopiare questa roba. Se Breslin viene a cercarmi…
– È il meglio che sei riuscito a pensare? Facciamo in fretta –. Voltiamo l’angolo dell’edificio, ridendo come scolari che hanno marinato la scuola; sempre meglio del pensiero che la centrale operativa C è tutta mia, in teoria, eppure mi trovo qua fuori a gelarmi il culo.
Dalle nostre finestre si vedono i giardini, e nel cortile potremmo incontrare Gaffney di ritorno da Stoneybatter. Perciò andiamo nella piazza davanti agli edifici principali del castello, dove vanno solo i turisti – non che ci siano turisti in giro, con questo tempo – e troviamo un angolo al riparo dal vento. I palazzi intorno a noi sembrano altissimi; i riflettori tolgono loro colori e profondità: potrebbero essere fatti di qualsiasi cosa, metallo o plastica, o persino aria.
Steve posa a terra il suo fascio di carte, mettendoci sopra un piede per non farle volare via. È in maniche di camicia, rischia il congelamento. Io tengo il telefono tra noi due, chiamo e metto in viva voce.
– Ciao, – dice la voce di Gary. – Hai ricevuto la roba, giusto?
Gary ha dieci anni piú di me ed è perfetto per ciò che fa. Buona parte del lavoro, alla Persone scomparse, consiste nel convincere a parlare con te persone che normalmente si tengono lontane dai poliziotti: prostitute di strada, che ti dicono della nuova arrivata che corrisponde alla descrizione dell’adolescente apparsa sui notiziari, un tossico senzatetto che menziona il tizio che ieri si era messo a dormire accanto a lui e somigliava molto alla foto su quel manifesto, e quindi gli spetta una ricompensa, sí o no? Tutti parlano con Gary e lui è disposto a parlare con tutti, che è un altro motivo per cui avevo indirizzato Aislinn a lui. Un’altra buona parte del lavoro è gestire amici e familiari degli scomparsi, e Gary ha un effetto calmante; una volta l’ho visto rintracciare una ragazzina idiota scappata di casa in dieci minuti netti, convincendo la sua migliore amica idiota a calmarsi abbastanza da ricordare il nome del tizio con cui la ragazza scomparsa aveva iniziato una relazione su internet. Gary è un omone, sembra il tipo capace di costruirti un capanno, se dovessi averne bisogno, e ha una voce calma, profonda, con un tocco di accento campagnolo, che ti fa venire voglia di chiudere gli occhi e lasciarti cullare. Sentendo quella voce al telefono anch’io mi calmo un po’.
– Ciao, – dico. Gary si trova nella sala detective della Persone scomparse: sento voci in sottofondo, qualcuno si lamenta, qualcun altro ride, un cellulare squilla. – Sí, l’ho ricevuta. Sei un tesoro. Ho solo un paio di domande veloci, ma fammi un favore: puoi andare in un posto piú privato?
– Non c’è problema, aspetta un att… – Il cigolio della sedia, il commento di uno dei ragazzi, accompagnato da un sorriso, immagino. Gary dice: – Sí, sí, sí –. Poi, rivolto a me: – Questo stronzetto vuol sapere se ho problemi di prostata. I giovani d’oggi; senza rispetto.
– Oooh, Gar. Io ti rispetto.
– Almeno non prendi in giro la mia prostata. Mai burlarsi della prostata di un uomo. È una cosa sporca.
– Un colpo sotto la cintura, eh?
– Cristo santo. È questa la vostra idea di umorismo? – Sento chiudersi una porta e le voci scompaiono: Gary è in corridoio. – Bene. Cosa vuoi sapere?
Steve tiene d’occhio i punti di ingresso nella piazza, ma ascolta con attenzione. – Prima di tutto, – dico, – per il caso di Desmond Murray c’è stato un bello spiegamento di forze. Gli indizi facevano pensare che avesse tagliato la corda volontariamente, poi si è scoperto che era proprio cosí, ma voi ci avete lavorato come se si trattasse di un omicidio. Come mai?
Gary sghignazza. – Questa è facile. Per via della moglie: hai visto la foto?
– Sí. Bella donna.
– La foto non le rende giustizia. Era bellissima. Non il tipo che vorresti vedere in calze a rete e reggicalze per scopartela fino a svenire, no; il tipo che vuoi proteggere. Il tipo a cui tieni aperta la porta per lasciarla passare, che ripari sotto il tuo ombrello –. La voce si fa confusa, sento acqua che scorre, acciottolio di stoviglie. Sta sciacquando una tazza nel cucinotto, con il telefono stretto tra collo e spalla. – E ci sapeva fare, anche. Ci guardava come fossimo supereroi; si diceva certa che avremmo trovato suo marito; era cosí fortunata ad avere noi, non sapeva cosa avrebbe fatto, se il suo mondo fosse stato nelle mani di persone di cui non poteva fidarsi come invece si fidava di noi. Piangeva nei momenti giusti, facendo attenzione a sembrare anche piú bella mentre versava le sue lacrime: suo marito era appena scomparso, ma lei andava lo stesso dal parrucchiere e si truccava e veniva ad aprirci la porta con un bel vestito addosso. Sapeva cosa stava facendo, te lo dico io.
Sembra che Aislinn avesse preso dalla madre. – Stai dicendo che era una recita? Che non gliene fregava nulla del marito e voleva solo ricevere attenzione?
Gary schiocca la lingua. – No, no. Al contrario, era ossessionata dall’idea di riavere il marito; non era un tipo molto socievole, non aveva amici, né un lavoro, non aveva nulla a parte il marito e la figlia, e senza di lui la sua vita era nella merda. E sapeva che dedicare del tempo a farsi bella e mostrarsi bisognosa di protezione era il modo migliore di convincere gli uomini a fare ciò che voleva.
– Interessante, – dico. Sento il ronzio della macchina del caffè. Invece di lamentarsi continuamente del caffè di merda, come facciamo alla Omicidi, i ragazzi della Persone scomparse hanno messo un po’ di soldi ciascuno e si sono comprati una caffettiera decente. – E ha funzionato, direi.
– Già. Io non sono molto attratto da quel tipo di donne, ma alcuni dei ragazzi avrebbero usato l’esercito, se avessero potuto, per cercare suo marito. Rintracciare qualche cellulare, parlare con qualche testimone in piú… era roba da nulla.
Gary ricorda un bel po’ di cose su quella donna, per uno che non ne era attratto. Ma tengo la bocca chiusa: lui fa emergere la parte gentile di me. – Quindi non era perché qualcuno sospettava che Murray fosse implicato in qualche storia di gang?
Gary ride. – Gesú, no. Nulla del genere. Puro come la neve fresca, quel Murray. Per quanto riguarda la legge, almeno.
Lancio un’occhiata a Steve. Lui fa una smorfia poco convinta. Ha le mani strette sotto le ascelle per tenerle calde.
Alzo gli occhi al cielo e dico al telefono: – Sei sicuro che se cosí fosse lo avresti saputo?
– Grazie della stima, Antoinette.
– Dài, Gar, sai che non si tratta di questo. Ma allora avevi… quanti anni? Ventisei, ventisette? Avevi lasciato la divisa da quante settimane? Tre? È probabile che i detective incaricati non ti dicessero tutto ciò che passava loro per la mente, no?
Dal telefono arriva il tintinnio del cucchiaino che gira nella tazza. Gary dice: – È questo che pensavi tu quando eri qui? Che io ti nascondessi delle cose per tenerti al tuo posto, visto che eri nuova?
– No, – rispondo. – So che non l’avresti fatto.
La squadra Persone scomparse non è come la Omicidi. Lí non lavori per catturare un cattivo; lavori per avere un lieto fine. Se c’è solo il sospetto che ci possa essere un cattivo di mezzo, non è piú un tuo problema: per esempio, viene fuori un cadavere sospetto? Passi il caso alla Omicidi. Puoi trascorrere tutta la carriera senza mai usare le manette. Lí arrivano persone diverse da quelle che sono attratte dalla Omicidi o dall’unità Crimini sessuali, dove il lieto fine non compare nel menu e quindi l’atmosfera è del tutto diversa. La Persone scomparse non è mai stata il mio posto preferito, ma per un attimo vorrei tanto essere ancora lí. Sento l’odore del caffè, rivedo Gary che canticchia Bring Him Home, «riportalo a casa», dopo un caso finito bene, mentre tutti gli urlano di chiudere la bocca e di presentarsi a X Factor. Mi vengono in mente nuovi posti in cui nascondere quel criceto di gomma. Come una bambina, voglio correre a casa dalla mamma non appena il gioco si fa duro. Mi do la nausea.
– Già, non l’avrei fatto, – dice Gary. – E allora era uguale: se i detective incaricati avessero pensato al crimine organizzato, me l’avrebbero detto. Da dove arriva questa idea del coinvolgimento di una gang?
Evito di voltarmi verso Steve, nel caso che quel momento di debolezza mi si legga in faccia. – Ricordi la figlia di Murray, quella che mandai da te quando venne a chiedere di suo padre? È appena stata ammazzata.
– Ah, – dice Gary, sorpreso ma non scioccato. – Riposi in pace. Sembrava una brava bambina all’epoca, ed era una ragazza dolce quando tu la mandasti da me. Credi che fosse finita immischiata in una gang?
– Non esattamente. Piú che altro sembra che il suo ragazzo abbia perso la testa e l’abbia uccisa, ma ci sono alcuni capi sciolti che vogliamo legare, per stare sul sicuro. E ci siamo chiesti se lei, continuando a cercare il padre, non avesse pestato i piedi a qualcuno.
– Non aveva motivo di cercarlo in quegli ambienti. Nel caso Murray non c’era nulla che indicasse qualcosa di losco.
In realtà avrei voluto tanto che mi dicesse il contrario; Me lo sento nelle ossa insieme al freddo, il desiderio disperato che ci fosse qualcosa di losco, una cosa qualsiasi. Ma forse sapevo dall’inizio che Gary non me l’avrebbe detto.
Steve sussurra: – I detective. Perché hanno tenuto la bocca chiusa?
– Altra domanda, – dico. – C’è un motivo per cui non diceste alla famiglia dov’era andato Desmond?
Gary fa una specie di sospiro esasperato, mentre beve un sorso di caffè. – Antoinette. Non scherzavo, quando ti ho detto «niente critiche». Non era un tuo caso, e il modo in cui ci hanno lavorato loro non è un problema tuo. Se ti metti a blaterare delle cose che tu avresti fatto in modo diverso, riuscirai solo a far incazzare delle persone. Credi di potertelo permettere?
Significa che si è sparsa la voce. La squadra Persone scomparse è stata informata che io sono un boccone avvelenato. Anche se volessi tornare, il capo probabilmente non mi prenderebbe. Sa che sono in gamba, ma nessuno vuole una detective che si porta dietro dei problemi, non importa se quei problemi sono causati da lei o da altri.
– Perciò non costringermi a blaterare con nessuno. Smetti di fare il misterioso, dimmi che cosa è successo realmente e non dovrò andare a parlare con gli altri detective.
– Non c’è nessun mistero. Quando hanno ritrovato Murray io non lavoravo piú al caso. Ci ero entrato solo all’inizio, per dare una mano durante lo sforzo iniziale, quindi non conosco tutti i particolari. Ho sentito che lo trovarono in Inghilterra, dove si era costruito un nido d’amore con l’amante. Uno dei ragazzi andò a parlarci: lo trovò contento come un maiale nella merda; non aveva nessuna intenzione di tornare a casa e non voleva che dicessero nulla alla moglie e alla figlia. Perciò non glielo dissero.
Gary sembra prendere il mio silenzio per disapprovazione, ma non è cosí: anch’io non mi sarei voluta immischiare in quel pasticcio. È solo la parte piú testarda di me, che spera ancora che questa non sia tutta la storia. Gary dice: – Noi non facciamo gli psicologi della famiglia, lo sai. Non era compito nostro trovare una soluzione al triangolo amoroso; il nostro compito era trovare quell’uomo e i ragazzi l’hanno trovato. Dopodiché hanno chiuso il caso e sono andati avanti.
Steve fa una faccia scontenta, guardando le finestre buie; ancora non è convinto. Chiedo: – Senza nemmeno dire alla moglie che Desmond era vivo? Hai detto che li teneva tutti sulla corda, disposti a gettarsi nel fuoco per portarle delle risposte; e poi, quando ne trovano finalmente una, si allontanano del tutto da lei?
– Ti sto solo dicendo ciò che ho sentito. E ti consiglio di non andare in giro a parlarne con nessuno. Cosa c’entra con il tuo caso, in ogni modo?
– Probabilmente nulla. Come ho detto, sto solo cercando di legare i capi sciolti. Di scuotere gli alberi –. Guardo Steve alzando un sopracciglio, e lui mi fissa con aria seccata, tipo «molto divertente». – Un’ultima cosa. So che è passato qualche anno, ma ricordi cos’avevi detto a Aislinn, quando era venuta da te?
Gary beve un sorso di caffè e ci pensa. – Era piuttosto convinta che sapessimo piú di ciò che avevamo detto a lei e a sua madre. Disse che la madre era morta e che lei voleva disperatamente trovare il padre. Disse che la sua scomparsa le aveva rovinato la vita. Voleva trovarlo, guardarlo negli occhi e costringerlo a dirle perché l’aveva fatto. Non sapeva cosa sarebbe successo dopo. Disse che lui, vedendola, si sarebbe ricordato di quanto si erano voluti bene, e forse avrebbero potuto ricostruire qualcosa… Ma anche se non fosse andata cosí, pensava che una volta saputa l’intera storia per lei sarebbe stato possibile andare avanti e farsi una vita sua.
Oh, Gesú Cristo che salta sulla croce come fosse un pogo! Sento di essere del tutto dalla parte di Des Murray. Probabilmente aveva tagliato la corda perché l’alternativa era spaccare la testa al resto della famiglia con un attizzatoio. – E tu cosa le hai detto?
– Che le informazioni dell’indagine erano riservate e non potevo rivelarle nulla. Ma… l’avrai notato anche tu che era a pezzi. Faceva di tutto per mantenere il controllo ma era lí lí per scoppiare in lacrime. Mi supplicava, per un attimo ho temuto sul serio che si mettesse in ginocchio sul pavimento. Alla fine ho fatto una telefonata a un collega perché controllasse il nome di Desmond Murray sui database, solo per vedere se era vivo o morto. Per evitare a quella ragazza di cercarlo in mezzo mondo se nel frattempo era deceduto.
Aislinn era proprio figlia di sua madre; sembrava indifesa, ma sapeva come ottenere ciò che voleva. Persino io alla fine le avevo dato il nome di Gary e i giorni in cui sarebbe stato di turno. Aislinn mi piace sempre meno ogni momento che passa.
Gary dice: – E ho pensato che, se fosse stato ancora vivo, forse le avrei detto che la cosa migliore per lei era assumere un investigatore privato in Inghilterra. Perché no, in fin dei conti?
Squadra Persone scomparse: il lieto fine è la loro droga. – E?
– Ed era morto. Già da qualche anno. Nulla di sospetto, un infarto, credo.
Ed ecco che il papà esce dal quadro. Per poco non scoppio in una risata di sollievo. Do di gomito a Steve, mimando con le labbra la parola «Visto?» Lui scrolla le spalle, come per dire: «Valeva la pena provarci». Alzo gli occhi al cielo.
Gary dice: – Aveva lasciato tre figli e una vedova. Vedova per modo di dire, perché Murray non aveva mai sposato la donna con cui era fuggito, dato che non aveva divorziato dalla madre di Aislinn.
– Quanto di tutto questo hai detto a Aislinn?
Lui sbuffa: – Eh, non è stata una decisione facile. Immaginavo che sapere dell’amante e dei fratellastri sarebbe stato un mezzo shock, e visto che il padre era morto e non poteva piú parlarci, anche sapere tutta la storia non avrebbe portato alla ragazza ciò che cercava. Ma non potevo nemmeno sbatterla in strada senza dirle nulla: «Arrivederci, continua a cercare tuo padre e buona fortuna». Aveva almeno il diritto di sapere che il padre era morto.
Steve rovescia i palmi in alto con un gesto elaborato, per dire: «Esatto». Io mimo il gesto di farsi una sega. – Quindi gliel’hai detto.
– Sí. Solo quello: che nel sistema informatico Desmond Murray era riportato come deceduto. E che io non avevo altre informazioni.
– Come la prese?
– Non bene –. Vedo quasi la smorfia sul viso di Gary. – A essere sincero, andò fuori di testa. Il che era anche logico, immagino. Andò in iperventilazione, per un attimo pensai di dover chiamare un’ambulanza. Ma le dissi di trattenere il respiro e lei riuscí a riprendersi.
– Non c’è una persona migliore di te, per queste cose, – dico.
– Sí, certo, come no. Era ancora agitata, tremava, gemeva e tutto il resto. Voleva sapere come mai nessuno gliel’aveva detto, se i detective avevano mentito a sua madre o erano davvero un mucchio di incapaci, come avevano potuto non scoprire un’informazione che io avevo trovato in dieci minuti? Io dissi che i detective erano in gamba, ma a volte un caso va a sbattere contro un muro, per quanto bravo tu possa essere, e informazioni provenienti da altre fonti possono metterci un bel po’ a essere inserite nel sistema…
Si tratta di un istinto automatico, come sbattere le palpebre quando ti vola un granello di sabbia in un occhio: un civile accusa un altro poliziotto di incompetenza, e tu lo neghi. Che abbia ragione o torto non c’entra. Apri la bocca e ne esce una bella storia di copertura rassicurante e liscia come l’olio. Prima non mi avrebbe disturbato, anche perché fare tante scuse a Aislinn non sarebbe servito a nulla, se non a sprecare un sacco di tempo; ma oggi tutto mi sembra sospetto, come se potesse scoppiarmi in faccia al minimo tocco sbagliato; niente sembra stare dalla mia parte.
– Lei ti ha creduto? – chiedo.
Gary fa un suono vago. – Non lo so. Ho solo continuato a parlare, tentando di calmarla. Ho insistito molto sul fatto che almeno ora poteva mettere un punto fermo e ripartire, perché aveva tutto il diritto di farsi una vita sua, e suo padre sembrava davvero essere stato un brav’uomo e di sicuro le aveva voluto un mondo di bene, e abbandonarla, quale che fosse stato il motivo, gli aveva spezzato il cuore. Eccetera. Lei non sembrava convinta, non sono nemmeno sicuro che mi ascoltasse, ma alla fine si è calmata –. La voce di Gary ha sempre successo. Avrebbe potuto leggerle l’elenco dei turni e sarebbe stato lo stesso. – Quando si è ripresa abbastanza da poter guidare, l’ho mandata a casa. Questo è quanto. Come vedi, non c’è nulla che può averla spinta a pensare al crimine organizzato.
– Sono d’accordo, – dico, guardando Steve, il quale scrolla di nuovo le spalle. Ha gli occhi fissi su un tizio diretto a passo svelto verso il cancello principale; è troppo lontano per riconoscerlo, con questa luce, ma comunque è occupato a lottare contro il vento che tenta di strappargli la sciarpa e non guarda dalla nostra parte. – Grazie, Gar. Apprezzo molto l’aiuto.
– Allora, lascia stare l’idea di parlare con gli altri detective. Se non vuoi farlo per te, fallo perché mi devi un favore. Non ho proprio bisogno che mi saltino alla gola perché ti ho passato il fascicolo del loro caso.
Tradotto, Gary non vuole che gli attacchi la mia stessa malattia. Una parte di me lo capisce, nessuno vuole beccarsi i pidocchi. L’altra parte di me vuole prenderlo per il collo e dirgli di tirare fuori gli attributi.
– Va bene, – rispondo. – Puoi mandare di nuovo quel ragazzo a riprendersi la scatola?
– Nessun problema. Dovrebbe essere già quasi da voi.
– Perfetto. Grazie di nuovo. Ci vediamo la prossima settimana, cosí ti offro quella pinta?
– La prossima è un casino. Ti chiamo io quando si calmano un po’ le acque, va bene? Auguri per il caso, mi spiace di non esserti stato di grande aiuto.
Riattacca e torna dalla sua squadra, con la sua tazza di vero caffè, a prendersi le battute sulla prostata, a cantare sigle musicali e a cercare un lieto fine dopo l’altro.
Non mi chiamerà, e scopro che mi fa male piú di quanto credessi. Fingo di aver bisogno di tutta la concentrazione possibile per rimettermi il telefono in tasca. Steve si china e fruga tra le sue carte. Se mi accorgessi che lo sta facendo per delicatezza verso di me, lo ucciderei.
– Allora, – dico in tono pratico. – La teoria della gang esce di scena, almeno per quanto riguarda Des Murray. Se i detective avessero avuto dei sospetti che non volevano scrivere nel fascicolo, Gary lo avrebbe saputo. Desmond Murray è scappato con l’amante. Fine della storia.
– Certo, – dice Steve, raddrizzandosi. – Ma Aislinn non lo sapeva.
– E allora? Gary ha ragione: aveva zero motivi per pensare al crimine organizzato. Zero assoluto.
– Certo, se avesse pensato in modo logico. Ma non… No, Antoinette, stammi a sentire –. Si china verso di me, parla in fretta. – Aislinn si lasciava trasportare dalla fantasia. Ricordi quello che ci ha detto Lucy, di quando erano piccole? Se le cose andavano male, Ash inventava storie assurde in cui sistemava tutto. E doveva farlo, no? Nella vita reale, era solo spinta qua e là dalle decisioni di altri. L’unico posto dove aveva un potere, l’unico in cui era lei a decidere, era la sua immaginazione.
Steve ha dimenticato il freddo. – Perciò si è costruita questa fantasia: si sarebbe messa alla ricerca del padre, poi si sarebbe gettata tra le sue braccia e la sua vita sarebbe andata di nuovo a posto. Questa fantasia era ciò che le consentiva di andare avanti. E poi il tuo amico Gary gliel’ha tolta di colpo.
– Messa cosí, sembra che Gary abbia incendiato la bambola preferita di una povera bambina, – dico. – Aislinn ormai era adulta e sua madre era già morta. Poteva fare ciò che voleva della propria vita. Non aveva bisogno delle fantasie sul papà; al contrario, quelle fantasie le impedivano di crescere. Gary le ha fatto un favore.
Steve scuote la testa. – Aislinn non aveva idea di cosa fare della sua vita. Le mancava l’esperienza. Hai sentito Lucy: Aislinn aveva cominciato a giocare alla vita solo da un anno o due, ed era comunque tutta roba di fantasia: si vestiva come se fosse uscita da una rivista, frequentava discoteche alla moda… Perciò, quando Gary le ha ucciso la fantasia della riunione con il padre, ha avuto bisogno di crearsene subito un’altra. E una storia con un malavitoso era perfetta.
Gli si illumina il viso mentre ne parla, come se vedesse tutto in diretta. È impossibile non volergli bene: dove io vedo un binario morto, lui vede una svolta brillante del suo grande intreccio. Vorrei poter fare le mie vacanze nella testa di Steve.
– Forse aveva deciso che suo padre era stato testimone di un omicidio tra gente della malavita, e aveva dovuto lasciare la città in fretta, prima che loro lo trovassero. O qualcosa di simile, con molto dramma, un motivo importante per la fuga del padre e anche per spiegare come mai non era mai tornato a cercarla.
– Ma non spiega perché lui non l’ha nemmeno mai cercata, su Facebook per esempio, – gli faccio notare. – «Ciao, tesoro, papà è vivo, ti voglio bene, addio».
– Aveva paura di farlo, nel caso che la gang controllasse il profilo Facebook di Aislinn: non voleva che le facessero del male. Sí, io lo so che sono un mucchio di stronzate, – aggiunge quando faccio una risata, – ma lei forse non lo sapeva. Ci sono un milione di modi in cui poteva spiegare a sé stessa ogni cosa per farla quadrare con la sua fantasia. E vuoi sapere qual è il capitolo seguente? Aislinn, la figlia coraggiosa, entra nel mondo della malavita per scoprire il segreto di suo padre. Garantito.
– Scoprirlo come? Entrando in un pub di infimo livello a chiedere se qualcuno sapeva qualcosa di Desmond Murray?
Steve annuisce in fretta. Un altro funzionario pubblico passa poco lontano da noi, ma lui non ci fa caso, tanto è ipnotizzato dalla sua storia. – Qualcosa di non troppo diverso. Chiunque legga i giornali è in grado di trovare i nomi di alcuni pub che servono da ritrovi per la malavita. Aislinn entra, chiede qualcosa da bere…
– Credi davvero che avesse le palle per farlo? Io non lo farei, e so cavarmela molto meglio di lei –. Questa idea mi sta irritando: due detective professionisti ridotti a inseguire in giro per la città la fantasia alla Nancy Drew di una giovane idiota. Il mio lavoro è occuparmi di storie che sono successe davvero, afferrandole per il bavero e trascinandole verso il finale giusto, anche se scalciano e mordono. Le storie che succedono solo dentro la bella testolina di qualcuno sono come nuvole bianche, non c’è modo di afferrarle. E occuparmi di loro non dovrebbe essere un problema mio.
– Non si tratta di avere le palle, ma di quanto lei fosse immersa nella propria fantasia. Se quello è il posto dove aveva il controllo, non avrebbe mai creduto che qualcosa potesse andare storto. Come una bambina. È quello che ha detto Lucy, ricordi? Nella testa di Aislinn, lei è l’eroina, quella che può trovarsi in situazioni difficili ma ne viene sempre fuori.
– E poi cosa? Si siede nel pub sperando di essere avvicinata dall’uomo giusto?
– Visto il suo aspetto, qualcuno prova ad abbordarla. Questo è certo. Lei si mette a flirtare, poi torna un’altra sera, conosce gli amici del tizio; e non appena ne trova uno promettente, lo punta. Ehi… – Steve alza una mano e schiocca le dita. – Forse è proprio questo il motivo del suo nuovo aspetto. Abbiamo pensato che si fosse messa a dieta e avesse rinnovato il guardaroba perché voleva una nuova vita; ma se invece fosse stato tutto parte di un piano piú grande?
– Oh, – dico, riflettendoci sopra. Per la prima volta provo un vago senso di rispetto per Aislinn. Una donna che tenta di trasformarsi in Barbie perché quello è l’unico modo in cui sente di valere qualcosa, ha bisogno di un calcio in culo. Ma se lo fa per una missione di vendetta, guadagna dei punti almeno per la determinazione.
– I tempi quadrano, – dice Steve. – Secondo Lucy, Aislinn ha cominciato la sua trasformazione un paio d’anni fa. Cioè, non molto dopo aver parlato con Gary ed essersi trovata a dover cambiare i suoi piani –. Schiocca di nuovo le dita. Praticamente saltella sul posto. – Gesú: la sua casa. Hai presente che non c’erano foto di famiglia? Questo può essere il motivo. Non voleva che l’amante segreto riconoscesse suo padre –. Gli brillano gli occhi. Forse è meglio che non ci capiti mai un caso davvero buono: per l’eccitazione potrebbe pisciarmi su una gamba. – Ed ecco perché lo aveva lasciato per Rory: aveva finalmente capito che non poteva dirle nulla di utile. Tutto quadra, Antoinette, non lo vedi?
– Oppure, – dico, – tutta la storia della malavita è una stronzata dall’inizio alla fine. Lei parla con Gary, capisce che la riunione con il padre a base di abbracci, baci e cioccolata calda non avverrà, e toglie le foto di famiglia dai muri di casa perché decide di voler vivere una fantasia da vissero felici e contenti. Quel tipo di fantasia dove il brutto anatroccolo si rifà il trucco e diventa un bel cigno e si trova un bel principe azzurro. Che però in questo caso si rivela essere un grosso orco cattivo. Anche cosí quadra.
Ma ormai non c’è modo di spegnere l’entusiasmo di Steve. Scuote la testa già prima che io finisca. – E Lucy, allora? Credi che si sia inventata dal nulla la storia dell’amante segreto? E tutto il suo nervosismo era solo una finta?
– Forse, – dico. La scintilla di rispetto per Aislinn si sta spegnendo; tutta questa teoria comincia a farmi incazzare sempre di piú. Premo un piede a terra per evitare di agitare un ginocchio. – Io ho messo in giro la voce tra i miei contatti: se Aislinn frequentava dei malavitosi, verrò a saperlo. E quando Lucy troverà il fegato di venire in centrale a parlare con noi, la spremeremo di piú e vedremo cosa ne esce. A quel punto sarà una dichiarazione ufficiale, e non credo che lei se la sentirà di tenere per sé delle informazioni. Fino ad allora…
Steve sta tamburellando due dita sul muro come un picchio; è frustrato dal fatto che io non voglia capire. – Fino ad allora cosa? E se Lucy non viene?
– Le lasciamo un altro paio di giorni per accumulare lo stress, poi andiamo noi da lei. Fino ad allora, lavoriamo con ciò che abbiamo. Non con ciò che forse potremmo trovare chissà dove.
Lui non ha l’aria contenta. Gli dico: – Che vorresti fare? Andare in tutti i pub noti per essere ritrovi di delinquenti e chiedere ai ragazzi se qualcuno di loro si scopava la nostra vittima?
– Voglio prendere le foto segnaletiche dei ragazzi di Cueball Lanigan e mostrarle al barman del Ganly’s. Potrebbe ricordare piú di ciò che pensa.
Scrollo le spalle. – Fa’ come credi. Io preferisco concentrarmi su come quello che abbiamo saputo di Aislinn può portarci a qualcosa di utile –. Ho già in mano il telefono e faccio il numero di Sophie.
– Cosa? Chi?
Mi risponde la segreteria. – Ciao, sono Antoinette. Se il tuo uomo non ha ancora trovato la password per quella cartella, digli di provare con variazioni di Desmond Murray, Des Murray e tutto ciò che può avere a che fare con «papà», «papi», «cercando papà», «papà scomparso». Il padre della vittima è andato via di casa quando lei era piccola, e secondo le informazioni che abbiamo forse lei lo stava cercando. Vale comunque la pena provare, no? Grazie.
Riattacco. – Ottima idea, – dice Steve. Ha già un’espressione piú contenta. – Se quella cartella contiene foto di facce losche, in tal caso, tu…
– Oddio, – dico, spalancando gli occhi. – E se Aislinn pensava che suo padre fosse diventato un malavitoso? Magari aveva fatto trovare il cadavere di un povero cristo qualsiasi con addosso i suoi documenti e lui invece era vivo e vegeto, sotto una nuova identità. Che ne pensi? – Steve resta a bocca aperta, tentando di capire se parlo sul serio. Aggiungo: – Piantala, eh? Ora andiamo a fare la nostra riunione.
Dobbiamo tornare nella sala operativa separatamente, dopo esserci tolti di dosso il freddo e l’odore di fuori. Io vado in bagno e mi sciacquo con acqua e abbondante sapone fino a profumare di finte erbe naturali; Steve va a farsi una tazza di caffè nella caffetteria. Quando torniamo con aria casuale alle scrivanie, Breslin sta adulando una delle ex di Rory al telefono e non alza quasi gli occhi.
Solo che le mie carte sono nell’ordine sbagliato. Avevo lasciato in cima l’estratto conto di Rory, ora però il foglio è coperto da un angolo del mio taccuino, che avevo lasciato chiuso, mentre ora è aperto sugli appunti che ho preso durante la telefonata di Cooper. Guardo Breslin, ma è tutto impegnato a convincere la ex di Rory a lasciarlo andare da lei in serata per fare due chiacchiere, e non incrocia il mio sguardo. Piú cerco di ricordare con precisione cosa avevo lasciato dove, meno ne sono sicura.
Gaffney arriva di corsa giusto in tempo per la riunione, con gli occhi umidi e paonazzo per il freddo, e ci racconta com’è andata a Stoneybatter: ha fatto ascoltare all’agente le voci registrate di Rory, dei suoi fratelli e di tutti i suoi amici, e l’uomo si è mostrato piuttosto sicuro che la telefonata non fosse stata fatta da nessuno di loro.
– Ah, pazienza, – dice Breslin. – Grazie comunque. Anche di questo –. Comincia a scartare il sandwich. – È fantastico.
– Temo di aver fatto piú male che bene, – spiega Gaffney, preoccupato. – Dà a Breslin il suo resto, una manciata di banconote e monete. – Dopo aver ascoltato tutte le voci, l’agente ha cominciato a non ricordare piú bene quella dell’uomo che aveva telefonato. Capite cosa voglio dire? Ora, se gli portiamo altre voci da ascoltare, non sarà piú in grado di…
– È una cosa che capita, nei confronti di questo tipo, – lo interrompe Breslin, onorandolo con un sorriso. – Non è colpa tua, figliolo; rischi del mestiere. Tu hai fatto un buon lavoro.
– Sí, – dico io. – Grazie –. Mi viene fuori come una specie di grugnito sgarbato, ma non importa: Gaffney è troppo preso dall’ammirazione per Breslin per notare la mia esistenza. L’unica cosa che riesco a pensare è che ovviamente il confronto vocale ha rovinato le nostre possibilità di identificare la persona che ha fatto la chiamata. Ogni volta che abbiamo qualcosa in mano, appena la tocchiamo si sbriciola, trasformandosi in nulla. Ancora altro nulla che si deposita come polvere fine e appiccicosa sulle scrivanie, rendendo opachi gli eleganti computer.
Prima di tornare a casa, Steve e io andiamo ad aggiornare O’Kelly. Ci riceve in piedi davanti all’alta finestra, dandoci le spalle, con le mani nelle tasche del completo di tweed. Si dondola sui talloni e guarda verso i giardini bui, come se ascoltasse solo a metà, ma vedo i suoi occhi nel vetro, che si spostano rapidi tra il mio riflesso e quello di Steve.
Quando finiamo, il suo silenzio significa che vuole qualcosa di piú. Il riflesso di Steve guarda verso di me, ma non mi volto.
O’Kelly dice, senza girarsi: – Sono andato a fare un salto nella vostra sala operativa, verso mezzogiorno, e non vi ho visti. Dov’eravate?
È passato molto tempo dall’ultima volta che ho dovuto rendere conto a un capo del mio tempo, come se fossi una ragazzina. Prima che apra bocca, Steve dice, tranquillo: – Abbiamo effettuato la perquisizione in casa della vittima. Poi abbiamo mostrato una sua foto in giro per Stoneybatter, chiedendo nei pub e in locali vari, per vedere se qualcuno la riconosceva, non si sa mai che l’avessero notata mentre faceva qualcosa di interessante.
– E?
Steve alza una spalla. – Niente di che.
O’Kelly lascia quella risposta nell’aria per qualche secondo, prima di parlare. – Questo pomeriggio avete ricevuto qualcosa da un ragazzo che si è rifiutato di darla a qualcun altro. Di che si trattava?
Bernadette ha da sempre una cotta per il capo, e tutti sanno che approfitta di ogni scusa per parlargli all’orecchio. Può essere stata lei a fargli la soffiata, ma anche no. – Il padre della vittima è scomparso quando lei era piccola, – risponde Steve. – Ci sembrava una strana coincidenza e abbiamo dato un’occhiata al fascicolo.
– Qualche risultato?
– No. Lui se l’è filata con l’amante giovane. È morto qualche anno fa.
O’Kelly infine si volta. Poggia la schiena contro la finestra e ci esamina. La rasatura di stamattina non è andata molto bene, ha il viso rosso e screpolato, come se si stesse sfaldando lentamente. – Sapete come vi state comportando? – chiede.
Aspettiamo.
– Vi state comportando come se non aveste un indiziato. Vi agitate in ogni direzione, seguite ogni movimento che vi passa davanti agli occhi. Un detective agisce cosí quando non ha in mano nulla –. Sposta lo sguardo da Steve a me. – Ma voi avete un indiziato perfetto. Quindi, c’è qualcosa che non so? Cosa non va in Rory Fallon?
Rispondo io. – Tutto ciò che abbiamo su Fallon è circostanziale. Non abbiamo nulla di solido che lo colleghi all’omicidio: niente sangue sulla sua roba, niente sangue suo o capelli sulla vittima, niente sbucciature sulle nocche. Non siamo neppure in grado di provare che sia entrato in casa. Non abbiamo un movente. Stiamo ancora lavorando su tutto questo, e se la Scientifica mi chiama dicendo che hanno trovato fibre della moquette di Aislinn sui pantaloni di Rory, allora sí, non presterò piú tanta attenzione ad altre possibilità. Ma finché si tratta solo di prove circostanziali, intendo esaminare altri scenari in modo da poterli escludere. Non voglio portare Fallon in tribunale e scoprire solo allora che esiste un testimone, trovato dalla difesa, che ha visto la ragazza litigare in modo violento con un uomo che non somiglia affatto a Rory Fallon.
O’Kelly ha tirato fuori di tasca una manciata di oggetti: una graffetta, un fazzoletto accartocciato, un sassolino, e se li rigira in mano lentamente, senza guardarmi. Poi chiede: – Perché non lo avete richiamato qui per interrogarlo, oggi?
È passato molto tempo anche dall’ultima volta che ho dovuto rendere conto a un capo delle mie decisioni, in un caso che non sta affatto deragliando. Se fossi sicura che si tratta solo di una strategia di O’Kelly per spingermi ad andarmene, sarei piena di collera. Ma non ne sono affatto sicura. Penso al rotolo di banconote da cinquanta di Breslin, rivedo O’Kelly che dice: «Breslin è di turno stamattina. Prendete lui». L’aria di questo posto si sta trasformando in qualcosa di diverso, che acquista velocità e può cambiare direzione in qualsiasi momento; qualcosa che dovrei valutare con piú freddezza che amore.
Rispondo, con appena una nota aggressiva nella voce: – Perché non ho voluto. Quando avremo tutti i rapporti dalla Scientifica, allora lo porteremo qui e colpiremo duro. È un tipo nervoso; lasciarlo cuocere a fuoco lento per un paio di giorni non creerà nessun problema. Anzi.
O’Kelly mi fissa con occhi acutissimi per un secondo, poi distoglie lo sguardo. Dalla roba che ha in mano prende una pasticca per la gola ammaccata e la fissa con leggero disgusto. – Non so cos’hai da sentirti soddisfatta, Conway.
Come ho detto, O’Kelly è molto piú intelligente di quello che finge di essere. Mi tolgo l’espressione dalla faccia. – Capo?
– Non importa –. Allunga la mano sopra il cestino e la apre. La spazzatura cade con un suono secco. – Andate pure. Ci vediamo domani. E tentate di arrivare da qualche parte.
Guidare in genere mi calma piú di qualsiasi altra cosa, ma stasera non funziona. Il vento fa cose strane, smette per darmi il tempo di rilassarmi, poi sbatte di colpo contro la macchina come un placcaggio di rugby, gettando una pioggia violenta sui vetri. Il traffico è nervoso, tutti sono troppo pronti a suonare il clacson e ripartono dai semafori troppo presto, cosí i pedoni non sanno che fare e si gettano tra le auto nei momenti sbagliati.
Prima di attraversare il fiume vengo fermata da una pattuglia. Sono appena passata con il giallo e immagino che anche l’agente in divisa abbia avuto una brutta giornata, ma la sua faccia sorpresa quando tiro fuori il tesserino mi dice che c’è qualcosa sotto. Infatti lui vuota subito il sacco: qualcuno ha chiamato dando il mio numero di targa per guida pericolosa, probabilmente in stato di ebbrezza. Un altro automobilista forse ha letto male il numero di targa, tra la pioggia e il traffico, solo che la descrizione dell’auto corrisponde al cento per cento: un’Audi TT nera del 2008. Quello l’hanno letto bene.
L’agente ha l’aria di voler fuggire a gambe levate, ma gli chiedo di farmi la prova del palloncino e di scrivere tutto, per evitare che qualcuno chiami il Bieco Crowley e gli dica che ho usato il distintivo per evitare una multa per guida in stato di ebbrezza. Potrei provare a rintracciare il numero della telefonata, ma so già che sarebbe un numero non registrato. Molti poliziotti si servono di cellulari usa e getta, per tante evenienze. Trascorro il resto del mio rilassante viaggio in macchina guardando nello specchietto alla ricerca della prossima luce blu sul tettuccio di un’auto. Non la trovo, il che significa che posso aspettarmi di incontrarla domani mattina.
Almeno non c’è nessuno in cima alla strada, stavolta; è già qualcosa. Apro la porta, accendo la luce, poso la cartella, chiudo la porta. Mentre mi volto verso il soggiorno, tre cose mi colpiscono, l’una dopo l’altra, in un batter d’occhio. Odore di caffè. Silenzio invece del suono dell’allarme. Movimento, appena un fruscio, in cucina.
Estraggo la pistola, con movimenti che sembrano lenti come in assenza di gravità, anche se so di muovermi a gran velocità, e la punto verso la porta della cucina. – Polizia, – dico. – Getta ogni arma, tieni le mani dove posso vederle ed esci lentamente.
Per il primo secondo vedo solo un tipetto mingherlino in tuta da ginnastica blu che appare sulla soglia con le mani sopra la testa. Penso sia un tossico che ha scelto di entrare a rubare nella casa sbagliata; ho il dito ben appoggiato sul grilletto e non riesco a trovare un motivo valido per non premerlo. Poi lui dice: – Hai bisogno di un sistema d’allarme migliore.
– Pulci! – dico, scoppiando a ridere. Se fossi il tipo da abbracci lo abbraccerei. – Pezzo d’idiota, mi hai quasi fatto venire un infarto. Non potevi semplicemente rispondere alla mia mail?
– Cosí è piú sicuro. E comunque non ci vedevamo da troppo tempo.
Sulla faccia ha un sorriso grande come un piatto da portata, uguale al mio.
– Piú sicuro? Per poco non ti ho sparato, lo sai? – rinfodero l’arma. Sento ancora la scarica di adrenalina. – Gesú Cristo!
– Non ero preoccupato, ho fiducia in te –. Pulci torna in cucina. – Ti faccio un caffè?
– Sí, grazie –. Lo seguo e gli do uno scappellotto in testa, non troppo forte. – Non farmi mai piú una cosa del genere. Se un giorno ucciderò qualcuno, non voglio che sia tu.
– Aaah! – Si massaggia la testa, con aria ferita. – Non volevo spaventarti. Avrei aspettato in soggiorno, ma pensavo che magari saresti rincasata con un uomo.
– Sí, certo. Mi piacerebbe averne la possibilità, qualche volta –. Ho ancora quel sorriso stampato in faccia. Non riesco a togliermelo. – Hai fame?
– Tu non hai nulla in casa. Ho controllato.
– Che faccia tosta. Ci sono dei bastoncini di pesce nel freezer. Vuoi un sandwich ai bastoncini di pesce?
– Letale, – risponde lui, allegro, e si mette a schiacciare tasti sulla macchina del caffè. – Questa è roba seria. Dovrei comprarne una anch’io.
– Se la mia sparisce, vengo a cercarla da te –. Accendo il forno e apro il freezer. Pulci poggia i gomiti sul piano di lavoro e osserva affascinato il caffè che scende.
È un piccoletto che sembra non aver avuto abbastanza latte dalla madre quando era neonato, il che, visto il quartiere da dove viene, è probabilmente vero. Il soprannome gli è rimasto dai tempi dell’accademia – che ha frequentato nei miei stessi anni – perché non riesce a stare fermo. Persino mentre aspetta il caffè salta da un piede all’altro come se avesse le pulci. All’accademia andavamo d’accordo. Io non ero lí in cerca di affetto e non volevo che qualche idiota dicesse che mi ero trovata un maschio che mi proteggesse; ma se non fosse stato per questo, saremmo diventati amici.
A metà del secondo anno, Pulci scomparve. Ci dissero che si era fatto beccare con dell’hashish addosso – con tanto di battutine sul fatto che un coatto in divisa sempre coatto resta – ma io non ci credetti. Pulci era troppo furbo per questo. E qualche anno dopo, quando mi tolsero da dietro una scrivania per interpretare il ruolo di Rachel, una cugina di Pulci felice di portare una valigia piena di soldi provenienti dal narcotraffico a un amico del suo capo, a Marbella, scoprii di aver avuto ragione. L’operazione funzionò alla grande, alcuni cattivi finirono in manette e io e Pulci ce la spassammo un mondo. Prima che tornassi alla mia scrivania, creammo un indirizzo e-mail sotto il nome di Rachel, per tenerci in contatto se ne avessimo mai avuto bisogno. Finora non ne avevamo avuto bisogno.
Portiamo sandwich e caffè in soggiorno e ci sediamo ai due capi del divano, con i piedi sul tavolino e i piatti in grembo. Ho acceso il fuoco; i muri spessi trasformano l’urlo del vento in un sussurro quasi piacevole. – Ahhh, – dice Pulci, muovendo le spalle per accomodarsi meglio contro i cuscini. – Bel posticino, proprio. Me ne devo trovare uno cosí, prima o poi. Tu puoi mostrarmi come sistemarlo per bene.
Il che mi porta a chiedere: – Come sapevi dove trovarmi?
– Ma dài. Come potevo non saperlo? – Mi sorride di nuovo. – Alla Omicidi, ora, eh? La squadra top. Come sta andando?
Significa che ha chiesto di me, ogni tanto, quando ne ha avuto la possibilità. – Alla grande. Meglio che togliere punti dalle patenti.
– Come sono i ragazzi? Tutto a posto?
Non capisco cosa voglia dire. Il suo viso a bocca piena non rivela nulla.
– Tutto a posto, sí, – rispondo. – Tu di cosa ti occupi, in questo periodo?
– Lo sai anche tu: un po’ di questo, un po’ di quello. Ricordi quel tipo, Occhiali? Il piccoletto senza collo?
– Gesú, quello –. Mi viene da ridere. – Sai che continuava a tentare di attaccare discorso con me? Ogni volta che mi lasciavi sola, me lo trovavo lí a dirmi che gli piacevano le ragazze alte e che i fantini piú bassi avevano il frustino piú lungo. Era sempre cosí convinto che continuava a dimenticare di averci già provato prima senza risultato.
Pulci sorride. – Sí, proprio lui. L’abbiamo dovuto arrestare. Non volevamo nemmeno farlo, perché era ancora utile, ma quel babbeo… Lui e il suo amico Fonzie erano in un bed and breakfast a Cork. Dovevano dividere in pacchetti un carico di ecstasy appena scaricato da una nave –. Pulci ha la ridarella, e me l’attacca, anche se non so ancora di cosa stiamo ridendo. – Occhiali assaggia la merce per vedere se è buona, solo che esagera. Alle tre del mattino è in giardino, in mutande, e canta. Mi hanno detto che la canzone era I Kissed a Girl, di Katy Perry.
Adesso rido sul serio, rilassata sul divano. È una bella sensazione.
Quando il padrone del bed and breakfast esce a vedere cosa succede, Occhiali lo abbraccia, gli dice che è bellissimo, poi corre dentro, salta nel letto con la moglie dell’uomo e comincia a fare il gioco del cucú sotto le coperte. Arriva la polizia, gli agenti lo accompagnano in camera sua dicendogli di farsi una dormita perché gli passi la sbronza, e trovano Fonzie addormentato in poltrona, dato che il letto era occupato da una quantità di ecstasy per un valore di centomila euro.
– Oh, Gesú, – dico, asciugandomi gli occhi. – Non potevate sequestrare il carico e lasciarli andare?
– Ci abbiamo provato. Il capo ha messo al lavoro mezza squadra per cercare qualche errore commesso dagli agenti in divisa, che so, perquisizione illegale, una cosa qualsiasi. Ma avevano fatto tutto a regola d’arte. Il povero Occhiali finirà in galera. Ehi, – aggiunge, indicandomi con il sandwich. – Dovresti andare a trovarlo, in carcere. Gli solleverebbe il morale.
Scherza, ma c’è un fondo di serietà nel suo tono.
– Gli chiederò di cantarmi Katy Perry, – dico. – Tirerà su il morale a tutti e due.
– Da ciò che ho sentito, non basterebbe.
– A proposito dei ragazzi, – dico. – Il «Courier» continua a pubblicare la mia foto. Questo ti crea dei problemi?
Pulci è il motivo per cui non lascio circolare foto della mia faccia. Per quel lavoro mi avevano truccata per bene (boccoli, grossi orecchini ad anello, trucco a palate, canottiere rosa con scritte tipo «Sfacciata» o «Il tuo ragazzo vuole me»), ma è sempre meglio stare sul sicuro. Pulci scrolla le spalle. – Finora no. Vediamo in seguito, cosa succede –. Ci vuole ben piú di questo per spaventare un agente sotto copertura. – Non credo che qualcuno ti abbia riconosciuta, soprattutto cosí ben vestita –. Accenna al mio tailleur, tra divertito e impressionato. – E francamente, sono passati diversi anni.
– Sí, fammelo notare, grazie.
Pulci mi esamina con sguardo critico, masticando. – Ti trovo bene, ma non benissimo; hai l’aria di aver bisogno di una vacanza.
– Sono a posto, anche se un po’ di sole non mi dispiacerebbe. Quali sono le probabilità?
– O di cambiare ambiente.
Alzo la testa di scatto dal panino, ma lui si è chinato in avanti per posare la tazza sul tavolino e non vedo i suoi occhi. Gli agenti sotto copertura sono cosí. Non riescono ad affrontare nulla in modo diretto. Ma ho ricevuto il messaggio. Pulci sa che la Omicidi per me non sta funzionando. Pensa che gli abbia scritto perché metta una buona parola per me, per farmi tornare a lavorare in incognito.
Per un attimo penso di raddrizzare di scatto la gamba e piantargli un piede nella pancia. Invece dico: – L’ambiente attuale va benissimo. Ma ho bisogno della tua opinione su qualcosa.
– Sí? – Il suo tono non è cambiato, ma gli passa un’ombra sul viso, un’ombra che somiglia al rimpianto. – Di cosa si tratta?
– Da’ un’occhiata –. Tiro su la schiena, allungo un braccio per prendere la cartella, trovo una foto di Aislinn versione 2.0 e gliela passo. – Si chiama Aislinn Murray. Ventisei anni, un metro e settanta, probabile accento da ceto medio di Greystones. L’hai mai vista in giro?
Pulci mastica, dondola un ginocchio e guarda la foto con attenzione. – Difficile a dirsi. Molte hanno questo aspetto. Direi di no, ma… Chi è?
– Vittima di omicidio.
Il ginocchio smette di dondolare. – È lei? Quella sui giornali?
– Sí. La sua migliore amica dice che aveva un uomo segreto, negli ultimi sei mesi. Pensiamo che potrebbe trattarsi di un criminale. Forse della gang di Cueball Lanigan.
Pulci guarda di nuovo la foto, piú a lungo. Scuote la testa. – No. Non stava con nessuno dei ragazzi di Lanigan.
– Sicuro? – Ma ho già sentito la sicurezza nella sua voce. La piacevole sensazione di calore si allontana in fretta. Vorrei prendermi a calci per averlo fatto venire fin qui inutilmente.
– Al cento per cento. In quel caso l’avrei incontrata. E anche se fosse stata con qualcuno di Crumlin o Drimnagh, probabilmente.
– Forse no. Se lei teneva segreta la relazione, forse lo faceva anche lui.
Pulci ride. – No, no, no. Una ragazza cosí? Chiunque se la scopi vuole che si sappia. L’avrebbe esibita al pub, alle feste, in ogni occasione.
– Anche se è sposato?
– No problem. Nessuno si aspetta che i ragazzi siano dei monaci, capisci? Nemmeno le loro mogli. Ora, se la moglie è la sorella di un altro dei ragazzi, allora è diverso, l’uomo in questione non esibisce l’amante davanti al cognato. Ma se ne vanterebbe lo stesso con gli altri. E sono tutti pettegoli come vecchie comari. Tutti sanno delle amanti degli altri –. Sta ancora scrutando la foto, ma il ginocchio ha ripreso a muoversi: sta perdendo interesse. – Aveva qualche oggetto di lusso di provenienza ignota? Rolex, gioielli, vestiti firmati?
– Niente che io abbia notato, – rispondo. – Tutta roba di prezzo medio, che avrebbe potuto comprarsi da sola. Nulla suggeriva che ricevesse regali. Ma forse non le piaceva fare la mantenuta.
Pulci ride. – Contanti extra?
– Niente. I suoi dati finanziari sembrano puliti.
– Viaggi? A un giglio come lei, l’amante non resisterebbe alla tentazione di chiedere di trasportare qualcosa. E se lei è il tipo da stare con uno della malavita, non dice certo di no.
Scuoto la testa. – La sua migliore amica sostiene che non era mai uscita dall’Irlanda. Abbiamo trovato un modulo per la richiesta del passaporto. Era una prima volta, non un rinnovo. Quindi non aveva il passaporto.
– Allora hai la tua risposta, – dice Pulci, restituendomi la foto. – Non posso giurarlo sulla mia vita, ma se fossi un patito delle scommesse punterei i miei soldi sul fatto che lei non avesse nulla a che fare con l’ambiente.
E ormai la sensazione calda è finita in cenere.
Dico: – Non puoi giurarci, quindi lei poteva avere almeno dei collegamenti.
Lui fa un’alzata di spalle. – Sí. Come poteva averli anche mia madre.
Pulci non è come Steve. Non costruisce niente sui se e sui forse. Se dice una cosa, è perché ne è sicuro.
Quindi la nostra bella teoria sul crimine organizzato finisce nel cesso con il risucchio dello sciacquone come colonna sonora. Credevo di essere pronta ad accettarlo.
Ho passato un giorno e mezzo come un cecchino nella giungla, spostando il mirino tra Breslin e McCann, il sangue che diventava adrenalina pura mentre aspettavo di capire quale dei due abbattere. Idiota, cretina a cinque stelle. Niente affatto diversa da Occhiali, che si fa arrestare durante un’azione sotto copertura e diventa bersaglio di battute a vita. L’unica cosa giusta che ho fatto, dal momento in cui ho preso in mano questo caso, è stata quella di tenere la bocca chiusa. Quasi tutto quello che ho pensato era un’idiozia.
Rimetto la foto nella cartella. Non voglio piú vederla. – Puoi tenere le antenne dritte, comunque? Tipo se qualcuno questa settimana ti sembra un po’ fuori fase, o qualcun altro passa piú tempo del solito al pub, ubriacandosi piú del normale? – Il sottofondo supplichevole della mia voce è patetico. – Lei è stata uccisa sabato sera, perciò chiunque sia stato, dovrebbe sentirsene addosso l’effetto.
Pulci è tornato al suo sandwich. – Forse sí, forse no. Molti di loro sono degli psicopatici; potrebbero far saltare la testa alla loro nonna senza pensarci due volte.
– Qualcuno che non è un totale psicopatico è al corrente di quanto è successo. Un uomo ha chiamato la stazione di polizia locale per dire di mandare un’ambulanza. Se non è l’assassino, è un suo amico con il quale il nostro uomo si è confidato.
– Capisco. Terrò gli occhi aperti per notare se qualcuno è fuori forma.
Lo farà solo per farmi contenta, ma lo farà. – Se noti qualcosa, – dico, – mandami un’e-mail prima di comparire qui. Giuro su Dio che se domani sera ti scopro sotto il mio letto ti sparo in quel culo ossuto.
– Comparire qui, – dice Pulci, togliendosi la maionese dalla guancia con il dorso della mano. – Non scherzavo, quando ho detto che hai bisogno di un sistema di sicurezza migliore. Ho disabilitato il tuo allarme in venti secondi, e ci ho messo forse un altro minuto ad aprire le serrature. E probabilmente lo sai già, ma c’è un tizio che sorveglia la tua strada.
L’aria nella stanza s’indurisce, mi graffia come carta vetrata. – Sí, – rispondo. – Mi era sembrato. Dove l’hai visto?
– Ho fatto un giro fino in cima alla via, per farmi un’idea del posto prima di entrare in casa tua. Lui era lí come se aspettasse qualcuno, solo che ho sentito… quella vibrazione, hai presente?
– Sí –. Tutti noi conosciamo la vibrazione. – Hai potuto vederlo bene?
– Ci ho provato. Volevo scroccargli una sigaretta –. Pulci si sporge in avanti, con lo sguardo vuoto da tossico, e dice in tono lamentoso: – Ehi, amico, ce l’hai una paglia? – Poi torna normale. – Ma lui mi ha visto andargli incontro e si è allontanato. Forse è solo che non gli piaceva trovarsi vicino uno come me, ma… – Scrolla le spalle. – Di mezza età, alto, corporatura media, cappotto costoso, un bel nasone. Non ho visto altro. Era tutto coperto, cappello trilby e sciarpa che gli nascondeva mezza faccia. Di nuovo, è normale, con questo tempo. Ma.
– Esatto. Ma –. Questo comunque esclude il Bieco Crowley, che è bassino, e il suo schifoso impermeabile. Peccato. Mi sarebbe piaciuto fingere di scambiarlo per uno stalker. – Io credo che sorvegli questa casa.
Pulci annuisce, niente affatto sorpreso. – Direi anch’io. Qualche idea su chi può essere?
Scuoto la testa. – Pensavo a un malavitoso che volesse spaventarmi. Dopo quella foto sul «Courier», chiunque può avermi aspettato fuori dal lavoro per seguirmi fino a casa. Ma se, come dici, la pista della gang è un binario morto… – La parola «gang» ha un suono piú stupido ogni volta che la ripeto. Allungo meglio le gambe sul divano, tentando di recuperare almeno in parte la sensazione rilassata di prima. Ma è sparita. Avverto alle mie spalle la finestra del soggiorno, con il vento buio che spinge contro i vetri.
– Sono dei pezzi di merda, quelli del «Courier», – dice Pulci. – E solo perché non è un malavitoso, non significa che non sia l’uomo che ha ucciso quella ragazza.
– Ci avevo già pensato. Ti sembro cosí scema?
– Dicevo solo per dire che faresti meglio a cambiare sistema d’allarme in fretta. Perché non ti fai mettere Phone Watch, o qualcosa di simile?
– No, grazie –. Se Phone Watch non riceve risposta da te in caso di interruzione dell’allarme, chiama automaticamente la polizia. E io preferirei essere fatta a pezzi da un serial killer piuttosto che far sapere alla squadra che ho chiesto aiuto alla polizia come una civile qualsiasi. – Sto bene cosí. Te, ti ho beccato subito, no?
– Io non ti aspettavo per ucciderti, – specifica lui. – Non è la stessa cosa. So che sai badare a te stessa e compiango il povero cretino che ti si troverà davanti, ma qualche volta devi anche dormire, giusto?
– Farò cambiare la serratura domani mattina.
– E l’allarme.
– E l’allarme, sí, mamma.
Pulci mi osserva da sopra la tazza. Per una volta è immobile. Dice: – Resto, stanotte?
Ci sono vari significati, per questa frase. Stanotte, mi sembrano tutti buoni. E se non fosse per il tizio in cima alla strada, e per la merda che mi tocca prendermi al lavoro, direi di sí in tutti i modi.
Ma non voglio che nessuno di noi due pensi che ho bisogno di lui in casa. – Sei la persona giusta, e ti ringrazio dell’offerta.
– Ma nessuno sentirà la mia mancanza.
– Oooh, povero piccolo.
– Sei sicura?
– Sí. Ti chiedo solo, se vedi quel tizio quando esci, mandami un messaggio, va bene?
– No problem, – dice lui. Si alza dal divano, si tira su i pantaloni della tuta e prende piatto e tazza. – Allora mi tolgo di torno.
– Lascia lí, ci penso io –. Volevo fare un altro caffè per tutti e due, ma ormai è tardi per dirlo.
– Ah, no. La mamma mi ha insegnato a pulire ciò che ho sporcato –. Va in cucina. – Grazie per avermi dato da mangiare. Il tuo sandwich ai bastoncini di pesce è fantastico, sai?
Lo seguo e lo trovo già chino sulla lavastoviglie, intento a sistemare il piatto.
– Da’ qua, – dice, tendendo la mano.
Gli passo il mio piatto. – Sono contenta che tu sia venuto, – dico. – È bello vederti.
– Stessa cosa per me –. Chiude la lavastoviglie e si raddrizza. – Se uno dei ragazzi si comporta in modo un po’ stressato, te lo faccio sapere. Giuro su Dio che ti mando prima un’e-mail. Altrimenti…
– Altrimenti, – dico, – ci vedremo quando ci vedremo.
Lui sorride e mi dà un rapido abbraccio con un braccio solo. Il suo braccio magro e duro, il suo odore di deodorante spray che mi riporta ai miei quindici anni, mi provocano una sensazione di debolezza, e sono contenta che se ne stia andando. Pulci spegne l’interruttore della luce a sensore di movimento, apre la porta posteriore e scompare oltre il muro di cinta, preciso e silenzioso come una volpe. Chiudo a chiave la porta e aspetto, ma non mi manda nessun messaggio.